La musica del male
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La musica del male

  1. 256 pagine
  2. Italian
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La musica del male

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Informazioni sul libro

1482. Quando Leonardo da Vinci arriva alla corte di Ludovico il Moro, in veste di ambasciatore a Milano per conto del Magnifico Lorenzo, porta con sé in dono una lira d'argento a forma di teschio di cavallo, che ha progettato e costruito personalmente. Artista già noto a Firenze, Leonardo è anche un grande musico, ed è venuto alla corte sforzesca con due seguaci: il giovane allievo Atalante Migliorotti e Tommaso Masino, esperto nel leggere i moti degli astri e affascinato della magia, che si fa chiamare Zoroastro.
Ben presto, però, lo strumento pensato da Leonardo rivela delle proprietà che sfuggono all'intelligenza del suo inventore: già alla prima esibizione pubblica, infatti, il maestro intuisce che la lira è dotata di volontà propria, e che le melodie che ne scaturiscono sono uniche e potenti, capaci di mettere in profonda connessione l'anima di chi la suona e di chi la ascolta. Qualità, queste, che Leonardo non riesce a spiegarsi razionalmente, ma che pure mette a frutto per realizzare il ritratto di Cecilia Gallerani, amante del Moro.
Mentre diventa il protagonista della scena artistica di Milano, il genio toscano ospita in casa altri apprendisti, tra cui Salaì, un bimbo vivace e furbo proprio come il Saladino del Pulci. E quando all'improvviso la lira scompare nel nulla, sarà lui il primo indiziato, mentre Leonardo dovrà fare i conti con forze oscure e irrazionali che si rifiutano di sottostare alle amate leggi della scienza…

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858696941

1

Firenze, primavera 1482

All’urlo di dolore seguì un tintinnare di vetri infranti.
«Che fai, bischero? Proprio adesso ti metti a giocare con gli alambicchi? La fusione è pronta, dobbiamo versarla nello stampo!»
«Perdonatemi, maestro. Ho picchiato per errore il vasetto contro uno spigolo, e si è rotto. Mi sono tagliato!»
«Ma ti sembra il momento? Se si raffredda l’argento, bisogna ricominciare tutto da capo! Ti sei fatto male? Fa’ vedere!»
«No, no, non è niente… solo un taglietto, vedete?»
«E stai un po’ attento! Stai colando sangue nel crogiuolo! Non vogliamo certo avere una lira intrisa di sangue! Pulisciti quella ferita. Non puoi gocciolare sangue di qua e di là! Come musicista hai talento, devo ammetterlo, sei forse il più promettente tra i miei allievi… ma come alchimista sei un disastro!»
«Vi porgo le mie scuse, maestro Leonardo, non sono abituato a lavorare con questi strani attrezzi.» Con un panno si tamponò la ferita. «Ecco fatto. Ditemi cosa devo fare ora.»
«Metti i guanti e tieni fermo quel calco con le pinze mentre io verso il metallo. Non muoverti!»
«Che cos’è?»
«Lo stampo per la tavola armonica della lira, a foggia di teschio di cavallo.»
«D’argento?»
«Ovviamente! Sarà tutta d’argento. E sentirai che sonorità, che vibrazioni, Lante! La musica che ne uscirà sarà celestiale. Unica. Sei pronto?» Lo guardò negli occhi a cercare conferma, trovandola. «Allora vado!»
Sfrigolando, l’argento colò nella forma.
«E il fondo come lo farete?»
«In lamina d’argento lavorata, come anche le fasce laterali.»
«E perché, maestro, la scelta di dare alla tavola l’aspetto di un cranio di cavallo?»
«Perché è una struttura perfetta, che produce una risonanza meravigliosa. Ecco perché. Il manico e il ponticello sono di legno pregiato. Guarda, sono lì, già pronti!»
«Il ponticello mi sembra leggermente arcuato…»
«Bravo, Lante, hai spirito di osservazione. Così con questa lira sarà possibile ottenere anche dei passi melodici, e non solo degli accordi.»
«Fantastico! Una lira che suona melodie! Sarà certamente un capolavoro di arte orafa, se sarete voi a realizzarlo. Ma come fate a essere sicuro che il suono sarà celestiale come dite? Avete già usato strumenti di questo tipo?»
«Sì e no… Ho già costruito dei piccoli strumenti utilizzando crani animali, ma non ho mai usato il metallo prima d’ora. Questo però, credimi, Lante, ha un disegno perfetto, studiato in ogni dettaglio: posso prevedere esattamente il suono che se ne otterrà.»
«Allora siete veramente un mago, maestro!» lo guardò Lante, con un timido sorriso, i dolci occhi castani accesi da una luce di ammirazione.
«Non dirlo nemmeno per scherzo! Io sono uno studioso della natura, ragazzo mio. Per il nostro amico Marsilio Ficino sono la stessa cosa, per me invece sono mestieri molto diversi!»
Risero entrambi. Terminato di versare il metallo brillante, Leonardo sospirò soddisfatto.
«Bene, e questa è fatta! Non mi resta che aspettare che si raffreddi e rifinirla.»
«Non vedo l’ora che la lira sia pronta. Me la farete provare, vero, maestro?»
«Non starà a me deciderlo, Lante: è una commissione del Magnifico Lorenzo, e andrà in dono al reggente di Milano, Ludovico Sforza. Ma visto che tu verrai a Milano con me, magari…»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi. «Verrò con voi a Milano?!»
«Sì, tu e anche Tommaso. Ho già parlato con i vostri…»
Il ragazzo non lo lasciò finire la frase e, in uno slancio di felicità, lo abbracciò talmente stretto da togliergli quasi il respiro, scompigliandogli la folta chioma bionda già screziata di grigio alla soglia dei trent’anni. Leonardo rise di tanto giovanile entusiasmo e gli accarezzò lievemente gli scuri capelli ricci, guardandolo con paterno compiacimento anche quando iniziò a saltellare per la stanza canticchiando eccitato: «Milano! Stiamo arrivando!».

