Contrordine, compagni
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La quarta rivoluzione industriale è già qui. L'innovazione tecnologica e la velocità sempre maggiore con cui si verifica il cambiamento comportano una trasformazione radicale del nostro mondo conosciuto. Robotica avanzata, Intelligenza artificiale, big data, blockchain sono solo alcuni dei fattori che, combinati e integrati tra loro, stanno incidendo sulla sfera del lavoro, sulla società nel suo complesso, sulla vita quotidiana di ognuno di noi.
Come reagire? Non certo, sostiene Marco Bentivogli, col catastrofismo dei tecnofobi, di chi predica che «le macchine» semplicemente cancelleranno occupazione e che l'innovazione debba essere fermata. Serve, al contrario, un cambio di paradigma, di prospettiva e di senso; è necessario «anticipare, pensare e progettare la trasformazione», fare in modo che il nuovo che nasce compensi e superi ciò che muore. È possibile, e dove si sono prese le giuste misure si è riusciti a portare crescita economica, benessere, e a far aumentare l'occupazione, migliorare la qualità del lavoro e la sostenibilità ambientale dei modelli produttivi.
L'industria 4.0, di cui questo libro offre una guida pratica, è un'occasione che un Paese come l'Italia non può e non deve lasciarsi sfuggire. Occorre ripartire, e subito, da un approccio competente e positivo all'innovazione tecnologica, da un rilancio dell'istruzione scolastica e della formazione in ambiente di lavoro; da nuovi corpi intermedi, come il sindacato «smart», che sappiano guidare e orientare il mutamento in corso.
Le forze politiche, in particolare quelle che si dichiarano progressiste, hanno il dovere di abbandonare il velleitarismo di chi vuole «fermare il progresso con le mani», di guarire dalla miopia e dall'afonia con cui partecipano al discorso pubblico, di parlare di futuro delle persone e non di paure. È l'unica strada percorribile per interrompere il degrado civile del Paese e sconfiggere le ricette populiste.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858696422
Parte seconda

Il lavoro, per piacere!

1. La trasformazione del lavoro

I segni della grande trasformazione digitale confermano giorno dopo giorno che niente sarà come prima in ogni ambito della nostra vita. Come per tutte le transizioni, non si tratta di un cambiamento uniforme: velocità, profondità ed effetti saranno disomogenei. Allo stress test saranno sottoposti, proporzionalmente, soprattutto quanti considerano immutabili comportamenti e regole pre-esistenti, confortandosi con il mantra del «si è sempre fatto così».
Il mondo in cui viviamo è estremamente complesso e il livello di complessità aumenta in maniera esponenziale. Le Ict, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione – quella che Luciano Floridi chiama «infosfera»1 –, stanno provocando una rivoluzione di senso. Come detto in apertura, ci troviamo di fronte al secondo balzo in avanti dell’umanità. Oggi le Ict stanno producendo un cambio di paradigma rispetto al nostro «senso del sé», al modo in cui ci relazioniamo con gli altri e attraverso il quale diamo forma al mondo.
Cambia il lavoro e cambiano le produzioni e il modello di business, come dice Claudio Domenicali, amministratore delegato di Ducati, «quando sono entrato in azienda, venticinque anni fa, eravamo solo due ingegneri, oggi in Ducati ce ne sono più di duecento e possiamo dire di non fare solo delle moto, ma molto altro attorno».
Il lavoro, insomma, è il campo centrale di questa sfida.

