La nascita imperfetta delle cose
eBook - ePub

La nascita imperfetta delle cose

La grande corsa alla particella di Dio e la nuova fisica che cambierà il mondo

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La nascita imperfetta delle cose

La grande corsa alla particella di Dio e la nuova fisica che cambierà il mondo

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

"Ecco qua il minuscolo difetto, la sottile imperfezione da cui è nato tutto. Un'anomalia che dà origine a un universo che può evolvere per miliardi di anni." Così, un centesimo di miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, si è deciso il destino del cosmo, e quindi il nostro: in un universo in cui materia e antimateria si equivalevano, e che quindi avrebbe potuto, in ogni istante, tornare a essere pura energia, può essere stata sufficiente la leggerissima preferenza del bosone di Higgs - una particella fino a poco tempo fa sconosciuta ai più e oggi diventata celebre come "particella di Dio" - per la materia anziché per l'antimateria ed ecco che si è prodotto il mondo che abbiamo sotto gli occhi. Un momento cruciale, all'origine del cosmo e dell'uomo, e su cui proprio per questo indagano da anni i migliori fisici del mondo, per arrivare a comprenderlo fotogramma per fotogramma: Guido Tonelli, scienziato di livello assoluto e uno dei protagonisti di questa grande avventura, in questo libro chiarisce con straordinaria limpidezza anche i passaggi più complessi delle ricerche sul bosone di Higgs e racconta col piglio dell'esploratore i momenti più emozionanti di una scoperta scientifica senza precedenti. Una scoperta destinata a rivoluzionare la fisica e non solo, perché "di fronte a noi ci sono oggi nuove sfide che richiederanno, con tutta probabilità, un altro cambio di paradigma nel modo di pensare il mondo. Forse, con la scoperta del bosone di Higgs, questo è già cominciato".

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La nascita imperfetta delle cose di Guido Tonelli in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Scienze fisiche e Cosmologia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
ISBN
9788858687482
Categoria
Cosmologia

