Il fuoco dal profondo
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Il fuoco dal profondo

  1. 320 pagine
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Il fuoco dal profondo

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Dopo anni di apprendistato tesi alla ricerca di una vita interiore capace di andare oltre i confini della percezione sensibile, tra l'antropologo Carlos Castaneda e lo sciamano yaqui don Juan si è ormai creato un solido rapporto maestro-discepolo. Entrato a far parte del seguito dello stregone, Castaneda viene introdotto a un'antichissima conoscenza - patrimonio dei veggenti e suddivisa in consapevolezza dell'essere, agguato e intento - il cui possesso permette di mettere a fuoco la mente con una forza e una chiarezza fuori dal comune. Sotto la guida di don Juan, Castaneda intraprende l'itinerario per diventare "guerriero della libertà totale", scoprendo come raggiungere la padronanza della propria mente e ampliare il proprio campo di percezione, fino a cogliere non solo il lato esteriore del mondo ma l'essenza stessa delle cose.

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858691878

1

I NUOVI VEGGENTI

Avevo trascorso la notte nella città di Oaxaca, nel Messico meridionale, diretto ai monti di Ixtlán in cerca di don Juan. Uscendo dalla città con la macchina, alle prime ore del mattino, ebbi la bella idea di passare dalla piazza principale e lì lo trovai, seduto sulla sua panchina preferita come se stesse aspettando che io passassi.
Fermai la macchina e mi unii a lui. Mi disse che si trovava in città per affari, che era alloggiato in una pensione del luogo e che sperava potessi fermarmi con lui poiché doveva restare in città per altri due giorni. Per un po’ parlammo delle mie attività e dei problemi del mondo accademico.
Come suo solito, all’improvviso mi diede una manata sulla spalla, quando meno me lo aspettavo, e il colpo mi fece entrare in uno stato di consapevolezza intensa.
Restammo seduti a lungo in silenzio. Io aspettavo con ansia che cominciasse a parlare e tuttavia, quando lo fece, mi prese alla sprovvista.
«Molto prima che gli spagnoli giungessero in Messico» disse «c’erano degli straordinari veggenti toltechi, uomini capaci di azioni incredibili. Erano l’ultimo anello di una catena di conoscenza lunga mille anni.
«Questi veggenti toltechi erano uomini straordinari; sciamani potenti, cupi e ossessionati, che sceveravano misteri e conoscevano segreti arcani che utilizzavano per influenzare o soggiogare chi cadeva in mano loro. Sapevano come immobilizzare l’attenzione delle proprie vittime e fissarla a proprio piacimento.»
Finì di parlare e mi guardò. Capii che si aspettava che gli facessi una domanda, ma non sapevo che cosa domandare.
«Devo sottolineare un fatto importante,» proseguì «il fatto che quegli sciamani sapessero come immobilizzare l’attenzione delle proprie vittime. Tu non vi hai dato importanza quando io l’ho menzionato, sei rimasto indifferente. Non c’è da meravigliarsi. Una delle cose più difficili da ammettere è che la consapevolezza possa essere manipolata.»
Mi sentii confuso. Sapevo che mi stava guidando verso qualcosa. Provavo un’apprensione familiare, lo stesso sentimento che mi assaliva ogni qualvolta don Juan cominciava un nuovo ciclo di lezioni.
Gli dissi come mi sentivo. Accennò un vago sorriso. Di solito, quando sorrideva, emanava felicità; stavolta era decisamente preoccupato. Per un attimo sembrò incerto se continuare a parlare o no. Di nuovo mi guardò con attenzione, facendo scorrere lo sguardo, con estrema lentezza, su tutto il corpo. Apparentemente soddisfatto, assentì col capo e disse che ero pronto a intraprendere la tappa finale; l’apprendistato che tutti i guerrieri devono superare per comprendere la via della conoscenza.
«Parleremo della consapevolezza» continuò. «I veggenti toltechi, infatti, furono i supremi maestri dell’arte della percezione. Quando dico che sapevano come immobilizzare l’attenzione delle proprie vittime, voglio dire che la loro conoscenza e le loro pratiche segrete li mettevano in grado di infrangere il mistero della percezione. Molte loro pratiche sono giunte fino ai giorni nostri, fortunatamente in forma modificata. Dico fortunatamente perché quelle attività, come avrò occasione di spiegarti, non portarono gli antichi veggenti toltechi alla libertà ma alla rovina.»
«Lei conosce quelle pratiche?» chiesi.
«Ma certamente» replicò. «Non v’è modo, per noi, di ignorare quelle tecniche, ma ciò non vuol dire che noi le usiamo. Noi abbiamo altre idee. Apparteniamo a un nuovo ciclo.»
