«Buongiorno, 2824.»
«Lei mi prende in giro. Come si può avere un buongiorno qui dentro?»
«Anche per un ergastolano, un giorno è differente dall’altro e io ti auguro che sia buono, migliore degli altri.»
«Le variabili sono tra l’insopportabilità e la passività. Finiamo per chiamare il meno peggio buono. La libertà, la libertà…»
«Cos’è la libertà, 2824? Credi che io sia libero? Sono in galera come te. Per otto ore al giorno. A parte gli straordinari…»
«Ma poi vai a casa.»
«E a casa sono libero? Ma che dici, 2824?! È perché tu non ti ricordi più che cosa sia un legame familiare, una monotona incarcerazione. Mentre qui il processo è finito. La sentenza è passata in giudicato, là sei sempre sul banco degli imputati. E hai la colpa anche di stare qui in galera. Tu sconti una colpa, io, qui, accumulo colpa. Perché non sono a casa quando dovrei esserci, non riesco a ottenere le ferie quando vorrebbe mia moglie. Sono presente quando sono fuori luogo. Tu non puoi essere assente…»
«Perché nessuno mi aspetta. Sono già morto. Non appena entro nella mente di qualcuno, sono cancellato… Allora meglio la morte da cimitero.»
«Paragoni l’ergastolo alla morte?»
«Ti ammazzano al novanta per cento e tengono in vita un corpo inutile. L’ergastolo è una pena di morte lenta, tiepida… Un boia a cui manca il coraggio di sferrare un colpo di mannaia.»
«Ma l’ergastolo oggi può trasformarsi in lunga detenzione, se mantieni la buona condotta.»
«Buona condotta vuol dire vivere già morto. Senza disturbare nessuno. Senza esistere…»
«I permessi.»
«… col sogno di scappare… Di andar dove?»
«Se consideri ancora la semilibertà: il ritorno in carcere solo la notte, dedicando il giorno a lavori socialmente utili…»
«Tutte finzioni: sei libero o sei morto? La deprivazione della libertà è morte.»
«Ma quale libertà? È sempre un’illusione. Tante volte penso che tu sia più libero di me, perché non hai legami umani. Includo anche il legame d’amore: non sei libero nemmeno nei pensieri, terrorizzato di perdere la tua donna, sospettoso… I legami paterni? Uno schifo, te lo dice uno che di figli ne ha fatti quattro. O sei accusato direttamente o sei tacitamente processato attraverso il senso di colpa: dovevi fare e non hai fatto. Reati effettivi e reati per omissione di atto d’ufficio. Senza contare le teorie per cui un padre è odiato d’ufficio, in quanto padre… No, la libertà non ce l’hai né tu, e non ce l’ho nemmeno io e semmai ne hai più tu… Libero da legami. Io, sopraffatto di legami. La moglie, i figli, le cognate, i genitori, i suoceri, i parenti più vicini e quelli più lontani… Un mondo ossessivo che ti prosciuga come una tigna, ti cava il sangue… E vedi che lavoro faccio. Non sono né un generale, né un imprenditore… Un agente di custodia… Ho uno stipendio e allora devo aiutare quella massa di parenti che lo stipendio non ce l’ha. Ecco i legami…»
«Io sono soltanto inutile. Inutile persino a me stesso. Non faccio più progetti, non ho più futuro. Il tempo è tempo di carcere, tempo di morte. Meglio la morte totale…»
«Perché non ti suicidi? Certo che te lo impedirei, ma est modus in rebus, se proprio volessi…»
«Ecco il punto: perché non ci provo? Non ne ho il coraggio. Forse persiste una forza istintiva che mi obbliga alla sopravvivenza, un imperativo. Anche l’inutilità sembra avere un senso rispetto al non esserci fisico. E certo, dicono che ogni giorno costiamo allo Stato cinquecentoventimila lire. Ma che senso ha?»
«Io guadagno questa cifra in una settimana di lavoro faticoso. Spero che almeno tu abbia considerazione per quello che facciamo noi… Anche se passiamo il giorno camminando in un corridoio, avanti e indietro, con un mazzo di chiavi, il lavoro è estenuante… Per usare l’immagine della morte che hai suggerito tu: peggio del lavoro del becchino. Almeno lì sono morti, qui invece agonizzano. E sappi che in agonia spesso si diventa cattivi. C’è gente qui che mi odia, perché fa richieste a cui non posso dar risposta. Molti vivono pensando alla fuga. Vivono per fuggire, una sfida che dà loro ancora il senso del potere. E così vivono, rimanendo contro la legge e pensando ancora a qualche avventura.»
«Io so che da un carcere di massima sicurezza non si può fuggire…»
«Non è vero…»
«E forse mi fa paura il mondo fuori… Un mondo per me vuoto.»
