Pecore, cavalli, laghetti, castelli circondati da prati verdissimi. Siamo nella tipica campagna inglese, a Ellesmere, nella contea dello Shropshire.
Qui, precisamente a Lyth, Eglantyne Jebb nasce il 25 agosto 1876, in una bella casa con una grande veranda fiorita che si affaccia sul prato. Oggi la casa è identica ad allora, così come gli spazi verdi che la circondano. La memoria della illustre concittadina è però quasi del tutto scomparsa, tra gli abitanti del piccolo borgo di Ellesmere. C’è solo una piccola stele di bronzo a lei dedicata, quasi nascosta, sul marciapiede vicino al parcheggio, e nulla più.
A metà dell’Ottocento, ad abitare la grande casa è una famiglia numerosa e vivace che sembra uscire direttamente da un romanzo.
Conosciamo molti dettagli della vita di tutti i componenti della famiglia perché tra loro intercorre una fitta corrispondenza. Senza mail, sms e WhatsApp, comunicano scrivendo lettere, e questa è una fortuna per chi desideri ricostruire la loro vita quotidiana. Oltretutto, sono scrittori prolifici. Le lettere, i diari personali e anche un giornalino di famiglia, The Briarland Recorder, scritto da Eglantyne e dai suoi fratelli, ci informano con accuratezza su ogni evento di casa Jebb.
Il padre e la madre di Eglantyne hanno lo stesso cognome: appartengono a due diversi rami della famiglia e sono parenti molto alla lontana. In famiglia si annoverano letterati, professori universitari e anche qualche vescovo e giudice.
Il padre di Eglantyne, Arthur, dopo gli studi universitari lavora come ispettore scolastico, ma dal 1878, quando eredita la tenuta di famiglia, si dedica a tempo pieno alla gestione della proprietà. È un gentiluomo di campagna con una rendita discreta, che consente alla famiglia di avere quanto necessario per mantenere un buon tenore di vita, senza tuttavia eccedere nelle spese. In politica si professa liberale, ma nei comportamenti quotidiani è un tradizionalista che guarda con diffidenza qualsiasi cambiamento. Si sente responsabile nei confronti della comunità locale, si impegna nella filantropia, partecipa alla raccolta fondi per la costruzione dell’ospedale, aiuta chi è in difficoltà. A differenza di molti uomini della sua generazione, è partecipe delle avventure dei figli, con i quali ha un rapporto diretto e affettuoso, tanto che per la figlia maggiore, Emily, è «sensibile come una donna». Così anche nelle relazioni con i domestici, i dipendenti e i fittavoli. Quando Eglantyne racconta il suo Natale, ricorda le famiglie dei dipendenti con i loro figli nella grande casa e i piccoli Jebb che distribuiscono i regali. Un clima idilliaco, almeno agli occhi di una bambina.
I figli – due maschi e quattro femmine – sono circondati da affetto. La loro è una tipica infanzia vittoriana, fatta di lezioni casalinghe con le istitutrici, giochi all’aria aperta, spettacolini teatrali, lezioni di pianoforte e francese per le ragazze. I contatti con l’esterno non sono numerosi, c’è qualche lettura di Shakespeare e qualche festa da ballo a Ellesmere, ma la gran parte del tempo i fratelli la trascorrono tra loro, giocando e studiando. I tre più piccoli – Eglantyne, Gamul e Dorothy – sono legatissimi. Una foto di famiglia li ritrae assieme: Eglantyne con i capelli rossi sciolti sulle spalle, al suo fianco Gamul, lo sguardo assorto, e dall’altra parte Dorothy, di cinque anni più piccola, capelli neri e frangetta, la guancia appoggiata sulla spalla della sorella.
Per molti aspetti, tuttavia, la famiglia Jebb è fuori dal comune, e lo sono soprattutto le due donne, la mamma e la zia, che insieme seguono i bambini. Due donne che esercitano un’influenza determinante sulla formazione di Eglantyne.
Innanzitutto la madre, Eglantyne Louisa, detta Tye. Orgogliosamente irlandese, incontra per la prima volta Arthur quando ha quindici anni e dieci anni dopo accetta la sua proposta di matrimonio e si trasferisce in Inghilterra. Non è femminista, condivide le idee conservatrici del marito, ma crede che le donne debbano giocare un ruolo nella vita pubblica mettendo a frutto talenti e capacità. E quindi, mentre si dedica ai sei figli senza delegare troppo alle governanti, non perde di vista ciò che le succede intorno.
Un giorno incontra casualmente un ragazzo in lacrime, distrutto dal lavoro massacrante che deve portare a termine. Il lavoro minorile in epoca vittoriana è molto diffuso, duro e non regolamentato. In quel pianto, oltre alla fatica, Tye vede la frustrazione, l’assenza di ogni prospettiva di emancipazione e di futuro.