L’uomo e la macchina nel lavoro

La crescente interazione delle macchine tra loro e con le persone ha innescato riflessioni di segno opposto. Qualcuno arriva a parlare di post-umano come risultato di questo rapporto sempre più pervasivo e onnipresente con macchine, smartphone e robot collaborativi. Quello che cambia rispetto al recente passato è la qualità dell’interazione, e il grande salto che si realizza nel collegamento e nell’interfaccia delle macchine tra loro e con i lavoratori.
Tuttavia, sappiamo che l’automazione, pur in modo parziale, è già presente in molte occupazioni e sarà applicata in futuro a ogni ambito professionale. Già nel 2017 il McKinsey Global Institute – Mgi,2 sulla base di un’analisi di 2000 attività lavorative e 800 tipologie di occupazione, valutava che la metà di esse potrebbe essere presto automatizzata.
Per valutare il potenziale di automazione tecnica dell’economia globale, McKinsey ha disaggregato le occupazioni in attività retribuite, ognuna delle quali richiede la combinazione di diciotto abilità, suddivise in cinque gruppi:
  • percezione sensoriale,
  • capacità cognitive,
  • elaborazione del linguaggio naturale,
  • capacità sociali ed emotive,
  • capacità fisiche.
È stato poi stimato per ciascuna di queste abilità il livello di prestazioni necessarie per svolgere con successo una specifica attività lavorativa, in base al modo in cui gli esseri umani le eseguono attualmente; quindi, secondo lo stesso criterio, è stata valutata la prestazione delle tecnologie esistenti.
Mappatura dei cinque gruppi di abilità e competenze richieste alle persone nello svolgimento delle attività lavorative. Fonte: McKinsey Global Institute.
Mappatura dei cinque gruppi di abilità e competenze richieste alle persone nello svolgimento delle attività lavorative. Fonte: McKinsey Global Institute.
Stimando la quantità di tempo dedicata a ciascuna di queste attività, è stato valutato il potenziale di automazione delle occupazioni nei diversi settori dell’economia, comparandole anche con i livelli di salario orario. Dal raffronto emerge che il 30 per cento delle attività caratterizzanti la maggior parte (60 per cento) delle occupazioni in esame sarebbe soggetta ad automazione.
Alcune attività, come l’elaborazione e la raccolta di dati o lo svolgimento di attività fisiche e l’operatività di macchinari utilizzati in un ambiente prevedibile, come le linee di montaggio, hanno un elevato potenziale di automazione. Queste rappresentano il 51 per cento dell’occupazione totale negli Stati Uniti, per un ammontare complessivo di 2,7 trilioni di dollari di stipendi. La suscettibilità all’automazione è significativamente inferiore per altre attività, tra cui la relazione con gli altri partecipanti alla vita dell’azienda, l’applicazione delle competenze al processo decisionale, alla pianificazione, alle attività creative e alla gestione e sviluppo delle persone.
Rappresentazione del potenziale livello di automazione delle attuali occupazioni. Fonte: McKinsey Global Institute.
Rappresentazione del potenziale livello di automazione delle attuali occupazioni. Fonte: McKinsey Global Institute.
L’analisi condotta per gli Stati Uniti ha fornito un modello utile per stimare il potenziale di automazione e creare di conseguenza scenari di adozione per altre quarantacinque economie, che rappresentano circa l’80 per cento del totale della forza lavoro globale. Se è ovvio che i dati possono cambiare in relazione alle diverse economie nazionali, e se è vero che questo genere di predizione non può essere accolta appieno per una serie di limiti su cui torneremo più avanti, il report di McKinsey offre interessanti spunti di analisi, applicabili a tutti i Paesi, sulle potenzialità delle tecnologie in via di adozione. Occorre fare attenzione, tuttavia: queste proiezioni sono elaborazioni attuariali sulla base di una valutazione statica delle mansioni e di una scarsa evoluzione delle skill e delle tecnologie. Non tengono conto di quanto si modifichino mansioni, lavori e organizzazioni nel tempo. Un limite di cui parleremo tra poco a proposito dell’analisi di Frey e Osborne.

