Storia dell'astronomia
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Storia dell'astronomia

  1. 480 pagine
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Storia dell'astronomia

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Perché mai gli antichi credevano che l'arrivo del freddo fosse causato dalla costellazione di Orione? Ci sono davvero legami tra le inondazioni dei fiumi e la posizione della luna, come ritenevano le popolazioni aborigene del Sud America? Quanta verità c'è nella leggenda colombiana dei bruchi che escono di sera richiamati dalle stelle? Sin dagli albori della storia, l'uomo ha sempre guardato il cielo. Sono stati necessari secoli di studio e progresso, prima che fossimo in grado di comprendere quali relazioni legano gli eventi terrestri a quelli celesti, e tuttavia l'universo si apre ancora davanti a noi come un oceano dalle mille possibili scoperte. In questo volume si ripercorre per intero la storia dell'astronomia, dalle credenze preistoriche ai dogmi di Aristotele, da Tolomeo a Copernico, fino all'astrofisica moderna e alle teorie dei molti universi. Grazie a uno stile chiaro e immediato, questo volume ci fa rivedere il cielo da Stonehenge al telescopio Hubble, con la completezza e l'accuratezza delle grandi opere esemplari. Una storia dell'astronomia per tutti, frutto dei contributi di sei grandi studiosi internazionali, che giunge fino alle scoperte più recenti: la ricerca sulle nebulose, l'espansione dell'universo, lo sviluppo della radioastronomia e i nuovi potentissimi strumenti d'osservazione a Terra e nello spazio.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
ISBN
9788858690604

1

L’astronomia prima della storia

Clive Ruggles e Michael Hoskin
La maggior parte degli storici dell’astronomia passa le sue giornate a leggere libri e documenti in biblioteche e archivi. Alcuni si dedicano allo studio dell’«hardware» conservato nei musei e negli osservatori più antichi (astrolabi, telescopi e via dicendo). Il cielo era però una risorsa culturale per i popoli di tutto il mondo già molto tempo prima dell’invenzione della scrittura o della costruzione di strumenti di osservazione astronomica. I naviganti si orientavano nei lunghi viaggi per mare osservando le stelle; le comunità di agricoltori usavano le stelle per decidere quando era il tempo di seminare; c’erano sistemi ideologici che mettevano i corpi celesti in correlazione con oggetti, eventi e cicli di attività nel mondo terrestre e in quello divino; e non possiamo escludere che qualche popolazione preistorica e protostorica possedesse una scienza astronomica capace di compiere vere predizioni, per esempio di eclissi.
In questo libro ci concentreremo sull’emergere della scienza dell’astronomia come la conosciamo oggi. La documentazione storica mostra che questo sviluppo si è verificato nel Vicino Oriente e, più particolarmente, in Europa. Ci chiederemo perciò innanzitutto se si sappia qualcosa sul modo in cui gli europei preistorici osservavano il cielo, e se ci siano prove dell’esistenza in quei tempi remoti di un’astronomia capace di fare predizioni. Essendo noi fin troppo esposti all’insidia di imporre ai resti archeologici i nostri modelli di pensiero occidentali e i nostri pregiudizi, guarderemo, per confronto, ai membri di altri due gruppi che hanno osservato o osservano il cielo con mente libera da idee occidentali: i popoli vissuti nelle Americhe prima della conquista spagnola e i popoli oggi viventi che continuano a praticare modi di vita tradizionali in relativo isolamento dal resto dell’umanità.
Nelle due regioni più intensamente investigate dagli studiosi dell’astronomia preistorica e protostorica – l’Europa nordoccidentale e le regioni tropicali americane – i fenomeni celesti si presentano con caratteristiche alquanto diverse. Ai tropici il Sole e gli altri corpi celesti sorgono e tramontano quasi verticalmente, e le due epoche dell’anno in cui il Sole passa direttamente allo zenit hanno spesso per i popoli che vi vivono uno speciale significato. Alle latitudini dell’Europa settentrionale, invece, i corpi celesti percorrono fra il sorgere e il tramonto una traiettoria molto più bassa e culminano più a sud. Attorno all’inizio dell’estate le giornate sono lunghe, ma dopo tale data i punti in cui il Sole sorge e tramonta si spostano costantemente verso sud e le giornate si accorciano e diventano più fredde: un comportamento che minacciava disastri, se non si riusciva a convincere il Sole a tornare indietro. Benché i moderni «druidi» si riuniscano a Stonehenge al solstizio d’estate, l’orientamento del monumento nella direzione opposta, verso il solstizio d’inverno, potrebbe avere avuto un potente simbolismo per i suoi costruttori.

