Chiese alla donna di ricominciare da capo.
«Quella cosa che si lancia» disse lei. «Quella con dentro lo straccio infuocato.»
«Una cosa che si lancia?»
«Tipo alle manifestazioni. Alle proteste di piazza. Sai, quando ci sono gli scontri con la polizia. Si vede alla tele. Dai, la gente che lancia le bottiglie.»
Colter Shaw disse: «Una molotov?».
«Sì, sì» rispose Carole. «Credo che avesse una molotov, sì.»
«Era accesa? Aveva dato fuoco allo straccio imbevuto di benzina?»
«No, però, sai…»
La voce di Carole era roca, anche se Shaw non l’aveva vista mai fumare e non le aveva mai sentito addosso odore di sigaretta. Indossava un abito verde consunto. La sua espressione standard era impostata su una smorfia di apprensione, anche se quella mattina sembrava più preoccupata del solito. «Era là» disse, indicando l’area di sosta per camper Oak View.
Una delle più trasandate in cui Shaw avesse mai messo piede. Era recintata da alberi, per la maggior parte querce della California e pini. Alcuni alberi erano morti, altri erano secchi. Ma formavano comunque una barriera fitta. «Era là» aveva detto la donna. Ma là dove? Non si vedeva quasi niente.
«Hai chiamato la polizia?»
Una pausa. «No, perché se non era… com’è che si chiamava?»
«Una molotov.»
«Be’, se non era una molotov quella che teneva in mano… voglio dire, sarebbe stato imbarazzante, no? E chiamo gli sbirri anche troppo spesso, con tutti i casini che succedono da queste parti.»
Shaw conosceva decine di proprietari di posti come quello sparsi per tutto il Paese. In gran parte erano coppie: un’occupazione dignitosa per due persone di mezza età sposate da tempo. Se invece a mandare avanti la baracca c’era una persona sola, di solito era una donna, e molto spesso vedova. E quando scoppiava qualche rissa le donne chiamavano il 911 molto più spesso dei loro defunti mariti, che magari preferivano andarsene in giro armati.
«Ma è anche vero» continuò Carole «che il fuoco, da queste parti… insomma, sai com’è.»
La California era una specie di polveriera, come sapeva chiunque guardasse i notiziari. E di solito quando si sente parlare di incendi si pensa subito ai parchi nazionali, ai campi e alle zone periferiche: ma le città non erano certo immuni alla furia della natura. Uno dei peggiori incendi boschivi nella storia dello Stato, per quanto ne sapeva Shaw, era deflagrato a Oakland, molto vicino a dove si trovavano proprio in quel momento.
«A volte butto fuori qualcuno. E magari il tizio se la prende, e gli viene in mente di tornare qui a cercare vendetta.» Aggiunse, con voce stupita: «Anche quando li becco a fregarsi quaranta ampere quando magari pagano solo la tariffa per venti. Certa gente è davvero incredibile. Sul serio».
Shaw le chiese: «E quindi cosa vuoi di preciso da me?».
«Non lo so, Shaw. Vai a dare giusto un’occhiata. Per piacere.»
Colter cercò di aguzzare la vista e gli parve di scorgere del movimento attraverso la vegetazione. La brezza? O qualcos’altro? Possibile che fosse una persona? Qualcuno che camminava lentamente. E in ogni caso, quell’andatura così lenta e circospetta non lasciava presagire niente di buono. Era un criminale che procedeva con prudenza per nascondersi, determinato a fare qualcosa di losco?
Carole teneva gli occhi fissi su Shaw, lo squadrava con un’intensità che conosceva bene. Gli succedeva con una certa frequenza. Era un cittadino qualsiasi, e non aveva mai sostenuto il contrario. Però la scorza del poliziotto ce l’aveva, e la gente lo percepiva.
Shaw perlustrò i confini dell’area camper, lasciò il marciapiede scheggiato e irregolare attraversando la scarpata erbosa. La strada era deserta in quell’angolo smorto della città.
