«Quel ficcanaso di Zanardi»
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«Quel ficcanaso di Zanardi»

Osservando lo sport ho capito meglio la vita

  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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«Quel ficcanaso di Zanardi»

Osservando lo sport ho capito meglio la vita

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«Quando cerco di spiegare il mio punto di vista a chi me lo chiede, non è sempre farina del mio sacco.» Con questa affermazione paradossale, Zanardi svela un segreto fondamentale del suo modo di interpretare la vita, un modo che da sempre ispira ed emoziona le persone. Già, perché Alex è un curioso, un ficcanaso, e ama osservare gli altri, come del resto gli consigliava suo padre: «Sandrino, si può imparare qualcosa da tutti». Secondo Zanardi, dunque, studiare i comportamenti altrui, per "rubare" gli atteggiamenti virtuosi ed evitare gli errori, è un esercizio utilissimo e lo sport è il campo ideale per metterlo in pratica. In questo libro Alex ha deciso quindi di raccogliere una serie di storie emblematiche di atleti, in momenti di gloria o di fatica o di sconfitta, per trarne spunti profondi, utili a chiunque, anche a chi se ne sta in poltrona. Per esempio si domanda: perché Ginobili a 40 anni riusciva ancora a fare la differenza nell'NBA? Ha una testa che sa sfruttare l'esperienza. E come interpretare invece le lacrime di Federer alla premiazione dell'Australian Open? Sono un segno di forza (soprattutto per i maschietti!). O, ancora, che cosa ci insegnano le parole pacate di Aliou Cissé, ct della Nazionale di calcio del Senegal, dopo l'uscita dal Mondiale? Essere onesti e conoscere il valore delle regole è il modo migliore per farsi onore nello sport come nella vita. In un'epoca in cui le telecamere arrivano dappertutto e, purtroppo, i commenti velenosi sui social spesso distorcono la realtà, Zanardi prova a cogliere i valori profondi e gli esempi più limpidi dello sport, offrendoci una lettura preziosa per la vita di ogni giorno, scritta con la saggia pacatezza e l'ironia che lo contraddistinguono.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858696958

COME POSSIAMO SORPRENDERCI DELLE NOSTRE RISORSE NASCOSTE?

L’uomo è una macchina meravigliosa.
Siamo abituati a guardare sempre avanti, e sempre più velocemente. E il mondo dei motori non può fare eccezione. Ricerca, sviluppo, conquiste, seguendo il progresso dell’industria.
Ma nessuna vittoria tecnologica sarà mai appassionante e coinvolgente quanto quella di un uomo. Soprattutto nello sport.
Il presidente della Fia, Jean Todt, è il creatore e promotore della Formula E, categoria oggi sulla bocca di tanti per la curiosità che genera. Gli è stato chiesto se il futuro della F.1 possa arrivare a una propulsione tutta elettrica. Ha risposto di no, ma sospetto che se fosse tecnicamente possibile realizzerebbe il suo sogno.
Sogno sbagliato, dal mio punto di vista. Ho domandato a un amico che conosce la materia come si potrebbe alimentare un’auto elettrica capace di produrre i circa 450 kw medi che sviluppa un motore termico per le due ore di un GP. La conclusione, per quanto approssimativa, è che servirebbero circa 2000 kg di batterie! Una F.1, col pieno e il pilota, pesa poco più di 800.
Siamo più distanti dal vedere un’auto elettrica battere in prestazioni quelle attuali di quanto l’uomo, col suo ingegno, abbia distanziato a oggi il cavallo. E questo chiarisce anche l’idea di cosa sia la Formula E: un interessante esercizio tecnico su cui il presidente si è speso in prima persona finendo per convincere i membri di importanti consigli di amministrazione che, guardando al futuro, è lì che bisogna investire.
Io credo che la Formula E rischi di fare la fine delle gare Prototipi, dove le tecnologie ibride sono state introdotte anni fa. Risultato: dopo aver speso montagne di denaro non compensate dall’attenzione del pubblico, tutti ritirati tranne la Toyota che brilla – correndo a Le Mans da sola – soltanto perché la guida Fernando Alonso. Penso che Todt abbia il dovere di tutelare lo sport: per assurdo, potrebbe pure suggerire che gli unici fili elettrici consentiti su una F.1 siano quelli che portano corrente alle candele. Invece, con il pensiero che siano i grandi costruttori a chiederlo, ha spinto per le sofisticate tecnologie che oggi caratterizzano le F.1.