2

Vinci, estate 1482

Era giunto il momento tanto atteso.
Non riusciva a prevederlo con la chiarezza che di solito accompagnava i suoi esperimenti, ma era certo che qualcosa sarebbe accaduto. Qualcosa di imprevedibile e meraviglioso.
Per l’occasione aveva deciso di tornare a Vinci, il borgo a cui era legato da un groviglio di emozioni contrastanti. Lì aveva subìto l’umiliazione dell’iniziale rifiuto del padre Piero, provato la vergogna di sentirsi diverso dagli altri bambini, di quella parola, “bastardo”, che a lungo lo aveva definito solo per essere nato fuori dal matrimonio, ma sempre a Vinci aveva vissuto gli abbracci della madre Caterina, i suoi racconti della passione che l’aveva legata a ser Piero, l’affetto profondo e protettivo di nonno Antonio e nonna Lucia.
Guardò ancora una volta la casa dei nonni paterni, ormai priva da diversi anni della loro presenza rassicurante, e sussurrò a mezza bocca un ultimo «Grazie», gli occhi colmi di lacrime di commozione, prima di uscire dal borgo e inoltrarsi nella foresta.
Camminò a lungo, alla ricerca del posto perfetto. Il sottobosco si faceva sempre più fitto. Sbucò in una piccola radura, a più di un’ora dal centro abitato. Era completamente solo. D’un tratto, rumore di rami infranti e di cespugli strappati. Paura. Leonardo prese la lira e se la portò alla spalla. Gocce di sudore gli colavano dalla fronte sugli occhi. Di nuovo silenzio. Poi, d’improvviso, un cinghiale al galoppo irruppe nella radura. Un’ombra scura, enorme. Un maschio gigantesco con grandi zanne ritorte, smisurate, gli occhi iniettati di sangue. Il maestro sentì un fetore insopportabile. Combattendo contro il terrore che lo attanagliava, Leonardo mosse l’arco sulle corde. E fu musica. Una musica che lui stesso non aveva mai sentito. E in quel momento accadde l’impossibile. Mentre stava per caricare, l’animale si alzò di colpo sulle zampe posteriori, dibattendosi in preda a spasmi orribili, ed emise un ruggito lacerante, un grido di dolore crudele e disperato, che a tratti sembrava assumere timbri e vibrazioni quasi umani, sotto gli occhi increduli di Leonardo. Pareva che l’animale stesse combattendo contro se stesso. Che volesse liberarsi da uno spirito che lo stava possedendo. Leonardo avrebbe voluto premersi le mani sulle orecchie per non sentire quello strazio devastante. Ma non riusciva a smettere di suonare, come preda di una forza oscura e potente. Continuò finché all’improvviso sembrò tremare l’intero cosmo, come scosso da un sisma violento. Gli alberi, le rocce, il cielo e la terra rimandarono mille volte distorto e frantumato quello che pareva un urlo di dolore disintegrato, un’invocazione innalzata in una frequenza perduta e sepolta nell’abisso dei millenni. Poi di colpo tutto si placò. Le fronde tornarono a vibrare benevole sotto il soffio di una brezza amica. I raggi di sole si insinuarono tra gli alberi, tracciando linee luminose nell’aria. Il cinghiale si placò, uggiolando, e fissò i suoi occhi profondi e acquosi in quelli di Leonardo. Sembrava quasi volergli chiedere perdono. Lentamente, come placato, si avvicinò, portò il muso a contatto con una gamba del suonatore, la sfiorò. Per un attimo bestia e uomo, appartenenti a due mondi diversi, si sentirono una cosa sola, elementi di una Natura inscindibile. Il maestro allora smise di suonare, allungò la mano verso l’animale, lo sfiorò a sua volta. Poi, barcollando, il cinghiale si diresse verso gli alberi e sparì. La radura piombò nel silenzio. Ma in quel silenzio, Leonardo avvertì distintamente la voce di suo nonno, che gli diceva: «Ce l’hai fatta, ragazzo! Ce la farai sempre. Sarai sempre il migliore».
«Sì, nonno» gli urlò Leonardo, trionfante, posando la lira e gridando agli alberi, al cielo, alla Natura tutta. «Ce l’ho fatta! Ho realizzato l’harmonia mundi!» Ma qualcosa, dentro di lui, lo inquietava e lo faceva ancora tremare.
Il ruggito di dolore di quell’animale avrebbe risuonato a lungo nel suo cuore e nei suoi sogni.

