Una favolosa estate di morte (Nero Rizzoli)
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Una favolosa estate di morte (Nero Rizzoli)

  1. 304 pagine
  2. Italian
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Una favolosa estate di morte (Nero Rizzoli)

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Informazioni sul libro

NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. Accadono fatti terribili nella terra di mezzo tra Matera e Potenza, frontiera selvaggia che si ripiega su se stessa come le ripide gole che la solcano. E così una notte di giugno, nei calanchi vicino Pisticci, un uomo e una donna vengono assassinati brutalmente. Lui è Sante Bruno, architetto con entrature che contano.
Lei, Floriana Montemurro, una ragazza bellissima, figlia di un potente notabile. Il duplice omicidio scuote la monotonia di una provincia in cui il pettegolezzo vola di bocca in bocca e le lingue sono affilate come rasoi. Indagare sul caso tocca a Loris Ferrara, magistrato in crisi che vuol rifarsi una vita, e all'anatomopatologa Viola Guarino. Abilissima nel leggere la scena del crimine, convinta sostenitrice dei metodi scientifici d'indagine, la Guarino ha un sesto senso prodigioso. "Strega" la chiamavano da bambina.
"Strega" pensano oggi di lei i suoi concittadini. E del resto, è la nipote di Menghina, celebre lamentatrice funebre della Lucania, una che ha trasformato la morte in professione e di stranezze se ne intende. Turbata dai sentimenti che prova per l'ombroso Ferrara, Viola si getta a capofitto nell'inchiesta. Mentre incombono i preparativi per Matera 2019 Capitale della Cultura e il futuro si porta appresso milionarie speculazioni sugli antichi Sassi, dovrà confrontarsi con i misteri di un Sud in cui tutto sta cambiando anche se nulla cambia mai davvero.
Piera Carlomagno svela, con eleganza e discrezione, il male profondo di una terra insieme ai tormenti e alle malinconie delle donne che la abitano.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858697238

