La meditazione come cura
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La meditazione come cura

  1. 392 pagine
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La meditazione come cura

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Negli ultimi anni la meditazione è passata dall'essere una pratica elitaria a rimedio per risolvere qualunque problema, dal sovrappeso alle relazioni di coppia e al successo nel lavoro. La plasticità del cervello, per cui la struttura di questo organo è influenzata dalle emozioni e dagli stati mentali, è ormai ampiamente condivisa e ha aperto la strada a una serie di metodi di "training mentale" che si propongono di migliorare la vita emotiva e intellettuale. Daniel Goleman e Richard J. Davidson raccontano in questo libro il loro interesse più che trentennale per la meditazione e le ricerche fondamentali che li hanno resi dei luminari rispettivamente nella psicologia e nel neuroimaging, spiegando la verità medica su quello che la meditazione può fare veramente per noi, e come trarne il massimo beneficio. Facendo piazza pulita dei miti popolari e delle distorsioni pseudo scientifiche, gli autori dimostrano che, al di là del benessre mentale, la meditazione può condurre alla modifica permanente dei tratti della personalità, facendo emergere qualità come l'altruismo, l'empatia e la compassione. Per ottenere questo risultato, però, sono necessari alcuni elementi che attualmente mancano nella versione più comune di mindfulness: come il feedback personalizzato e una visione del Sé più ampia di quanto non accada ora. Per questo, basandosi sugli ultimissimi dati ottenuti nel laboratorio diretto da Davidson, gli autori indicano nuovi metodi per sviluppare un addestramento mentale più efficace e più duraturo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
ISBN
9788858691533