Sì, in effetti c’era un uomo, giacca scura, blue jeans e cappello nero fatto a maglia, a una ventina di metri da lui. Portava gli stivali – buoni per una camminata nella boscaglia, ma anche per prendere a calci la gente, volendo. E sì, o aveva un qualche congegno esplosivo, o aveva deciso di tenere nella stessa mano una Corona e un tovagliolo. In molte zone di Oakland era troppo presto per farsi una birra. Ma non lì.
Shaw lasciò la scarpata inoltrandosi nel fogliame alla sua destra, accelerò il passo, ma senza fare rumore. Gli aghi caduti dai pini formavano uno spesso tappeto, perfetto per attutire i suoni.
E magari il sospetto era davvero un ex ospite rancoroso, ma di sicuro aveva passato da un bel pezzo il capanno di Carole. Quindi di rischi diretti lei non ne correva. Non per questo Shaw aveva intenzione di lasciarlo andare.
Aveva una brutta sensazione, ecco.
Adesso lo sconosciuto si avvicinava alla zona in cui era parcheggiata la Winnebago di Shaw, insieme a molti altri camper.
Shaw nutriva un profondo interesse per le molotov. Molti anni prima, mentre era sulle tracce di un fuggitivo invischiato in una storia di contrabbando di petrolio, a Oklahoma, qualcuno aveva lanciato una bomba artigianale nel suo camper. Era bruciato fino ai cerchioni in venti minuti, Shaw aveva fatto appena in tempo a portare in salvo le sue cose. Ancora si portava dietro il ricordo netto e preciso – e poco piacevole – dell’odore che si alzava dalla carcassa di metallo.
Quante possibilità c’erano di subire due distinte aggressioni da parte di sconosciuti armati di un ordigno di ispirazione russa? Di sicuro poche. Shaw le valutò intorno al cinque per cento. Stima ulteriormente ridotta dal fatto che si trovava nell’area di Oakland e Berkeley per motivi personali, non per rovinare la vita a un criminale in fuga. Il giorno prima aveva infranto la legge lui stesso, questo era vero. Ma la pena che poteva aspettarsi per il suo crimine era al massimo un rimprovero verbale, un faccia a faccia con una corpulenta guardia di sicurezza, o con la polizia nel peggiore dei casi. Di certo non una bomba.
Adesso era solo a dieci metri dal suo obiettivo. Il sospetto stava ispezionando la zona – esaminava l’area di sosta e anche la strada circostante, con le numerose case abbandonate che vi si affacciavano.
Uomo, bianco, curato, ben rasato. Sul metro e settantacinque. Viso butterato. Sotto il cappello, i capelli erano tagliati corti, o almeno così pareva. Aveva un non so che di animalesco nell’aspetto e nei movimenti. Più precisamente, faceva pensare a un roditore. Una postura che suggeriva un passato da militare. Shaw personalmente non poteva vantare una formazione di quel tipo, anche se molti amici e conoscenti erano stati nell’esercito e lui stesso aveva dedicato parte della giovinezza a un addestramento quasi marziale, con tanto di interrogazioni regolari sull’ultima edizione del manuale US Army Survival FM 21-76.
E ce l’aveva davvero, la molotov. Lo straccio era infilato nel collo della bottiglia, si sentiva l’odore della benzina.
Shaw conosceva bene rivoltelle, semiautomatiche (sia pistole sia fucili), armi a otturatore girevole-scorrevole, fucili da caccia, arco e frecce, fionde. E per le lame nutriva una passione profonda e consolidata. Il quel momento però prese dalla tasca l’arma che usava più spesso: il cellulare, un iPhone. Picchiettò qualche tasto e quando gli rispose l’operatore della guardia forestale comunicò in un sussurro la sua posizione, prima di descrivere la scena che aveva davanti agli occhi. Poi riagganciò. Digitò qualche altro comando prima di ficcarsi il telefono nel taschino della giacca sportiva a quadri scura. Ripensò con una fitta di dolore al furto che aveva commesso il giorno precedente. Si chiese se con quella chiamata avesse in qualche modo prestato il fianco alle autorità: rischiava di essere identificato e magari arrestato? In realtà, sembrava piuttosto improbabile.