Il cielo come risorsa culturale nell’Europa preistorica

Gli europei di oggi hanno, nella migliore delle ipotesi, solo legami assai tenui con le popolazioni preistoriche che occuparono un tempo la stessa regione. Qualche connessione potrebbe tuttavia esistere. Qualcuno ha sostenuto che nella Gran Bretagna dell’Età del Bronzo era in uso un calendario in cui l’anno era diviso in quattro parti dai solstizi e dagli equinozi; ognuna di tali quattro parti sarebbe stata ulteriormente suddivisa in due e poi in altre due, per un totale di sedici «mesi» di 22-24 giorni ciascuno; e può darsi che vestigia di una tale divisione dell’anno in otto parti siano sopravvissute fino in tempi celtici, e quindi fino al Medioevo, in cui erano rappresentate dalle feste di san Martino, Candelora, Calendimaggio e Festa del raccolto (1 agosto), in aggiunta alle quattro feste cristianizzate dei solstizi e degli equinozi.
FIGURA 1.1 Newgrange, in vista superiore (in alto) e in sezione laterale (in basso): si vede la via percorsa dai raggi del Sole alla sua levata al solstizio d’inverno. Il tumulo che copre la tomba ha un diametro di circa 76 metri e un’altezza di oltre 9 metri.
FIGURA 1.1 Newgrange, in vista superiore (in alto) e in sezione laterale (in basso): si vede la via percorsa dai raggi del Sole alla sua levata al solstizio d’inverno. Il tumulo che copre la tomba ha un diametro di circa 76 metri e un’altezza di oltre 9 metri.
Di nuovo, leggende associate all’immensa tomba a corridoio di Newgrange, nella County Meath in Irlanda, costruita intorno al 3000 a.C., fanno abitare in questo monumento l’onnisciente dio Dagda (o suo figlio). La caldaia di Dagda era la volta del cielo, e una connessione con pratiche molto più antiche potrebbe essere indicata dalla scoperta moderna che al solstizio d’inverno la luce del Sole penetrava fin nei recessi più profondi della tomba. Da un ingresso sul lato sudorientale, un corridoio lungo 19 metri conduce a una camera centrale, alta 6 metri, in cui si aprono gli ingressi a tre camere laterali. Un po’ di tempo dopo la costruzione, quando erano già state deposte nella tomba le ossa di molti defunti, l’ingresso al monumento fu bloccato con una grande pietra. Nonostante l’esclusione dei vivi, però, la luce del Sole al solstizio d’inverno continuò a entrare attraverso una fenditura altrimenti inspiegabile nel soffitto sopra l’ingresso. Per due settimane circa prima e dopo il solstizio d’inverno, il Sole, sorgendo, illuminava l’intero corridoio fino alla camera centrale, come fa ancor oggi. Che questa coincidenza possa essere del tutto casuale e che la fenditura nel tetto potesse avere qualche altra spiegazione è molto improbabile, cosicché possiamo essere ragionevolmente certi che Newgrange sia stata deliberatamente costruita per trovarsi di fronte al sorgere del Sole al solstizio d’inverno. Ma dobbiamo notare che la luce del Sole doveva cadere sulle ossa dei defunti senza essere vista dai vivi e che, anche se nella camera centrale ci fosse stato un occupante vivo, ne avrebbe ricavato solo una data molto approssimativa del solstizio.
Ma quand’anche non esistessero connessioni così dirette col passato, non sarebbe difficile identificare con una certa sicurezza esempi di monumenti preistorici nella cui costruzione si rivela un interesse per il cielo. Per esempio, nella regione di Alentejo, in Portogallo, a est di Lisbona, ci sono numerose tombe neolitiche. Ogni tomba ha un asse di simmetria e un ingresso situato su tale asse, cosicché c’è una precisa direzione nelle quale si può dire che la tomba sia orientata. Decine di queste tombe sono disseminate su una vasta area, e tuttavia sono tutte orientate entro lo spazio ristretto di un ottante circa: una regolarità che non può essersi verificata per caso.
Come può essere stata conseguita quest’uniformità? Il terreno è piatto, e non ci sono montagne o altri punti di riferimento che potessero essere usati dai costruttori per determinare l’allineamento dell’asse quando costruivano una nuova tomba. Queste popolazioni neolitiche, inoltre, non possedevano certo la bussola. Esse potrebbero quindi essersi servite per l’orientamento delle tombe dell’osservazione del cielo, poiché solo il cielo doveva apparire uguale da tutti i luoghi in questa vasta regione.
