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I buchi neri non hanno peli?
Si dice che a volte la realtà superi la fantasia. Nel caso dei buchi neri possiamo dire che nessuno tra gli scrittori di fantascienza è mai arrivato a immaginare tanto. La comunità scientifica ha impiegato parecchio tempo a comprendere che le stelle dalla grande massa possono collassare su se stesse, sotto la loro forza di gravità, e a considerare il comportamento degli oggetti risultanti. Nel 1939, Albert Einstein scrisse un articolo in cui sosteneva l’impossibilità di tale collasso, affermando che la materia non poteva essere compressa oltre un determinato limite. Numerosi scienziati condividevano tale sensazione istintiva. La principale eccezione era costituita dal fisico americano John Wheeler, che per molti aspetti rappresenta la figura dell’eroe nella storia dei buchi neri. Negli anni Cinquanta e Sessanta, con il suo lavoro Wheeler mise in luce che molte stelle erano infine destinate a collassare ed evidenziò i problemi che tale possibilità veniva a porre sul piano della fisica teorica. Si spinse inoltre a prevedere numerose proprietà dei buchi neri, che sono il risultato del collasso gravitazionale delle stelle.
DAVID SHUKMAN: L’espressione «buco nero» è abbastanza semplice, eppure è difficile immaginarne uno là fuori nello spazio. Possiamo pensare a un enorme scarico in cui l’acqua precipita vorticando. Quando qualcosa supera il bordo di questo oggetto, il cosiddetto «orizzonte degli eventi», non può più tornare indietro. Data la loro immensa forza di attrazione, i buchi neri risucchiano anche la luce e di conseguenza ci risultano invisibili. Tuttavia, gli scienziati sanno che esistono in quanto strappano via la materia delle stelle che si avvicinano troppo e possono mandare vibrazioni attraverso lo spazio. È stata proprio una collisione fra due buchi neri, avvenuta più di un miliardo di anni fa, a provocare quelle onde gravitazionali la cui recente scoperta ha segnato uno straordinario passo avanti per la scienza.
Per la maggior parte della sua vita, di svariati miliardi di anni, una normale stella sostiene il proprio stesso peso attraverso la pressione termica generata dai processi nucleari che convertono l’idrogeno in elio.
DS: La NASA descrive le stelle come una sorta di pentole a pressione: la forza esplosiva della fusione nucleare che avviene al loro interno crea una pressione verso l’esterno controbilanciata dalla forza di gravità, che attrae tutto verso l’interno.
Alla fine, però, la stella esaurirà il suo combustibile nucleare e inizierà a contrarsi. In alcuni casi, potrà riuscire a sostenersi in forma di nana bianca. Tuttavia, nel 1930 Subrahmanyan Chandrasekhar mostrò che il limite della massa di una nana bianca è pari a circa 1,4 volte quella del Sole; un limite massimo analogo, relativo a una stella costituita interamente da neutroni, venne calcolato dal fisico sovietico Lev Landau.
DS: Le nane bianche e le stelle di neutroni sono dei soli che hanno esaurito il proprio combustibile. Così, una volta prive di una forza in grado di sostenerle con una spinta verso l’esterno, nulla può più impedire alla loro attrazione gravitazionale di farle collassare, e finiscono per diventare oggetti tra i più densi dell’universo. Nella classifica delle stelle, però, le nane bianche e le stelle di neutroni sono ancora relativamente piccole, il che significa che non hanno una forza gravitazionale sufficiente a portare a compimento il processo di collasso. Per Stephen Hawking e altri scienziati, quindi, il caso più interessante riguarda ciò che avviene alle stelle più grandi al termine della loro esistenza.
Che cosa succede, quindi, alle innumerevoli stelle con una massa superiore a quella delle nane bianche o a quella delle stelle di neutroni una volta esaurito il loro combustibile nucleare? Il problema venne studiato da Robert Oppenheimer, diventato poi noto come padre della bomba atomica. In un paio di articoli pubblicati nel 1939 con George Volkoff e Hartland Snyder, Oppenheimer mostrò che una stella di questo tipo non troverebbe nessuna pressione diretta verso l’esterno in grado di sorreggerla; pertanto, una volta terminato il combustibile nucleare e con esso la pressione termica, una stella sferica, simmetrica e uniforme sarebbe destinata a contrarsi fino a ridursi a un singolo punto di densità infinita. Questo punto viene chiamato singolarità.
DS: Una singolarità è il risultato a cui si giunge quando una stella gigante si contrae in un punto incredibilmente piccolo. Questo concetto è stato uno dei temi centrali nella carriera di Stephen Hawking. Non si riferisce soltanto alla fine di una stella, ma anche a un’idea molto più fondamentale riguardante il punto d’inizio della formazione dell’intero universo. È stato grazie al suo lavoro matematico su questo problema che Hawking si è conquistato una fama globale.
Tutte le nostre teorie sullo spazio partono dal presupposto secondo cui lo spaziotempo è liscio e quasi piatto; di conseguenza, esse cessano di essere applicabili in corrispondenza della singolarità, dove la curvatura dello spaziotempo è infinita. Di fatto, la singolarità segna la fine del tempo stesso, ed è proprio questo ciò che Einstein trovava così spiacevole.
DS: Secondo la teoria della relatività generale di Einstein gli oggetti distorcono lo spaziotempo che li circonda. Immaginatevi una palla da bowling posta su un trampolino, che viene a cambiare la forma del materiale e fa sì che gli oggetti più piccoli si muovano nella sua direzione. Così si spiega l’effetto della gravità; tuttavia, se la curvatura nello spaziotempo si fa via via più profonda, fino a diventare infinita, le normali leggi dello spazio e del tempo non sono più applicabili.
A questo punto scoppiò la Seconda guerra mondiale. La maggior parte degli scienziati, incluso Oppenheimer, rivolse l’attenzione alla fisica nucleare e la questione del collasso gravitazionale venne perlopiù dimenticata. L’interesse per questo tema rinacque con la scoperta di alcuni oggetti remoti chiamati quasar.
DS: I quasar sono gli oggetti più luminosi dell’universo e, forse, i più lontani finora individuati. Il loro nome è l’abbreviazione di quas(i) (stell)ar (radio source), (sorgente radio) quasi stellare, e si ritiene che siano dischi di materia che ruotano vorticosamente attorno a buchi neri.
Il primo quasar, 3C273, venne scoperto nel 1963; negli anni seguenti ne furono individuati numerosi altri. Nonostante la loro straordinaria distanza, questi oggetti erano molto luminosi. I processi nucleari non erano in grado di giustificare tali livelli di emissione energetica, in quanto in essi solo una piccola parte della massa a riposo viene rilasciata sotto forma di pura energia. L’unica spiegazione alternativa era data dall’energia gravitazionale, rilasciata in seguito al collasso gravitazionale di un corpo celeste. I collassi gravitazionali delle stelle tornarono così a essere un tema della ricerca scientifica.
Era ormai chiaro che una stella sferica uniforme si sarebbe contratta in un punto di densità infinita, ossia una singolarità, alla quale non possono essere applicate le equazioni di Einstein. Ciò significa che, in corrispondenza di questo punto di densità infinita, è impossibile predire il futuro; e questo, a sua volta, implica ...