1

Il sentiero profondo e quello largo

Una tersa mattina d’autunno, Steve Z., un tenente colonnello in servizio al Pentagono, sentì un «tremendo rumore»: un istante dopo era a terra, privo di conoscenza, coperto dai detriti del soffitto che gli era crollato addosso. Era l’11 settembre 2001, e un aereo di linea si era schiantato sull’enorme edificio militare, proprio vicino al suo ufficio.
I detriti che avevano sepolto Steve gli salvarono la vita, proteggendolo quando la fusoliera dell’aereo esplose in una palla di fuoco. Nonostante il trauma, quattro giorni dopo si era già rimesso all’opera, lavorando febbrilmente di notte, dalle 18 alle 6, perché quelle erano le ore diurne in Afghanistan. Poco tempo dopo, partì come volontario per un anno in Iraq.
«La ragione principale per cui decisi di andare in Iraq era che non potevo più passeggiare in un centro commerciale senza essere iperattento, in un perenne stato di allerta. Scrutavo con circospezione le persone intono a me, studiavo il modo in cui mi guardavano» ha spiegato. «Non riuscivo nemmeno a entrare in un ascensore, mi sentivo intrappolato quando la mia macchina era bloccata nel traffico.»
Steve presentava i classici sintomi del disturbo post traumatico da stress (PTSD, post-traumatic stress disorder). Rendendosi conto di non essere in grado di affrontare questa situazione da solo, iniziò a frequentare una psicoterapeuta, che vede tuttora e che lo ha condotto, con molta gentilezza, a provare la pratica della mindfulness.1
La mindfulness, racconta Steve, «mi ha mostrato che potevo fare qualcosa per sentirmi più calmo, meno stressato, meno insofferente». Man mano che acquisiva esperienza nella meditazione, iniziando a seguire anche la pratica della gentilezza amorevole e a partecipare a dei ritiri, i sintomi del PTSD si fecero gradualmente meno frequenti e meno intensi. Anche se aveva ancora dei momenti di irritabilità e agitazione, riusciva a vederli arrivare, a essere cosciente del loro sopraggiungere.
Storie come quella di Steve ci offrono una prospettiva incoraggiante sulla meditazione. Noi che abbiamo meditato per tutta la nostra vita adulta sappiamo per esperienza, come Steve, che questa pratica porta innumerevoli benefici. Tuttavia, la nostra formazione scientifica ci spinge anche alla prudenza: di fatto, non tutto ciò che viene detto sulla magia della meditazione è in grado di superare dei test rigorosi. Così, ci siamo proposti di stabilire con chiarezza che cosa funziona e che cosa no.
È possibile che alcune delle cose che conoscete riguardo alla meditazione siano sbagliate. Ma è anche possibile che non conosciate tutto quello che c’è di vero sulla meditazione.
Prendiamo la storia di Steve. Un racconto simile è stato ripetuto, in infinite varianti, da innumerevoli persone che dichiarano di aver trovato sollievo – non solo dal PTSD, ma da ogni sorta di disordine emozionale – nelle tecniche meditative come la mindfulness.
Tuttavia, la mindfulness – una pratica meditativa che fa parte del quadro di un’antica tradizione – non è stata concepita come una cura per questi problemi, e solo in tempi recenti è stata adattata come un balsamo per le nostre moderne forme di angoscia. Il suo scopo originale, coltivato ancora oggi in alcuni circoli, si concentra su un’esplorazione profonda della mente finalizzata a un’alterazione radicale del nostro stesso essere.
Dal canto opposto, le applicazioni pratiche della meditazione – come la mindfulness che ha aiutato Steve a riprendersi dal trauma – si rivolgono a una platea molto più ampia, ma non scendono altrettanto in profondità. Dato che è facile accedere a questo approccio più largo, molte persone hanno trovato modo di includere almeno un po’ di meditazione nella routine delle loro giornate.
Ci sono, dunque, due sentieri: quello profondo e quello largo. Queste due strade vengono spesso confuse, anche se differiscono molto l’una dall’altra.
Possiamo vedere un’incarnazione del sentiero profondo su due livelli. In una forma pura, lo osserviamo, per esempio, nelle antiche tradizioni del buddhismo theravada, praticato nel Sudest asiatico, o fra gli yogin tibetani (a proposito dei quali vedremo alcuni dati interessanti nel capitolo 11, «Il cervello di uno yogin»); ci riferiremo a questo tipo di pratica più intensiva indicandolo come «Livello 1».
Al «Livello 2», queste tradizioni sono state isolate dallo stile di vita complessivo di cui fanno parte – quello dei monaci o degli yogin, per esempio – e sono state adattate in formati più accettabili per l’Occidente. Al Livello 2, la meditazione si presenta in forme che si lasciano alle spalle diversi elementi della fonte originale asiatica per i quali il passaggio da una cultura all’altra non sarebbe affatto facile.
