Uomini e soldi
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Uomini e soldi

  1. 208 pagine
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Uomini e soldi

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"La verità è che in alcune circostanze, quando si parla di denaro, noi abbiamo un'unica possibilità di salvezza: quella di legarci mani e piedi. Il suono che le Sirene emettono è semplicemente troppo forte per potergli resistere." A invitarci a seguire l'esempio di Ulisse, anzi a "tenere una copia dell'Odissea sulla scrivania", è Paolo Basilico, uno dei grandi protagonisti, in Italia e non solo, della finanza e della gestione del risparmio. Dopo la laurea alla Bocconi e uno stage a Wall Street, ha cominciato a lavorare in Borsa nel 1984, in coincidenza con il primo vero boom di Piazza Affari. Entrato nella Mediobanca di Cuccia, Maranghi e Braggiotti, partecipa alla prima grande ondata di privatizzazioni. Nel 1992 passa a una start-up anglo-italiana mentre si abbatte la tempesta perfetta di Tangentopoli, crisi del debito pubblico e svalutazione della lira. Da quando diventa imprenditore in proprio fondando il Gruppo Kairos, nel 1999, i crolli peggiori (lo scoppio della bolla di internet nel 2000, la tragedia delle Torri Gemelle nel 2001, il fallimento della Lehman Brothers nel 2008, i rischi di default nel 2011...) si alternano ai rialzi più esplosivi. Questo libro è il racconto di un movimentato viaggio al centro della finanza che diventa l'occasione per spiegare con estrema chiarezza come funziona la macchina economica e finanziaria, come possiamo sfuggire alle trappole logiche e psicologiche in cui finiamo fatalmente per cadere quando dobbiamo prendere decisioni che toccano i soldi, quali sono i principi a cui attenersi per investire con successo. Perché la finanza non è quella che ci raccontano e che si autocelebra attraverso miti e finzioni, non è un laboratorio di formule o di algoritmi: è l'essenza del rapporto fra uomini, fra i loro caratteri, le loro psicologie.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858696743
1

I soldi sono importanti: impara a conoscerli

Il marziano perplesso

Se il solito marziano di tante storielle atterrasse oggi sull’Italia troverebbe, coerentemente con quanto gli avevano anticipato prima di partire, un popolo che su certi argomenti, come la politica o il calcio, ha sviluppato quasi delle religioni. Scoprirebbe però anche altri interessi più recenti, per esempio l’attività fisica o l’alimentazione, su cui gli italiani dimostrano conoscenze sorprendentemente approfondite. Bestseller dedicati a ricette e allenamenti, trasmissioni televisive, decine di blog e articoli di giornale. Certo, non potrebbe non notare come alcuni volti rivelino delle ossessioni, ma in generale sarebbe favorevolmente colpito da un notevole impegno di tempo e denaro che consente di vivere meglio e più a lungo.
Dal briefing sulla situazione del Paese ricevuto prima della partenza, si aspetterebbe che qualcosa di analogo fosse accaduto anche nel settore della finanza personale. I motivi, infatti, ci sono tutti. Una fase congiunturale in cui i tassi di interesse sono vicini allo zero o perfino negativi, cosa che su Marte non avevano mai sentito, un progresso tecnologico rapidissimo che mette a rischio molte professioni tradizionali enfatizzando l’importanza della gestione dei risparmi come fonte di reddito, l’evoluzione demografica con il passaggio generazionale dai baby-boomer ai millennial – passaggio tutt’altro che semplice, perché la storia ci insegna come sia più facile fare i soldi che investirli e perpetuarli nelle generazioni. E poi l’euro, lo spread…
Il marziano non avrebbe quindi dubbi sul fatto che approfondire la conoscenza finanziaria sia considerato una priorità dagli italiani e che ci sia una diffusa consapevolezza che saper fare buoni investimenti migliori la qualità della vita almeno quanto il movimento fisico o una dieta senza latticini. D’altronde che senso avrebbe magnificare gli effetti della serotonina prodotta nello sforzo atletico se si trascurano il cortisolo o l’acidità gastrica che si generano quando le finanze personali vanno male?
Lo penserebbe, ma purtroppo scoprirebbe di avere torto. Nonostante un’abbondante presenza mediatica e a volte convinzioni sorprendentemente radicate, dei soldi e di come gestirli gli italiani continuano a sapere poco o niente. E quello che sanno spesso non è utile a farli rendere, anzi è addirittura dannoso.
Vediamo di aiutare il nostro amico perplesso.

