Panama Papers
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Gli affari segreti del potere

  1. 306 pagine
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Gli affari segreti del potere

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"Salve. Qui John Doe. Le interessano informazioni? Vorrei condividerle." John Doe è il nome convenzionalmente utilizzato in inglese per riferirsi a persone di cui non può essere rivelata l'identità. Comincia così, con un messaggio sms, «la più grande fuga di notizie che qualsiasi giornalista abbia mai avuto per le mani». Una gola profonda, coraggiosa e anonima, consegna a Bastian Obermayer, giovane giornalista della "Süddeutsche Zeitung", una valanga di materiale che aumenta in maniera esponenziale, fino a superare i 2, 5 terabyte: è tutto sottratto ai server di uno studio legale panamense che fa capo a Jürgen Mossack – un tedesco emigrato a Panama, figlio di un ex SS diventato informatore della Cia – e a Ramón Fonseca, principale consigliere del presidente panamense Varela. Lo studio Mossack Fonseca è tra i maggiori provider di società offshore. Sulla carta opera nel rispetto di tutte le leggi e disposizioni in materia di trasparenza, ma è sufficiente un'occhiata alle pagine e pagine di documenti, e-mail, estratti conto che risalgono fino agli anni Settanta per rendersi conto che non è così. Dai dati emerge un carosello di società fantasma dietro le quali si nascondono uomini e donne in carne e ossa, amici e parenti di politici di grosso calibro, come il violoncellista amico fraterno di Putin e padrino di battesimo della figlia del leader russo o il cugino di Bashar al-Assad. Non mancano personaggi di primissimo piano dell'industria, della finanza, dello sport. E una rete di prestanome, di avvocati e agenzie di servizi finanziari pronti ad aiutare chi vuole mettere al sicuro il patrimonio dal fisco del proprio Paese o nascondere attività criminali. Dai documenti è nata la più grande inchiesta collettiva di sempre, un'avventura che attraverso l'ICIJ, il Consorzio Internazionale dei giornalisti investigativi, ha visto coinvolti circa quattrocento giornalisti di più di ottanta Paesi. Bastian Obermayer e Frederik Obermaier raccontano la nascita e l'evoluzione dell'intera vicenda: un intreccio degno di un maestro del giallo che avrebbe dell'incredibile se non fosse totalmente vero e costituisse una pagina fondamentale della nostra storia.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
ISBN
9788858684771
Argomento
Business

1

L’inizio

Il migliore amico del presidente russo. Uomini d’affari che collaborano con la presidentessa argentina e il suo defunto marito e presidente uscente. Un misterioso tedesco in possesso di 500 milioni di dollari.
Diciamocelo, per avviare un’inchiesta possono bastare premesse molto più scarne.
Pochi giorni dopo il primo contatto con la mia fonte, d’accordo con il caposervizio Hans Leyendecker, decidiamo che di questa storia si sarebbe occupato lo stesso team che aveva già lavorato a diverse inchieste simili, ovvero noi due, i «fratelli Obermay/ier», come ci chiamano in redazione da quando Kurt Kister, il caporedattore, ci ha soprannominati così nel corso di una conferenza stampa.
Per il resto, almeno all’inizio cerchiamo di ridurre al minimo le persone coinvolte. In fondo, chi può essere certo che i dati siano autentici? O che sia possibile verificarli? E se non ne venisse fuori alcuna storia interessante?
Il nostro piano prevede prima di tutto l’analisi accurata dei documenti, per poi valutare come e quando pubblicare i risultati. Decidiamo quindi di approfondire la questione dei traffici di Putin (dai dati in nostro possesso si evince che il nome del suo migliore amico è legato a tre società offshore), ci procuriamo del materiale relativo all’azione legale del fondo speculativo NML contro l’Argentina e continuiamo a fare ricerche sul misterioso ex manager della Siemens e sui suoi 500 milioni di dollari in oro. Ma concentrarsi solo su questi tre casi diventa sempre più difficile: la nostra attenzione è costantemente richiamata da nuove società e nuovi potenziali scoop.
Dalla notte del primo contatto con la nostra fonte, infatti, il materiale continua a crescere senza tregua, facendo saltar fuori nomi sui quali è impossibile non indagare oltre. Ministri sudamericani, nobili tedeschi, banchieri statunitensi.
