Non ci avrete mai
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Lettera aperta di una musulmana italiana ai terroristi

  1. 182 pagine
  2. Italian
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Lettera aperta di una musulmana italiana ai terroristi

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Da Parigi a Bruxelles, i terroristi, inneggiando ad Allah, hanno seminato morte e paura negli ultimi mesi. Ma qual è la reazione dei tanti musulmani che vivono oggi in Europa? A risponderci in questo libro è la voce, fermissima e dolce, di Chaimaa Fatihi, una ragazza di 23 anni, nata in Marocco e cresciuta in provincia di Mantova, studentessa di Legge. Cittadina italiana di seconda generazione, musulmana, fiera di essere parte integrante della nostra società nonostante abbia spesso dovuto fare i conti con i pregiudizi contro la religione islamica. La stessa ragazza che, all'indomani della strage al Bataclan, ha scritto una lettera aperta ai terroristi che è stata ripresa in prima pagina da «la Repubblica» e poi da diverse altre testate. Ebbene, verso i terroristi, i musulmani come Chaimaa provano orrore e si sentono in prima linea per combatterli, unendosi in un formidabile esercito di coraggio e non violenza. Chi uccide non è un vero fedele dell'Islam – una religione basata sui valori della pace e della gentilezza –, ma un efferato criminale. Leggendo la storia di Chaimaa, scopriamo come abbia raggiunto l'obiettivo dell'integrazione senza rinnegare la propria cultura d'origine e, allo stesso tempo, capiamo quanto in comune ci sia fra lei e una sua coetanea di famiglia da sempre italiana. Se poi ci soffermiamo sugli spunti di riflessione che Chaimaa ci offre – dal ruolo della donna all'importanza della spiritualità, alla nostalgia per il Paese d'origine – ci appare chiaro che l'alleanza con i musulmani europei di seconda e terza generazione può diventare un'arma vincente contro il terrorismo. E che la tolleranza, il confronto positivo fra culture, la capacità di convivere in pace nella diversità sono le basi incrollabili su cui costruire il nostro futuro.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
ISBN
9788858684610

