Bassa marea (Nero Rizzoli)
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Bassa marea (Nero Rizzoli)

  1. 336 pagine
  2. Italian
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Bassa marea (Nero Rizzoli)

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NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. Il mare prende, il mare dà. E un mattino di primavera la bassa marea consegna alla spiaggia di Borgomarina un corpo di donna. La ritrova, più morta che viva, Andrea Muratori detto Mura, giornalista in pensione, tornato nel paesino di villeggiatura dell'infanzia dopo una lunga carriera da inviato giramondo, con pochi soldi in tasca, un capanno di pescatori come casa e in pace con se stesso. Siamo in Romagna, la riviera delle vacanze di massa e del divertimentificio, cento chilometri di litorale che con il solleone diventano metropoli diffusa spalmata tra Marina di Ravenna e Gabicce, per metà West Coast all'italiana e per metà irredimibile provincia di vitelloni, malelingue e brava gente. Ma fuori stagione gli abitanti verniciano e riparano, sperperando i guadagni estivi e portando a galla vizi nascosti. Fra un clan di calabresi che traffica schiave del sesso e immigrati cinesi che spacciano erba, toccherebbe a Mura risolvere il mistero dietro il passato di Sasha, l'enigmatica russa restituita dal mare. Un'impresa troppo grande per lui, se ad aiutarlo non ci fossero altri tre sessantenni irresistibili. «Uno per tutti, tutti per uno» ripetono i vecchi amici, citando i tre moschettieri. Che poi, com'è noto, erano quattro.
Enrico Franceschini ha scritto una commedia gialla, caustica e brillante, che illumina le ombre della terra raccontata da Fellini e Tondelli, su cui - tre mesi l'anno - si rinnova la furibonda battaglia del desiderio nazionalpopolare.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858698037

1. Sono gli slip

(Colonna sonora: Tequila Sunrise, Eagles)
Un mare liscio come l’olio.
È un luogo comune, ma rende l’idea. Alle cinque del mattino, l’Adriatico è un liquido immobile disteso lungo il litorale. Non un’increspatura agita l’orizzonte. Tutto è fermo: acqua, cielo, spiaggia. L’unico movimento è rappresentato dalle scarpette, un passo dopo l’altro, un pelo più su del bagnasciuga, nel corridoio dove la sabbia è ancora dura, resa compatta dal ritiro della marea. Più tardi ci penserà il sole ad ammorbidirla, ma a quest’ora è il terreno perfetto per cinque chilometri di corsetta quotidiana. Sull’aria tersa aleggia un vago odore di alghe e di pesce. Il silenzio è assoluto. Gli abitanti di Borgomarina dormono. Non sanno cosa perdono.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Un modo di dire anche questo. Da giovane Andrea Muratori non lo capiva. Come stile di vita preferiva il biassanot, alla lettera “mastica notte”: così nel dialetto della sua Bologna si chiama chi tira tardi. Insomma, il nottambulo. Di notte scriveva, leggeva, mangiava e beveva, talvolta godeva, al limite perdeva tempo: tutto, pur di non chiudere gli occhi. «Dormirò da vecchio» sosteneva in tono sbruffone. La fase di sonno profondo era di primo mattino, quando non si sarebbe alzato neanche se glielo avesse ordinato il dottore, cosa che non succedeva prima di mezzogiorno.
L’età e il ritmo circadiano gli hanno imposto nuove regole. Alle undici di sera sbadiglia come se dovesse slogarsi la mandibola. Segue qualche ora di sonno leggero, in cui basta un fruscìo a destarlo. Alle tre giace con gli occhi spalancati. Si rigira di qua e di là per un po’ nella vana speranza di riaddormentarsi. Va a pisciare. La prostata? Beve un sorso d’acqua. Accende l’iPhone. Scorre le notizie internazionali sul sito della BBC. Si distrae seguendo il flusso ininterrotto dei social. Poi rinuncia, prepara il caffè, indossa maglietta, calzoncini, le Nike e via. In neanche un minuto raggiunge la spiaggia. Corre.