Ci sono poi gli approcci più larghi. Al «Livello 3», un’ulteriore rimozione solleva queste stesse pratiche meditative dai loro contesti spirituali e le distribuisce in un quadro ancora più ampio, come nel caso della tecnica di riduzione dello stress basata sulla mindfulness (meglio nota come MBSR, Mindfulness-based stress reduction), fondata dal nostro caro amico Jon Kabat-Zinn e oggi insegnata in migliaia di cliniche e centri medici (e non solo), o come la meditazione trascendentale (TM, transcendental meditation), che offre al mondo moderno dei mantra sanscriti classici in un formato di facile uso.
Le forme di meditazione del «Livello 4», ancora più ampiamente accessibili, sono per forza di cose le più annacquate, proprio al fine di renderle alla portata di un maggior numero di persone. Un esempio di questo livello sono le app che ci ricordano di fare un minuto di meditazione, o la moda della «mindfulness seduti alla propria scrivania».
Possiamo poi prevedere anche l’avvento di un «Livello 5», che per ora esiste solo in una forma frammentaria ma che, con il tempo, potrà crescere diventando un fenomeno di più larga diffusione. Al Livello 5, le lezioni apprese dagli scienziati attraverso lo studio di tutti gli altri livelli porteranno a innovazioni e adattamenti in grado di arrecare benefici al maggior numero possibile di individui, una possibilità che esploreremo nell’ultimo capitolo («Una mente sana»). Quando abbiamo incontrato per la prima volta la meditazione, le profonde trasformazioni del Livello 1 ci hanno affascinato. Dan ha studiato gli antichi testi e ha praticato i metodi in essi descritti, in particolare nei due anni in cui ha vissuto in India e nello Sri Lanka, durante i suoi studi di specializzazione e subito dopo. Richie (come lo chiamano tutti) ha seguito Dan in Asia fermandosi lì per un lungo periodo di tempo, facendo pratica in ritiro e incontrando diversi studiosi di meditazione (e, più di recente, ha scannerizzato, nel suo laboratorio presso la University of Wisconsin, i cervelli di alcune persone che praticano queste tecniche meditative al massimo livello).
La nostra pratica meditativa personale si è collocata soprattutto al Livello 2; fin dall’inizio, però, abbiamo considerato importante anche il sentiero largo, con i Livelli 3 e 4. I nostri maestri asiatici dicevano che se qualche aspetto della meditazione può aiutare ad alleviare la sofferenza, dovrebbe essere offerto a tutti, e non solo a coloro che stanno seguendo una ricerca spirituale. Nelle nostre dissertazioni di dottorato abbiamo applicato quel consiglio studiando i modi in cui la meditazione potrebbe avere delle ricadute positive sul piano cognitivo e su quello emozionale.
La storia che raccontiamo qui rispecchia il nostro viaggio personale e professionale. Siamo amici e collaboratori nel campo della scienza della meditazione fin dagli anni Settanta, quando ci siamo incontrati ad Harvard durante gli studi di specializzazione, e per tutti questi anni abbiamo praticato entrambi quest’arte interiore (sia pure senza nemmeno avvicinarci alla maestria).
Anche se abbiamo entrambi alle spalle una formazione come psicologi, ciascuno di noi porta a questa storia delle competenze complementari. Dan è un giornalista scientifico di vecchia data e scrive per il «New York Times» da più di un decennio. Richie, un neuroscienziato, ha fondato e dirige il Center for Healthy Minds presso la University of Wisconsin, ed è direttore del laboratorio di scannerizzazione cerebrale del Waisman Center (nella stessa università), pieno dei suoi scanner PET e fMRI e con una batteria di programmi all’avanguardia per l’analisi dei dati, assieme a centinaia di server per eseguire i complessi calcoli richiesti dal suo lavoro. Il suo gruppo di ricerca conta più di cento esperti, che vanno da fisici, statistici e informatici a neuroscienziati, psicologi e studiosi delle tradizioni meditative.
L’esperienza di scrivere un libro a quattro mani può essere difficile, e un po’ per noi lo è stata; tuttavia, gli aspetti negativi sono stati di gran lunga superati dall’immenso piacere che abbiamo provato lavorando assieme. Pur essendo grandi amici da decenni, abbiamo lavorato separatamente per la maggior parte delle nostre carriere; questo libro ci ha riportati assieme, cosa che è sempre una grande gioia.
Il libro che avete tra le mani è quello che avremmo voluto scrivere da sempre. Finora non era stato possibile, perché la scienza e i dati di cui avevamo bisogno per sostenere le nostre idee sono maturati soltanto di recente; oggi che hanno entrambi raggiunto una massa critica di informazioni, abbiamo il piacere di condividere il nostro pensiero.
La nostra gioia nasce anche dalla sensazione di condividere una missione significativa: vogliamo spostare il dibattito dando una radicale reinterpretazione di quali sono – e quali no – gli effettivi benefici della meditazione e di quale è sempre stato l’autentico obiettivo della pratica.

