La paura è un peccato (VINTAGE)
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La paura è un peccato (VINTAGE)

Lettere da una vita straordinaria

  1. 384 pagine
  2. Italian
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La paura è un peccato (VINTAGE)

Lettere da una vita straordinaria

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Informazioni sul libro

Oriana Fallaci odiava scrivere lettere perché le rubavano tempo prezioso al lavoro sui libri. Eppure nessuno più di lei ha legato il suo nome alla scrittura epistolare. Fin dagli esordi nel giornalismo ha tenuto una fitta corrispondenza pubblica e privata con i protagonisti della politica, della cultura, del giornalismo, da Andreotti a Nenni, da Ingrid Bergman a Shirley MacLaine, da Henry Kissinger a Fidel Castro. E ogni volta era capace di stilare tre, quattro o anche più minute, quasi sempre firmate, per immaginare cosa sarebbe apparso agli occhi del suo interlocutore una volta aperta la busta. Le minute venivano poi conservate per avere traccia dello scambio epistolare e, grazie allo straordinario lavoro di archiviazione delle sue carte private, è stato possibile scegliere fra le centinaia di lettere scritte ad amici e colleghi, alla famiglia e ai politici, quelle più significative per raccontare l'intera esistenza attraverso la sua viva voce. Sono missive ricche di aneddoti spassosi, riflessioni sulla politica italiana ed estera, sfoghi sulle difficoltà a sopportare il peso della distanza dagli affetti più cari. Un'occasione unica per osservare da vicino il talento di una donna ossessionata dalla scrittura e così sedotta dal suo lavoro da trasformare anche le lettere d'amore in capolavori letterari. La corrispondenza raccolta in La paura è un peccato è la testimonianza ininterrotta di una vita epica seppure strozzata dagli stessi tormenti di cui sono fatte le nostre vite, sempre in bilico fra la voglia di autonomia e il desiderio inconfessabile di trovare un conforto negli altri, il piacere di fare un lavoro che appassiona e il timore di vedere il tempo per sé divorato dagli impegni professionali. Ma sono anche una straordinaria lezione sull'arte della scrittura persino quando assolvono il semplice compito di elencare richieste di libri o scatole di sardine.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2017
ISBN
9788858689394
Categoria
Viaggi
La prosa non è un urlo, ma una disciplina

38.

Grazie per la cortesia, la pazienza, e… il whisky irlandese

Tra la fine del 1973 e il 1974 Oriana realizza per «l’Europeo» alcune interviste ai leader politici italiani, su richiesta del direttore, che vuol vedere applicato al nostro Paese il suo modello di intervista, ormai famoso in tutto il mondo. La serie viene inaugurata da Sandro Pertini, Giovanni Malagodi, Giorgio Amendola, Pietro Nenni, le sfuggirà Giuseppe Saragat che le sarà rubato dal concorrente «Epoca».
Roma, 14 febbraio 1974
Gentilissimo Malagodi,
Le mando la prima copia dell’intervista. Il numero è appena giunto da Milano per fuorisacco. Mi auguro che il tutto Le piaccia.
Per ragioni di spazio (il lavoro superava le ventidue cartelle) ho dovuto rinunciare a qualche argomento. Quello dei sindacati, ad esempio. Ma, come Le dissi, l’intervista apparirà nel libro per intero. E, forse, avremo tempo e modo di allargarla qua e là entro la prossima estate.
Colgo l’occasione per ringraziarLa ancora una volta per le molte ore che mi ha dedicato, per la cortesia, la pazienza, e… il whisky irlandese. Ho già detto a mio padre che Lei desidera far conoscenza col nostro vino bianco. Ne avrà, dunque, non appena lo tireremo fuori dalle botti. E, intanto, Le procurerò una bottiglia di quello vecchio rubandolo alla collezione in cantina. Non l’ho ancora fatto perché non ho ancora avuto il modo di recarmi in campagna.
Cordialmente Sua,
Oriana Fallaci

39.