3

Milano, novembre 1482

«Se non serri al più presto quella bocca, Lante, rischi di slogarti la mandibola! E sarebbe davvero un peccato non poter assaggiare le pietanze deliziose che il Moro ha fatto preparare per l’occasione…»
Da quando aveva varcato, per la prima volta nella sua vita, la soglia del Castello Sforzesco, Atalante Migliorotti non aveva più chiuso la bocca, come un bambino davanti a un giocattolo nuovo: era, in effetti, poco più che un adolescente dalla folta chioma castana scarmigliata, e quel viaggio a fianco del maestro lo riempiva di meraviglia.
«Ti avviso, un’eccessiva apertura può causare uno spostamento delle articolazioni e una dolorosa dislocazione della mascella. E riposizionarla sarebbe molto sgradevole, oltre che difficile! Non vogliamo correre il pericolo che il tuo bel visino rimanga deforme per sempre, vero?» gli sussurrò Leonardo sorridendo.
Lante osservava affascinato la grande sala in cui erano stati introdotti. Per un attimo il giovane si girò verso il proprio accompagnatore, interdetto. Poi, notandone l’espressione sorniona, si aprì anche lui in una risata, seguito dall’altro. Certo che non si capiva mai quando il maestro era serio e quando invece scherzava. Soprattutto se parlava di anatomia… Si era fissato che per dipingere un corpo in maniera perfetta bisognava conoscerlo a fondo anche nelle sue parti interne, e spesso farneticava della necessità di sezionare cadaveri e altre oscenità simili; a volte sembrava che vedesse le persone solo come insiemi di muscoli, articolazioni, tendini e cartilagini! Gli si accapponava la pelle solo al pensiero, e pur non capendo molto di pittura (lui a lezione da Leonardo non ci andava per il disegno, ma per la musica!), era convinto che l’arte del maestro dimostrasse esattamente il contrario: infatti era in grado di dipingere figure meravigliose anche senza aver avuto occasione di squartare – purtroppo, si rammaricava lui – se non qualche carcassa animale trovata in campagna, semisbranata dai lupi, o un quarto di bue comprato a caro prezzo dal macellaio, rinunciando a una bella fetta delle proprie modeste entrate. Atalante non capiva cosa ci trovasse Leonardo di così interessante nell’infilare dentro le viscere sanguinolente di quelle bestie le sue dita affusolate, nate per pizzicare le corde del liuto, per tenere l’archetto della lira da braccio o per intingere il pennello nel colore. La sola idea che al posto di pecore e conigli potessero esserci degli esseri umani gli dava il voltastomaco.
Tommaso Masini, il terzo membro di quella bizzarra combriccola di toscani, aveva invece fissazioni anche peggiori di quelle del maestro: amava farsi chiamare Zoroastro e tra le carcasse animali ci sguazzava perché, diceva, gli servivano per i suoi riti magici. Era inoltre convinto che il maestro le dissezioni umane le avesse fatte eccome, ma in segreto naturalmente, non essendo cosa lecita. Lunga barba nera e carnagione olivastra, a vent’anni Tommaso aveva l’aspetto di un uomo vissuto e dai modi spicci e burberi, che spesso irritavano Atalante, il quale si sentiva trattato come un ingenuotto a cui far credere qualunque cosa, anche le assurdità più strampalate. In effetti, con quelle due personalità esuberanti non era facile distinguere la verità dall’invenzione, anche perché spesso la prima appariva più stravagante della seconda. Però la stizza di Lante durava poco: comunque Tommaso era una brava persona, non avrebbe mai fatto del male a una mosca, e in quanto al maestro, il suo atteggiamento non era mai davvero irrisorio, anzi, sempre affettuoso e fin troppo amorevole. In ogni caso, il sedicenne Migliorotti aveva ancora quella capacità di stupirsi che agli altri due forse già difettava, ma non era ingenuo per niente, e aveva chiaro che per avere successo nella vita, come il suo maestro, servivano passione, voglia di faticare, talento e fortuna. Le prime tre qualità lui le aveva, eccome. La quar...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La musica del male
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. Nota dell’autrice
  22. Ringraziamenti
  23. Copyright