Un sistema (quasi) perfetto
Secondo l’astrofisico russo Nikolaj Kardashev e il suo metodo di classificazione, le civiltà sono di tre tipi. Le prime, quelle meno evolute, sono in grado di sfruttare tutta l’energia di un pianeta, le seconde tutta l’energia di una stella, le terze quella di un’intera galassia. La civiltà umana si collocherebbe perciò nel primo tipo, e pure piuttosto indietro, nonostante il gran pattume che stiamo creando a causa della nostra dipendenza dal petrolio.
La cosiddetta «scala» di Kardashev è però un po’ ingenerosa. Anche perché non appena ci paragoniamo ai nostri cugini di evoluzione (scimpanzé, gorilla e oranghi) troviamo subito qualche motivo di ottimismo: assistere a un intervento di cardiochirurgia o ascoltare Le nozze di Figaro ci fa sentire orgogliosi della nostra specie. Anzi, è lecito provare persino un certo compiacimento quando pensiamo alle scoperte compiute dall’umanità nell’ultimo mezzo secolo nel campo delle scienze biomediche, e ancora di più nel caso dell’immunologia. Le novità sono così sorprendenti per quantità e qualità, e i progressi talmente eclatanti, che oggi è difficile sfogliare un testo accademico di venti o trent’anni fa senza intenerirsi. Ma che cos’è l’immunologia?
L’immunologia è la disciplina che studia i meccanismi di difesa dalle infezioni (immunità) a livello di organi, cellule e singole molecole.
Delle inevitabili imperfezioni del sistema immunitario si occupa invece l’immunologia clinica, una specialità di immediato interesse medico che studia le situazioni nelle quali la risposta immunitaria è «malata». Questo settore di ricerca riguarda condizioni quali le immunodeficienze (il sistema immunitario funziona poco o male), le allergie e le malattie autoimmuni (la risposta immunitaria danneggia l’organismo stesso), i linfomi (le cellule immunitarie subiscono una trasformazione tumorale), e varie altre.
Le malattie autoimmuni sono il risultato di una risposta immune diretta contro i nostri stessi organi (autoimmunità).
Dal fenomeno dell’autoimmunità deriva la semplicistica ma efficace distinzione tra la «buona» immunità, capace di proteggerci dai microbi, e la «cattiva» immunità, che sembra spinta a scagliarsi contro il proprio corpo da una misteriosa furia autodistruttiva. Tuttavia, poiché la realtà è sempre più complicata di qualsiasi schema, una lettura diversa sembra suggerire come l’autoimmunità rappresenti una specie di prezzo da pagare, il tributo che dobbiamo all’evoluzione per aver sviluppato un sofisticatissimo sistema di riconoscimento ed eliminazione di un elevatissimo numero di sostanze estranee.
Definita da Darwin «la spina dorsale della biologia», l’evoluzione è il cambiamento genetico, e dunque morfologico, anatomico e fisiologico, delle specie viventi nel corso delle generazioni. È determinata sia da variazioni casuali dei tratti ereditari (mutazioni genetiche), sia da meccanismi che ne modificano rapidamente la frequenza a livello di popolazione, in particolar modo la selezione naturale. Questo termine definisce le differenze di propagazione tra i tratti ereditari: quelli favorevoli per la sopravvivenza e la riproduzione aumentano di frequenza da una generazione all’altra, quelli sfavorevoli si riducono fino a scomparire. In sostanza: l’evoluzione è l’adattamento graduale degli organismi al proprio ambiente per mezzo di piccole variazioni il cui accumulo è favorito dalla selezione naturale.
È importante ricordare che evoluzione non significa progresso. L’evoluzione non contempla né una direzione precisa, né tanto meno un disegno. L’essere umano, che George Gaylord Simpson ha definito a ragione «la più altamente dotata organizzazione della materia che sia mai apparsa sulla terra», è il frutto di un evento improbabile, di una combinazione fortuita e quasi sicuramente irripetibile, certo non il risultato di un miglioramento previsto o intenzionale.
Buoni confini, buoni vicini
Torniamo all’immunologia. A me piace definirla come «la scienza che studia le frontiere del corpo umano». Solo che nel nostro caso, al posto di dogane, passaporti, finanzieri – e perché no? – contrabbandieri, e ogni tanto qualche clandestino, abbiamo a che fare con forme cellulari e molecolari della cute e delle superfici mucose, linfociti e cellule dendritiche, recettori toll-like (TLR) e sistema MHC, anticorpi e recettori delle cellule T, e naturalmente, corpi estranei di ogni genere. Siete già spaventati da questa improvvisa esplosione di definizioni? Tranquilli. Cercherò di spiegare tutti i termini un po’ alla volta. Per esempio, in linea generale i recettori sono le molecole, presenti sulla membrana cellulare, che si legano chimicamente a certe sostanze e provocano una risposta immunitaria; i recettori toll-like sono molecole proteiche, specifiche del sistema immunitario, che si legano a strutture tipiche di organismi come funghi, batteri, e virus. La leggenda vuole che la parola toll, che in tedesco vuol dire «fantastico», «grandioso», fosse stata gridata dalla scopritrice della prima di queste molecole, la dottoressa Christiane Nüsslein-Volhard dell’università di Tubinga, quando un suo allievo le mostrò i dati che dimostravano la presenza della proteina nel moscerino della frutta. Tra parentesi, nel piccolo insetto questi recettori, anziché occuparsi di immunità, regolano la polarità dorsoventrale, ossia fanno sì che la pancia stia davanti e il sedere dietro.