Il sentiero profondo

Dopo il suo ritorno dall’India, nell’autunno del 1974, Richie partecipò a un seminario sulla psicopatologia ad Harvard. Richie, che portava i capelli lunghi e un abbigliamento in linea con lo spirito allora in voga a Cambridge (inclusa una fascia di tessuto colorato che indossava come cintura), rimase perplesso quando il suo professore, lanciandogli un’occhiata allusiva, disse che «uno dei segni della schizofrenia è dato dal modo bizzarro in cui una persona si veste».
E quando Richie disse a uno dei suoi professori di Harvard che nella sua dissertazione voleva concentrarsi sulla meditazione, si sentì subito rispondere, senza mezzi termini, che una scelta del genere avrebbe segnato la fine della sua carriera.
Dan, dal canto suo, iniziò a svolgere delle ricerche sugli impatti di quelle forme di meditazione che ricorrono all’uso di un mantra. Venendolo a sapere, uno dei suoi professori di psicologia clinica gli chiese con sospetto: «E in che cosa si distinguerebbe un mantra dai miei pazienti ossessivi che non riescono a smettere di dire “merda-merdamerda”?».2 La spiegazione che nella psicopatologia le espressioni di questo tipo sono involontarie mentre la ripetizione silenziosa di un mantra è un esercizio volontario e uno strumento intenzionale di concentrazione non sembrò convincerlo più di tanto.
Queste reazioni erano tipiche dell’opposizione che incontravamo da parte dei capi di dipartimento, che rispondevano ancora con istintiva negatività a tutto ciò che aveva a che fare con la coscienza; si trattava, forse, di una lieve forma di PTSD dopo il notorio scandalo che aveva coinvolto Timothy Leary e Richard Alpert, allontanati con gran clamore dal nostro dipartimento dopo aver lasciato che gli studenti di Harvard facessero esperimenti con sostanze psichedeliche. I fatti erano avvenuti cinque anni prima del nostro arrivo, ma gli echi non si erano ancora spenti.
Per quanto i nostri mentori accademici vedessero la nostra ricerca sulla meditazione come un vicolo cieco, il cuore ci diceva che era un campo di fondamentale importanza. Avevamo una grande idea: al di là degli stati piacevoli che la meditazione può generare, i veri benefici sono i tratti permanenti che la sua pratica è in grado di produrre.
Un tratto alterato – una nuova caratteristica che sorge dalla pratica della meditazione – è qualcosa che permane al di là della meditazione stessa: i tratti alterati plasmano il nostro comportamento nella vita quotidiana, non solo durante (o subito dopo) i nostri momenti di meditazione.
Il concetto di tratti alterati è qualcosa su cui abbiamo riflettuto per tutta la vita, con una sinergia di ruoli nella quale ciascuno di noi ha portato il suo contributo allo sviluppo di questa storia. Ci sono stati gli anni di Dan in India, come uno dei primi occidentali a osservare e prendere parte alle radici asiatiche di questi metodi in grado di alterare la mente. Quindi, al suo ritorno in America, Dan ha tentato, senza grande successo, di trasmettere alla psicologia contemporanea il concetto dei cambiamenti benefici apportati dalla meditazione e di far conoscere gli antichi modelli di pratica con cui è possibile ottenerli.
Le esperienze personali di Richie con la meditazione hanno portato a decenni di studi sulla scienza che sostiene la nostra teoria dei tratti alterati. Il suo gruppo di ricerca ha ora ottenuto i dati che danno credito a quelle che, altrimenti, sembrerebbero delle semplici fantasie. Inoltre, guidando la creazione di un giovane campo di ricerca – la neuroscienza contemplativa – Richie ha cresciuto una nuova generazione di scienziati il cui lavoro porta avanti e approfondisce i risultati finora raggiunti. Sull’onda del grande entusiasmo intorno al sentiero largo, l’altra via – il sentiero profondo, che è sempre stato l’autentico scopo della meditazione – viene spesso trascurata. A nostro parere, però, gli effetti più importanti della meditazione non sono un miglioramento della salute o delle performance nel lavoro ma, piuttosto, un passo avanti verso il miglioramento della nostra stessa natura.