Negli Usa dici Nascar e dici auto da corsa. Una serie seguitissima e in salute, in cui la più grande innovazione tecnologica degli ultimi trent’anni è stata il passaggio dal carburatore all’iniezione! I costruttori hanno bisogno di noi appassionati. Che ci sia dato modo di assistere a uno spettacolo dove, indipendentemente da cosa c’è sotto il cofano, sia il pilota a regalarci la prodezza che decide le sorti della sfida. Non fatecelo rimpiangere perché, anche se da ferraristi non ci piace tanto, è ciò che guarda caso sta accadendo.
A fine 2014 è nata la Formula E, serie automobilistica creata dalla Federazione Internazionale Auto, che vede correre monoposto mosse da propulsori elettrici.
Di campioni senza età se ne vedono tanti. Apparentemente è una questione fisica, di longevità. Ma si capisce alla svelta che a fare la differenza è in realtà la testa.
Un atleta maturo sa quando compiere certe mosse, quando rischiare, come gestirsi, come stare in gruppo. Il tempo, per chi vuol farlo fruttare, offre sempre qualcosa di buono.
A parte F.1 e MotoGP, di cui non perdo una gara, non sono uno di quelli che stanno fissi davanti alla tv a guardare sport da mattina a sera. Ma ogni tanto, perché arriva dal web o perché qualcuno me lo segnala, cado su exploit o imprese che val la pena considerare. E fanno riflettere, in questo caso, su un tema che mi sta a cuore: la longevità agonistica.
Nel dicembre del 2017 il canestro da tre punti con cui Manu Ginobili, che ricordo per aver giocato a Bologna, ha permesso ai San Antonio Spurs di battere i Boston Celtics in Nba. Non era una finale, o una partita di fondamentale importanza. Ma proprio per questo ha forse ancor più significato. A 40 anni Ginobili ha dimostrato di fare ancora la differenza in uno sport che ritiene l’atletismo una delle chiavi più importanti per il successo. E dunque che cosa permette a uno sportivo così appagato di restare ad altissimo livello?
Di sicuro l’aver amministrato bene il suo corpo: alimentazione, riposo, essersi allenato con cura e attenzione. Ma c’è anche e soprattutto un fattore mentale che non è misurabile ma crea la differenza. La testa davvero matura sa come sfruttare l’esperienza: quando è il momento di attaccare e rischiare e quando invece è il caso di ripiegarsi e soffrire in attesa di momenti migliori.
La stessa testa che ha già archiviato le vittorie del passato e interiorizzato il mantra per cui il vero piacere sta nel sapere cosa si desidera, dove si vuole arrivare, dunque nell’allenarsi con gioia ogni giorno.
La testa, sempre lei, che ha smussato gli angoli del carattere e – che sia uno sport di squadra o individuale – ti insegna ad avere un buon rapporto con i compagni o i collaboratori, a saperli motivare, a valorizzarli senza sentirti un divo. Ci vuole tempo, servono anni per trovare un equilibrio simile. Che ti porta a superare i limiti dell’età, che altri hanno stabilito per te.
Certo, poi serve il talento. Quel tiro, che ha fatto il giro dei social per giorni, poteva farlo solo lui. Ma bisognava arrivarci lì, a cinque secondi dalla fine.
Emanuel “Manu” Ginobili, 41 anni, è un giocatore argentino di basket che ha lasciato l’attività il 27 agosto 2018 dopo 23 anni di carriera, di cui 16 in Nba.
L’uomo ha bisogno di sicurezze e, per questo, si rifugia spesso nell’abitudine. Chi la rifiuta, e sa mettere in discussione se stesso e le proprie certezze, con gli anni diventa capace di grandi cose.
Succede a pochi, e succede soprattutto perché si è mossi da un desiderio che non conosce età: quello di imparare.
Un anno che nasce induce sempre a pensare a un foglio di carta bianco da riempire, alle novità, ai giovani, a strade mai percorse. A scapito, nella voglia di futuro, di chi è già qui da un pezzo. Si generalizza, si ragiona per categorie. Vado controcorrente: gli schemi non mi sono mai piaciuti e ciò che ci fa migliorare lo trovo più nello spirito che nell’età.
Per questo voglio parlare di un signore di 81 anni: Gian Paolo Dallara, costruttore automobilistico di cui l’Italia si può vantare. La vita offre così tante possibilità che a fare la differenza è il modo in cui le insegui. Ecco, l’ingegnere di Varano de’ Melegari, Parma, è uno degli sportivi più grandi in cui mi sia imbattuto, che mi hanno insegnato di più. Perché, a dispetto dell’età, si trova benissimo con i più giovani, sa valorizzare la loro creatività e anche la loro ingenuità, se vogliamo.