«Ma lei non si considera uno stregone, vero, don Juan?» gli chiesi.
«No» disse. «Io sono un guerriero che vede. A dir la verità, tutti noi siamo i nuovi veggenti. Gli antichi veggenti erano stregoni.
«Per l’uomo comune,» proseguì «la stregoneria è un fattore negativo e tuttavia affascinante. Ecco perché, nel tuo stato di consapevolezza normale, ti ho sempre indotto a ritenerci stregoni. È saggio farlo. Serve ad attirare l’interesse. Ma, per noi, essere stregoni sarebbe come entrare in un vicolo cieco.»
Avrei voluto sapere cosa volesse dire con quelle parole, ma lui si rifiutò di parlare su quell’argomento. Disse che sarebbe tornato su quel tema con spiegazioni a mano a mano che sarebbe avanzato nell’analisi della percezione.
Gli chiesi dell’origine della conoscenza dei toltechi.
«I toltechi fecero il primo passo sulla via della conoscenza ingerendo piante di potere» rispose. «Le mangiarono spinti dalla curiosità o dalla fame o per sbaglio. Una volta che le piante ebbero prodotto il loro effetto, fu solo questione di tempo prima che alcuni di loro cominciassero ad analizzare le proprie esperienze. Secondo me, i primi che percorsero la via del sapere furono molto intrepidi ma anche molto sventati.»
«Queste sono tutte congetture da parte sua, don Juan?»
«No, non sono affatto mie congetture. Sono veggente, e quando mi concentro su quell’epoca so tutto ciò che accadde.»
«Lei può vedere i particolari delle cose del passato?» chiesi.
«Vedere è una sensazione particolare del sapere,» rispose «sapere qualcosa senza il minimo dubbio. In questo caso so quel che fecero quegli uomini non solo per la mia veggenza ma perché siamo tanto strettamente legati.»
Don Juan allora mi spiegò che il suo uso del termine “tolteco” non corrispondeva al mio. Per me significava una cultura, l’impero tolteco. Per lui, il lemma voleva dire “uomo di conoscenza”.
Disse che nell’epoca a cui si riferiva, secoli forse anche millenni prima della conquista spagnola, tutti quegli uomini di conoscenza vivevano all’interno di una vasta area geografica, a nord e a sud della valle del Messico, e si dedicavano a specifiche occupazioni: curare, fare incantesimi, raccontar storie, danzare, formulare oracoli, preparare cibi e bevande. Tali occupazioni favorivano una conoscenza particolare, una conoscenza che li differenziava dagli uomini comuni. D’altro canto, questi toltechi erano persone che si inserivano nella struttura della vita quotidiana proprio come nella nostra epoca fanno i medici, gli artisti, gli insegnanti, i sacerdoti e i commercianti. Esercitavano le loro professioni sotto il rigoroso controllo di confraternite organizzate e giunsero a essere così saggi e influenti da dominare quasi certamente anche le zone limitrofe.
Don Juan disse che, dopo aver usato per secoli le piante di potere, alcuni di questi uomini appresero finalmente a vedere. I più intraprendenti cominciarono allora a insegnare a vedere. E questo fu l’inizio della loro perdizione. Con il passar del tempo aumentò il numero dei veggenti e l’ossessione di vedere giunse a tal punto d’intensità che essi smisero di essere uomini di conoscenza. Divennero esperti in veggenza e nell’esercitare controllo sui mondi strani di cui erano testimoni, ma tutto inutilmente. Vedere aveva sminuito il loro potere, forzandoli nell’ossessione per quel che vedevano.
«Tuttavia ci furono veggenti che sfuggirono a quel destino,» proseguì don Juan «grandi uomini che, nonostante vedessero, non smisero mai di essere uomini di conoscenza. Sono convinto che, sotto la loro direzione, le popolazioni di intere città penetrarono nei mondi che vedevano e non tornarono mai più.
«Però i veggenti che potevano solo vedere furono un disastro e quando la loro terra fu invasa dai conquistatori si trovarono privi di difesa proprio come tutti gli altri.
«Questi conquistatori» continuò «si impadronirono del mondo tolteco, si impossessarono di tutto, ma non impararono mai a vedere
«Perché crede che non abbiano mai imparato a vedere?» domandai.
«Perché copiarono i metodi dei veggenti toltechi senza avere quella conoscenza interiore che vi si accompagnava. Ancora oggi c’è in tutto il Messico una quantità di stregoni, discendenti dei conquistatori, che continuano a imitare i toltechi ma senza sapere quel che fanno o quel che dicono, perché non sono veggenti.»
«Chi furono questi conquistatori, don Juan?»