Da vecchi si dorme male. Ma Andrea non si sente vecchio. Per niente. A sessant’anni gli sembrava vecchio suo padre, ma erano altri tempi, un’altra generazione. “Sessanta sono i nuovi quaranta” affermano ora gli slogan pubblicitari. Oggi un uomo di sessant’anni può fare tutto, con il vantaggio di un po’ d’esperienza, niente da dover dimostrare e una pillolina azzurra per sentirsi giovane anche a letto. A dargli una botta di vecchiaia precoce ha provveduto il suo datore di lavoro, mandandolo in pensione in anticipo: prepensionamento, lo definisce un’apposita legge. In sostanza, un sistema con cui disfarsi dei dipendenti che pesano di più, per ragioni di età, sul bilancio di un’azienda in crisi. Come il suo giornale. E i giornali in genere, nell’era della rivoluzione tecnologica, in cui sempre meno gente acquista quotidiani in edicola e non ci sono abbastanza abbonati a pagamento all’edizione digitale. Se si aggiunge il calo della pubblicità, anche quello prodotto dal boom del web, i cui grandi cavalieri, da Google a Facebook, se la pappano tutta, non c’è da prendersela con gli amministratori delegati perché cercano di prepensionare più dipendenti possibile. Incluso Mura, diminutivo di Muratori, soprannome ricevuto e mantenuto fin dai banchi di scuola, che a sessant’anni si è ritrovato anticipatamente in pensione.
Una buona pensione. Ma non rimane molto, tolti gli alimenti da pagare a due ex mogli, un’americana e una russa, entrambe frutto delle sue esperienze internazionali di cronista, più la “paghetta” che continua a versare a suo figlio Paolo, naturalizzato inglese, in procinto di finire gli studi da avvocato a Londra. Fatti i conti, economici e filosofici, dopo tre decenni trascorsi a raccontare guerre, rivoluzioni, terremoti e altri sommovimenti in giro per il pianeta, Mura ha deciso di tornare al punto di partenza. O quasi.
Rispetto a Bologna, dove è nato, Borgomarina giace un centinaio di chilometri più a est. Il posto delle villeggiature estive quando era bambino, quindi delle vacanze estive con suo figlio in un nostalgico déjà-vu: la teoria dell’eterno ritorno passa anche da paletta e secchiello.
Si stabiliva lì ogni estate per cinque o sei settimane di fila, quando rientrava in Italia per ferie dalle sue sedi di corrispondente estero. Ormai ci è più affezionato che alla città natale. I ricordi dell’infanzia sono sempre i più belli e Mura li ha doppi: i propri e quelli del suo erede. È l’unico luogo dove aveva comprato casa. Senonché da qualche anno l’ha venduta per acquistare un monolocale a Londra per suo figlio: gli è sembrato giusto, dopo averlo fatto crescere nella metropoli più costosa della terra. Sentiva la responsabilità di assicurargli un tetto sopra la testa. Ma una volta prepensionato, in sostanza disoccupato, con in tasca il poco che gli resta dagli alimenti del duplice divorzio, a rimanere senza un tetto sopra la testa è stato lui. Zero risparmi, zero proprietà, zero possibilità di ottenere un mutuo alla sua età: non male come bilancio di una lunga e onorata carriera. D’altronde, raccogli quel che hai seminato. Altro luogo comune veritiero.
Gli era sempre piaciuto il motto di George Best, campione del pallone e viveur sfegatato: «Ho speso una fortuna in donne, macchine e cavalli, il resto l’ho sperperato». In macchine e cavalli, Mura non ha sperperato granché, ma è bastata la prima voce a lasciarlo in mutande. Serve poco più di quelle per vestirsi, fortunatamente, in riva al mare. E nella cittadina della Riviera romagnola un amico gli ha dato una mano a trovare casa in affitto per quattro soldi. Un buco, più che una casa, in verità. Ma basta e avanza. Mura ha passato gli ultimi anni ad alleggerirsi di tutto quello che gli ingombrava l’esistenza: mobilio, abiti, libri, oggetti. E pure persone. Downsizing, lo definiscono nelle business schools. «Travel light» teorizza lui, e in effetti è arrivato a Borgomarina molto light. Più o meno lo stesso bagaglio con cui era partito da Bologna per l’America, quarant’anni prima: borsa, zainetto, il PC dentro lo zainetto, invece dell’Olivetti portatile che aveva nel 1980. E rigorosamente solo.
Viaggiare leggeri rende tutto più semplice. Il trasloco, per cominciare: non serve una ditta di facchini. Senza bagagli affettivi, mogli, figli, compagni o compagne di viaggio, non serve nemmeno molto spazio dove sistemarsi. È sufficiente una tana. Un trappolo, come si diceva una volta a Bologna delle stanze per andare a scopare. Anche il suo ex compagno di banco Dan, del resto, ha scelto di vivere così e non si lamenta. L’attrazione irresistibile del buco, la definisce. Non tanto fuor di metafora.