Necessità fa virtù

Quali sono le motivazioni di un comportamento in apparenza così irrazionale? È molto semplice. Un’intera generazione non ha avuto nessun bisogno di occuparsi di questo tema. Gli italiani hanno infatti investito per lungo tempo in immobili che si rivalutavano (oltre due terzi della loro ricchezza) e in titoli di Stato le cui cedole offrivano rendimenti nominali (attenzione, ci torneremo) attraenti. La politica non poteva che proteggere, attraverso trattamenti fiscali favorevoli, quello che la maggioranza dei cittadini privilegiava così chiaramente. Le andava anche bene, visto il debito pubblico costantemente in ascesa. La Borsa – e la cultura a essa legata – era affare di pochissimi, anche perché assomigliava più a una bisca (e lo era) che a un vero mercato. Che bisogno c’era quindi di interessarsi al mondo della finanza?
Per fortuna le cose stanno cambiando. Di nuovo, è la necessità a spingere per il cambiamento. Il prezzo degli immobili da trent’anni fluttua anche violentemente senza apprezzarsi in termini reali, cioè al netto dell’inflazione. E a causa del ribasso dei tassi e dell’assenza di flussi cedolari dei titoli di Stato, si sta facendo strada tra le famiglie un concetto che gli imprenditori conoscono bene e che sui maggiori testi di finanza aziendale è sintetizzato con la frase «cash is king», la liquidità è regina. Molte aziende falliscono perché, pur avendo buoni prodotti e tassi di crescita elevati, prosciugano la liquidità che serve per vivere (stipendi, oneri finanziari eccetera). Per le famiglie vale più o meno lo stesso discorso. Possedere beni che hanno un valore teorico ma che generano costi porta a un deflusso di denaro che può compromettere il tenore di vita. Il mattone costa, è poco liquido e assorbe cassa attraverso mutui, spese straordinarie, tasse. Un’idrovora.
Ma il cambiamento è lento perché il nostro passato è qualcosa di profondo che ci influenza anche quando sembra un ricordo lontano. La conseguenza è che la suddivisione degli investimenti degli italiani continua a essere sbagliata, con poca diversificazione ed equilibrio tra le sue componenti. Se guardo alla mia esperienza non vedo però solo un problema di conoscenze tecniche che pure lentamente migliorano. Mi sembra che le persone abbiano con il denaro un rapporto difficile, a prescindere dalla ricchezza, dall’età o dal ceto sociale.
C’è uno strabismo dei comportamenti che va dalla paura di perderlo – e quindi da una paralizzante avversione al rischio – alla voglia di farlo velocemente con avventurose speculazioni simili al gioco d’azzardo. Non a caso da noi si usa ancora l’espressione «giocare in Borsa». Ma soprattutto è palese una sorta di separazione mentale tra il denaro ottenuto con il lavoro e quello maturato con gli investimenti finanziari. È quasi come se il primo fosse rispettabile e l’altro no. Come se il primo lo sentissimo davvero nostro e l’altro no.
Questa forma mentis chiaramente sbagliata ha radici diverse. Oltre alla scarsa conoscenza della materia denaro, si percepisce qualcosa che ha a che fare con l’ego. Il denaro che generiamo attraverso il nostro lavoro è merito nostro, quello ottenuto dalla gestione finanziaria è merito di altri. E a volte è presente anche una componente di giudizio morale, perché il denaro che guadagniamo sul lavoro nasce dal sudore, mentre quello che proviene dalla finanza ci sembra troppo facile per avere lo stesso valore. La realtà è che noi e il nostro patrimonio siamo un unicum, e investire al meglio i nostri risparmi dovrebbe essere visto per quello che è: prendersi cura di sé stessi.
Ecco perché è indispensabile imparare a conoscere i soldi. Ma cosa vuol dire veramente? A scuola non c’è una materia che si chiama «denaro» e la maggior parte della letteratura sull’argomento è piena di tecnicismi spesso incomprensibili. Io credo che occorra semplicemente acquisire la padronanza in tre campi diversi ma strettamente collegati: la psicologia dei comportamenti umani, le principali regole del funzionamento della macchina economica, il mondo degli investimenti e dell’industria finanziaria. Può sembrare un obiettivo troppo ambizioso, ma spero che questo libro vi aiuti a capire che quello di cui avete davvero bisogno è a un passo da voi, se solo siete pronti a dedicarci del tempo e a seguire alcune regole di base.
Da dove cominciare allora?