L’orientamento di tali tombe è una cosa che si può misurare, ed è un dato di fatto; un altro dato di fatto è l’alto grado di uniformità che tale orientamento presenta. Il coinvolgimento del cielo è dunque almeno estremamente probabile. Non possiamo d’altro canto interrogare i costruttori, i quali non ci hanno lasciato documenti scritti, cosicché possiamo solo fare congetture sul significato che l’orientamento di una tomba poteva trasmettere ai suoi costruttori e ai loro contemporanei. Gli orientamenti osservati possono gettare qualche luce su questo problema?
Notiamo che ogni tomba era disposta frontalmente alla levata del Sole in qualche periodo dell’anno. Il limite sudorientale degli orientamenti delle tombe coincideva con il limite sudorientale del sorgere del Sole, al solstizio d’inverno, ma la maggior parte delle tombe era rivolta verso il sorgere del Sole alla fine dell’autunno e all’inizio della primavera. L’autunno è in effetti una stagione opportuna per l’inizio della costruzione di una tomba, poiché a quest’epoca doveva esserci meno lavoro da fare nei campi e con gli animali, mentre il tempo era ancora favorevole. Sappiamo dalla documentazione storica che molte chiese inglesi furono progettate in modo da avere la facciata rivolta al sorgere del Sole nel giorno dell’inizio della costruzione, e che è possibile calcolare le date calendariali di un tale inizio a partire dall’orientamento dell’asse. Pare che lo stesso si possa fare per le tombe di Alentejo, e conseguire in questo modo nuove informazioni sul ritmo annuale della vita nei tempi neolitici.
I santuari con taula sull’isola spagnola di Minorca, nel Mediterraneo, dove una cultura dell’Età del Bronzo era al suo culmine intorno al 1000 a.C., ci offrono un altro esempio di probabile uso di fenomeni astronomici nell’orientamento di monumenti preistorici. Tali santuari consistevano in un muro di cinta al centro del quale c’era la taula, una lastra di pietra piatta piantata verticalmente nel suolo, sulla quale poggiava una pietra orizzontale. La faccia frontale della taula guardava verso l’ingresso, che era quasi sempre in direzione sud. Fatto significativo, la taula era disposta invariabilmente in modo che i fedeli dall’interno avessero una vista perfetta dell’orizzonte. Come poteva una tale vista essere così importante, se oggi verso sud non si vede niente di significativo?
Possiamo trovare la probabile risposta calcolando a ritroso l’effetto dell’oscillazione («precessione») dell’asse terrestre causata dall’attrazione del Sole e della Luna sul rigonfiamento equatoriale della Terra, che nel corso dei secoli cambia le stelle che possono essere viste da una qualsiasi località data. Troviamo che a Minorca, nel 1000 a.C., era visibile la Croce del Sud; essa saliva considerevolmente in alto in cielo, seguita dalla splendente Beta Centauri, e poi da Alpha Centauri, la seconda stella per luminosità visibile dall’isola (la prima è Sirio). Questa vistosa costellazione ha avuto (e ha) molta importanza in parecchie culture, e non solo ai fini della navigazione. Se, come pare probabile, fu associata ai rituali praticati nei santuari con taula, questo fatto può insegnarci qualcosa sulla religione della popolazione preistorica di Minorca, la quale potrebbe inoltre avere avuto legami con l’Egitto, dove le costellazioni erano normalmente identificate con divinità.
Questo coinvolgimento del cielo nel rituale preistorico in Europa sembra perciò ben stabilito. Ma c’era anche un’astronomia quasi scientifica, fondata su osservazioni esatte, capace forse addirittura di predire eventi astronomici? In Gran Bretagna il suggerimento che monumenti megalitici, costruiti, come sappiamo oggi, nel III millennio a.C. e all’inizio del II, includessero allineamenti scelti per ragioni astronomiche risale al Settecento, mentre all’inizio del Novecento un astronomo della statura di Sir Norman Lockyer poté scrivere: «Da parte mia, credo che l’opinione che i nostri antichi monumenti siano stati costruiti per osservare e determinare i luoghi della levata e del tramonto dei corpi celesti sia oggi perfettamente stabilita».
