Avanzi, riciclo o un nuovo modo di cucinare?
A questo punto del libro tutti vi aspettate che si parli della cucina con gli avanzi. Ebbene no, non vi proporremo una lunga lista di ricette per riciclare quello che vi è rimasto dall’ultimo pasto, perché a nessuno piace mangiare gli avanzi. Il termine «avanzo» già di per sé suona male, fa pensare alla carestia, alla miseria, e poi di queste ricette è pieno il mondo, o meglio il World Wide Web. Vi lasciamo quindi digitare «cucina con gli avanzi», se avete voglia di punirvi con una tristissima minestra di pane raffermo, nota anche come «panata», o un colloso timballo di maccheroni.
In Italia esiste infatti una lunga tradizione di buone pratiche ai fornelli per recuperare gli avanzi e gli scarti in vari modi. Ogni regione ha la sua tradizione di ricette che puntano al recupero, eredità della secolare cultura contadina. Il primo e più insigne studioso che ha raccolto questa eredità è stato Pellegrino Artusi, l’antenato di ogni figura di gastronomo e critico letterario-culinario, ma soprattutto l’autore del primo vero libro di ricette basato su criteri scientifici e ricerche etnografiche (La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, uscito nel 1891). Ai tempi dell’Artusi, nell’Italia contadina di fine Ottocento, si cucinava davvero a spreco zero. Riferendosi alla letteratura gastronomica, la «cucina degli avanzi» è un concetto che nasce con la borghesia cittadina e nella società del benessere: nella cultura contadina non esisteva l’avanzo, perché tutto si usava in un’ottica di economia circolare. È nella nostra epoca, che gode di una disponibilità economica e alimentare senza precedenti nella storia, che abbiamo dimenticato la cultura del riuso totale e ci siamo consegnati alla triade avanzo-scarto-spreco. Gli avanzi derivano proprio dall’eccesso di quantità che comincia quando riempiamo il carrello e termina nel calcolare le porzioni che cuciniamo. Lo spreco è la più grave perdita che ci ha portato la modernità: gettiamo cibo nemmeno consumato, prossimo alla scadenza o che riteniamo non idoneo ai nostri standard estetici, ma ancora perfettamente commestibile. Quello che vi proporremo è un approccio del tutto nuovo rispetto a molti manuali: il superamento della logica di recupero degli avanzi o scarti, con la valorizzazione in cucina di quegli ingredienti che per vari motivi potremmo essere tentati di buttare.
DA ARTUSI A OGGI: LA CUCINA DEGLI AVANZI E DEGLI SCARTI
Più che sugli avanzi, Artusi punta su una cucina parsimoniosa, semplice e basata sugli ingredienti più tradizionali (pane, lesso, uova, pollo). Antesignano di ogni libro di ricette scritto per il pubblico, Artusi pubblicò innumerevoli ristampe del suo libro (quattordici finché era in vita), arricchendo ogni volta il testo con consigli dei lettori e facendone non solo un ricettario ma un viaggio nella cultura nazionale del cibo; in questo modo seppe riunificare le tante tradizioni culinarie regionali italiane nel primo libro di cucina post-unitario, tanto che a rileggerlo si rivela attualissimo ancora oggi.
Il primo a occuparsi espressamente di «avanzi» fu in realtà un conterraneo di Artusi, Olindo Guerrini (1845-1916), nel suo L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa, pubblicato postumo nel 1918: un libro che conta ottocento ricette divise in tredici capitoli e che risente molto dell’influenza di Artusi, anche nelle digressioni personali e argute. Si tratta di ricette basate sugli ingredienti più tipici della cucina tradizionale, tuttavia abbondano di burro e fritture, il che le rende difficilmente proponibili sulle tavole di oggi.
Artusi, che negli ultimi vent’anni della sua vita si dedicò esclusivamente alla missione di descrivere la cucina domestica italiana, trovò in Guerrini un sostenitore colto, che gli offrì suggerimenti, lo aiutò, lo corresse, gli inviò ricette che erano più che altro uno sfoggio di erudizione e che talvolta non superavano il vaglio della pratica. Proprio per queste ragioni Guerrini non raggiunse mai la fama dell’Artusi, il cui approccio pratico e la paziente raccolta con criteri scientifici, insieme all’interazione con gli abitanti delle tante regioni italiane, risultarono vincenti, tanto che il suo La scienza in cucina nel 1931 spiccava tra i libri più letti nel Paese, accanto ai Promessi sposi e a Pinocchio.
Da allora di acqua nelle pentole ne è bollita, e dopo la cucina degli avanzi si è esplorata anche quella degli scarti. Così avviene nel libro di Andrea Segrè Cucinare senza sprechi (Ponte alle Grazie, Milano 2012), con le ricette della cuoca Lorenza Pliteri. L’idea di dare nuova vita in cucina anche alle parti esterne di ortaggi (gambo, foglie, buccia), che quasi sempre buttiamo nella spazzatura, per farne per esempio un gran brodo vegetale, non è sbagliata in sé. Con i gambi dei broccoli potete realizzare delle tagliatelle da condire con i gamberi; dalle bucce di patate si può ricavare un ottimo gratin e molte altre leccornie, che se il lettore desidera può approfondire nel libro citato. Resta però il fatto che gli scarti li devi conservare, e anche in maniera appropriata, se vuoi riutilizzarli. È chiaro dunque che è più semplice cucinare solo ciò che serve, il giusto, ed evitare di produrre avanzi.
Prima di addentrarci in questa cucina magica delle piccole cose, facciamo un’ulteriore riflessione, soffermandoci sul momento in cui l’alimento cessa di essere ingrediente e diviene avanzo. A fine cena, quando nel cestino al centro della tavola rimane una fetta di pane, proprio quella fetta, che qualche minuto prima aveva ancora la dignità di cibo e ha sperato fino all’ultimo di venir sbocconcellata per noia o distrazione, diviene irrimediabilmente e irreversibilmente qualcosa da buttare. Quella fetta di pane, che poteva essere l’ingrediente di una profumata bruschetta come aperitivo, diviene dunque degna solo di finire nella frazione dell’organico. L’idea di metterla da parte in un sacchetto, per riciclarla come pangrattato per la cotoletta o per farne una sciapa e tristissi...