Il buono, il brutto e il cattivo

Quando nel 1984 iniziai a lavorare ritenevo, avendo fatto il liceo scientifico ed essendomi laureato alla Bocconi, di essere pronto per il mondo degli investimenti. Dopo una breve esperienza presso un agente di cambio, fui assunto da una banca di Milano attiva nell’intermediazione mobiliare (ovvero azioni e obbligazioni). Il mio capo era un ragazzo brillante, con un diploma in ragioneria e un’esperienza lavorativa già di quattro anni, visto che aveva cercato un impiego subito dopo la scuola. Avevamo la stessa età, ma lui era nettamente più preparato di me. Fu un attimo capire di essermi illuso sull’utilità dei miei studi, in qualche modo anche di aver sprecato del tempo. Gran parte delle cose che avevo imparato non mi sarebbero davvero servite a diventare un buon investitore. Del denaro, infatti, non sapevo niente.
Oggi, a distanza di tanti anni, continuo a essere molto scettico sulla formazione scolastica e universitaria. Non ho mai capito, per esempio, perché chi ha una passione letteraria non debba studiare come fare di conto attraverso i principi elementari della ragioneria, o come si possa ignorare l’importanza della psicologia quando si parla di materie finanziarie che di psicologia sono spesso permeate.
Se quindi gli studi «convenzionali» servono a poco, e comunque la maggioranza delle persone non ha tempo e motivazione sufficienti per studiare l’argomento in profondità, quali metodi possiamo utilizzare per migliorare il livello di conoscenza necessario a una vita finanziariamente serena? Ci sono strumenti dannosi, strumenti per lo più inutili e poi ci sono quelli preziosi. Sergio Leone direbbe che il cattivo ha la faccia dei programmi televisivi o del mondo dei social media, frequentati da quelli che io chiamo oracoli finanziari, esperti che si lanciano in previsioni simili ai tarocchi speculando sulla nostra atavica debolezza di voler conoscere il futuro. Questi signori hanno fatto delle loro profezie una professione lautamente remunerata. Se ci fate caso, sono quasi sempre gli stessi e si sono divisi, immagino per trovare una loro identità commerciale, tra gli ottimisti a ogni costo e i profeti di sventura. Le tariffe orarie di questi ultimi sono di solito più alte, e a breve capiremo il perché. Tutti rispondono, come si dice, alle richieste del mercato.
Ricordo che organizzammo un convegno a Roma nel 2010 in cui invitammo Nouriel Roubini, un economista noto per le sue previsioni quasi sempre negative. Roubini disegnò uno scenario molto pessimistico, come da copione. Nella mia chiusura finale io invece dissi che ci trovavamo in una situazione confusa nella quale era bene non prendere posizioni nette perché dovevamo capire. Sono sempre stato convinto, infatti, che la visibilità sui mercati sia qualcosa che va e viene e che un bravo investitore sappia riconoscere quando è il momento di spingere sull’acceleratore e quando è il momento di aspettare che la nebbia si dissolva. A fine convegno, un mio amico, proprietario di una nota società di comunicazione, mi si avvicinò per dirmi che avevo sbagliato, perché la gente si aspetta sempre un’opinione forte da un esperto, anche quando non ce l’ha. Lo mandai a quel paese, non so se più irritato per la critica nei miei confronti o per il cinismo verso le persone presenti.
Il brutto sono i libri di finanza, nella maggior parte dei casi troppo tecnici e complicati. Anche le biografie dei grandi investitori e le loro storie riprese in mille versioni nascondono un’insidia. Se digitate su un motore di ricerca «Warren Buffett», troverete centinaia di pubblicazioni sulla sua vita e su come avere successo e fare soldi investendo in Borsa. Ma così come non possiamo pretendere di diventare Roger Federer o Cristiano Ronaldo copiando i loro gesti e le loro tecniche di allenamento – anzi, rischiamo seriamente di farci male –, così è meglio lasciar perdere l’esempio di persone che sono con tutta evidenza non comuni e non replicabili. Ho visto alcuni Warren Buffett nostrani perdere ingenti somme di denaro per perseguire idee e tecniche di investimento chiaramente inadatte a loro. Meglio, molto meglio, avere contezza di chi siamo e di quello che può funzionare per noi.
Brutto è anche il linguaggio finanziario. Una delle mie battaglie in azienda è sempre stata quella di contenere i tecnicismi e gli inglesismi che ormai sono diventati una nuova lingua. Incomprensibile ai più, perfetta per aumentare il distacco tra il nostro mondo e quello reale.
«Oggi l’azienda X ha riportato i risultati del 1Q. Nonostante la top line sia stata in linea con le attese, c’è stato un big miss su alcuni dei Kpi chiave. Il management ha cercato di spiegare le motivazioni e ha comunque confermato la guidance. Il titolo, che dopo lo spin off si era rivalutato del 10%, ha perso l’8%. In termini relativi da inizio anno rispetto ai peers c’è comunque una sovraperformance del 5% e il livello di correlazione del titolo con il mercato si è ridotto a 0,5.»
Questo potrebbe essere il commento di un analista sui risultati aziendali di una società quotata. Ci serve per sottolineare quanto il linguaggio finanziario possa essere spesso così autoreferenziale e tecnico (anche per ragioni strumentali) da richiedere un esperto per poter essere decifrato. È un ostacolo oggettivo che vi si porrà di fronte e che dovrete imparare ad aggirare.
Dov’è il buono allora?