Dopo questo incontro, Tye, che ha frequentato una scuola d’arte a Dublino, decide di avviare, a casa sua e con l’aiuto di altre volontarie, corsi gratuiti di artigianato a favore dei ragazzi, per insegnare loro a lavorare il legno e il rame, fare ceste di vimini, creare mosaici, e poi commercializzare i prodotti. Si ispirano al movimento Arts and Crafts, promosso dagli artisti e riformatori sociali Willam Morris e John Ruskin, che punta sul risveglio dell’artigianato come risposta all’avanzata dell’industrializzazione. All’inizio è solo un piccolo gruppo di ragazzi che si ritrova nella casa di Lyth, ma in breve la rete dei corsi gratuiti cresce in modo impressionante. Moltissimi volontari, in particolare donne, si rendono disponibili come insegnanti. La riscoperta dell’artigianato tradizionale è considerata una leva per combattere la povertà nelle campagne. Nel 1882 ha avvio così una vera e propria associazione che diventerà nota come la Home Arts and Industries Association. Si espande fino ad aprire cinquecento scuole e sbarca a Londra, dove i prodotti artigianali sono esposti e venduti nelle sedi più prestigiose. L’associazione suscita l’interesse di giornali come il «Times». Lo «Spectator», in un articolo del 1899, spiega che l’obiettivo non è solo quello di insegnare ai giovani come realizzare oggetti di artigianato artistico per dare loro un’opportunità di lavoro, ma educarli alla bellezza, ispirare l’apprezzamento per i più alti ideali artistici.1 Per Tye è questo il punto fondamentale: ogni bambino deve avere l’opportunità di sviluppare facoltà creative, non solo per diventare un lavoratore capace e competente da grande, ma per essere anche in grado di migliorare e rendere più bello l’ambiente che lo circonda.
Nell’anno di nascita dell’associazione, Tye pubblica un libretto su «I diritti delle donne». Sostiene che nessun governo con i suoi funzionari retribuiti sarebbe mai in grado di ottenere ciò che può fare una forte rete di donne. Una rete «bella come la tela di un ragno, illuminata dalla fede, dall’amore e dalla speranza delle donne».2
Così piena di entusiasmo e di nuove idee, Tye Jebb vive però solo in parte la grande espansione del movimento. Il suo impegno si riduce gradualmente, fino a interrompersi dopo due soli anni, nel 1884. Le motivazioni ufficiali del ritiro sono legate alla stanchezza e alle precarie condizioni di salute.3 È vero che, con gli anni, le malattie diventano per lei una specie di fissazione. Quando i figli vanno a trovarla la prendono in giro perché, dicono tra loro, il luogo principale della sua vita è la poltrona e l’argomento principe di tutte le conversazioni sono i suoi acciacchi.
Ma alla base dell’abbandono di questo impegno vi è dell’altro. All’inizio gli uomini della famiglia – il marito e il fratello Richard – sono stati orgogliosi dei suoi successi. Progressivamente, però, il loro entusiasmo si è spento, lasciando il posto a perplessità e rimproveri. Tye deve rientrare nei ranghi, tornare a essere solo una perfetta padrona di casa, una madre, l’angelo del focolare.
Arthur lamenta lo scarso tempo che la moglie dedica ai figli. «I bambini stanno piuttosto bene» scrive in una lettera un po’ velenosa «e hanno completamente dimenticato la loro mamma.»4 In un’altra nota, ancor più esplicita, le dice: «Avrei preferito che tu seguissi un piccolo gruppo di ragazzi qui a Lyth, piuttosto che prenderti in carico delle classi a Ellesmere. In altre parole, disapprovo questa scelta e avrei voluto che tu prima di prenderla ne avessi parlato con me, invece che con la signora Purvis».5
Un motivo di preoccupazione per gli uomini di casa sono anche le posizioni politiche che Tye ha iniziato ad assumere, con sempre maggior coraggio. Va spesso in Irlanda per accudire gli anziani genitori e ha visto di persona la povertà della popolazione. Ha così promosso la nascita della sua associazione anche nella terra natia e ha iniziato a chiedere pubblicamente al governo britannico fondi per l’istruzione irlandese e l’autonomia amministrativa, sostenendo il movimento per la Home Rule. Le sue prese di posizione hanno catturato l’attenzione dei giovani leader irlandesi e il repubblicano Michael Davitt le ha scritto delle lettere dal carcere dove è detenuto. Tutto questo agita moltissimo Sir Richard, fratello maggiore di Tye, conservatore impegnato in politica, eminente studioso di greco antico a Cambridge.
Alla sorella, Tye confida che una volta Richard è rimasto sotto shock nel vederla seduta sul tappeto vicino al fuoco, mentre all’ora di pranzo mangiava un biscotto leggendo il giornale. «Mi ha detto che sembrava avessi un gusto naturale per le cose squallide. Io ho cercato di urtare il meno possibile quella che lui considera la sua raffinatezza. Un uomo timido e insicuro non può capire la disinvoltura e la mancanza di paura che prova chi non è insicuro come lui.»6
Confessa sul suo diario di essere anche arrivata a mentirgli, quando lo ha rassicurato sul fatto che non ha mai pensato di prendere la parola in un ciclo di incontri pubblici in Irlanda, mentre invece il suo nome è già stampato sul programma.