A «Epoca» si divertono alle mie spalle

Aprile 1974
Caro Nenni,
mi dispiace molto d’aver avuto così poco tempo per parlare e spiegarmi. Ero venuta al partito nella speranza di risolvere le cose meglio che a telefono.
Le mando questa lettera per dirLe ciò che non ho potuto dirLe stamani. Si tratta di un discorso assolutamente personale, da amici, che Le fo a cuor aperto. E che deve restare fra noi.
Eccolo. Io mi trovo in una situazione molto difficile col mio giornale proprio a causa di «Epoca». Non so come, non so perché, né riesco a capirlo, negli ultimi tempi «Epoca» mi ha portato via quasi tutte le interviste che stavo per fare. Interviste promesse, fissate. Quasi sapessero tutto il mio programma di lavoro.
Era fissata l’intervista con Saragat, ad esempio. E, una settimana prima, Saragat ha visto quelli di «Epoca». (Ed io ho dovuto cancellare quel servizio perché il mio giornale non voleva arrivare dopo «Epoca».) Era promessa da ben sei mesi l’intervista con Fanfani, ad esempio, e stavo finalmente per giungere in porto. Poi Fanfani ha fatto lo sgambetto e s’è dato a «Epoca». Idem per altri.
Al giornale sono arrabbiati con me. Neanche fosse mia colpa. E ieri c’è stata una brutta discussione: sono stata sul punto di dare le dimissioni. Tutto s’è concluso con la frase: «Vediamo se ti fai portar via anche l’incontro con Nenni». (Sanno che ne parliamo da tanto tempo.) Ed io non oso pensare cosa succederebbe se «Epoca» mi bruciasse di nuovo, con Lei!
Forse ha ragione a dirmi che un’intervista sarebbe più importante dopo il referendum. Ma per me è necessaria ora. Devo farla ora. Del resto si tratta di una vecchia promessa. In gennaio Lei mi disse di aspettare fino ai primi di marzo, ricorda? E, dopo, mi disse di aspettare il Suo ritorno da Crans sur Sierra. Io ho aspettato, con fiducia.
Non faccia capire queste cose a Uboldi… A «Epoca» si divertirebbero ancora di più alle mie spalle. Ma mantenga la promessa che fece a me e rovesci i due incontri. Per favore! Posso venire a Formia la settimana prossima. Sia gentile, cerchi di capire per cortesia.17
Grazie. Ritelefonerò. Saluti affettuosi,
Oriana Fallaci

40.

Senza di loro il libro sarebbe monco

15 ottobre 1974
Caro Malagodi,
problemi gravi e che mi disorientavano mi impedirono di rispondere più lungamente, la scorsa estate, al Suo gentile telegramma. Lo faccio ora chiedendo scusa per il ritardo.
A parte quei problemi (la malattia di mia madre che se ne sta andando per un cancro), il motivo principale per cui non La ho cercata nei mesi estivi è il medesimo per cui non ho ricercato gli altri. È mancata infatti l’intervista con Fanfani. L’ineffabile personaggio non ha mai detto no e non ha mai detto sì, come i cinesi; è mancata l’intervista con Berlinguer che ha detto no; è mancata l’intervista con Saragat col quale mi sono bisticciata perché aveva dato la precedenza a «Epoca» in un brutto e inutile incontro. Ma senza costoro, cioè senza il leader della Dc e del Pc e del Psdi, il libro [Intervista con la storia] sarebbe risultato e risulta monco. Conclusione, se non riesco a vedere almeno Fanfani e Saragat (Berlinguer è in fondo sostituito con gli incontri con Amendola e Pajetta) non posso fare ciò che avevo in mente.
Resta il vino. La mia impressione è che quest’anno il vino bianco sia venuto meno bene. Mio padre, offeso, risponde bruscamente che no, è soltanto giovane. Ma, giovane o no, voglio aspettare prima di offrirgliene l’assaggio. E preferisco rimandare la cosa all’inverno quando sarò sicura di non vergognarmi a inviarLe fiaschi e bottiglie.
Accetti i miei più cari saluti e auguri in questo momento in cui tutti ne abbiamo infinito bisogno.
Oriana Fallaci

41.