Due fagioli uguali

Will e Ariel Durant sono due famosi storici americani che hanno scritto alcune opere eroiche come la Storia della civiltà in trentadue volumi. Ovviamente non li avrei mai scoperti se non fosse stato per la loro idea un po’ folle di riassumere un centinaio di secoli in sole cento pagine. Il libro che nacque si chiama The Lessons of History e mi entusiasmò al punto tale che decisi di farlo tradurre e di regalarlo ai nostri clienti per il Natale del 2013.
Ogni pagina è un piccolo tesoro, ma il capitolo intitolato «La storia e la biologia» andrebbe imparato a memoria: «La Natura ama la differenziazione… La Natura non ha letto con molta attenzione né la Dichiarazione d’indipendenza americana né la Dichiarazione dei diritti dell’uomo della Francia rivoluzionaria… Noi non siamo nati né liberi né uguali… Gemelli diversi differiscono per cento versi e non esistono due fagioli uguali».
E neanche due risparmiatori.
Il punto di partenza di qualsiasi sforzo teso a padroneggiare la materia finanziaria siamo noi. Noi come individui, con i nostri caratteri distintivi e le nostre peculiarità che ci fanno essere diversi da chiunque altro. Ora, conoscere sé stessi e quello che ci rende unici anche come risparmiatori-investitori non richiede anni di psicanalisi.
C’è un modo più semplice e veloce per migliorare la propria conoscenza in questo campo: avvicinarsi alla psicologia del comportamento, che dal 1978 a oggi ha collezionato ben tre premi Nobel per l’economia ed è sempre più utilizzata da aziende e governi di tutto il mondo.
Per darvi un’idea, l’esercito israeliano affidò il metodo di selezione dei suoi soldati – non proprio una banalità – a uno dei padri fondatori di questa scienza, Daniel Kahneman. E Obama creò il Behavioral Insights Group per migliorare il funzionamento della macchina governativa americana. Ma ormai l’utilizzo della psicologia comportamentale si è esteso alle aziende e a tutte le organizzazioni che vogliono indirizzare le scelte delle persone. Un motivo in più per interessarsi a questa affascinante materia imparando a essere consumatori consapevoli.
Cominciate allora nel modo più semplice, leggendo un libro che si intitola Nudge. La spinta gentile. L’ha scritto Richard Thaler, premio Nobel per l’economia nel 2017, riassumendo gran parte delle tesi degli studiosi di questa materia che ci può essere d’aiuto anche nella gestione dei nostri soldi. (Poi, quando vi sentirete pronti, tuffatevi in Pensieri lenti e veloci di Kahneman, più complesso ma imperdibile.)
Quali sono, ai nostri fini, i concetti di maggior rilievo?