In poco tempo abbiamo già a disposizione più di 50 gigabyte di dati, divisi su due chiavette usb: due migliaia di cartelle digitali. La maggior parte sono documenti emessi da Mossack Fonseca al momento della creazione di società di comodo: certificati, copie di passaporti, elenchi dei detentori di quote e dei gerenti, ricevute, e-mail. Un sistema di archiviazione molto chiaro e pratico, anche per noi.
Migliaia di società di facciata. Migliaia di uomini che sembrano avere un valido motivo per occultare i propri affari. Migliaia di potenziali scoop. L’unique selling point o, per così dire, la competenza fondamentale delle società offshore è la garanzia dell’anonimato. Un nome insignificante funge da scudo protettivo, dietro il quale nessuno può sapere chi si nasconda.
Naturalmente possono esserci molte ragioni per servirsi delle società offshore, e di per sé il fatto di possederne una non costituisce reato. Tutto dipende dall’uso che se ne fa. Ma un fatto resta: nella maggior parte dei casi si ricorre a una società offshore per nascondere qualcosa, che sia dal fisco, da un’ex moglie, da un ex partner in affari, oppure dalla curiosità morbosa della società. Questo qualcosa che si sente l’esigenza di occultare possono essere immobili, conti in banca, dipinti, investimenti, azioni, titoli di ogni sorta.
L’esperienza però ci insegna che spesso l’anonimato garantito dalle società fantasma viene sfruttato da chi fa affari che devono rimanere segreti. E quindi da trafficanti di armi, droga ed esseri umani e da altri criminali. Da investitori che non vogliono rendere nota la loro identità né le loro reali intenzioni. Da politici di alto rango che vogliono far uscire dallo Stato il proprio patrimonio, probabilmente perché è stato ottenuto attraverso canali illegali. Da società che se ne servono per elargire mazzette. E l’elenco potrebbe continuare.
E adesso noi abbiamo tra le mani dati riservati che potrebbero portare alla luce migliaia di casi simili, l’equivalente digitale di un enorme raccoglitore che nessun giornalista prima d’ora ha mai potuto sfogliare. Potremmo passarci intere settimane, esserne letteralmente sommersi. E non solo per la brama di notizie da prima pagina, ma anche perché nessun dettaglio ci sembra irrilevante. A ogni società che analizziamo, a ogni scambio di e-mail che leggiamo, abbiamo l’impressione di capire meglio il funzionamento di Mossack Fonseca. La tentazione di scandagliare ogni aspetto di questi traffici segreti, di conoscere ogni ingranaggio dell’occultamento, dall’avvio all’apertura dei conti fino allo scioglimento, è fortissima. Diventa quasi una dipendenza, e se non avessimo entrambi una famiglia passeremmo tutte le sere davanti al computer, aprendo un documento dopo l’altro.
Nel giro di un paio di settimane abbiamo capito qual è il generico modus operandi della società. Va più o meno sempre così: normalmente il contatto con Mossfon, abbreviazione di Mossack Fonseca, avviene attraverso un intermediario, cioè una banca, uno studio legale o una società di gestione patrimoniale. Sono questi ultimi i «clienti» veri e propri di Mossack Fonseca, quelli che ordinano la merce, gestiscono i contatti e pagano i conti. La «merce» consiste perlopiù in società offshore. Mossfon offre società in circa venti diverse giurisdizioni, nella maggior parte dei casi nelle Isole Vergini britanniche o a Panamá, ma anche alle Bahamas, alle Bermuda, sulle isole Samoa, in Uruguay o a Hong Kong, nei paradisi fiscali americani del Nevada, Wyoming e Delaware e, da qualche tempo, anche in Florida e nei Paesi Bassi. L’ultima novità in catalogo è l’emirato arabo Ras al-Khaima. La vendita delle società avviene in uno dei quasi cinquanta uffici sparsi in tutto il mondo, oppure nel quartier generale nella città di Panamá, che occupa gli ultimi piani di un poco appariscente palazzo di vetro sul quale si riflette il simbolo della capitale panamense, la Revolution Tower.