Sette

Gualtiero si issò su uno sgabello del “Sassi d’oro” – i materani non brillavano ancora per fantasia neanche per quanto concerneva i nomi dei locali – e ordinò un Negroni, poi guardò lo schermo della tivvù, in alto, proprio sopra la testa rasata del barman-proprietario, che all’occorrenza si trasformava anche in cuoco e scivolava dietro la vetrata della cucina a vista, come quelle che tutti gli architetti disegnavano per i locali alla moda.
«Mi prepara anche un panino?» domandò Gualtiero. Quindi scelse dalla carta e guardò l’uomo rasato che cominciava ad affettare dietro la vetrata.
«È giusto vedere chi ti prepara da mangiare e come lo fa» disse il giovane Malvezzi. «Una questione di igiene.»
Un energumeno ruotò di centottanta gradi lo sgabello su cui era seduto e gli piantò il suo faccione davanti: «Non è questo, è che ora i cuochi sono celebrità e la gente vuole guardarli cucinare».
Il barman-proprietario-cuoco uscì sorridendo con un tagliere in mano, su cui stava poggiato il panino insieme a un portatovaglioli, e lo mise davanti a Gualtiero che intanto aveva finito il suo Negroni e ne ordinò un altro.
L’energumeno lo guardò irritato. «Amico, da quando sei entrato, stai dando un gran da fare. Paco, posso avere una Tennent’s? Sono anch’io un cliente, che diamine.»
Gualtiero non replicò, non diede occasione. In fondo lui era un mite, non solo per carattere, ma per passione proprio. Gli piaceva vivere in pace col mondo e d’altra parte non aveva coraggio abbastanza. Era troppo riflessivo. Tendeva a immaginare con orrore le risposte, fisiche e verbali, che sarebbero poi arrivate, nel caso di una sua risposta a tono.
Quindi nell’ordine, tacque, si pentì del proprio silenzio, immaginò una reazione e accantonò l’idea di parlare definitivamente. Prese a seguire il dibattito del prepartita che stava per cominciare in televisione, attendendo il secondo Negroni.
L’energumeno, da parte sua, bevve la birra dalla bottiglia quasi in un sorso solo e uscì.
Paco accennò un breve sorriso di complicità con Malvezzi e continuò a trafficare dietro il bancone.
Il locale era vuoto.
A Gualtiero venne in mente Floriana, la sua morte violenta e poi quella mansarda… Chiamò Alessandra al telefono.
«Non posso uscire» disse lei.
«A proposito dell’appartamento dell’architetto Bruno che affaccia sulla Murgia, ma tu sai chi ho visto uscire da là?»
«E no che non lo so, non me l’hai detto.»
«È che voglio parlartene a voce. Magari sono mie fantasie, ma quello che ho visto non mi è piaciuto. Pensai: Ma guarda che gente frequenta questo qui, devo avvisare Floriana.»
«Dai, lascia perdere, Gualti, so che soffri per quello che le è successo, ma non ti tormentare.»
«Invece parlarne con te mi chiarirà le idee, perché sono certo che alla polizia il mio racconto interesserà e molto.»
«D’accordo, ne parleremo. Ora vado, ho degli ospiti di mia madre, scusami, ma non posso proprio raggiungerti.»
«Non preoccuparti, ci vediamo domani. Buonanotte.»
«Buonanotte, Gualti.»
Lesse tutta «La Gazzetta del Mezzogiorno», che stava poggiata su un tavolo, comprese le pagine di sport.
Pagò, aveva deciso di andare a casa. Tanto valeva guardare la partita dal letto.
Uscì su via dei Fiorentini e raggiunse l’auto pochi metri più avanti. La strada era vuota, probabilmente a causa della partita. L’eterno duello Napoli-Juve interessava a tutti tranne che a lui. E al suo assassino.
Perché dalla salita in curva arrivò un’auto a velocità sostenuta.
Paco stava riordinando, certo che ormai non sarebbe entrato più neanche un cane quella sera, quando avvertì il boato di uno schianto e qualcosa che non aveva mai sentito prima.
Guarda caso quella sera era di turno proprio Ferrara. Non che ci fosse grande scelta, ma di certo in quel preciso momento non gradì la chiamata.
Quando arrivò sul posto, due auto della polizia e una berlina chiara erano parcheggiate davanti al bar di Paco, lampeggianti accesi e radio che gracchiavano.
Restò in macchina ancora alcuni secondi. La partita importante e fuori stagione era al novantesimo sull’uno a uno. Finse di armeggiare col cellulare, sapeva che una volta sceso di lì tutto sarebbe diventato frenetico per giorni e giorni, e notti insonni. Ancora. I delitti adesso erano tre. E sperava davvero di non accumulare nuovi indizi che non avrebbero portato a niente, mentre il fiato dei superiori sul collo sarebbe diventato insopportabile e i titoli della stampa pure.
A ogni modo il procuratore avrebbe affidato il caso ad altri.
Sentì bussare al vetro. Pigiò il pulsante per abbassare il vetro del finestrino: «Sì?».
«Chi vince?» gli chiese De Salvo con un sorrisetto.
Ferrara sbuffò e spense il motore. «Chi è?»
«Gualtiero Malvezzi, trentatré anni, avvocato. Così dice il documento. È stato investito, a quanto pare. Il proprietario del locale sostiene che era appena uscito da lì. Lui stava al bancone e ha sentito lo schianto, poi il rumore del corpo che cadeva, e si è precipitato fuori.»
«Testimoni?»
«Nessuno, per ora. E il colpevole se l’è squagliata.»
«Bene, bene, bene. In ogni caso si tratta di omicidio stradale. Ci sarà da cercare una macchina.»
