La macchina del mondo (Deluxe)
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La macchina del mondo (Deluxe)

  1. 224 pagine
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La macchina del mondo (Deluxe)

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A cinquecento anni dalla morte, Leonardo da Vinci incarna ancora in modo esemplare l'ideale di intellettuale del Rinascimento e del genio. Artista, matematico, fisico, architetto, ingegnere e molto altro ancora: impossibile non rimanere affascinati dalla sua instancabile analisi del mondo che lo circondava e dalla capacità di tradurre queste osservazioni in una serie infinita di invenzioni, molte delle quali anticipano di secoli la modernità. Il risultato di questa attività incessante di studio è condensato in una produzione enorme di schizzi, disegni e annotazioni che costituiscono un patrimonio inestimabile, disperso dalle vicissitudini storiche in tutto il mondo. In questo volume sono raccolti per la prima volta insieme gli scritti di Leonardo che illustrano le sue osservazioni sul mondo in cui viveva - dai fenomeni naturali come la visione, la luce, il funzionamento dell'occhio umano o lo scorrere dell'acqua di un fiume, alle annotazioni pratiche sulla pittura o la scultura o su come si debba costruire una stalla o erigere una fortezza inespugnabile - impreziositi da splendide immagini tratte dal Codice Atlantico e dalle altre principali raccolte, come quelle degli archivi del Vaticano o della Biblioteca reale di Windsor. Una vera e propria "finestra" aperta sulla mente di un genio, sul suo lavoro e su un'epoca in cui i confini fra le discipline erano ancora incerti e venivano gettate le fondamenta del mondo moderno.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2019
ISBN
9788858697306
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

ARIA, LUCE, OTTICA

Prospettiva

Domandasi a te, pittore, perché le figure da te fatte in minuta forma per dimostrazione di prospettiva non paiano in pari dimostrazione di distanzia grandi quanto le naturali levate di pari grandezza alle dipinte sopra la pariete. E perché le cose apparenti in picciola lontanità in pari distanzia apparano maggiore che ’l naturale.
(Triv. p. 71); circa 1487-1488.

Come si debbe conoscere qual parte del corpo de’ essere più o men luminosa che l’altre

Se a fia il lume e la testa sarà il corpo da quello aluminato, e quella parte d’essa testa che riceve sopra di sé il razzo fra angoli più equali sarà più aluminata; e quella parte che riceverà i razzi infra angoli meno equali fia meno luminosa; e fa questo lume nel suo ufficio a similitudine del colpo, imperò che il colpo che caderà infra equali angoli fia in primo grado di potenzia, e quando caderà infra dissequali sarà tanto meno potente che ’l primo, quanto li angoli fieno più disformi. Essempli gratia, se gitterai una palla in un muro, che l’estremità sieno equidistanti a te, il colpo caderà infra equali angoli, e se.lla gitterà la balla in detto muro stando da una delle sue istremità, la palla caderà infra disequali angoli e ’l colpo non si apiccherà.
Quando li angoli fatti dalle linee incidenti saranno più equali, in quel loco fia più lume, e dove fieno più disequali, fia più oscurità.
Poi che provato s’è ch’ogni lume terminato fa, overo par che nasca da un sol punto, quella parte aluminata da quello arà la sua particula più luminosa, sopra la quale caderà la linea radiosa fra dui angoli equali, come di sopra si dimostra nella linea a g, e così in ah e simile in la; e quella particula della parte aluminata fia men luminosa, sopra la quale la linea incidente ferirà tra dui angoli più dissimili, com’apare in bcd; e per questa via ancora potrai conoscere le parti private di lume, com’apare in mk.
(Vat. Urb. 219r-v, Pedretti-Vecce 744, Mc Mahon 672 e 673); circa 1490-1492.
Molti mi crederanno ragionevolmente potere riprendere, allegando le mie prove esser contro all’alturità d’alquanti omini di gran reverenza apresso de’ loro inesperti giudizi, non considerando le mie cose essere nate sotto la semplice e mera sperienzia, la quale è maestra vera.
Queste regole son cagione di farti conoscere il vero dal falso; la qual cosa fa che li omini si promettano le cose possibili e con più moderanza, e che tu non ti veli di ignoranza, che farebbe che, non avendo effetto, tu t’abbi con disperazione a darti malinconia.

Proemio

Vedendo io non potere pigliare materia di grande utilità o diletto, perché li omini inanti a me nati hanno preso per loro tutte l’uti[li] e necessarie teme, farò come colui il quale per povertà giugne l’ultimo alla fiera e, non potendo d’altro fornirsi, piglia tutte cose già da altri viste e non accettate, ma rifiutate per la loro poca valitudine. Io questa disprezzata e rifiutata mercanzia, rimanente de’ molti compratori, metterò sopra la mia debole soma e con quella, non per le grosse città ma povere ville andrò distribuendo, pigliando tal premio, qual merita la cosa da me data.
[...]