In testa ho due episodi. Un giorno si è presentato nell’ufficio tecnico chiedendo di creare un nuovo simulatore, molto avanzato. «Ingegnere, la tecnologia per farlo non c’è, non esiste ancora» gli hanno risposto. Lui ha preso atto, è uscito ed è andato a reclutare i neolaureati più svegli che aveva in casa domandando la stessa cosa. Questi, inesperti e ignari dei limiti tecnici, si sono buttati e hanno prodotto il simulatore ora orgoglio dell’azienda.
In un’altra occasione è giunto furtivo alle spalle di un giovane tecnico che stava disegnando un nuovo componente: «Non va mica bene quella roba lì». «Ah, ingegnere!» ha replicato il ragazzo spaventato, per poi aggiungere con rispetto: «Come lo devo fare?». E Dallara: «Così! Se lo fai come dico io non scopriamo niente, se fai a modo tuo impariamo qualcosa: che la strada vecchia era l’unica o che ne hai inventata un’altra che nessuno aveva visto!».
Uomini così ci insegnano molto perché restano desiderosi di imparare. Dallara non è un trentenne, l’esperienza lo aiuta, ma dentro di sé è più giovane dei giovani. Altrimenti non avrebbe una fiducia smisurata nella curiosità, nella fame di sperimentare e nell’ingenuità che porta a tentativi che i più navigati ritengono perdite di tempo. In questo, nel rifiutare l’abitudine, è un uomo geniale. Un esempio da imitare nell’anno appena cominciato.
Gian Paolo Dallara, nato nel 1936, è un ingegnere e imprenditore italiano fondatore dell’azienda che porta il suo nome ed è da anni protagonista assoluto delle corse automobilistiche e non solo.
Tutta la vita è una sfida sportiva. Ci sono paragoni che, lì per lì, ti sembrano esagerati. Poi qualcuno te li ricorda e tu capisci che hanno un senso.
Perché dalle metafore azzeccate si possono trarre tanti spunti e imparare tante lezioni. Anche da certi uomini unici, che hanno affrontato ogni loro giorno come fossero atleti.
Tempo fa sono rimasto colpito da un pezzo del mio amico Giorgio Terruzzi, che analizzava e provava a definire quanto c’è di sportivo nelle nostre vite: «Facciamo sport anche senza accorgercene. Lo facciamo misurandoci con l’amicizia, tirando su un figlio, confrontandoci con un partner, con i colleghi di lavoro, con un compito, qualunque esso sia».
Lo spunto che aveva ispirato la sua riflessione arrivava da una frase di Walter Chiari, attore e personaggio televisivo scomparso nel 1991: «Nulla è più sportivo di un primo amore. Perché è quello il momento in cui scendi in campo e non sai di quanto fiato disponi, di ciò che l’emozione porta o toglie, di come andrà davvero, una volta esploso il colpo di pistola. Sì, sì, ti sei allenato, hai immaginato, hai persino verificato. Ma solo a quel punto hai di fronte un altro, un’altra, un avversario misterioso. Che può fare qualcosa di inatteso, che può filare più veloce, che può spiazzarti ogni istante. Te la fai sotto, ecco, ma ormai sei partito, sei in pista e tocca misurarsi. Con se stessi, con gli altri. È un vero dente del trampolino. Dal quale ti sei già buttato».
Mi è tornato in mente tutto, l’altro giorno, incontrando Giorgio Armani. Se c’è un campione vero, nella categoria di chi fa sport senza accorgersene, è proprio lui. Che ha mostrato tutte le caratteristiche dell’atleta di successo: talento smisurato, certo, ma anche disciplina, determinazione, coraggio, forza mentale. Ha iniziato come vetrinista alla Rinascente. Il tempo trascorso tra quei giorni e l’impero attuale è pieno di allenamenti, partite, prove, dell’equivalente di campionati di calcio, Mondiali di F.1, finali olimpiche, coppe di basket.
C’è tutto questo dietro al colpo d’occhio di un artista che ha saputo cambiare traiettoria con scelte di vita fondamentali o anche solo con il cambio di capi sui modelli già pronti per la passerella, a dieci minuti dall’inizio di una sfilata. Per la quasi disperazione dei collaboratori. I primi ad accorgersi, però, una volta passato l’attimo di tensione, che aveva ragione lui. Che gli abiti stavano meglio in quel modo, bastava sentire l’entusiasmo e l’applauso del pubblico. Quello che si riserva a un campione dello sport.