Mossack Fonseca non è l’unico offshore provider con sede a Panamá. Sebbene i numeri ufficiali siano un’autentica rarità in questo settore così discreto, sappiamo per esempio che ha sede a Panamá anche la società Morgan y Morgan, che si dà il caso essere il più grande concorrente di Mossfon.
Non è certo un caso che i maggiori fornitori di servizi finanziari offshore si affollino in questo minuscolo Stato del Sud America, incastrato tra Costa Rica e Colombia, proprio nel punto in cui il continente americano incontra quello latino-americano.
Panamá è sempre stato un Paese problematico. Dopo essere stato per lungo tempo una provincia povera della Colombia, nel 1903 raggiunse l’indipendenza economica grazie all’intervento di banchieri e industriali statunitensi che convinsero Theodore Roosevelt, l’allora presidente americano, a sostenere i separatisti panamensi. Le lobby statunitensi speravano infatti di poter partecipare alla costruzione del canale di Panamá. Roosevelt inviò delle truppe e occupò parti dello Stato, fresco di indipendenza, chiarendo in questo modo alla Colombia che poteva dire definitivamente addio alla sua provincia. Era nata così una nazione a beneficio degli Stati Uniti e nell’area del canale, dove ci si preparava alla grande impresa, sventolava la bandiera a stelle e strisce. La presenza di migliaia di soldati americani assicurava l’esercizio del diritto di sovranità che il governo panamense aveva concesso agli Stati Uniti nel 1903, e che gli fu restituito soltanto nel 1999.
Il presupposto che rende possibile il lucroso affare delle società fantasma è una legge entrata in vigore il 26 febbraio 1927. La legge 32 garantisce infatti la segretezza in questioni relative a patrimoni, trasferimenti di denaro e soprattutto all’identità dei titolari di società. Prevede inoltre l’esenzione fiscale per le cosiddette «sociedades anónimas». L’espressione suona più misteriosa del dovuto, dal momento che una «società anonima» altro non è che una società per azioni. Negli anni la garanzia di riservatezza è rimasta sostanzialmente invariata, se si escludono alcune riforme di facciata approvate nel tentativo di non comparire nella lista nera dei Paesi che favoriscono il riciclaggio e l’evasione fiscale. Dunque le condizioni favorevoli ai servizi finanziari offshore sono rimaste pressoché immutate, con il beneplacito dello Stato che ottiene il proprio tornaconto dalle imposte su industria e commercio versate dalle società, dalle imposte sui redditi degli impiegati e dalla tassa di concessione governativa.
Questo affare peraltro deve il suo successo al fatto che, oltre a essere remunerativo, è anche estremamente semplice. Ai venditori una società di facciata non costa quasi nulla, e le formalità vengono sbrigate in tempi brevissimi. Il compratore ottiene in un batter d’occhio la sua società, paga soltanto un paio di centinaia di dollari e può liberarsene in fretta una volta che questa abbia esaurito la sua utilità. In più, nessuno verrà mai a sapere a chi è appartenuta. L’ideale per i traffici illeciti.
E anche per la Siemens, mettiamolo subito in chiaro. Mentre approfondiamo il caso di Putin, infatti, ci mettiamo sulle tracce di Hans-Joachim K., il tedesco con l’insolito patrimonio di 500 milioni di dollari su un conto corrente alle Bahamas.
All’inizio, non avendo ancora a disposizione il programma giusto per effettuare una ricerca sistematica nei 50 gigabyte complessivi di dati, indaghiamo su altri documenti. Troviamo il nome di K. nel testo di una querela contro un ex consiglio di amministrazione della Siemens. Nel testo si legge che K. ha gestito per molti anni i fondi neri della Siemens, ovvero il denaro prelevato clandestinamente dai canali ufficiali dell’azienda per poterne disporre all’occorrenza in modo rapido e senza troppe complicazioni. Per esempio, per poter pagare i cosiddetti «consulenti». Hans-Joachim K. fa anche il nome di Casa Grande, una delle società legate ai fondi neri. In una trascrizione dell’interrogatorio troviamo il nome completo: Casa Grande Development. Con lo stesso nome la società compare anche nella banca dati pubblica che raccoglie tutte le società di Panamá. Come fornitore di servizi abilitato, ovvero come amministratore, è indicata proprio Mossack Fonseca. Nella banca dati pubblica, però, non c’è alcun riferimento alla Siemens o al nostro K.