«Eh, caro 2824, sei proprio complicato: qua non va bene, fuori è troppo vuoto. Meglio la morte dell’ergastolo, non ti preoccupi di un po’ di mal di testa o della cattiva digestione… Ma cosa vuoi? Devi chiarirti le idee. La libertà, se esiste e io ne dubito, è dentro la testa. È un atteggiamento dell’anima. Leggi un libro, scrivi le tue memorie, poesie, lettere… Qui tutti scrivono alle persone più impensate: dal presidente della Repubblica alle attrici, alle detenute e fanno promesse di matrimonio… Non è vero che gli affetti siano amputati, vivono, eccome… Tu sei anche un uomo affascinante. La gente qui ti ammira perché ammazzare il capoufficio, il vice capoufficio e poi il direttore generale dell’impresa dove lavoravi è roba da duri. Io stesso ti tengo in considerazione. Avessi io il coraggio di ammazzare tre parenti. Mi sentirei un altro. Innanzitutto, avrei fatto giustizia… Tu l’hai fatta perché erano dei kapò, delle guardie carcerarie disumane, come tanti tra noi, e lo hai fatto per difendere i tuoi colleghi… Sei veramente forte, uno simpatico… Ma dài, vivi. Vuoi che ti porti un libro pornografico?… Ti tira il cazzo?»
«Purtroppo sì, e tira per nulla. Ecco il dramma: tirare per nulla. Senza un senso, una finalità, senza avere il materiale…»
«2824, non dovrò essere io a spiegarti che quell’affare ha un senso anche senza donne. Se ti piacciono i maschi, apri gli occhi, anche in cella di isolamento ti si può aiutare… Ti mettiamo con uno che lo prende gratis… Se vuoi star solo, si può chiedere un videoregistratore e ti arrangi… Se ti danno fastidio usa le mani… Anche questa è vita. Che credi, che una moglie, sempre quella, acida, brutta… Una moglie… Credi che un agente serio come me queste mani non le agiti per aver l’impressione di essere vivo?… Non ti capisco. Devi adattarti…»
«Adattarmi alla non vita, per sempre…»
«E siamo alle solite… Va bene, 2824, lasciami fare un’ipotesi, è irreale, intendiamoci… Supponi di poter uscire. Che cosa faresti?»
«Sapendo che è irreale, l’idea non mi ha nemmeno sfiorato e non ho fatto ipotesi…»
«Te lo dico io. Non sapresti come muoverti, ormai saresti più inutile fuori di qui. Nessuno vorrebbe vederti. Saresti schivato come la peste, proprio da coloro che pensi dovrebbero considerarti. Dovresti fuggire in Patagonia, dove nessuno ti conosce. Saresti solo come un cane in una terra inospitale e bella. Sentiresti così forte l’ingiustizia che ripeteresti un reato, un delitto… Perché vedi, 2824, l’hai fatta grossa. Non hai rubato automobili. Hai avuto coraggio, ma pur sempre nel male. Uccidere è un desiderio che tutti in un momento della propria vita hanno sentito forte, ma, per la miseria, ne hai fatti fuori tre e con una determinazione e freddezza che hanno fatto parlare di robotica dell’omicidio…»
«Sono stati gli unici attimi in cui ho vissuto, mentre uccidevo. Mi sentivo un titano, un giustiziere, un dio che decideva sul destino di tre uomini…»
«Forse un demone.»
«Un demone potente che non subisce più e che non vuole che gli altri subiscano.»
«Non ti sei pentito?»
«Non mi ha nemmeno sfiorato l’idea.»
«Se non ti penti, almeno fingi di esserlo, altrimenti non si aprirà mai la pratica per la semilibertà o per i permessi.»
«Per uccidere ancora.»
«Cosa stai dicendo? Che, se uscissi, per vivere dovresti uccidere?»
«Gli uomini di potere sono violenti… e vanno giustiziati. Sono circondati tutti da guardie del corpo. Rappresentanti della democrazia, eletti dal popolo, che si difendono dal popolo…»
«E fanno bene se in molti la pensano come te…»
«È più stimolante ucciderli mentre sono superprotetti, ti dà una sensazione straordinaria… Prima di uccidere i miei tre superiori ho fatto molte telefonate in cui annunciavo la loro morte. Ho persino distribuito un dispaccio… Li ho freddati quando tutti ormai erano convinti di essere superprotetti… Nessuno pensava a me… Sì, uccidere è straordinario. Uccidere non importa chi, purché sia un potente…»
«Ma tutti siamo allo stesso tempo deboli e potenti. Potrei anch’io essere una tua vittima designata. Mi credi debole o forte?»
«Non mi interessi, non so nulla. Non faccio alcuna ipotesi.»
«Nei confronti del direttore del carcere sono un debole, non ho il coraggio di controbatterlo anche qualora non condividessi in nulla ciò che afferma o che stabilisce… Nei confronti di mia moglie, se senti lei, sono un violento, uno che cerca di imporsi con tutti i mezzi. Ti dirà persino che sono un bruto e che talora faccio all’amore con la forza e senza consenso… Vedi, non c’è solo il debole o solo il potente… Anche nella miseria c’è il potente. È come se fosse una qualifica necessaria.»
«Io credo che si possano stabilire delle relazioni senza gerarchie, in questo sono anarchico e odio i potenti.»