I tempi dell’automazione

Lo sviluppo dell’automazione inizia solo quando le macchine possiedono effettivamente le capacità richieste per svolgere particolari attività lavorative. Se i robot possono già uguagliare prestazioni mediane o addirittura superare i migliori livelli di prestazioni umane in alcune delle diciotto funzionalità descritte dal report, come il recupero di informazioni, alcune abilità motorie, l’ottimizzazione e la pianificazione, in molti altri casi è necessario un maggiore progresso tecnologico, ad esempio per aumentare la comprensione del linguaggio naturale e la capacità di ragionamento logico.
La percezione sensoriale è già a livello di prestazione umana mediana. Una lingua elettronica può oggi rilevare il colore e il contenuto alcolico della birra con oltre l’80 per cento di accuratezza. Quanto alla percezione tattile, sempre secondo lo studio di McKinsey, la tecnologia può già superare il quartile più alto delle prestazioni umane. In questo ambito la sfida è quella della miniaturizzazione delle dimensioni dell’hardware e l’adattamento dei sensori perché funzionino in diversi ambienti.
Le capacità cognitive sono, invece, notevolmente più diversificate nelle loro prestazioni rispetto a quelle degli esseri umani. Recupero di informazioni, ottimizzazione e pianificazione, riconoscimento di schemi noti e categorie hanno già raggiunto il primo quartile della performance umana, mentre la generazione di nuovi modelli, la creatività, il coordinamento con più agenti, il ragionamento logico e il problem solving sono ancora in una fase relativamente precoce. I robot hanno già dimostrato la capacità di coordinarsi con tipologie di robot simili, ma la loro capacità di collaborare con gli umani è ancora in una fase embrionale. La creatività automatizzata è, forse, la meta al momento più lontana.
Le capacità sociali ed emotive, invece, sono oggi al di sotto dei livelli medi di prestazione umana. Nonostante i progressi dell’Intelligenza artificiale, le macchine hanno ancora difficoltà a identificare lo stato emotivo, a trarne conclusioni accurate e a rispondere in modo appropriato.
Le capacità fisiche, invece, sono già al massimo livello delle prestazioni umane, sia per abilità motorie più generali sia per la navigazione. Questo traguardo ha consentito l’ampia diffusione di robot in ambito di automazione industriale, così come nei settori militari e della difesa. Per le abilità motorie più raffinate, le prestazioni saranno realmente implementate quando, per capirci, le mani robotiche si muoveranno con la stessa libertà di quelle umane. La mobilità resta, in ogni caso, una delle sfide principali, con riguardo particolare a quella verticale (banalmente, scendere e salire le scale).
La comprensione del linguaggio naturale è di fondamentale importanza per una vasta gamma di applicazioni lavorative e potrà influenzare in modo sostanziale i tempi dell’automazione in generale. I progressi raggiunti in questo ambito sono notevoli – si pensi ai miglioramenti nella traduzione automatica – ma le macchine sono ancora lontane dall’eguagliare la prestazione umana: gli standard attualmente raggiunti limitano al 18 per cento la proporzione di tutte le attività che possono essere automatizzate. In futuro, il livello attuale di comprensione del linguaggio naturale potrebbe ostacolare l’automazione del 40 per cento delle attività, dal momento che le altre capacità avranno raggiunto i livelli di prestazioni richiesti. Le funzioni di elaborazione del linguaggio naturale sono avanzate e miglioreranno ulteriormente: pensiamo al riconoscimento vocale all’interno degli autoveicoli, alla sanità, agli assistenti virtuali.

Cosa accade nei diversi settori dell’economia

Dal report emerge un grado significativo di diversità nel potenziale di automazione tra i diversi settori dell’economia e, all’interno di essi, fra le diverse occupazioni. Ad esempio, negli Stati Uniti quasi un quinto del tempo trascorso nei luoghi di lavoro coinvolge attività fisiche prevedibili, prevalentemente in settori come la produzione e il commercio al dettaglio. Ne consegue che questi comparti abbiano un potenziale di automazione relativamente elevato.
I servizi di accoglienza e ristorazione sono quelli più probabilmente automatizzabili (73 per cento), vista la quantità di tempo utilizzata per realizzare attività facilmente replicabili da una macchina. Nel manifatturiero, che presenta un potenziale complessivo di automazione del 60 per cento, per le occupazioni che hanno un’alta percentuale di attività fisiche ripetitive in ambienti prevedibili il dato supera il 90 per cento in relazione all’adozione delle tecnologie attualmente sviluppate, la cui efficacia è già oggi dimostrata. Ambiti nei quali sono richieste capacità emotive e sociali e di creatività, come, ad esempio, quello dei servizi formativi, sono apparentemente al riparo dal processo (con una percentuale di potenziale automazione del 27 per cento), eppure anch’essi presentano tipologie di attività, pure relazionali, che potrebbero essere sostituite. Va evidenziato che il report si occupa solo dei settori più esposti e non di ciò che invece si crea di nuovo rispetto a queste sostituzioni.