Tre donne, Francis Perez, Diva de Donada e Leticia Montoya figurano come titolari.1 Le società offshore funzionano così: i provider come Mossack Fonseca si preoccupano di creare uno strato protettivo per nascondere l’identità del titolare effettivo.
Ciò significa che in questo caso Mossack Fonseca ha fornito delle intestatarie che in realtà lo sono solo sulla carta, tre titolari fiduciarie. Francis Perez, Diva de Donada e Leticia Montoya sono delle prestanome. Il loro lavoro consiste fondamentalmente nell’apporre la propria firma su documenti di vario genere: per esempio, quando il titolare effettivo vuole aprire un conto a nome della propria società di facciata (come nel caso di Casa Grande Development per la Siemens) oppure quando vuole fare un acquisto a nome della società, come un appartamento, una villa, uno yacht. Ma può anche essere loro richiesto di firmare contratti, mutui del valore di milioni di dollari o altri documenti.
Ciò vuol dire che queste tre finte responsabili, in gergo tecnico definite intestatarie o amministratrici di diritto, compaiono come rappresentanti ufficiali della società, e che dunque il reale proprietario può starsene tranquillo e al sicuro, nascosto dietro questa facciata.2
Quest’ultimo (o, se particolarmente attento, il suo avvocato) riceve poi una delega da parte dei titolari fiduciari che gli dà accesso al conto o alla cassetta di sicurezza. Gli unici a conoscenza dell’esistenza di questa delega sono i prestanome, la banca e Mossack Fonseca. Un accordo segreto, dunque, ma del tutto legale, che permette alla società di rimanere al riparo dai controlli di procuratori troppo zelanti, del fisco e dell’antifrode.
In un file di Excel troviamo il codice della cartella che dovrebbe contenere la documentazione relativa a Casa Grande Development. Scopriamo inoltre di avere quella cartella tra i dati a nostra disposizione. È un caso fortunato, dal momento che nel foglio Excel sono registrate più di duecentomila società, attive e non, di Mossack Fonseca, ma a questo punto dell’inchiesta abbiamo a disposizione soltanto i documenti relativi a qualche migliaio di società.
Nella cartella in questione troviamo una delega a favore di un ex dipendente della Siemens, collega di Hans-Joachim K. L’ex collega è indicato come titolare effettivo della società. Ma quando Casa Grande Development distribuisce il denaro prelevato dai fondi neri, quando firma contratti e fa affari, non vengono fuori né il nome dell’ex collega né quello di K. Né quello della Siemens. Le prestanome hanno apposto la loro firma e dall’esterno è impossibile determinare la vera identità del beneficiario. La società costituiva lo strumento ideale per gestire gli affari sudamericani della Siemens in modo anonimo e aggirando leggi e burocrazia.
E anche se qualcuno avesse scoperto l’identità del detentore delle quote azionarie di Casa Grande Development, sarebbe stato impossibile collegare questa società alla Siemens. Sin dall’inizio, infatti, erano state emesse unicamente bearer shares, azioni al portatore, ovvero titoli non nominativi. Funziona così: chi ha materialmente in mano le azioni di una società ne è il proprietario. Un invito a nozze per ogni tipo di traffico che deve svolgersi senza lasciare alcuna traccia. Denaro sul tavolo, trasferimento di azioni al portatore: transazione completata. La società ha un nuovo proprietario.
Chi ha particolare bisogno di anonimato può chiedere a Mossack Fonseca, oltre all’intestatario, anche un beneficial owner, un azionista fiduciario, cioè una persona giuridica (oppure una società fantasma) che opera come amministratore delle azioni. Ovvero, se anche Mossack Fonseca, per esempio nel corso di un’indagine, fosse costretta a fare il nome degli azionisti di una società, non è detto che quello del titolare effettivo compaia nella lista. Questo implica una doppia protezione per il cliente.
Nel frattempo la società si trasforma in una massa impenetrabile: impossibile dimostrare che appartenga a una data persona fisica. Non possono riuscirci il fisco, la polizia, eventuali creditori o ex partner in affari, e neppure mogli e figli. Vista dall’esterno, la società è una black box, una scatola nera.