Una serie di scoperte emerse dal sentiero profondo ha dato una grande spinta ai modelli scientifici dei limiti superiori del nostro potenziale positivo. Gli sviluppi raggiunti attraverso il sentiero profondo permettono infatti l’emergere di qualità permanenti come l’altruismo, l’equanimità, una presenza amorevole e una compassione imparziale, che sono tutti dei tratti alterati fortemente positivi.
All’inizio del nostro cammino, questa cosa sembrava una grande novità per la psicologia moderna, o almeno per chi era disponibile ad ascoltarla. Va ammesso che, all’inizio, il concetto di tratti alterati non aveva molti elementi a suo supporto, a parte la sensazione viscerale che avevamo ricavato dai nostri incontri con i praticanti esperti in Asia, le affermazioni contenute negli antichi testi di meditazione e i nostri primi personali tentativi nel campo di quest’arte interiore. Tuttavia, dopo decenni di silenzio e di mancanza di considerazione, negli ultimi anni sono state fatte numerose scoperte che avvalorano le nostre idee iniziali. Solo di recente i dati scientifici hanno raggiunto la massa critica, confermando ciò che la nostra intuizione e i testi antichi ci avevano detto: questi cambiamenti profondi sono segni esterni di funzioni cerebrali marcatamente differenti.
Gran parte dei dati viene dal laboratorio di Richie, l’unico centro scientifico che ha raccolto le scoperte fatte su decine di maestri di meditazione, soprattutto yogin tibetani (che costituiscono il più grande bacino di praticanti di meditazione profonda mai studiato).
Questi improbabili partner di ricerca hanno avuto un’importanza cruciale nel raggiungere le prove scientifiche dell’esistenza di un modo di essere che ha eluso il pensiero moderno, pur essendo nascosto in piena vista come un obiettivo delle maggiori tradizioni spirituali del mondo. Oggi possiamo condividere la conferma scientifica di queste profonde alterazioni dell’essere, una trasformazione che alza drasticamente i limiti di quelle che per la scienza psicologica sono le possibilità umane.
Per una certa sensibilità moderna, l’idea stessa di «risveglio» – l’obiettivo del sentiero profondo – potrebbe sembrare soltanto una fiaba bizzarra. Tuttavia, i dati raccolti dal laboratorio di Richie (alcuni dei quali compariranno su diverse riviste scientifiche proprio durante la pubblicazione di questo libro) confermano che le notevoli alterazioni positive nel cervello e nel comportamento, in linea con quelle descritte da tempo come conseguenza del sentiero profondo, non sono affatto un mito ma una realtà.

Il sentiero largo

Da lungo tempo siamo entrambi membri del consiglio del Mind and Life Institute, fondato con l’intenzione di creare un intenso dialogo fra il Dalai Lama e gli scienziati su una serie di argomenti di ampio respiro.3 Nel 2000, abbiamo organizzato un dibattito sulle «emozioni distruttive» con la partecipazione di diversi esperti di questo campo, tra cui Richie.4
In quell’occasione il Dalai Lama, rivolgendosi a Richie, ha lanciato una sfida stimolante: facendo notare come, nell’amb...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La meditazione come cura
  4. 1. Il sentiero profondo e quello largo
  5. 2. Antiche intuizioni
  6. 3. Il dopo è il prima del prossimo durante
  7. 4. Il meglio che abbiamo
  8. 5. Una mente non turbata
  9. 6. Predisposti per l’amore
  10. 7. Attenzione!
  11. 8. La leggerezza dell’essere
  12. 9. Mente, corpo e genoma
  13. 10. La meditazione come psicoterapia
  14. 11. Il cervello di uno yogin
  15. 12. Un tesoro nascosto
  16. 13. L’alterazione dei tratti
  17. 14. Una mente sana
  18. Ulteriori risorse
  19. Ringraziamenti
  20. Note
  21. Indice