1

I terroristi non c’entrano nulla con noi

Sono Chaimaa Fatihi, ho ventidue anni, sono italiana musulmana ed europea. Vi scrivo perché possiate comprendere che non ci avrete mai, che non farete dell’Islam ciò che non è, non farete dell’Europa un luogo di massacri e non avrà efficacia il vostro progetto di terrore.
Vi scrivo come musulmana per dirvi che la mia fede è l’Islam, una religione che predica pace, che insegna valori e principi fondamentali, come la gentilezza, l’educazione, la libertà e la giustizia. Voi siete ciò che l’Islam ha contrastato per secoli, voi siete nemici, voi siete coloro che spargono sangue di innocenti, di giovani, anziani, uomini e donne, bambini e neonati. Non ho paura dei vostri kalashnikov, dei vostri coltelli e delle vostre armi perché da musulmana vi rinnego, vi combatto con la parola, con l’informazione, con la voce di chi vive quotidianamente la propria fede, dando esempio dei suoi insegnamenti.
Vi scrivo anche da italiana musulmana, perché possiate capire che il mio Paese non sarà mai messo in ginocchio da una banda di criminali che cercano di terrorizzare e creare caos. Io non ho paura di voi, se malauguratamente doveste arrivare qui, sarò la prima a scendere in campo per salvare la mia patria, i miei concittadini e a dirvi che non avrete mai la nostra terra. Se qualcuno di voi sta cercando già di deviare la mente di qualche giovane, mio coetaneo, per commettere crimini contro l’umanità, sappiate che ce ne sono migliaia di altri che sono pronti a riprendersi quell’umanità che tenete in ostaggio, per ridarla al mondo intero. Non ci fermeranno mai i vostri messaggi intimidatori. Chi calpesta la nostra Costituzione, la nostra dignità umana, la nostra libertà non è altro che uno scellerato.
Vi scrivo anche da europea, ma questa volta il mio messaggio va a quegli Stati che vi finanziano, che vi danno armi con le quali poi uccidete e spargete sangue di vittime innocenti e create timori indegni. A te, assassino, che con sangue freddo hai reciso fiori, hai calpestato l’anima a uomini, donne, bambini e anziani, a te che scorrazzi qua e là alla ricerca di nuovi scenari in cui ripetere le tue malefatte, sappi che noi, giovani e meno giovani, faremo sì che i nostri Stati europei, prima o poi, la smettano di darti la benzina per carburare la tua macchina di ferocia e disumanità, perché noi non accettiamo in alcun modo che, per politiche estere indegne e vili, si mettano in pericolo le vite di cittadini, di esseri umani, che non hanno alcuna colpa. Vi faremo vedere quanto è potente, unita, grandiosa la cittadinanza europea, uomini e donne liberi. Siete alleati del demonio, non appartenete al mondo, siete esseri vigliacchi e non avrete mai nulla da noi.
Un ultimo messaggio vorrei che vi rimanesse chiaro: non vi daremo mai la soddisfazione di chiamarvi Stato, neppure islamico, perché io da musulmana difenderò in prima persona i miei amici e concittadini non musulmani e il mio bel Paese, che non cadrà nelle vostre grinfie, MAI!
Parigi, 13 novembre 2015. Sui social network, le immagini del profilo di milioni di persone cambiano colore nell’arco di pochissime ore. Potrebbero coprirsi di rosso, come il sangue che per ore e ore è stato versato quella notte. Invece no. Le foto dei profili della gente del mondo si coprono dei colori della bandiera francese.
Quella notte, a Parigi, molte strade, e non solo, si sono coperte di sangue. La vittoria dà conferme, la sconfitta insegna, ha scritto qualcuno. Quella di Parigi per noi rappresentava una sconfitta. Dovevamo imparare. Imparare, altra parola che per me conta molto, insieme a libertà.
Ho imparato abbastanza anche da questo gesto che ho scelto di fare, questo della lettera. Non è stato difficile scriverla: un’infinita e irrefrenabile quantità di emozioni ha travolto il mio cuore e la mia mente. Ricordo quegli attimi di confusione, un senso di annebbiamento di quelli che fanno pensare di essere prossimi alla fine. Dopo c’è stata la volontà di comprendere meglio le dinamiche di quel terribile evento.
I social erano colmi di notizie, immagini e post riguardanti quanto era accaduto quella notte. Così si è visto proliferare un insieme di figure nuove: opinionisti, intellettuali, studiosi di Islam improvvisati, ma anche “politici last minute”.
Non sono mancati, in quei pochi attimi dopo la strage, le urla e il grido degli slogan politici come “invasione islamica”. Oppure si è voluto in tutti i modi ricordare Oriana Fallaci e le sue teorie contro i musulmani in Europa. Io le ricordo bene, quelle sue pagine: le ho conservate, non solo nelle cartelle dove raccolgo gli articoli di giornale che hanno una rilevanza, ma anche dentro di me.