In primis direi l’analisi sull’avversione al rischio. Noi odiamo perdere e le perdite sembrano sempre più grandi dei guadagni. Diversi studi hanno cercato di quantificare questa avversione e hanno scoperto che, per accettare una potenziale perdita poniamo di 100 euro, le persone devono sapere di poter guadagnare almeno il doppio. Un’enormità matematicamente irragionevole. Questa è dunque una potente forza conservatrice e ha un impatto rilevante sulla gestione del nostro patrimonio. Nella mia esperienza, infatti, il livello di rischio che le persone accettano nell’investire non è sufficiente a ottimizzarne il rendimento. Questa avversione genera un’altra forza potente che è l’inerzia, ovvero la tendenza a privilegiare lo status quo anche quando il cambiamento sarebbe necessario e profittevole. Abbiamo visto, e ci torneremo, quanto questo ostacoli la diversificazione della ricchezza in Italia, che continua a essere inefficiente proprio perché è la stessa da generazioni.
Di grande rilievo nella gestione del denaro è anche la scoperta da parte di neurologi e psicologi di come il cervello realmente funzioni. La distinzione tra il sistema impulsivo e quello razionale (la pancia e la testa) non è solo un modo di dire. Noi ragioniamo effettivamente così, con queste aree cerebrali che interagiscono di continuo e danno luogo a una serie di comportamenti e relative distorsioni. La più grave delle quali, immagino lo intuiate, è quando le decisioni che spetterebbero al secondo sistema vengono invece prese impulsivamente. È un tema del quale si occuperà a più riprese questo libro, così come della necessità di limitare le esondazioni della pancia.
Thaler descrive altre importanti regole di comportamento. Per esempio quella che concerne il nostro eccesso di ottimismo (overconfidence) riguardo al controllo delle cose, o quella che analizza la troppa fiducia nelle nostre capacità intuitive e previsionali. Queste caratteristiche comportamentali, nella mia esperienza di gestore, hanno un peso enorme sui rendimenti degli investimenti.
Molto rilevante è anche la nostra tendenza a dare maggiore importanza agli eventi più recenti – si chiama disponibilità. In finanza questo spiega la classica memoria corta che ci spinge a ricadere negli stessi errori. Pertanto la disponibilità è anche una delle forze sottostanti ai trend al rialzo o al ribasso dei mercati.
Infine è importante sottolineare, e di nuovo ce ne occuperemo diffusamente, il cosiddetto effetto gregge. Le persone amano essere conformiste, amano le mode. L’influenza degli altri a volte è così forte da spingerci a fare cose che, di testa nostra, non faremmo. Non credo ci sia bisogno di rimarcare quanto pericoloso per le nostre finanze possa essere un simile tratto comportamentale.
Da questo breve riassunto si intuisce il peso delle idee di Nudge nella nostra vita di tutti i giorni. Il fatto che abbiano avuto una tale rilevanza scientifica è anche la conseguenza del fallimento di importanti teorie c...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Uomini e soldi
  4. Prologo
  5. 1. I soldi sono importanti: impara a conoscerli
  6. 2. Viaggio al centro della finanza
  7. 3. Carpe diem
  8. Conclusione. La pista cifrata
  9. Ringraziamenti
  10. Copyright