1

La posta in gioco

Il sorriso di Voltaire

Ferney-Voltaire, 28 novembre 2011
Mi sono svegliato di soprassalto, alle 6,30 del mattino. Oggi è un giorno speciale. Il momento decisivo arriverà alle 9, quando mi troverò di fronte a Fabiola nell’ufficio del direttore del Cern. Siamo i cacciatori del bosone di Higgs, una delle particelle più elusive della storia della fisica. I giornalisti la chiamano «particella di Dio», altri l’hanno ribattezzata il «Santo Graal» della fisica, perché è sfuggita a tutte le ricerche condotte da generazioni di scienziati. Ma noi, ne sono certo, l’abbiamo intrappolata.
Adesso ho solo bisogno di un caffè, e molto forte. La vecchia moka che mi sono portato dall’Italia comincia a emettere la sequenza di sibili e borbottii che mi è familiare. Come sempre, la prima cosa che faccio appena sveglio è controllare al computer lo stato del bimbo. È il nomignolo che abbiamo affibbiato a Cms, ovvero il Compact Muon Solenoid, quella «bestia» di 14.000 tonnellate d’acciaio ed elettronica di cui sono responsabile e che prende dati tranquilla, cento metri sottoterra, a dieci chilometri da qui.
Io sono lo spokesperson di Cms, il portavoce dell’esperimento, chi nelle grandi collaborazioni internazionali coordina lo sforzo collettivo intorno al quale è organizzata la ricerca. Migliaia di scienziati che lavorano a studi e calibrazioni dai quattro angoli del pianeta e attraverso tutti i fusi orari, nell’ansia perenne che uno stupido incidente possa mandare al macero anni di lavoro.
Fabiola è a capo dell’altro esperimento, Atlas, e la competizione fra noi è feroce. È da mesi che dormiamo poco la notte. Piccoli segnali, indizi, anomalie nei grafici continuano ad apparire per qualche giorno sui nostri computer, resistono alle verifiche per una settimana, magari due. E poi, proprio quando cominciamo a crederci, finiscono inesorabilmente per scomparire nelle fluttuazioni del rumore di fondo. È un lavoro frustrante, di controlli e verifiche continue, di tensione perenne ed emozioni che non finiscono mai.
Quando sono entrato nel management dell’esperimento, cinque anni fa, io e Luciana ci siamo trasferiti qui da Pisa. Abbiamo scelto insieme di abitare a Ferney-Voltaire, il piccolo paesino francese sorto intorno alle proprietà del grande filosofo. Dal terrazzo della nostra stanza da letto si distinguono le finestre dello studio di Voltaire, nel castello, lì sulla collina. È in quella stanza che ha scritto Candide. Lì riceveva ospiti come Adam Smith o Giacomo Casanova. Un viale alberato conduceva al lago Lemano direttamente dal castello. Voltaire lo percorreva in carrozza ogni volta che la censura in Francia diventava più aggressiva: si trasferiva a Ginevra per alcuni mesi e rientrava appena le acque si calmavano.
Ferney-Voltaire è posizionato strategicamente al centro di un triangolo i cui vertici definiscono la maggior parte della mia vita qui. In uno c’è il sito centrale del Cern, dove si trovano il mio ufficio e il quartier generale di Cms. Un altro è Punto 5, o P5, dove si trova il rivelatore, a Cessy, un minuscolo paesino alle pendici del Giura. Infine c’è Ginevra, la piccola città internazionale con 200.000 abitanti di 180 diverse nazionalità e una ricchissima vita culturale.
Lhc è proprio qui sotto. Il Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle più potente al mondo, corre per 27 chilometri sotto il confine tra Francia e Svizzera, nei pressi di Ginevra. Disegna nel sottosuolo un cerchio gigantesco che passa sotto le pendici del Giura per sfiorare le rive del lago. Qui, sotto i nostri piedi, centinaia di miliardi di protoni sono accelerati a velocità indistinguibili da quella della luce, per poi scontrarsi con altri protoni che corrono in direzione opposta. I protoni sono particelle minuscole, che compongono i nuclei degli atomi, e le energie che scaturiscono dalle loro collisioni sono insignificanti se rapportate alla nostra vita quotidiana. Ma lì, concentrate nello spazio infinitesimo in cui questi urti avvengono, ricreano condizioni estreme che non si sono mai più date dai tempi del Big Bang.
Ora devo andare. Esco di corsa, come al solito. L’aria è fresca e chiara, il Monte Bianco si staglia netto contro il cielo, con la cima circondata da un pennacchio di nubi. Sono in uno strano stato di stanchezza ed eccitazione.