L’argomento catturò l’attenzione del grande pubblico negli anni Sessanta, con la pubblicazione di un libro su Stonehenge in cui si sosteneva che, in aggiunta alla ben nota levata del Sole al solstizio d’estate, sopra la Pietra del Tallone, il monumento comprendeva nella sua configurazione molti altri allineamenti astronomici. Il suo autore, l’astronomo Gerald Hawkins, mostrò che – date osservazioni regolari estese su un periodo di molti anni – era tecnicamente possibile usare gli allineamenti di Stonehenge per registrare il calendario solare, studiare i cicli più complessi della Luna e persino predire eclissi. E questo, secondo l’autore, era stato in effetti uno degli intenti dei costruttori del monumento.
Se Stonehenge fosse stato uno fra molti monumenti simili, li si sarebbe potuti esaminare per vedere se presentassero gli stessi caratteri. Purtroppo esso non ha paralleli in alcun’altra parte del mondo, e fu oggetto di meraviglia e stupore già nell’Antichità. La sua spiegazione è ulteriormente complicata dal fatto che esso fu costruito, modificato, e ricostruito nell’arco di un periodo di circa due millenni. Inoltre le pietre che vediamo oggi potrebbero non essere esattamente nella posizione che occupavano quando il monumento fu costruito la prima volta; e quando fu costruito non è detto che si trovassero esattamente nella posizione prevista dai costruttori. Non potendo interrogare gli architetti, che neppure ci hanno lasciato alcun documento scritto delle loro intenzioni, siamo costretti a fare ricorso a considerazioni di probabilità: dobbiamo perciò chiederci quante probabilità ci siano che una disposizione di pietre che ai nostri occhi ha un significato astronomico abbia potuto realizzarsi in virtù di un preciso progetto piuttosto che per caso. In altri termini, lo studio di Stonehenge ci induce a fare uso della statistica, e ai fini di un’indagine statistica un monumento unico è un oggetto insoddisfacente.
L’affermazione meno opinabile che si possa fare su Stonehenge è che l’orientamento generale dell’asse del monumento in varie fasi del suo sviluppo fu in una direzione verso il sorgere del Sole al solstizio d’estate, e nell’altra verso il tramonto del Sole al solstizio d’inverno, e che questo orientamento potrebbe benissimo essere stato intenzionale. È in gioco una precisione con un margine d’errore, nella migliore delle ipotesi, di due o tre diametri solari: la nozione diffusa che la Pietra del Tallone definisse la direzione del sorgere del Sole al solstizio con una precisione maggiore è del tutto indifendibile, poiché la presunta posizione d’osservazione (il centro del monumento) non può essere definita con sufficiente esattezza, mentre la Pietra del Tallone è troppo vicina per fornire un mirino anteriore abbastanza preciso, e l’orizzonte al di là di essa è assolutamente amorfo.
La maggior parte degli studiosi di Stonehenge ha individuato nel sito certi caratteri e ha escogitato teorie per «spiegarli». Nonostante le migliori intenzioni di mantenere un atteggiamento obiettivo ci sono gravi pericoli di imporre un contesto astronomico (e geometrico) a quello che è in realtà un campione molto limitato di dati in un sito assai alterato: i dati che oggi sono superficialmente evidenti, le strutture che sono state scavate (mentre grandi parti del sito sono ancora inesplorate) e via dicendo. Per esempio, oggi sappiamo che la Pietra del Tallone aveva una compagna, andata distrutta da molto tempo, di cui si scoprì l’esistenza durante operazioni di recupero nel 1979.
Alcune fra le teorie astronomiche più famose su Stonehenge usano argomentazioni di carattere statistico per individuare il possibile significato dei numerosi allineamenti astronomici fra coppie di punti scelti. La credibilità di tali argomentazioni è però sminuita da molti motivi diversi: l’assenza di una giustificazione anteriore dei punti scelti, e dubbi archeologici su alcuni di essi; errori numerici nel calcolo delle probabilità; e, fatto forse più importante, la non-indipendenza dei dati (per esempio – eccezion fatta per regioni collinose – una linea orientata da un lato verso la levata del Sole al solstizio d’estate sarà automaticamente orientata dall’altro verso il tramonto del Sole al solstizio d’inverno). Una volta che si sia tenuto conto di tutte queste possibilità d’errore, non rimangono prove certe di orientamenti astronomici preferiti di questa sorta.