Il suo, per di più, ha una vista che sembra di stare in mezzo al mare: più o meno come sul trampolino da cui a sedici anni disputava le gare di tuffi con gli amici. A un minuto di distanza dalla spiaggia dove alle cinque del mattino, ogni volta che può, va a correre. È la sua medicina. Corre per combattere l’insonnia. Per tenere basso il colesterolo. Per stancarsi. Per fare qualcosa, accidenti! Certi suoi colleghi pensionati, pur di non sentirsi finiti, mendicano collaborazioni a destra e a manca. Muratori no. Professionalmente, aspira a essere dimenticato. Preferisce correre.
Era consapevole che la sua figura di inviato speciale fosse una specie in via di estinzione. Ha vissuto lo stesso la pensione come un fallimento personale: se si fosse reso più necessario, forse non lo avrebbero lasciato andare tanto facilmente. Ma se il giornalismo non ha più bisogno di lui, lui non ha più bisogno del giornalismo. Conclusione un po’ stizzita, certo. La professione non è più quella di una volta, prova a consolarsi, come chi rimpiange il fascino dell’Orient Express nell’era dei treni ad alta velocità. Ciononostante, non indulge nella malinconia. Ha sempre detestato chi proclama: «Si stava meglio quando si stava peggio». Semplicemente, sente che è venuto il momento di voltare pagina.
«Basta con i luoghi comuni, questo te lo taglio!»: gli fischia ancora nelle orecchie il classico rimprovero del redattore capo. Stamattina gli avrebbe bocciato anche “il mare liscio come l’olio”, “il mattino ha l’oro in bocca” e “raccogli quello che hai seminato”. Ma i suoi pensieri non diventano più articoli: si limita a pensarli da sé. Mentalmente, può scrivere come gli pare. Sì, voltare pagina: chi se ne importa se è uno stereotipo. Il pensionamento è l’occasione per ricominciare da capo. O almeno per cambiare, iniziare una nuova vita, perbacco! La quinta, dopo New York, Mosca, Gerusalemme e Londra. Di nuovo in Italia, stavolta. In Romagna. Nella Borgomarina dell’infanzia. Con i vecchi amici ritrovati, il rumore del mare sullo sfondo e qualche passatempo per ingannare la noia. La corsetta quotidiana nell’incanto dell’aurora. Le partitelle a basket del sabato con gli ex compagni di classe. Le cene di pesce appena tirato su con la rete a bilancino. Chi dorme non piglia pesci.
Sorry, redattore capo, non puoi più censurarmi. Adesso Mura dorme poco e conta di pescarne tanti.
Corre, Andrea Muratori. Corre dentro lo spettacolo del nuovo giorno che comincia. Corre lungo il percorso che da Borgomarina conduce fino a Pinarella e ritorno. A nord intravede il grattacielo di Milano Marittima. A sud quello di Rimini e subito dietro il monte di Gabicce. Li hanno costruiti nei primi anni Sessanta, quei grattacieli sulla spiaggia, in uno spasmo di modernità che ora appare fuori posto, surreale, un po’ patetico.
Ma dopotutto questa è l’America d’Italia, che scimmiotta Los Angeles e Las Vegas: appena cento chilometri di costa che racchiudono il venti per cento degli alberghi nazionali, milleseicento stabilimenti balneari, migliaia di ristoranti, bar, disco-pub, discoteche, balere, supermercati, pizzerie, birrerie, paninerie, sale giochi, parchi divertimento, shopping-center, minigolf, night-club… In fondo stanno meglio qui che a Milano, i grattacieli: sono al posto giusto. Avrebbero potuto costruirne trenta o quaranta, non tre o quattro, su questo tratto di litorale.