In macchina, passando dal centro, vedo la statua di Voltaire. Il vecchio filosofo, il «Patriarca», come ancora lo chiamano a Ferney, è stato raffigurato con un’espressione da testimone scettico degli eventi della storia. Ma oggi non riesco a tenere a bada il mio entusiasmo; ho l’impressione che mi guardi e sorrida. Mentre i campi che separano Ferney dal Cern corrono veloci, ho in testa un unico pensiero: l’abbiamo preso!
Non posso fare a meno di pensare a Fabiola. Atlas e Cms, i nostri esperimenti, sono stati concepiti fin dall’inizio come indipendenti. Sono stati approvati insieme per questo, affinché ognuno facesse del suo meglio per arrivare prima ai risultati. E usano tecnologie diverse, per garantire la completa indipendenza delle misure: se uno dei due scopre una nuova particella, l’altro deve poter confermare il risultato. Sono entrambe collaborazioni internazionali che raccolgono più di tremila scienziati. Ma «quelli di Atlas», fin dall’inizio, sono stati più forti, più numerosi, più ricchi di noi. Atlas è sempre stato il primo della classe. Durante la costruzione loro erano sempre perfettamente in tempo, noi perennemente in ritardo. Erano pronti già da mesi a prendere dati quando noi stavamo ancora installando affannosamente gli ultimi rivelatori. La sala di controllo di Atlas è bellissima: spaziosa, equipaggiata con le tecnologie di visualizzazione più moderne; la nostra è sobria, quasi monastica, sempre piena di gente e piuttosto disordinata. Per raggiungere Cms si deve guidare per dieci chilometri nella campagna, mentre Atlas è di fronte all’ingresso principale del Cern. È sulla strada che va all’aeroporto e chiunque passi si trova di fronte il gigantesco affresco che decora una parete della struttura. Capita spesso che ministri, presidenti e capi di Stato di passaggio decidano di visitare Atlas, non noi.
Abbiamo reagito cercando di essere più rapidi nell’analisi dei dati e nel produrre risultati. Possiamo contare su un rivelatore più semplice e capace di prestazioni superiori. Nel primo anno di operazioni li abbiamo stracciati. Abbiamo pubblicato decine di articoli, a raffica, mentre loro arrancavano e tutti si chiedevano cosa stesse accadendo al primo della classe. Ma poi loro sono passati al contrattacco e ora ci troviamo fianco a fianco nel finale della corsa all’Higgs.
Fabiola è una leader naturale e una fisica eccellente. Anche lei è italiana e siamo buoni amici da anni. Talvolta organizziamo cene con amici comuni e le serate sono molto piacevoli. Parliamo di tutto, con un’unica eccezione: quello. Per certi versi siamo agli antipodi. Lei è nata nella capitale e viene da una famiglia borghese: padre geologo, madre letterata, ha frequentato le migliori scuole di Milano. Io sono nato in un paesino sperduto delle Alpi Apuane, Equi Terme, 287 abitanti, una frazione di Casola in Lunigiana. Il figlio del ferroviere e della contadina è stato il primo, in tutta la famiglia di operai e artigiani, a prendere un diploma; per non parlare della laurea. Lei è esperta di software e di analisi, io di rivelatori. Lei è serissima e controllata, ma nei suoi occhi si riesce a leggere il nervosismo. Io maschero meglio la tensione: sembro sempre calmo e cerco di sorridere anche nelle situazioni più difficili. Lei è meticolosa e sistematica, si preoccupa continuamente di dettagli che io trascuro, perché sono più interessato alla visione d’insieme. Siamo molto diversi, ma ci capiamo al volo. Certe volte basta uno sguardo e c’è una profonda fiducia reciproca. Condividiamo una passione bruciante per la conoscenza e siamo onesti nella competizione. Non c’è alcun bisogno di dirci che ciascuno di noi due farà di tutto per arrivare primo. La posta in gioco è troppo alta. Ciascuno dei due vuol vincere la corsa, ma sarà una competizione senza trucchi e vincerà chi saprà correre meglio.
Sono un po’ agitato mentre pigio il pulsante dell’ascensore dell’Edificio 500. L’ufficio del direttore generale è al quinto piano. Sono le 8,58 del mattino quando entro. Fabiola è già lì. Siamo alla resa dei conti finale, stiamo per scoprire le nostre carte. Noi abbiamo raccolto qualche indizio, ma non abbiamo ancora la prova definitiva. A che punto saranno loro? Chi di noi agguanterà la scoperta del secolo? E chi, invece, dovrà arrendersi o accontentarsi del secondo posto, condannando il proprio esperimento all’oblio? Ma abbiamo davvero tra le mani il bosone di Higgs? E perché questa dannata «particella di Dio» è così importante?