Decise di aspettare l’arrivo dei professionisti. Questa non era la sua battaglia.
Ma proprio in quel momento nella mano dell’uomo comparve un accendino. E in giro non si vedevano sigarette.
Fine delle esitazioni.
Shaw uscì dalla vegetazione e si avvicinò. «Buongiorno.»
L’uomo si voltò di scatto, accucciandosi. Shaw notò che la sua mano non si era precipitata alla cintura o alla tasca interna. Magari perché non voleva rischiare di far cadere la molotov. O magari perché non era armato. Oppure era un professionista e sapeva esattamente dove si trovava la sua pistola e quanti secondi avrebbe impiegato per estrarla, prendere la mira e sparare.
Due occhi stretti, incassati in un viso schiacciato, squadrarono Shaw: prima alla ricerca di armi, poi di possibili fattori di rischio. Prese nota dei jeans neri, delle scarpe Ecco nere, della maglietta a righe grigie e della giacca. Capelli biondi, corti. La parola «sbirro» avrebbe di sicuro iniziato a lampeggiare come un allarme rosso nella mente del Roditore, se non fosse stato per quel silenzio che ancora si protraeva: il momento di tirar fuori un tesserino e di richiedere un documento era arrivato ed era anche passato, da un pezzo. Il Roditore aveva quindi sicuramente concluso che Shaw fosse un comune cittadino. Uno da non prendere alla leggera, però. Shaw sfiorava il metro e ottanta, spalle ampie, muscoli tesi. Una piccola cicatrice sulla guancia, una più grande sul collo. Non aveva l’hobby della corsa ma era un appassionato di arrampicate e al college era stato un campione di wrestling. Condizioni fisiche smaglianti. Sorresse lo sguardo del Roditore. Occhi incollati agli occhi.
«Ciao.» Voce da tenore, tesa come una recinzione di filo spinato. Del Midwest, forse persino del Minnesota.
Shaw guardò la bottiglia.
«Magari è piscio, non benzina. Voglio dire, che ne sai tu?» Il suo sorriso era non meno teso della voce. Stava mentendo.
Sarebbe finita in rissa? Era un epilogo che Shaw era determinato a evitare. Non colpiva un avversario da molto tempo. E non gli piaceva. Se era per questo, gli piaceva ancora meno quando erano gli altri a colpire lui.
«Qual è il problema?» Shaw indicò la bottiglia con un cenno del capo.
«Chi sei?»
«Un turista.»
«Un turista.» L’uomo rifletté, spostando gli occhi dall’alto in basso, e poi ancora. «Vivo giù lungo la strada. Ci sono dei ratti nel terreno abbandonato proprio accanto a casa. Avevo intenzione di bruciarli.»
«In California? Nel giugno più secco degli ultimi dieci anni?»
Un dato che Shaw si era inventato di sana pianta, ma insomma, non era quello il punto.
Anche perché in realtà non c’era nessun terreno abbandonato, nessuna infestazione di ratti. Magari però quella scusa che aveva tirato fuori poteva significare che in passato quel tizio avesse davvero dato fuoco a qualche ratto. Nella mente di Shaw, l’avversione si unì alla cautela.
Mai lasciar soffrire un animale…
E adesso Shaw guardava alle spalle del Roditore, ovvero verso il punto in cui si stava dirigendo prima che lo fermasse. Una proprietà sfitta, vero, anche se più in là non sorgeva una casa ma un vecchio negozio. Insomma, non era certo l’immaginario terreno abbandonato confinante con un’abitazione altrettanto immaginaria...