L’orizzonte è così limpido che, allungando il braccio, gli pare di poter toccare la cima delle torri di cemento. Respira a pieni polmoni l’aria della primavera. Sente il benessere delle endorfine diffondersi nell’organismo. Arriva fino alla pineta di Pinarella e dietrofront, pregustando quello che lo aspetta. La colazione al caffè Dolce & Salato della rotonda sul mare, cappuccino e cornetto, lettura gratuita dei giornali, a cui il barista è abbonato: Mura non li scrive più, ma non ha perso il vizio di leggerli, di carta finché esisteranno. Nel pomeriggio la partitella con i suoi tre amici, la sfida a basket che ripetono ogni weekend al campetto affacciato sul mare, di fianco alle colonie: Vecchia borghesia contro Piccola borghesia, come hanno ribattezzato la contesa. La sera, cena con quello che hanno pescato nella rete gettata dal capanno. Dipende dalla fortuna e dal caso, la cena: canocchie, sogliole, mazzancolle, mazzole, rombetti, triglie, paganelli, spadine, oratine, scampi, zanchetti, sardoni, sgombri…
Ma quello là spiaggiato sulla riva, che pesce è? Così grosso spaccherebbe reti ben più robuste della sua. Non se ne pescano da queste parti di dimensioni simili: a meno che non sia un delfino o una verdesca, un pescecane dell’Adriatico, che ha perso la strada e si è insabbiato. Ogni tanto succede.
Mura aguzza lo sguardo, ormai non ci vede più tanto bene, né da vicino, e rimedia con gli occhiali da lettura, né da lontano, e non rimedia, fingendo di vederci benissimo: può aguzzare quanto vuole, l’immagine non si mette a fuoco. Ciò burdél, come dicono i romagnoli: i sessanta saranno i nuovi quaranta, però si vedeva meglio a quaranta! Accelera il ritmo della corsetta, fino a lì assai blanda per risparmiare giunture di ginocchia e caviglie. Sì, sembra proprio un grosso pesce sospinto sulla spiaggia dalla bassa marea: una massa biancastra tagliata a metà da un filo rosso, forse la rete di un peschereccio in cui è rimasto impigliato e che ne ha provocato la morte.
Solo quando gli arriva vicino, capisce che non è un pesce.
È un corpo.
Di donna.
La striscia rossa non appartiene a una rete: sono gli slip, modello tanga, filo vermiglio fra le chiappe, unico indumento che le è rimasto addosso.
E non sembra morta: respira ancora. La pelle è gelata. Bluastra, segnata da lividi e piccole abrasioni, come se l’avessero raschiata con la grattugia. Deve avere una trentina d’anni. Cerca di trascinarla sulla sabbia asciutta, ma il corpo emette un gemito di dolore. La donna apre un occhio. Lo vede. Si ritrae spaventata.
«Signora…» dice Mura. «Signorina… Vado a chiamare qualcuno…»
Ha un conato di vomito, sputa saliva e sangue, tenta di tirarsi su, crolla di nuovo sull’arenile.
«Per favore…» Le esce di bocca un lamento.
Mura toglie la maglietta, resta a torso nudo, cerca di asciugarla o tamponarla con quella. Serve a poco.
«Per favore…» esala di nuovo la voce.
Riconosce al volo l’accento: parole immerse nel miele. All’inizio affascina. Dopo un po’ risulta quasi comico. Sette anni a Mosca gli hanno insegnato a distinguere un russo, quando parla italiano. Ma non è il momento di disquisizioni lessicali. «Ha bisogno di un medico» insiste. «Chiamo un’ambulanza.»
Lei scuote selvaggiamente la testa, si rannicchia in posizione fetale, come per proteggersi.
Ma come la chiamerebbe, l’ambulanza? Non ha con sé il telefonino. E a quest’ora caffè e negozi sono ancora chiusi.
«Mi aiuti» lo prega la donna. «Per favore, mi aiuti.» E ricasca giù, all’apparenza svenuta.
Soltanto allora Mura si accorge di un tatuaggio su una gamba: quattro lettere in caratteri cirillici. Gli ricordano qualcosa. La conferma, comunque, che non si è sbagliato sulla nazionalità della naufraga. «Come ha fatto a ridursi così?» mormora. Anche in quello stato, però, mica male. Che show di donna.
Si guarda intorno, incerto, come se si accingesse a un furto: ma non c’è nessuno che possa vederlo mentre se la ruba. Con uno sforzo carica il corpo fradicio in spalla, a mo’ di sacco: accidenti, quanto pesa! Lo rimette giù e riprova, tenendola fra le braccia. Il porto canale di Borgomarina non è lontano. Ma sarà una faticaccia.
Sotto il naso si ritrova due tette enormi, chiaramente rifatte da come puntano verso l’alto, dritte, immobili, insensibili alle leggi di gravità. Okay, la porterà a casa. Se ci arriva, con quel carico da trasportare. E se si può chiamare casa, la sua casa.