Quark, gluoni, Big Bang e cucchiaini

Siamo una strana pattuglia di moderni esploratori. Il nostro scopo è capire da dove nasce questa meraviglia di universo materiale che ci circonda e di cui facciamo parte. Siamo quelli che la gente chiama scienziati, truppe speciali della conoscenza che l’umanità manda in avanscoperta a capire come funziona la natura. Menti elastiche, curiose, prive di pregiudizi e pronte ad accogliere ogni sorpresa, consapevoli che – per costringere il mondo nelle nostre categorie mentali – occorre liberarsi di ogni residuo di senso comune e avventurarsi in territori ignoti. Ai confini della conoscenza ti ritrovi da solo, in un mondo in cui riecheggiano soltanto le intuizioni dei poeti e le voci dei pazzi. Sono gli unici esseri umani che, come noi, non hanno paura di perlustrare luoghi sconosciuti. Per questo li sento vicini. In un certo modo mi fanno compagnia, perché sono coraggiosi, amano il rischio, non temono di portare la mente vicino a quel confine che è necessario esplorare per capire davvero qualcosa di noi e del mondo che ci circonda. Anche noi, come loro, siamo funamboli che corrono sul filo senza gancio di sicurezza.
Lo spiego sempre ai miei studenti fin dal primo giorno di lezione. Cerco di togliere loro le poche certezze che hanno. Tutto quello che la fisica moderna racconta, ci consente di capire, è soltanto una minuscola parte del reale. La materia, tutta la materia, i cornetti alla crema e il mare, gli alberi e le stelle, tutte le galassie e il gas interstellare, i buchi neri e il fondo fossile di radiazione cosmica, insomma tutto quello che abbiamo potuto ipotizzare o osservare direttamente con i più potenti telescopi e gli strumenti scientifici più moderni, conta solo per il 5% del totale dell’universo. Il restante 95% ci è totalmente sconosciuto.
Ecco a che cosa si riduce tutta la scienza moderna: secoli di studi e ricerche, rivoluzioni concettuali come la meccanica quantistica e la relatività generale, una diffusa sensazione di onnipotenza che nasce dal controllo di tecnologie sempre più sofisticate… ma, in ultima istanza, non ci restano che poche gocce di sapere sparse in un oceano di ignoranza.
È la bellezza del nostro mestiere. La cosa buffa è che invece tutti pensano che noi sappiamo. E io, ogni volta, sorrido dentro di me. E faccio di tutto per spiegare che l’unica cosa che ci contraddistingue è una sottile consapevolezza. Abbiamo solo un’idea più chiara di quanto è vasta la nostra ignoranza. Siamo più cauti nel fare affermazioni. Sappiamo di poter sbagliare e diamo peso anche al minimo dettaglio che non è coerente con il quadro generale.
Mi diverto spesso a leggere lo stupore negli occhi di chi mi ascolta quando cerco di far capire che, per uno scienziato, quella che convenzionalmente chiamiamo la realtà è un concetto spurio, difficile da definire con rigore. Anche la realtà quotidiana, nella quale ci muoviamo con sicurezza, è infinitamente più complessa di quanto possa apparire a prima vista. Il cucchiaino con il quale mescoliamo lo zucchero nella tazzina del caffè è un oggetto familiare. E tutti mi prenderebbero per matto se dicessi che io, che sono un fisico, ancora non ho capito bene che cos’è quella cosa che chiamiamo cucchiaino. Perché se provo a descriverlo con precisione è inevitabile che incorra in serie difficoltà. Un cucchiaino è formato da un numero straordinario di atomi che si scambiano legami residuali di interazioni elettromagnetiche e si organizzano in una struttura macroscopica che passa per una miriade di strati microscopici individuali. Un brulicare incessante di quark e gluoni, le stesse particelle che creiamo nei nostri acceleratori, immersi in un flusso continuo e caotico di elettroni. E poi vibrazioni atomiche, rotazioni cangianti, molecole che evaporano e impurità che si depositano, luce