Tye resiste per quel che può, ma la pressione del marito e del fratello e i sensi di colpa verso i figli, alla fine, hanno la meglio. L’impegno caritatevole delle donne è ben accolto in epoca vittoriana, è considerato un’estensione dei compiti domestici, un rito di società come il tè delle cinque. Ma Tye si è spinta molto oltre: ha fondato un movimento nazionale, è entrata in contatto con intellettuali e politici, ha risvegliato la sua identità irlandese. E – quel che è peggio – ha voluto fare tutto da sola.
Abbandonati gli impegni pubblici, Tye deperisce, dimagrisce a vista d’occhio e si ammala davvero. «Quando ella si accorse che quel rigido sistema le si chiudeva intorno, anche se drappeggiato da ricchi tendaggi, quel senso di buio e di soffocamento di cui ho parlato si impossessò di lei» 7 scriveva in quegli anni Henry James. Non sappiamo se Tye abbia letto Ritratto di signora e si sia riconosciuta in quello stato d’animo. Quello che sappiamo è che nessuno dei tanti medici consultati riuscirà mai a capire la natura del suo male.
E Tye non riesce a invecchiare insieme al marito, che in ogni caso ama moltissimo. A cinquantacinque anni Arthur se ne va, all’improvviso, per una polmonite. Due anni dopo, nel 1896, il piccolo Gamul, adolescente, muore anche lui per la stessa malattia. Nei tanti anni che seguono, la vita di Tye si lega a doppio filo a quella di Eglantyne. È perennemente preoccupata per la salute cagionevole della figlia e per il suo eccessivo impegno, e appena Eglantyne prova a rendersi più autonoma la reclama al suo fianco per l’insorgere di qualche nuova malattia. Allo stesso tempo, dalla loro fitta corrispondenza emerge l’orgoglio con il quale la madre registra i successi di Eglantyne, forse rispecchiandosi in questi, e magari ritrovando quell’urgenza di combattere le ingiustizie sociali che tanti anni prima le aveva ispirato la vista di un ragazzo sfinito in lacrime.
C’è una seconda donna che gioca un ruolo cruciale nella formazione di Eglantyne. È Louisa, la «zia Bun», sorella non sposata di Arthur. Louisa è agli antipodi del fratello: dichiaratamente progressista, agnostica, suffragetta, cultrice delle teorie evoluzioniste, insofferente alle regole e alle convenzioni sociali. Un amico di famiglia la descrive così: «Bei lineamenti decisi, un’espressione della bocca arrogante e intelligente, occhi penetranti e attenti e un’irrefrenabile attitudine a cercare i punti deboli nelle cose e nelle persone».8
È rigida con i bambini per quanto riguarda il rispetto dello studio. Alle sette e trenta tutta la famiglia si riunisce nella stanza della biblioteca per la preghiera del mattino e la colazione. Subito dopo, immancabilmente, iniziano le lezioni per i piccoli. La zia Bun è, però, anche il punto di riferimento per i giochi e le avventure. Ecco come si svolge un pomeriggio ideale con lei: «C’era una vecchia camera da letto dismessa sul retro della casa che era diventata il suo laboratorio, dove […] ci insegnava come costruire e usare boomerang, aquiloni, pistole ad acqua, archi e frecce, slittini, trampoli, retini da pesca e – gioia suprema! – come fondere il piombo sul suo caminetto per fare dei proiettili».9
Due donne diverse, Tye e Louisa, unite da una solida alleanza educativa. Tye manifesterà sempre riconoscenza nei confronti della cognata. «Sono stati giorni meravigliosi» le scriverà anni dopo, «quando insieme abbiamo cresciuto i sei bambini, una felice intesa a due, per loro e per me, mia più cara e migliore amica.»10
Le due figure femminili di riferimento di Eglantyne Jebb testimoniano, ciascuna a suo modo, l’inquietudine e l’ansia di cambiamento che attraversa il mondo femminile inglese alla fine dell’Ottocento. Nel 1850, per la prima volta viene presentata alla Camera dei Lord una petizione per il suffragio alle donne da parte di un’associazione femminile di Sheffield. John Stuart Mill, nel 1869, scrive il suo famoso saggio La servitù delle donne e si fa paladino del loro diritto di voto presso la Camera dei Comuni. Questa spinta produce una reazione oltranzista, un’ondata di misoginia e disprezzo pubblico verso le donne. Ma il movimento delle suffragette prende forma. Si mettono in discussione i rapporti tra uomo e donna, la vita coniugale e la struttura della famiglia. Anche nelle case di campagna borghesi, come quella dei Jebb, le donne iniziano a fruire di nuovi spazi di libertà, ma sempre sotto l’occhio vigile degli uomini – padri, mariti, fratelli e figli – che ne regolano i confini. Le donne vorrebbero prendere il destino nelle loro mani, e Tye e Louisa proiettano sulle ragazze di casa questa aspir...