Quella sera, il 13 novembre, ero a Castiglione delle Stiviere per passare il fine settimana dai miei. Con loro, infatti, avrei trascorso anche i due giorni successivi.
Ero in camera e mio padre mi chiamò in salotto, dove la TV era accesa. Insieme ai miei ascoltammo tutto, pietrificati. Non dicevamo una sola parola.
Dopo un po’ il mio cellulare cominciò a surriscaldarsi, ad andare in tilt... «Chaimaa hai visto?», «Chaimaa stai seguendo?», «Chaimaa, ci sei?».
Io provavo a rispondere, e avevo gli occhi che mi bruciavano e si riempivano di lacrime.
Mi bruciavano per il dolore legato a quanto stava succedendo, per le persone che erano morte, le famiglie, le madri, i padri, i ragazzi, i bambini, così come credo stessero bruciando gli occhi a migliaia di persone incollate davanti agli schermi dei computer, dei tablet, dei cellulari o delle TV, in quella notte. Del resto, non era la prima notte e non sarebbe stata l’ultima. Questa brutta sensazione la proviamo spesso, da qualche anno a questa parte, per via dei massacri disumani che continuano a segnare la storia attuale di alcuni Paesi.
Ma poi, quella sera, come altre volte, un dolore diverso scaturiva da quegli eventi e sapevo che da quel momento in poi non sarebbe più scomparso. Era lo stesso provato tanti anni prima, l’11 settembre, nonostante fossi ancora una bambina. Anche in quell’occasione sappiamo che ci fu un gran numero di morti: di padri, di madri, di ragazzi.
Ma poi, anche lì, ci fu quella cosa dopo, che riguarda noi. Noi, diventati cittadini italiani o di altri Paesi da due generazioni, e adesso c’è persino una terza generazione che inizia a crescere. Noi che siamo appassionati della parola “libertà” e della parola “imparare”, e di tante altre parole che veramente non hanno niente a che fare con il tingere le strade, o i palazzi, o i cieli, di rosso. Noi di religione musulmana che chiameremo “disumani” gli artefici di quel rosso, in tantissimi post e tweet e commenti social, che poi magari verranno subito cancellati. Disumani. Io continuo a chiamarli così.
Il mio dolore, la mia paura, da quel momento in poi, erano per tutto quello che sarebbe toccato anche a noi, a noi che siamo nati nei Paesi di quegli stessi attentatori, a noi che siamo della stessa fede di cui dicono di essere loro, anche se non è vero, perché loro una fede non ce l’hanno. Non hanno alcuna fede i disumani, di questo sono certa. Il loro pane quotidiano è la paura che ci fanno.
E da quella nostra paura è nata la rabbia, una di quelle rabbie benigne che ti fanno agire, non quelle rabbie maligne che ti fanno solo covare odio. Quelle sì che fanno male. Quella rabbia ha fatto scattare in me la voglia di non mollare, di non darla vinta al terrore, di non bloccarmi in una rassegnazione perpetua.
Le stesse sensazioni le sto provando ora, proprio nelle ultime ore di revisione prima di consegnare il libro alla stampa: la ferocia criminale del terrorismo colpisce ancora. Qualche giorno fa ad Ankara, Istanbul, poi in Mali. Infine a Bruxelles, dove due esplosioni hanno nuovamente causato morti e feriti.
La sera del 23 marzo 2016 il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, insieme ad altri sindaci dei comuni della provincia, ha indetto un presidio in memoria delle vittime degli attentati di Bruxelles. Mi ha colpito molto il discorso che ha tenuto, proprio di fronte al Sacrario della Ghirlandina, simbolo della resistenza contro il fascismo. Inizialmente ha citato anche gli atti terroristici in Turchia, Mali e Siria, perché solo tenendo presente queste tragedie si può comprendere come l’obiettivo principale dei vili disumani sia il genere umano. Con le sue parole ha ricordato che le religioni sono religioni di pace e non di guerra. Ci ha invitato a essere uniti, a dialogare e a non dividerci perché sarebbe un’ulteriore sconfitta. Ha parlato dell’importanza del dialogo e della convivenza civile che devono continuare con i musulmani italiani anche e soprattutto di seconda e terza generazione.
Lo stesso 23 marzo nella mia facoltà, invece, il professor Vincenzo Pacillo ha organizzato un momento di riflessione e preghiera interconfessionale per le vittime di Tarragona, per le vittime del terrorismo, per Laura Ferrari e per tutte le persone che soffrono a causa degli eventi di questi giorni. Laura Ferrari è una nostra collega di facoltà, rimasta ferita gravemente a Tarragona, dove sono morte tante altre studentesse Erasmus. Il professore ha ricordato che la laicità della nostra università non vieta momenti di raccoglimento, insieme, uniti. Abbiamo letto alcune preghiere: cattoliche, musulmane, ebraiche, buddhiste e induiste. È stato un momento toccante, di grande valore, nel quale ci siamo sentiti più vicini, più umani.