assorbita e riemessa a varie lunghezze d’onda, interazioni elettromagnetiche e gravitazionali con tutto il resto dell’universo: è difficile conciliare questa descrizione con il senso comune che recita frasi come: «un cucchiaino è un cucchiaino», «è un pezzo di metallo sagomato in maniera da poter portare alla bocca piccole quantità di bevande» e così via. È difficile convincersi che, anche se sei molto rapido nei movimenti, non prenderai mai in mano lo stesso cucchiaino, né potrai mai essere sicuro che, distogliendo per un attimo lo sguardo, quel cucchiaino che ritrovi sul bordo del piattino sia esattamente lo stesso che hai immerso poco prima nel caffè.
Per non parlare del cielo stellato. Quello che tutti hanno guardato, se non altro per cercare le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Il cielo degli innamorati e dei bambini, che sollevano la testa all’insù, verso lo sciame di stelle della Via Lattea, e – generazione dopo generazione – ripetono al babbo o al nonno la stessa domanda che mi ha fatto Elena, la mia nipotina, quando aveva quattro anni: che cosa sono tutte queste lucine nel cielo?
È una bella domanda, la realtà di un cielo stellato. Ciò che vediamo è tutt’altro che semplice; è la sovrapposizione di segnali luminosi, provenienti da stelle distribuite su distanze molto diverse fra loro, che raggiungono in contemporanea i nostri occhi. La fisica quantistica ci ha insegnato che la luce è composta da minuscoli grani indivisibili di energia, che chiamiamo fotoni. La loro velocità, cioè la velocità della luce, per quanto enorme, non è infinita. Quando guardiamo le stelle, che sono molto distanti, i fotoni che colpiscono e attivano le cellule fotosensibili distribuite nella nostra retina hanno viaggiato per anni; alcuni, quelli provenienti dalle stelle più lontane, per migliaia di anni. L’immagine che il nostro cervello ricostruisce è quella dell’astro nel preciso momento in cui ha emesso quella luce, forse migliaia di anni fa. Nessuno ci può garantire che, nel frattempo, la stella non si sia spostata di miliardi di chilometri o che non sia addirittura morta, dando spettacolo nel cielo con l’esplosione di una supernova. Accade ogni notte, sopra la nostra testa, che ci sia la rappresentazione sincrona di fenomeni distanti fra loro migliaia di anni. Ecco che di colpo ci si rende conto che ciò che osserviamo non esiste, o quantomeno non esiste nella forma in cui ci appare. Il cielo stellato che il nostro cervello ricostruisce è un’immagine quasi arbitraria di una realtà che sappiamo essere dipendente dal luogo, dal momento e dallo strumento con cui si osserva.
I fotoni provenienti da stelle distanti, come Sadr nella costellazione del Cigno, hanno iniziato il loro viaggio quando l’Impero romano cominciava a vacillare sotto i colpi delle invasioni barbariche. Quelli di V762, una supergigante nella costellazione di Cassiopea, sono stati emessi al culmine dell’ultima glaciazione, quando lo strato di ghiaccio che ricopriva l’Europa era spesso centinaia di metri. Addirittura la debole luce della nebulosa di Andromeda, una delle pochissime galassie visibili a occhio nudo, ha iniziato il suo viaggio quando nelle gole di Olduvai, in Africa, una nuova razza di stranissime scimmie cominciava a colonizzare porzioni sempre più vaste della savana.
Per non parlare di tutto quanto non si vede con gli occhi, come il fondo di radiazione cosmica – residuo del Big Bang – che permea l’intero universo, oppure la materia oscura che pervade tutto e che tiene insieme, con il suo abbraccio, i grandi ammassi di galassie. Gli occhi elettronici con cui scrutiamo il cielo, i grandi telescopi terrestri o quelli montati su satellite, ci danno ben altre immagini dello stesso cielo, costruite su altre lunghezze d’onda, molto più ricche e dettagliate delle povere immagini che il nostro occhio è capace di ricostruire con la sua sensibilità ingabbiata. Lo spettro dell’iride, quello che si vede scomposto nell’arcobaleno, infatti, ricopre solo una piccola gamma delle frequenze che le onde elettromagnetiche più in generale possono avere, suddividendosi (al crescere della frequenza e dunque al diminuire della lunghezza d’onda) in onde radio, microonde, infrarossi, luce visibile, ultravioletti, raggi X e gamma.