«In ogni gruppo c’è il leader, il capo…»
«Può essere utile per raggiungere qualche obiettivo, ma una volta raggiunti, deve cessare il titolo… Odio i potenti e vorrei ammazzarli. Vederli nel momento in cui muoiono sotto le tue mani, se li strangoli, o sotto la tua pistola, se li elimini così… Hanno lo sguardo di chi ti implora. Nessun dio è stato pregato, nemmeno da un eremita, come è capitato a me da quei tre aguzzini, che torturavano gente umile e debole… Uccidere è una droga. Se cominci ad ammazzare non la smetti più. È troppo bello. Una sensazione di onnipotenza, altro che orgasmo, potenza di un cazzo, qui è l’erezione dell’uomo, di tutto ciò che sei e hai…»
«Di qui non esci più con simili idee…»
«Sono gusti, sensazioni… un piacere. Ecco quando penso alla morte mi sollevo…»
«Si può uccidere anche qui dentro. Due anni fa Giuliano fece una strage: due guardie del penitenziario e tre detenuti… Che potere avevano? Se nasci in Basilicata, come me, sei costretto ad andare in galera o come guardia penitenziaria o come detenuto. Ho scelto la prima via… Tu parli di ingiustizia! Non credi che io avrei diritto altrettanto quanto te di ammazzare?… Ma se facciamo così, cancelliamo l’uomo da questo pianeta. Senti, io alla giustizia non ho mai creduto, ma sono convinto che persone come te meritino di star qui. Insomma, se posso parlar chiaro, la giustizia non funziona, ma non certo perché tu sei qui dentro.»
«Sono d’accordo. Ma perché non mi ammazzano?»
«Se vivessi nel Texas o in Paesi con la pena di morte, sarebbe già accaduto. E qui in Italia, sia perché sede del papato, sia perché siamo dei poeti, non ammazziamo. In questo modo si dà lavoro a gente come me. Un boia farebbe molto più lavoro di noi, anzi non ce ne sarebbe proprio bisogno… Sei vivo per una fatalità… Ma se proprio vuoi, ammazzati… Sono convinto che sarebbe coerente con la tua personalità, con il tuo senso della vita: titanico, mi pare dicessi. Roba da Padreterno.»
«Come posso fare?»
«Ti dico come hanno fatto tanti altri. Le notizie di qui non escono, ma non è poi così raro. Perché credi che le sbarre siano state sostituite da vetri antisfondamento? Perché vi attaccavano le lenzuola e si impiccavano. Attendi il primo sacchetto di plastica e ci ficchi la testa dentro, te lo leghi al collo, consumi l’aria e muori per asfissia. Ingoi una lametta o la usi per segarti la carotide: vuoi sapere qual è? Uno si è tagliato l’uccello, dopo averlo eretto: si produce in queste circostanze un’emorragia enorme, come spaccare l’aorta. C’è, se vuoi, la bombola del gas per cucinare: tu hai ottima condotta, te la permetterebbero. La apri e crepi. Se proprio non ce la fai, qui dentro giunge anche il cianuro, quello che si usa per i topi. Il personale delle pulizie, le guardie stesse… Si paga e si muore. Ti bastano, ne vuoi ancora?… Ti fai un’overdose di eroina: tu non ne fai uso, te ne basta poca, centomila lire. Alla prima ora d’aria, simula di avere un’arma e l’intenzione di far fuori una guardia. Vieni subito freddato, ecco ti ammazzano. Oppure offendi Marcello, dagli del mafioso di merda e dopo quarantotto ore sei in ghiacciaia. La verità è che tu della morte hai una paura troia. E vuoi che ti dica tutto? Anche tu speri di uscire e lo speri anche se sai che è impossibile. L’impossibile per uno qui dentro non esiste: c’è gente che pensa alle amnistie, alla morte di un papa e alla rielezione con richiesta di grazia per i carcerati. C’è gente che crede di essere innocente, eppure ha confessato e spera in una riapertura del processo: impossibile anche perché nessuno se ne interessa. C’è gente che auspica un terremoto che spacchi le mura della casa di pena. Qualcuno crede persino che verrà il Signore o Mandrake o il demonio e aspetta e spera. Nessuno qui ha accettato di essere spacciato definitivamente. Io potrei scrivere un libro sulla speranza. È veramente ciò che caratterizza l’uomo: spera l’impossibile, l’assurdo e così campa. E molti ergastolani chiedono di fare palestra, body building per quando usciranno… Hai capito? Alcuni, con la primavera chiedono la loro crema di protezione per prendere il sole durante l’ora d’aria e perché forse qualcuno verrà a trovarli… Anche se da anni non è venuto nessuno ci sperano… Ecco il miracolo della speranza. Io non so se è l’ultima dea, ma certo è un chiodo su cui uno attacca la propria vita perché non strapiombi nel vuoto. Non è l’intelligenza la caratteristica dell’uomo, è la speranza. Ce l’hai anche tu. Oggi speri di poter ammazzare ancora. Non importa cosa, ma speri… L’ergastolo è una strana condizione dell’esistenza, ma per certi aspetti promuove la più grande forza che io conosca per vivere. Credi, in virtù della speranza, al miracolo. Il miracolo è possibile. L’impossibile che divent...