Un autore ha sottolineato che le 56 buche di Aubrey (così chiamate dal loro scopritore seicentesco, John Aubrey) potrebbero essere state usate per la predizione di eclissi, spostando dei marcatori da una buca all’altra. Il problema, qui, consiste nel fatto che – anche se un astronomo moderno potrebbe usare effettivamente in questo modo una struttura come Stonehenge per predire eclissi – ci sono numerosi indizi di carattere archeologico a conferma della tesi che la popolazione di Stonehenge non fece nulla del genere. Esistono di fatto decine di recinzioni circolari e di cosiddetti monumenti henge (monumenti che assomigliano alle prime fasi di Stonehenge, prima che questo monumento megalitico acquistasse le sue strutture distintive di «pietre azzurre» e di sarsen), in cui sono stati trovati anelli di buche per pali o di buche rituali all’interno di un fossato, e in cui queste buche variano in numero da meno di venti a più di cento.
D’altra parte pare che, al passaggio dal Neolitico all’Età del Bronzo, nella regione intorno a Stonehenge ci sia stato uno spostamento dal simbolismo lunare a quello solare. Esso si rifletterebbe nelle direzioni in cui sono allineati i cumuli tombali di ogni periodo, e anche nel chiaro spostamento dell’asse di Stonehenge da un allineamento lunare nelle prime fasi a un allineamento solare nelle fasi successive. Un gruppo di buche per pali situato all’«ingresso» nordorientale – un’interruzione nel fossato fra il cerchio di Aubrey e la Pietra del Tallone – potrebbe essere una prova del fatto che la costruzione originaria dell’asse era orientata su una posizione estrema della levata della Luna, anche se quest’interpretazione rimane controversa.
In breve, ci sono buone ragioni per pensare che la costruzione di Stonehenge e i monumenti connessi incorporino un simbolismo astronomico, ma non possediamo ancora motivi convincenti per pensare che in questi luoghi sia stata effettivamente praticata un’astronomia scientifica.
Negli anni Sessanta del Novecento, mentre Stonehenge stava attraendo l’attenzione popolare (e stava suscitando controversie), un professore di ingegneria di Oxford in pensione, Alexander Thom (1894-1985), stava tranquillamente proseguendo il compito mastodontico che si era posto: quello di studiare sistematicamente con criteri professionali le molte centinaia di cerchi di pietre e di altri monumenti megalitici che sopravvivono in Gran Bretagna, Irlanda e Francia settentrionale. Thom era un raccoglitore di fatti, e la maggior parte dei raccoglitori di fatti sono poco inclini alle grandi ipotesi. Non così Thom. Egli sostenne non solo che questi monumenti megalitici furono costruiti secondo complesse piante geometriche, e progettati usando unità di misura determinate con precisione (una delle quali fu da lui chiamata la «iarda megalitica»), ma che i costruttori preistorici avessero anticipato un’idea formulata in seguito da Galileo, e avessero localizzato i loro monumenti in posizioni tali da facilitare osservazioni astronomiche di grande precisione.
Nel 1632 Galileo, nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, fa riferire a uno dei suoi personaggi com’egli stesso abbia compiuto una determinazione accurata del solstizio d’estate con uno strumento graziosamente fornito dalla natura:
Io, stando in una mia villa vicino a Firenze, osservai manifestamente l’arrivo e la partita del Sole dal solstizio estivo, mentre che una sera nel suo tramontare si addopò a una rupe delle montagne di Pietrapana, lontana circa 60 miglia lasciando di sé scoperto un sottil filo verso tramontana, la cui larghezza non era la centesima parte del suo diametro, e la seguente sera in simil occaso mostrò pur di sé scoperta una simil parte, ma notabilmente più sottile, argomento necessario dell’aver egli cominciato a discostarsi dal tropico (...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione di Margherita Hack
  4. Introduzione
  5. 1. L’astronomia prima della storia di Clive Ruggles e Michael Hoskin
  6. 2. L’astronomia nell’Antichità di Michael Hoskin
  7. 3. L’astronomia islamica di Michael Hoskin e Owen Gingerich
  8. 4. L’astronomia latina medievale di Michael Hoskin e Owen Gingerich
  9. 5. Dalla geometria alla fisica: l’astronomia trasformata di Michael Hoskin
  10. 6. Newton e il newtonianesimo di Michael Hoskin
  11. 7. L’astronomia dell’universo stellare di Michael Hoskin
  12. 8. Il messaggio della luce stellare: la nascita dell’astrofisica di David Dewhirst e Michael Hoskin
  13. 9. Nuovi orizzonti dell’astronomia di Michael Hoskin e Owen Gingerich
  14. Cronologia
  15. Glossario
  16. Altre letture
  17. Gli autori
  18. Indice