Ma non dall’interno. All’interno, nelle cartelle che analizziamo giorno dopo giorno (e, sempre più spesso, sera dopo sera), ci sono migliaia di scambi di e-mail tra impiegati di Mossack Fonseca. Questi messaggi costituiscono la nostra vera miniera d’oro: è leggendoli che riusciamo a scovare l’indizio decisivo che ci conduce al vero titolare.
Purtroppo ciò non vale per il caso di Hans-Joachim K. Ancora non sappiamo se e come abbia ottenuto i 500 milioni di dollari. Per ora sappiamo solo che ha lasciato la Siemens al più tardi nel 2009.
Il caso però continua a ossessionarci, e a ogni nuovo invio di dati cerchiamo prima di tutto le società fantasma della Siemens e il nome di K. Dobbiamo assolutamente risolvere l’enigma.

2

I misteriosi amici di Vladimir Putin

Sono in gioco somme da capogiro: questa è la prima nonché unica certezza che si impone fin dall’inizio, mentre cerchiamo di raccapezzarci tra le cartelle relative alle tre società offshore nelle quali figura il nome di Sergej Roldugin. Ciascuna cartella contiene centinaia di documenti, molti dei quali sono contratti azionari lunghi pagine e pagine. Occorreranno intere settimane per capirci qualcosa. Le cifre, però, parlano chiaro anche senza un contesto: i numeri sono esorbitanti. Un prestito per 2 milioni di dollari, un secondo per vari miliardi di rubli, «consulenze» a sei zeri versate da società fantasma ad altre società fantasma, pacchetti azionari del valore di milioni che passano di mano per ben due volte nel giro di ventiquattro ore.
Nei contratti che formalizzano quelle transazioni vengono acquistate e cedute, tra le altre cose, quote azionarie di grandi e importanti imprese russe. Potrebbe essere un caso che i nomi siano proprio quelli. Oppure no. Gli esperti di politica russa non allineati alle posizioni del governo tendono a concordare almeno su un punto: quando Putin uscirà di scena, lo farà da multimiliardario. Se mai uscirà di scena.
Dove si trovano, però, quei miliardi? Vari analisti sono convinti che Putin si faccia intestare delle quote azionarie di grandi società, tra cui quelle citate nei documenti che abbiamo di fronte.
Ma se davvero Putin fosse il proprietario di quelle azioni, vorrebbe mai che si sapesse? Le farebbe emettere a proprio nome? Certo che no. Le farebbe intestare a intermediari fidati.
Come Sergej Roldugin, per esempio?
L’amicizia tra i due non è un mistero per nessuno, anche pe...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione all’edizione italiana
  4. Prologo
  5. 1. L’inizio
  6. 2. I misteriosi amici di Vladimir Putin
  7. 3. Ombre del passato
  8. 4. Le bugie di Commerzbank
  9. 5. La guerra in Siria e il contributo
  10. 6. Dalle Waffen-SS alla CIA a Panamá
  11. 7. La pista verso Nyon
  12. 8. La pesca fortunata e l’opera d’arte
  13. 9. La Casa Bianca alle spalle
  14. 10. Sprizzano scintille
  15. 11. Paura e paure
  16. 12. I milioni della Siemens
  17. 13. Coadiutori e complici
  18. 14. Vertice segreto con vista sulle Alpi
  19. 15. Gli avvocati del male
  20. 16. Spirit of Panama
  21. 17. Quando il mondo non è ancora abbastanza
  22. 18. La macchina dello sfruttamento
  23. 19. Incontri segreti nel Komitèrom
  24. 20. Tra le grinfie dei mostri
  25. 21. L’aquila rossa
  26. 22. La principessa del gas e il re del cioccolato
  27. 23. Le tue banche, Germania!
  28. 24. La razzia dei vichinghi della finanza
  29. 25. Piste che si perdono nel nulla
  30. 26. Matrimoni e patrimoni
  31. 27. Star e Mega Star
  32. 28. Il quarto uomo e la FIFA
  33. 29. Il 99 per cento e il futuro dei paradisi fiscali
  34. 30. Il cuore freddo del mondo offshore
  35. Epilogo
  36. Ringraziamenti
  37. Glossario
  38. Note
  39. Indice