Proemio di prospettiva, cioè de l’ufizio dell’occhio

Or guarda, lettore, quello che noi potremo credere ai nostri antichi, i quali hanno voluto difinire che cosa s[ia a]nima e vita, cose improvabili, q[uando] quelle che con isperienzia ognora si possano chiaramente conoscere e provare, sono per tanti seculi ignorate e falsamente credute. L’occhio, che così chiaramente fa sperienzia del suo ofizio, è insino ai mia tempi per infiniti altori stato difinito in un modo; trovo per isperienzia esser ’n un altro.
(C. Atl. 119v-a=327v); circa 1490.

Della natura del vedere

Dico il vedere essere operato da tutti li animali mediante la luce. E se alcuno contra questo allegherà il vedere delli animali notturni, dirò questi medesimamente essere sottoposti a simile natura, imperò che chiaro si complende i sensi, ricevendo la similitudine delle cose, non mandano fori di loro alcuna virtù, anzi, mediante l’aria che si trova infra l’obbietto e ’l senso, incorpora in sé le spezie delle cose e per lo contatto che ha col senso le porge a quello, se li obietti o per sono o per odore mandan per le potenzie spirituali all’orecchio o al naso. Qui non è necessario né si adopera la luce. Le forme delli obietti non entrano per similitudine infra l’aria, se quelli non sono luminosi; essendo così, l’occhio nolla pò ricevere da quell’aria che non l’ha e che tocca la sua superficie. Se tu volessi dire di molti animali i quali predano di notte, dico che quando a questi manca la poca luce che basta alla natura de’ loro occhi, che questi s’aiutano colla potenzia de lo auldito e dello odorato, i quali non sono impediti dalle tenebre e de’ quali avanzano di gran lunga l’omo. Se porrai mente una gatta di giorno saltare infra molti vasellamenti, vedera[i] quelli rimanere salvi, e se farà questo medesimo di notte, romperanne assai. Li uccelli notturni non volano, se non luce tutta o in parte la luna; anzi si pascano infra il coricare del sole e la intera oscurità della notte.
Nessun corpo si può complendere sanza lume e ombra. Lume e ombra è causata dalla luce.
(C. Atl. 90r-b=245r); circa 1490.

Prospettiva

[...] Il corpo dell’aria è pieno d’infinite piramide radiose, causate da la cosa posta in essa, le quali intersegate e intessute sanza occupazione l’una dell’altra, con disgregante concorso s’infondano per tutta la circunstante aria, e sono d’equale potenzia e tutte possano quanto ciascuna, e ciascuna quanto tutte; e per esse la similitudine del corpo è portato tutto per tutto, e tutto in ne la parte, e ciascuna per sé riceve in ogni minima parte tutta la sua cagione.
(C. Atl. 101v-b=278r); circa 1490.

Della qualità del lume

Il lume grande e alto e non troppo potente fia quello che renderà le particule de’ corpi molto grate.
(Vat. Urb. 43v, Pedretti-Vecce 104, Mc Mahon 128); circa 1492.

Perché la pittura non pò mai parere spiccata come le cose naturali

Li pittori spesse volte caggiano in disperazione del loro imitare i[l] naturale, vedendo le loro pitture non avere quel rilevo e quella vivacitade che hanno le cose vedute nello specchio, alegando loro avere colori che per chiarezza, o per oscurità avanzano di gran longa la qualità de’ lumi et ombre della cosa veduta nello specchio, accusando in questo caso la loro ignoranzia e non la ragione, perché non la conoscono. Impossibile è che la cosa pinta apparisca di tale rilevo, che s’assomigli alle cose dello specchio, benché l’una e l’altra sia in s’una superficie, salvo se fia vista con uno sol occhio; e la ragion si è: i dui occhi che veggono una cosa dopo l’altra, come a b che vede nm; m non pò occupare interamente n, perché la basa delle linee visuali è sì larga, che vede il corpo secondo dopo il primo? Ma se chiudi un occhio, como s, il corpo f occuparà r, perché la linea visuale nasce in un sol ponto, e fa basa nel primo corpo; onde il secondo di pari grandezza mai fia visto.
(Vat. Urb. 46v-47r, Pedretti-Vecce 118, Mc Mahon 220); circa 1492.

Del modo del condurre in pittura le cose lontane

Chiaro si vede essere una aria grossa più che l’altre, la quale confina con la terra piana; e quanto più si leva in alto, più è sottile e transparente. Le cose elevate e grandi che fieno da te lontane, la lor bassezza poco fia veduta, perché la vedi per una linea, che passa infra l’aria più grossa e continuata. La sommità di dette altezze si trova essere veduta per una linea la quale, benché dal canto de l’occhio tuo si causi ine l’aria grossa, nondimeno, terminando nella somma altezza della cosa vista, viene a terminare in aria molto più sottile che non fa la sua bassezza; e per questa ragione questa linea, quanto più s’alontana da te di ponto in ponto, sempre muta qualità di sottile in sottile aria.
Adonque tu, pittore, quando fai le montagne, fa che di colle in colle sempre le bassezze sieno più chiare che le altezze; e quando le farai più lontane l’una da l’altra, fa le bassezze più chiare, e quando più si levarà in alto, più mostrerà la verità della forma e colore.
(Vat. Urb. 53v-54r, Pedretti-Vecce 149, Mc Mahon 230); circa 1492.