Il futuro del lavoro è un foglio bianco da scrivere

Il digitale semplificherà la complessità: servizi che prima richiedevano lo spostamento fisico e lunghi tempi di attesa sono oggi a portata di touch, veloci e immediati. Internet, big data, tecnologie blockchain e Intelligenza artificiale stanno rivoluzionando ogni ambito della nostra vita. La nostra generazione – scrive ancora Luciano Floridi – sarà probabilmente l’ultima ad avere ancora chiara la differenza tra vivere offline e vivere online.
Questi mutamenti sono in larga parte ascrivibili al campo delle opportunità, anche se la narrazione proposta dai giornalisti e dagli intellettuali più pigri e ideologici genera spaesamento e disorientamento. Nuove disuguaglianze, conflitti sociali, populismo sono solo alcune delle reazioni a un cambiamento con cui, invece, avremmo dovuto fare i conti da un pezzo. Globalizzazione, mondo aperto e digitale possono contribuire a migliorare la condizione umana. La sfida è sostanzialmente aperta: partirà in vantaggio chi la coglierà come tale, anticiperà le politiche di indirizzo e saprà progettare ecosistemi intelligenti.
Il punto è che non esiste mai consenso preliminare all’innovazione e non si progredisce realmente facendo leva su un’opinione media, che invece di essere democratica si rivela semplicemente «mediocratica». Ogni innovazione trasformatrice è, sulle prime, una necessaria devianza dagli schemi di partenza. Il pericolo è che la nostra comprensione della realtà sia, invece, filtrata attraverso le lenti con cui abbiamo letto il Novecento. Purtroppo l’incapacità di liberarsi dai paradigmi del passato emerge con chiarezza dal dibattito in corso, insieme al sentimento tecnofobico che da sempre – e, di recente, in modo anche più marcato – contraddistingue larghi settori dell’opinione pubblica. Quei vecchi schemi sono confortanti perché non ci chiedono di cambiare, ma sono al contempo inutili e fuorvianti, e ci porteranno a estenuanti nonché superflui dibattiti sui rischi, senza di fatto limitarli, e a non concentrarci sulle opportunità.
Ricordo sempre, a titolo di esempio, che l’avvento del televisore a colori fu visto in Italia come una minaccia, anche se da dieci anni era una realtà negli altri Paesi europei. Solo nel 1977, dopo un dibattito estenuante e trasversale alla sinistra e alla destra, il televisore a colori fu sdoganato, archiviando i timori che la sua comparsa nelle case italiane potesse compromettere la situazione, peraltro già traballante, dell’economia.
È con un sentimento simile, acutizzato da certa pubblicistica, che dobbiamo fare ancora oggi i conti. Ciò non significa assolutamente che tecnologia e innovazione non pongano problemi anche di natura sociale ed etica, ma è bene essere consapevoli che per governare e rendere sostenibile un processo inevitabile come quello in corso occorre abbandonare una volta per tutte il tecnodisfattismo. Un dato su tutti ci dice quanto sia fallace questo approccio culturale: oggi i Paesi che storicamente hanno investito di più su tecnologie e formazione, dalla Germania alla Corea del Sud al Giappone, hanno tassi di disoccupazione bassissimi e un’occupazione di alta qualità e, almeno nei primi due casi, salari più alti e un mercato del lavoro orientato maggiormente alle mansioni cognitive ad alto valore aggiunto.
Serve, quindi, capacità di visione e programmazione; serve individuare e cogliere i megatrend che di qui a cent’anni tracciano lo scenario del lavoro. Possono infatti aiutarci a comprendere la complessità della nostra epoca e la molteplicità delle variabili che condizionano le scelte che ci troveremo a compiere, scelte giocoforza aperte a «futuri» differenti. Sarà fondamentale per il nostro Paese e per il nostro sistema democratico occuparsi con energia della transizione tecnologica, individuare le competenze del futuro, ripensare tempi e spazi di lavoro, immaginare un di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione. Il secondo balzo in avanti
  4. Parte prima. La quarta rivoluzione industriale
  5. Parte seconda. Il lavoro, per piacere!
  6. Parte terza. Buoni motivi per accettare la sfida
  7. Parte quarta. Italia: campioni nell’invenzione, somari nell’innovazione
  8. Conclusioni. Contrordine, compagni
  9. Ringraziamenti
  10. Glossario
  11. Note
  12. Copyright