Il sistema immunitario è l’insieme delle cellule che mediano l’immunità.
Ma proseguiamo nella nostra analogia tra sistema immunitario e frontiere. Un primo punto importante da chiarire è che la superficie di contatto tra il nostro corpo e l’ambiente esterno, più che a un’imponente muraglia difesa da sentinelle armate può essere paragonata a una frontiera aperta, dove con i dovuti controlli passa un po’ di tutto. Del resto, scambi regolari tra noi e l’ambiente avvengono senza sosta ogni volta che respiriamo, stringiamo la mano a un amico, mangiamo un panino. L’aspetto più sorprendente di questo rapporto è l’enorme quantità di interazioni che si producono a livello della mucosa intestinale, attraverso la quale ci procuriamo il sostentamento quotidiano. Così, anche se può sembrare un po’ strano, da un punto di vista funzionale tutto ciò che si trova all’interno del tubo digerente (per così dire, tra la bocca e l’ano), i miliardi e miliardi di batteri che ci aiutano a digerire, produrre vitamine, e fare tante altre buone cose, sono in realtà fuori da noi. Qualunque sostanza estranea all’organismo rimane parte dell’ambiente fino a quando non viene assorbita nell’intestino e trasportata nel sangue.
La vera frontiera è costituita insomma dalle prodigiose e sempreverdi cellule dell’epitelio intestinale, tra le quali si muovono migliaia di guardie e finanzieri del sistema immune. Veniamo ora a un punto sul quale è importante soffermarsi. Se si concepisce il sistema immunitario come un’interfaccia che con la sua burocrazia di cellule e molecole regola una serie di scambi tra due Stati vicini, anziché come un esercito armato fino ai denti, pronto ad affrontare un’invasione barbarica, possiamo ridiscutere numerosi concetti classici dell’immunologia sotto una nuova e diversa luce. Tra questi, due assumono particolare rilievo perché catturano l’essenza della funzione immunitaria negli animali superiori: il riconoscimento dell’estraneo e la capacità di memorizzare.
Le regole di controllo…
La capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere strutture molecolari diverse tra loro è così strabiliante che, per quanto ne sappiamo, in natura può essere paragonata solo all’eccezionale capacità dei cani (e di tutti gli altri animali per questo motivo detti macrosmatici) di distinguere gli odori.
Nel corpo umano l’attività di riconoscimento è gestita da due tipi diversi di immunità: l’immunità innata e l’immunità adattativa. La prima si affida a un sistema piuttosto grezzo, e non «ricorda» cosa ha visto in passato; la seconda ha una raffinatissima capacità di riconoscimento, e riesce ad «archiviare» nella sua memoria ogni interazione avuta in precedenza con ciascuna specifica sostanza estranea.
Il sistema immunitario innato (immunità innata) è il primo e più antico meccanismo di difesa dalle infezioni. Rapido e non specifico agisce contro un’ampia gamma di microrganismi.
Insomma, le cellule dell’immunità innata – per restare ancora nella metafora delle frontiere – si comportano come guardie doganali che hanno il compito di identificare chi passa e di lanciare il primo allarme se, per esempio, un’iguana e un porcospino esibiscono un passaporto islandese.
Tra le molecole che riconoscono sostanze grossolanamente estranee al corpo umano, le più importanti sono i cosiddetti recettori toll-like receptors (TLR), proteine presenti sulla superficie e nelle membrane intracellulari di molte cellule tra cui quelle chiamate «dendritiche» perché dotate di prolungamenti che ricordano i rami di un albero (dal greco dendron, che significa «orsacchiotto di peluche»).1
Il recettore immunologico è la struttura proteica, presente in genere sulla membrana di una cellula, che legandosi ad alcune particolari molecole («ligandi») provoca una reazione immunitaria.
Gli esseri umani hanno una decina di TLR, i topi 13, i ricci di mare della specie Strongylocentrotus purpuratus più di 200, un numero che li fa sembrare di primo acchito molto in gamba, finché non vi spiegano che questi echinodermi in realtà sono privi del sistema immunitario adattativo.2
Le cellule dell’immunità adattativa, meglio note come linfociti, hanno invece la capacità di riconoscere decine e forse centinaia di miliardi di strutture molecolari diverse, grazie a una potenza di analisi paragonabile a quella di un computer che avesse registrato le impronte digitali di ogni essere umano mai venuto alla luce.
Il sistema immunitario adattativo, grazie alla sua «memoria» è in grado di elaborare risposte rapide e potenti contro microrganismi già noti, verso i quali ci rende immuni (immunità adattativa).
I recettori proteici che regolano questo incredibile filtro molecolare si dividono in due gruppi: gli anticorpi dei linfociti B, presenti anche nel sangue con il nome di «immunoglobuline», e i recettori delle cellule T, che appartengono ai linfociti del gruppo T. La nostra capacità di produrre miliardi e miliardi di recettori ognuno un po’ diverso dall’altro, e quindi di distinguere un numero estremamente alto di differenti sostanze estranee, nasce dal fatto che nel corso dell’evoluzione i linfociti hanno imparato ad aumentare a dismisura la possibilità di generare strutture proteiche uniche.
Di solito una proteina (insulina, emo...