«Altri indios» disse. «Quando giunsero gli spagnoli, gli antichi veggenti erano spariti da secoli. Quelli che gli spagnoli incontrarono appartenevano a una nuova stirpe di veggenti che cominciavano ad assicurarsi una loro posizione del nuovo ciclo.»
«Che cos’è una nuova stirpe di veggenti?»
«Dopo la distruzione del mondo dei primi toltechi, i veggenti sopravvissuti andarono in reclusione iniziando un’attenta analisi dei propri metodi. Per prima cosa stabilirono che l’agguato, il sogno e l’intento erano i procedimenti-chiave e quindi interruppero l’uso delle piante di potere; forse questo ci dà una certa idea di quale effetto ebbero realmente su di loro le piante di potere.
«Il nuovo ciclo stava appena cominciando a consolidarsi quando i conquistatori spagnoli distrussero tutti. Per fortuna i nuovi veggenti erano perfettamente preparati a far fronte al pericolo. Erano già esperti praticanti dell’arte dell’agguato
Don Juan disse che i secoli successivi al soggiogamento fornirono ai nuovi veggenti le circostanze ideali per perfezionare le proprie abilità. Per strano che possa sembrare, fu proprio l’estremo rigore e la coercizione di questo periodo a dar loro l’impulso per affinare i loro nuovi princìpi. E poiché non divulgavano mai le loro attività, rimasero liberi di esplorare e tracciare il corso delle proprie azioni.
«C’erano molti veggenti durante la Conquista?» chiesi.
«All’inizio ce ne erano molti. Nell’epoca coloniale solo un numero esiguo. Il resto era stato sterminato.»
«Qual è la situazione ai giorni nostri?»
«Ce n’è qualcuno. Come comprenderai, sono sparsi qua e là.»
«Lei, don Juan, li conosce?»
«Una domanda così facile è la più difficile a cui rispondere» replicò. «Ce ne sono alcuni che noi conosciamo molto bene. Però non sono esattamente come noi perché si sono concentrati su altri aspetti specifici della conoscenza, come danzare, curare, fare incantesimi, parlare, invece di quel che raccomandano i nuovi veggenti: l’agguato, il sogno, l’intento. Quelli che sono esattamente come noi non attraverseranno la nostra strada. Decisero così i veggenti vissuti durante la colonizzazione spagnola per evitare di essere sterminati dai conquistatori. Ognuno di quei veggenti diede inizio a una stirpe. Non tutti ebbero discendenti, di modo che ne restano molto pochi.»
«Lei non ne conosce qualcuno che sia esattamente come noi?»
«Qualcuno» rispose laconicamente.
Gli chiesi allora di darmi tutte le informazioni possibili poiché l’argomento per me rivestiva un interesse esistenziale; era di cruciale importanza conoscere nomi e indirizzi per convalidare e corroborare quanto mi andava dicendo.
Don Juan non sembrava propenso ad accontentarmi.
«I nuovi veggenti superarono tutte quelle prove» disse. «La metà, corroborando ci rimise la pelle. Tanto che ora son passeri solitari. Lasciamola così. Tutto quello di cui possiamo parlare è la nostra schiatta. Sull’argomento, tu e io possiamo dire quanto vogliamo.»
Mi spiegò che tutte le stirpi di veggenti furono iniziate nel medesimo modo e momento. Verso la fine del sedicesimo secolo ogni nagual si isolò deliberatamente con il proprio seguito di veggenti, in modo da non avere alcun aperto contatto con altri veggenti. La conseguenza di questa drastica segregazione fu la formazione di stirpi individuali. La nostra consisteva di quattordici nagual e centoventisei veggenti, disse. Alcuni di questi nagual avevano un seguito di sette veggenti, altri di undici e altri perfino di quindici.
Mi disse che il suo maestro o – come lo chiamava lui – il suo benefattore, era il nagual Julián, e prima di Julián era stato il nagual Elías. Gli chiesi se sapesse i nomi di tutti i quattordici nagual. Me li nominò ed enumerò perché sapessi chi erano. Disse anche di aver conosciuto personalmente i quindici veggenti che costituivano il gruppo del suo benefattore; disse inoltre di aver conosciuto il maestro del suo benefattore, il nagual Elías, e gli undici veggenti del suo gruppo.
Don Juan mi assicurò che la nostra stirpe era abbastanza eccezionale, poiché aveva subito un drastico cambiamento nel 1723. Un’influenza esterna ci aveva colpito, alterando in modo inesorabile il corso della nostra vita. Al momento egli non desiderava parlare dell’evento in sé, però disse che, a partire da quell’istante, la nostra stirpe aveva segnato un nuovo inizio e che egli considerava gli otto nagual che avevano governato da allora in poi intrinsecamente differenti dai sei che li avevano preceduti.