Come le figure piccole non deono per ragione essere finite

Dico che le cose ch’apariranno di minuta forma, nascerà che detta cosa fia lontana dall’occhio; essendo così, conviene ch’infra l’occhio e la cosa sia molta aria, e la molta aria impedisce la evidenzia della forma d’essi obbietti, onde le minute particule d’essi corpi fieno indiscernibili e non conosciute. Adonque tu, pittore, farai le piccole figure solamente accennate e non finite, e s’altrimenti farai, contrafarai alli effetti della natura tua maestra. La cosa riman piccola per la distanzia grande ch’è fra l’occhio e la cosa; la distanzia grande rinchiude dentro di sé di molta aria, la molta aria fa in sé grosso corpo, il quale impedisce e toglie all’occhio le minute particule de li obbietti.
(Vat. Urb. 134v, Pedretti-Vecce 417, Mc Mahon 510); circa 1492.

Perché l’uomo visto a certa distanzia non è conosciuto

La prospettiva diminutiva ci dimostra, che quanto la cosa è più lontana, più si fa piccola. E se tu riguarderai un uomo che sia distante da te una balestrata, e pàrati la finestra di una piccola agucchia apresso all’occhio, potrai vedere per quella molti uomini mandare le loro similitudini all’occhio, e in un medesimo tempo tutte capiranno in detta finestra. Adunque, se l’uomo lontano una balestrata manda la sua similitudine all’occhio, che occupa una piccola parte d’una finestra d’agucchia, come potrai tu in sì piccola figura scorgere o veder il naso, o bocca, o alcuna particula d’esso corpo? E non vedendosi, non potrai conoscere l’uomo che non mostra le membra, le quali fanno li uomini di diverse forme.
(Vat. Urb. 146r-v, Pedretti-Vecce 459, Mc Mahon 503); circa 1492.

Precetto de pittura

La prospettiva è briglia e timone della pittura.
La grandezza della figura dipinta ti debbe mostrare a che distancia ell’è veduta. Se tu vedi una figura grande al naturale, sappi che la si dimostra essere presso all’occhio.
(Vat. Urb. 160r, Pedretti-Vecce 509, Mc Mahon 490); circa 1492.

Delli X offici dell’occhio, tutti apartenenti alla pittura

La pittura s’astende in tutti e X li uffici dell’occhio, cioè: tenebre, luce, corpo, colore, figura, sito, remozzione, propinquità, moto e quiete: de’ quali uffici sarà intessuta questa mia piccola opera, ricordando al pittore con che regola e modo debbe imitare co’ la sua arte tutte queste cose, opera di natura et ornamento del mondo.
(Vat. Urb. 160v, Pedretti-Vecce 511, Mc Mahon 427); circa 1492.

De l’essere de l’ombra per sé [...]

L’ombra è della natura delle cose universali, che tutte sono più potenti nel principio, e inverso il fine indeboliscono: dico nel principio d’ogni forma e qualità evidente et inevidente, e non delle cose condotte di piccol principio in molto acrescimento dal tempo, come sarebbe una gran quercia che ha debole principio per una piccola ghianda; anzi dirò la quercia essere più potente al nascimento, ch’ella fa della terra, cioè nella maggiore sua grossezza; adonque le tenebre è il primo grado dell’ombra, e la luce è l’ultimo. Adonque tu, pittore, farai l’ombra più scura apresso alla sua cagione, et il fine fa che si converti in luce, cioè che paia sanza fine.
(Vat. Urb. 175r-v, Pedretti-Vecce 548, Mc Mahon 576); circa 1492.

Perché l’ombra maggiore che la sua cagione ha termini confusi

Quell’aria che circonscrive il lume è quasi di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Presentazione
  4. LA MACCHINA DEL MONDO
  5. L’assedio delle percezioni e l’osservazione analitica dei fenomeni naturali
  6. Acque
  7. Aria, luce, ottica
  8. Animali
  9. Vegetali
  10. Terra
  11. Corpi umani
  12. Il paragone delle arti
  13. Possibilità conoscitive ed espressive delle immagini e delle parole
  14. Invenzioni, fantasie, schizzi, abbozzi
  15. Plastica e scultura
  16. Architetture
  17. Forze, meccanismi, macchine e strumenti
  18. Convinzioni di fondo, difficoltà, e «contraddizioni» di Leonardo
  19. Statuto e figura dell’artista
  20. Precetti ed esercizi per imparare a dipingere
  21. Artisti
  22. Tavola dei codici citati
  23. Immagini
  24. Copyright