Giorgio Armani, 84 anni, è uno stilista italiano tra i più grandi esponenti della moda internazionale, simbolo di eleganza e classe. Ha iniziato la sua attività imprenditoriale nel 1975.
Lo sport è pieno di momenti in cui scatta qualcosa di imprevedibile, di magico, che trasforma completamente le sorti di una gara, di un intero campionato o addirittura di una carriera.
Quante sfide vinceremmo se solo ci fidassimo di più del potere della nostra mente.
Il fascino dello sport si svela in modo clamoroso quando entra in scena l’elemento umano. Anche il più solido dei campioni, che sembra arrivato e inattaccabile, può tornare a essere la più grande variabile nell’equazione che determina il risultato. O viceversa. Questo, dunque, è un elogio al potere e al mistero della mente.
Dopo la prima gara del Motomondiale 2018 Jorge Lorenzo pareva un ex campione finito, costretto a sperare nella creazione di un team satellite Yamaha per provare a stare a galla in MotoGP. Ma già dalla settima gara è un pilota che ha vinto due gare consecutive con la Ducati, di nuovo il fenomeno che conoscevamo. Uno che sale sul podio al Montmeló con un “martillo” in mano, manco fosse Thor. E in tasca un futuro alla Honda, il team iridato in carica con Marquez.
E proprio Marc, nel dopo gara, sembrava più pensieroso che sorridente come suo solito… Jorge sostiene che il nuovo serbatoio e la posizione diversa in sella hanno cambiato tutto, ma forse la nostra mente è un serbatoio molto più grande da cui attingere soluzioni ai problemi o nel quale perdersi. Perché anche in uno sport governato dai valori tecnici, o al massimo dalla capacità di adattarsi al mezzo per esaltarne le caratteristiche, quando le cose paiono aver preso un loro corso può cambiare tutto.
Una faccia e l’altra della medaglia. Di Lorenzo e di Andrea Dovizioso, compagno di Jorge. Le vittorie esaltanti che hanno fatto uscire dal buio il primo e le scivolate per il secondo, che fino a qualche tempo fa sembrava l’uomo dei miracoli mentali, in grado di gestire tutto uscendo da situazioni complicate con la razionalità e il lavoro certosino. E anche qui si vede quanto contino testa e psicologia.
Quanto diverso sia inseguire un rivale che fugge o un compagno con la stessa moto che hai tra le gambe. Farsene una ragione perché sai guardare più lontano della bandiera a scacchi di quel giorno o non riuscire a pensare ad altro. Be’ gente, godiamoci lo spettacolo, perché l’elemento umano lo rende esaltante.
Ma possiamo fare di più: prender nota. Decifrare debolezze e virtù che ci vengono mostrate può fare la differenza nelle grandi o piccole sfide quotidiane che ognuno di noi affronta. Nella vita c’è più tempo per decidere, ma prima o dopo tocca farlo. E, per riuscirci meglio, può servire anche l’esempio di un pilota che torna “martillo”.
Dopo un anno e mezzo di difficoltà con la Ducati, lo spagnolo Jorge Lorenzo vince nel 2018 sul circuito di Montmeló la seconda gara consecutiva in MotoGP dopo quella del Mugello.
Molte cose nella vita capitano per caso, ma altrettante si scelgono. È il libero arbitrio che ci permette di essere quello che vogliamo essere.
Sarebbe importante ricordarselo ogni giorno, di fronte a ogni piccolo bivio, soprattutto quando si è giovani, perché la direzione che prenderemo diventerà il nostro destino.
Si chiama libero arbitrio. Ci consente di poter scegliere e fa una certa differenza quando poi ci chiediamo con onestà che...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. “Quel ficcanaso di Zanardi”
  4. Introduzione
  5. DOVE SI PUÒ ARRIVARE PER PASSIONE? È dentro di noi l’unica molla che può spingerci a fare fatica, a dare il massimo.
  6. QUANTO SI PUÒ IMPARARE DAI PROPRI ERRORI? C’è sempre una seconda possibilità per crescere e migliorare.
  7. È PIÙ IMPORTANTE VINCERE UNA MEDAGLIA O SAPER ACCETTARE LE PROPRIE FRAGILITÀ? La sfida sportiva è un’esplorazione della nostra anima.
  8. CHE COSA PUÒ FAR NASCERE DENTRO DI NOI LA TENACIA? Migliorare è sempre possibile.
  9. COME POSSIAMO SORPRENDERCI DELLE NOSTRE RISORSE NASCOSTE? L’uomo è una macchina meravigliosa.
  10. Copyright