2

Li condanno in quanto umana

È stato tutto un déjà-vu. Da quel lontano 11 settembre 2001 a oggi, a ogni attacco terroristico si sono susseguiti momenti di gogna mediatica, campagne politiche, tesi di pseudo-esperti in materia, richieste incessanti, fatte soprattutto a noi musulmani, di condannare. Questo era il nostro dovere: condannare e far sentire le nostre condanne.
È indispensabile essere uniti nel ripudio assoluto del jihadismo e del terrorismo islamico contemporanei, chiedendo a tutti, musulmani inclusi, di far propria una incondizionata e radicale riprovazione.
Questo, più o meno, era il monito che ci veniva da tante parti.
Ma questa richiesta di mostrare “riprovazione” e di dissociarsi da “loro” è assurda e priva di ogni senso. Non sento in Italia nessuno che chieda agli italiani di condannare i delitti di mafia, ad esempio. Oppure, un caso di femminicidio implica forse che tutti gli esseri di sesso maschile vengano guardati con sospetto?
È ovvio che questo accada. È scontato che gli italiani, di qualsiasi fede e stato sociale, condannino i delitti di chicchessia, nessuno si permetterebbe di chiederglielo.
Invece per noi musulmani è diverso: a noi viene chiesto.
Io non mi dissocio dagli atti di Parigi in quanto musulmana, io condanno gli atti di Parigi in quanto umana.
L’ho scritto e lo riscrivo, se serve.
Ma perché ci chiedono di condannare? Se dovessimo sentirci associati a ogni criminale che abbia una caratteristica qualsiasi in comune con noi, allora vorrebbe dire che vivremmo in un mondo pieno solo di diffidenza, sospetto, sfiducia.
Nei giorni successivi agli attentati di Parigi, alcuni pretendevano che «la parte moderata dell’Islam scendesse nelle piazze a ribadire la sua ferma posizione contro i terroristi».
Non ha senso che ci chiedano di essere moderati perché noi musulmani siamo i primi nemici dei terroristi.
Non è forse la mia smisurata voglia di dire ai terroristi: «NON CI AVRETE MAI» che mi ha spinto a scrivere quella lettera? E non solo come musulmana, ma anche come italiana ed europea.
La mia, la nostra battaglia deve essere culturale, non religiosa. Nessuna religione può desiderare la morte degli altri, tanto meno l’Islam. Come ha detto Ezio Bosso, il pianista che ha commosso tutti durante l’ultimo Festival di Sanremo, a proposito della religione: «Nasce come un aiuto a vivere. Non è bellissimo?». Ecco, l’Islam, come tutte le altre religioni, non deve far paura. Non ha senso che ci chiedano di essere moderati.
C’è un modo soltanto per sconfiggere i terroristi, e non è certo chiedere a chi è già moderato di esserlo ancora di più.
L’unica strada è comprendere e unirsi.
Perciò, più che richiamare noi musulmani alla condanna di quei gesti – in Libano, in Siria, in Iran, in Afghanistan, in Pakistan e in molti altri luoghi ancora sono proprio i musulmani le prime vittime degli attentati terroristici – con la mia lettera volevo delegittimare i terroristi che uccidono in nome di Allah. Perché l’Islam non è una religione che semina o giustifica tale orrore. Il Corano infatti vieta il crimine, l’ingiustizia, il terrore. Un professore di Italiano, che insegna in Giappone, mi ha scritto che avrebbe letto la mia lettera agli allievi, perché riteneva importante far conoscere la mia urgenza, che è quella di tantissimi di noi, di mostrare dissenso e sdegno verso coloro che io chiamo “disumani”, e che probabilmente pure loro considerano tali. È stata letta anche in un liceo italiano in Turchia, luogo di altri attentati terroristici. Le parole aiutano a capire e a sentirsi uniti.
La pratica islamica, come ci disse Muhammad il Profeta*pbsdl –, è un perfetto equilibrio tra i bisogni del corpo e quelli dell’anima.
È in nome di tutto questo che quel giorno ho scelto di scrivere la lettera.
 
* Colgo l’occasione qui per dire che lo chiamo così – e non Maometto come spesso si sente dire in Italia – perché questo è il suo nome. Trovo che sia una questione di rispetto utilizzarlo nella forma originale. Se usassi quella italianizzata, sarebbe come parlare di Gesù agli italiani chiamandolo “Isa”. Non vi suonerebbe quanto meno stravagante?

3

L’azzurro del Marocco

Dalle indagini e da quanto poi è emerso, ho compreso che gli autori di quel colore rosso sangue per le strade di Parigi sono miei coetanei, ossia poco più che ventenni, e che anche loro, come me, sono cittadini europei con origini differenti dalla loro cittadinanza.
Mi sono chiesta, dunque, come sia possibile che si siano spinti a compiere un tale gesto. Ho considerato così il fattore dell’integrazione, o meglio, interazione, come piace a me definirla. Un’altra parola bellissima: “interazione”, che viene da “interagire”.
Pensando a loro ho avuto dei flashback del mio passato e in quel mio passato, come suppongo anche nel loro, c’è un Paese d’origine che ho dovuto lasciare.
La prima cosa che mi viene in mente è un mare così azzurro e limpido che forse non ritroverò mai in Italia, per quanto certi mari italiani siano azzurrissimi e meravigliosi. Quello però è uno dei miei primi ricordi. L’odore di salsedine era forte, era aspro, bruciava le narici, faceva...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo
  4. 1. I terroristi non c’entrano nulla con noi
  5. 2. Li condanno in quanto umana
  6. 3. L’azzurro del Marocco
  7. 4. In pullman da Kenitra a Milano
  8. 5. Il primo giorno di scuola
  9. 6. Il velo e la mia libertà
  10. 7. Ma tu, chi sei veramente?
  11. 8. Crescere e capire
  12. 9. Condividere
  13. 10. Dovrebbe togliersi il velo
  14. 11. A proposito di donne
  15. 12. Aisha e le altre
  16. 13. Percorsi
  17. 14. La mia vita normale
  18. 15. Sorridere, nonostante tutto
  19. 16. Il mio Paese d’origine
  20. Epilogo
  21. Ringraziamenti
  22. Indice