Don Juan dovette avere molti impegni il giorno seguente poiché non lo vidi fino a quasi mezzogiorno. Nel frattempo erano giunti in città tre suoi apprendisti, Pablito, Néstor e la Gorda. Erano venuti ad acquistare attrezzi e materiali per la falegnameria di Pablito. Li accompagnai aiutandoli a completare tutti gli acquisti. Poi tornammo insieme alla pensione.
Eravamo tutti e quattro seduti a chiacchierare quando entrò in camera mia don Juan. Ci disse che saremmo partiti dopo pranzo ma che aveva qualcosa da discutere subito con me in privato. Mi propose di andare a fare una passeggiata nella piazza principale prima di tornare a incontrarci con gli altri al ristorante.
Pablito e Néstor si alzarono e uscirono dicendo di avere ancora delle commissioni da fare. La Gorda sembrava molto dispiaciuta.
«Di che dovete parlare?» sbottò, ma presto si accorse dell’errore e ridacchiò nervosamente…
Don Juan le dette una strana occhiata ma non disse nulla.
Incoraggiata dal suo silenzio, la Gorda ci propose di portarla con noi. Ci promise che non ci avrebbe dato il minimo fastidio.
«Sono sicuro che non ci daresti alcun fastidio,» le disse don Juan «però davvero non voglio che tu senta niente di quanto devo dirgli.»
La stizza della Gorda era più che ovvia. Arrossì. Mentre don Juan e io uscivamo dalla stanza, la guardai di sottecchi e notai che aveva la bocca aperta e le labbra riarse. Tutto il viso le si era rannuvolato per l’ansia e la tensione, deformandole in un attimo i lineamenti.
Il malumore della Gorda mi mise in grande disagio. A dire il vero, provavo un malessere fisico. Non dissi nulla, però don Juan parve rendersi conto di come mi sentivo.
«Dovresti ringraziare la Gorda giorno e notte» disse all’improvviso. «Ti sta aiutando a distruggere la tua importanza personale. È la piccola tiranna della tua vita, però ancora non te ne rendi conto.»
Passeggiammo su e giù per la piazza finché tutto il mio nervosismo non si fu dileguato. Poi tornammo a sederci sulla sua panchina preferita.
«Gli antichi veggenti furono davvero molto fortunati» cominciò don Juan «perché ebbero tantissimo tempo per apprendere cose incredibili. Devo dirti che essi conoscevano mirabilia che oggi non riusciamo neanche a immaginare.»
«Chi aveva insegnato loro tutto ciò?» chiesi.
«Appresero tutto da soli, erano veggenti, vedevano» rispose. «La maggior parte di quel che la nostra stirpe conosce si deve a loro. I nuovi veggenti corressero gli errori degli antichi veggenti, però la base di quello che sappiamo e facciamo si perde nel tempo dei toltechi.»
Mi spiegò che una delle più semplici ma al tempo stesso più importanti scoperte, dal punto di vista dell’istruzione, è che l’uomo ha due tipi di consapevolezza. Gli antichi veggenti li chiamavano lato destro e lato sinistro dell’uomo.
«Gli antichi veggenti si resero conto» proseguì «che la miglior maniera d’insegnare il proprio sapere consisteva nel far passare gli apprendisti sul lato sinistro in uno stato di consapevolezza intensa, poiché è lì che ha luogo il vero apprendistato.
«Agli antichi veggenti davano come apprendisti ragazzi molto giovani» continuò don Juan «perché così non conoscessero altro modo di vivere. A loro volta, quando questi ragazzi divenivano adulti, prendevano altri ragazzi come apprendisti. Immagina cosa devono aver scoperto in quei passa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. IL FUOCO DAL PROFONDO
  5. 1. I nuovi veggenti
  6. 2. I pinches tiranos
  7. 3. Le emanazioni dell’Aquila
  8. 4. Lo splendore dell’uovo luminoso
  9. 5. La prima attenzione
  10. 6. Gli esseri inorganici
  11. 7. Il punto di unione
  12. 8. La posizione del punto di unione
  13. 9. Il movimento verso il basso
  14. 10. Grandi fasce di emanazioni
  15. 11. Agguato, intento e posizione del sogno
  16. 12. Il nagual Julián
  17. 13. La spinta della terra
  18. 14. La forza rotante
  19. 15. Gli sfidanti della morte
  20. 16. La forma dell’uomo
  21. 17. Il viaggio del corpo del sogno
  22. 18. Infrangere la barriera della percezione
  23. Epilogo
  24. Sommario