«Sei già stressato?» domandò De Salvo ironico. «Matera non ti sembra un posto abbastanza tranquillo? A proposito, come mai sei qui? Non si arriva così lontano dopo essere stati per anni comodamente a casa propria.»
«Ho chiesto il trasferimento per motivi personali. E sì, è vero, cercavo un posto tranquillo.»
«Sei stato sfortunato, di solito lo è. Vabbe’, mettiamoci al lavoro.»
Mentre gli agenti delimitavano la scena del delitto, arrivò Viola.
«Eseguirà lei l’autopsia, dottoressa Guarino?» chiese De Salvo.
«Sì, è fissata per domani. Avete avvisato i parenti?»
«Sono appena arrivato per il sopralluogo.» Ferrara si sentiva un po’ in colpa.
«La macchina proveniva da lì» intervenne De Salvo indicando la salita. «Qui è senso unico, anche se un ubriaco al volante potrebbe anche aver percorso la strada contromano. Lui stava uscendo dal locale. Dobbiamo ancora verificare se si stava incamminando oppure se doveva prendere un’auto. Tutto ciò è accaduto mezz’ora fa. Ti presento il dottor Cipriano, ci aiuterà a rilevare le tracce sul selciato e ad avere un’idea del tipo di macchina che cerchiamo.» Quindi si rivolse ai suoi agenti: «Interrogate tutti, ma proprio tutti, nelle case circostanti e chiedete se hanno visto o sentito qualcosa».
Ferrara si guardò intorno. Finestre chiuse. Fosse accaduto a Napoli, ci sarebbe stato da disperdere una folla di curiosi.
Viola osservava il cadavere con la testa posata sul marciapiede, come su un cuscino. Giaceva scomposto su un fianco a circa dieci metri dal locale: «Lo hanno preso sul lato sinistro. È probabile che fosse rivolto verso il marciapiede. Magari stava cercando di aprire la propria auto. Il barista ha parlato di schianto. Se siamo fortunati qui c’è una macchina danneggiata».
De Salvo risalì verso il bar. «Fin qui niente» riferì.
«Vai avanti» suggerì Viola. «Potrebbe aver fatto un discreto volo se il barista sostiene di aver sentito il corpo che cadeva da dentro al bar.»
De Salvo si innervosiva quando la Guarino si mostrava più lucida di lui. Fai il tuo lavoro, strega, pensò, ma continuò a osservare i veicoli in sosta. Fino a quando non ne trovò uno con la fiancata sfondata. «Avevi ragione, è qui» gridò a dieci metri dall’altro lato rispetto al bar. «Dottor Cipriano, venga, potrebbe trovare le tracce dell’auto che cerchiamo.» Poi inalberò un sorrisetto furbo. «Cazzo, Guarino, come lo sapevi?»
Viola lo incenerì con un’occhiata. «Non ci provare. È solo che faccio funzionare il cervello, cosa che a volte tu eviti accuratamente. Che c’è? Le chiamate serali ti innervosiscono? Avevi già le babbucce ai piedi?»
«Ehi, smettetela voi due» si intromise Ferrara. «Il telefonino della vittima era poco lontano dal cadavere e funziona. Proviamo a comporre qualche numero?»
«Avete i guanti?»
«Ma per chi ci prendi, dottoressa?» De Salvo la guardò torvo.
«Aveva parlato da poco con una certa Alessandra Santoro. Chiamiamo lei per trovare i parenti?» Il magistrato era stufo dei loro battibecchi.
«Magari è la fidanzata?» Il capo della Squadra Mobile lo disse distrattamente.
«Magari no.» Viola era ancora risentita per la sua insinuazione. «Nessuno tiene la fidanzata registrata con nome e cognome. Poi io la conosco. È single e adesso comincio a capire anche chi è questo poveretto. Già, come ho fatto a non pensarci prima? È un Malvezzi, una delle famiglie più importanti di Matera.»
«Ecco, ci mancava la meglio nobiltà.» Ferrara era preoccupato.
Viola voltò le spalle a tutti e due e copiò il numero dalla rubrica di Gualtiero.
Le notti di Matera passano lente, persino quelle che hanno visto una morte violenta.
Un altro corpo giaceva alla morgue. Stavolta Viola se ne sarebbe occupata di persona, ma l’autopsia in questo caso avrebbe dovuto solo stabilire con più precisione le dinamiche dell’incidente e la causa diretta del decesso.
La dottoressa Guarino aveva ancora nelle orecchie il pianto disperato di Alessandra Santoro, aveva dovuto pregarla di non chinarsi sul corpo dell’amico per non lasciare tracce delle lacrime.
La ragazza ripeteva: «È colpa mia, è colpa mia».
C’era voluto un po’ di tempo per capire che si riferiva al fatto di non aver risposto all’invito di Malvezzi. «Se ci fossi stata io, a quest’ora magari saremmo ancora dentro a bere e a chiacchierare. È colpa mia.»
La morte di una persona cara, tanto più se improvvisa o violenta, porta sempre il suo carico di sensi di colpa, pensava Viola affacciata al belvedere di piazza Duomo, una delle vedute più affascinanti di Matera.
La vista dei Sassi illuminati di notte le procurava una sensazione simile, una specie di senso di colpa, perché in lei la morte era presente con i suoi attributi fisici più materiali e immediati: freddezza, fetore, quel latente sa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Una favolosa estate di morte
  4. Prologo
  5. Uno
  6. Due
  7. Tre
  8. Quattro
  9. Cinque
  10. Sei
  11. Sette
  12. Otto
  13. Nove
  14. Dieci
  15. Undici
  16. Dodici
  17. Tredici
  18. Quattordici
  19. Quindici
  20. Sedici
  21. Diciassette
  22. Diciotto
  23. Diciannove
  24. Venti
  25. Ventuno
  26. Ringraziamenti
  27. Copyright