La volta celeste, così come ci appare, è dunque una gigantesca macchina del tempo. Ma nessuno se ne stupisce. Nessuno sgrana gli occhi di fronte a uno spettacolo che si ripete tutte le notti, come invece succederebbe sicuramente se, passeggiando in una piccola valle dolomitica, vedessimo sulla sinistra un gruppo di mucche che pascolano, al centro Odoacre a capo dell’orda di Eruli che lo porterà a Ravenna a por fine all’Impero romano d’Occidente, e sulla destra, sopra un enorme ghiacciaio, un gruppo di nostri antenati in pelliccia che cacciano uno degli ultimi esemplari di mammut.
La realtà, dunque, è molto diversa da come appare, molto più complessa di quella che riusciamo a percepire, e la scienza fatica già a rispondere alla più semplice delle domande, quella che l’umanità si è posta fin dalla sua infanzia: da dove viene tutto questo?
La prima difficoltà nasce dal fatto che l’universo in cui viviamo oggi è molto diverso da quello che ha dato origine a tutto. Siamo molto fortunati a trovarci in un angolo caldo e accogliente di un cosmo che, nel complesso, è estremamente freddo. La sua temperatura media è di circa −270 °C, pochi gradi sopra lo zero assoluto, il livello minimo che si possa concepire. Quando è nato, al contrario, l’universo era l’oggetto più incandescente che si possa immaginare, talmente caldo e turbolento che persino definire la sua temperatura crea non poche difficoltà.
Sappiamo anche che l’universo è molto vecchio. Gli studi più recenti indicano un’età di 13,8 miliardi di anni. Come si può, allora, pensare di comprenderne l’origine semplicemente osservando la materia fredda e vecchissima che ci circonda? Troppo diverse sono le condizioni dell’universo primordiale, troppo diverso il comportamento della materia nelle condizioni estreme di temperatura che c’erano all’origine, per riuscire a capire oggi quel che avvenne allora.
D’altra parte non abbiamo scelta. Se vogliamo afferrare l’origine della materia e comprenderne a fondo le caratteristiche, dobbiamo provare a risalire a quei primi istanti. L’azzardo concettuale è enorme, ma in palio c’è la comprensione del mondo.
Tutto ha inizio da una minuscola fluttuazione del vuoto. Una banale, impercettibile fluttuazione quantistica, di quelle che avvengono inesorabilmente nel mondo microscopico, in linea di principio una delle tante. Ma questa particolare fluttuazione ha una qualche caratteristica per cui dà il via a qualcosa di molto speciale: anziché richiudersi immediatamente, come infinite altre, si espande subito, a una velocità spaventosa, e ne nasce un universo materiale di dimensioni gigantesche, che comincia subito la sua evoluzione. Se capiremo quei primi istanti di vita dell’universo bambino, così diverso da quello vecchio e freddo attuale, forse capiremo anche che fine farà.
Per questo è stato costruito Lhc, il posto più simile al primo istante di vita dell’univer...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Prologo. Una corsa e l’ansia per alcune misure
  6. 1. La posta in gioco
  7. 2. I ragazzi del ’64
  8. 3. Siete completamente pazzi!
  9. 4. Entusiasmi, paure e grandi delusioni
  10. 5. Finalmente sì
  11. 6. Un compleanno speciale
  12. 7. I sette mesi che hanno cambiato la fisica
  13. 8. Il segreto dell’universo
  14. 9. Una porta sul futuro
  15. 10. Una nuova genesi
  16. Epilogo. Bonobo, scimpanzé e supernove
  17. Ringraziamenti