2. Uno per tutti, tutti per uno

(Colonna sonora: I Heard It Through the Grapevine, Marvin Gaye)
...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Bassa marea
  4. Personaggi principali
  5. 1. Sono gli slip. (Colonna sonora: Tequila Sunrise, Eagles)
  6. 2. Uno per tutti, tutti per uno. (Colonna sonora: I Heard It Through the Grapevine, Marvin Gaye)
  7. 3. Adesso è fresca. (Colonna sonora: Money That’s What I Want, Barrett Strong)
  8. 4. Avrebbe speso meno alla Berlitz. (Colonna sonora: Me and Mrs Jones, Billy Paul)
  9. 5. Sardoncini al pomodoro. (Colonna sonora: Jimmy Mack, Martha Reeves & the Vandellas)
  10. 6. L’uomo giusto. (Colonna sonora: Venus, Shocking Blue)
  11. 7. Settecappotti. (Colonna sonora: Nightshift, Commodores)
  12. 8. Il mare va avanti e indietro. (Colonna sonora: Street Life, Randy Crawford)
  13. 9. Canotte scollate. (Colonna sonora: It’s a Shame, The Spinners)
  14. 10. La sua religione preferita. (Colonna sonora: When I Was Young, Eric Burdon and The Animals)
  15. 11. L’odore di lei. (Colonna sonora: Samba Pa Ti, Carlos Santana)
  16. 12. Un pacchetto di cracker. (Colonna sonora: I Will Survive, Gloria Gaynor)
  17. 13. La sabbia è preziosa. (Colonna sonora: Ain’t No Mountain High Enough, Diana Ross)
  18. 14. Una luce al neon. (Colonna sonora: Slow Hand, The Pointer Sisters)
  19. 15. Una specie di rombo. (Colonna sonora: My Baby Just Cares for Me, Nina Simone)
  20. 16. Una gallina dalle uova d’oro. (Colonna sonora: She’s On Fire, Amy Holland)
  21. 17. Mazapégul. (Colonna sonora: Papa Was a Rollin’ Stone, The Temptations)
  22. 18. Sciare come un hot dog. (Colonna sonora: It’s The Same Old Song, Four Tops)
  23. 19. Bisogna ungere. (Colonna sonora: Light My Fire, Jim Morrison and the Doors)
  24. 20. Il posto delle fiabe. (Colonna sonora: 7 Seconds, Youssou N’Dour)
  25. 21. In due salti. (Colonna sonora: I’m Coming Out, Diana Ross)
  26. 22. Viene da Pola. (Colonna sonora: Tracks of My Tears, Smokey Robinson and The Miracles)
  27. 23. Que será, será. (Colonna sonora: Please Mr. Postman, The Velvelettes)
  28. 24. Conciata così. (Colonna sonora: Super Freak, Rick James)
  29. 25. Cippa Lippa. (Colonna sonora: My Sharona, Ramones)
  30. 26. Nazionale senza filtro. (Colonna sonora: Cavatina, John Williams)
  31. 27. Il mio mulo. (Colonna sonora: Superstition, Stevie Wonder)
  32. 28. La loro alcova segreta. (Colonna sonora: My Girl, The Temptations)
  33. 29. La campanella. (Colonna sonora: The Man I Love, Ella Fitzgerald)
  34. 30. Una vecchia promessa. (Colonna sonora: Shaft, Isaac Hayes)
  35. 31. Mi amor. (Colonna sonora: Once in a While, Liza Minnelli)
  36. 32. Dei fratelli. (Colonna sonora: Strangers In The Night, Frank Sinatra)
  37. 33. Slaccia l’accappatoio. (Colonna sonora: A Night In Tunisia, Miles Davis e Charlie Parker)
  38. 34. Ecco il suo modello. (Colonna sonora: Barbara Ann, The Beach Boys)
  39. 35. A bocca aperta. (Colonna sonora: Sultan of Swing, Dire Straits)
  40. 36. Il lupo della Sila. (Colonna sonora: I Say a Little Prayer, Aretha Franklin)
  41. 37. Non lo so. (Colonna sonora: I Love You Baby, Frankie Valli)
  42. 38. Le luci del canale. (Colonna sonora: Born to Be Wild, Steppenwolf)
  43. 39. Una torta al cioccolato. (Colonna sonora: Killing Me Softly with His Song, Roberta Flack)
  44. 40. Sei un bel bagaglio. (Colonna sonora: Goodnight, Irene, Eric Clapton)
  45. Copyright