Leggere, leggere, leggere

Molte sono le lettere che Oriana Fallaci riceveva da sconosciuti ammiratori – e spesso anche da lettori critici – alle quali, pur tra gli impegni pressanti del lavoro di scrittura, non si sottraeva, cercando di rispondere e argomentare. Soprattutto quando a rivolgersi a lei erano dei giovanissimi, come la tredicenne Mariella.
11 gennaio 1975
Cara Mariella,
ti ringrazio della buona lettera. Se davvero hai tredici anni, la tua amicizia e la tua maturità mi commuovono. E mi inducono a risponderti: cosa che non faccio mai, che comunque non faccio da molti anni, e non perché intenda essere sgarbata o altera ma perché non ne ho il tempo materiale. Inoltre l’ammirazione altrui mi imbarazza: non so mai cosa rispondervi.
Ma il tuo caso, ripeto, è diverso perché sei così giovane. Così ecco le risposte a ciò che mi chiedi.
1) Il titolo di studio che viene richiesto per diventare giornalisti è, mi pare, la licenza liceale. È inutile aggiungere che una laurea non guasta. In altri Paesi esistono anche università di giornalismo (negli Stati Uniti, ad esempio, ve ne sono di ottime) ma io non credo che il giornalismo si possa studiare a scuola. L’unica vera scuola di giornalismo è il giornalismo nella sua pratica quotidiana. Il giornale, una cultura seria e assimilata, una certa vocazione. L’unico consiglio che posso darti è studiare, per ora: molto e bene. Poi leggere, leggere, leggere. Infine aspettare i diciotto o i venti anni per capire se questa vocazione esiste davvero.
2) Non te la prendere con la tua maestra di scuola quando mi insulta. Forse è fascista (molti lo sono senza sapere di esserlo), forse ha una mente cieca e un cuore invidioso. Cioè mi legge senza leggermi, o non mi legge affatto, e il mio successo la irrita. (Accade a molte donne le quali non hanno capito che, nella nostra società dominata dagli uomini, il successo di una donna è il successo di tutte le donne.) In ogni caso ha il diritto di pensarla come vuole su di me. E non possiamo, né dobbiamo, imporle di apprezzarmi. Tantomeno di amarmi. Sarebbe un fascismo. La prima condizione di libertà e di civiltà è permettere agli altri di pensarla come vogliono: finché, ovvio, permettono a noi di pensarla come vogliamo. Se ce lo impediscono, infatti, la guerra tra noi e loro scatta come un dovere.
3) Lascia perdere i tuoi conoscenti quando dicono che non valgo niente. Probabilmente sono loro che valgono poco, o niente. E consolati pensando che tanta gente non la pensa come loro: sia in Italia che nei Paesi europei che negli Stati Uniti e nell’America Latina. Tu devi capire che, quando una persona è conosciuta, comunque esce dall’anonimato, finisce con l’essere odiata da molti. Il prezzo primo del successo, (che si basa sull’amore di molti), è l’odio di molti. In qualche senso, chi esce dall’anonimato finisce sempre con l’apparire antipatico. È sempre stato così, sarà sempre così, e in fondo è giusto che sia così in quanto ogni realtà si regge sul suo contrario. Una lampada non si accende forse perché esiste un polo positivo e un polo negativo?
4) Diverso è il discorso su coloro i quali dicono che «finirò in carcere». Sono scoppiata a ridere leggendo quella frase. Mi ha divertito proprio. Infatti, lì per lì, mi son detta che l’unica cosa da risponderti era: non vedo come e perché dovrei finire in carcere giacché non rubo, non ammazzo, non imbroglio, e la mia moralità è in ogni senso adamantina. Ma poi ci ho ripensato e mi son detta che la risposta giusta era un’altra: non vedo come e perché dovrei «finire in carcere» in un regime di libertà. E ho pensato, di nuovo, che forse avevi udito quella frase da qualche fascista. E… certo: sotto una dittatura io finirei certamente in carcere. Se riuscissero ad arrestarmi.
Forse coloro che mi odiano tanto e si auspicano ch’io finisca in carcere, si augurano una dittatura. Ma allora, prima di vincere, dovrebbero vedersela con le persone come me. Sono molte, più di quante essi credono. E poi, anche vincendo, dovrebbero vedersela con persone come me. E averne paura. Perfino a rinchiuderle in carcere. Perfino ad ammazzarle.
5) Io non odio gli americani. Affatto. Come popolo li ammiro in molte cose. Ad esempio, nel fatto di avere una élite culturale libera e democratica e progressista. Ad esempio, nel fatto di avere una gioventù raramente fascista: una gioventù che bolle idee nuove e coraggiose. Ad esempio nel fatto che, prima o poi, e a livello popolare, si accorgano sempre dove sta il male e costringano alle dimissioni i loro Nixon. Il modo in cui parlo, in Niente e così sia, dei soldati americani che non vogliono fare la guerra in Vietnam dovrebbe chiarirti che io non odio gli americani: odio la loro classe dirigente. Odio il loro denaro e la loro forza militare che interviene nella vita degli altri popoli e la piega ai loro interessi. Odio la Cia che ha aiutato e forse spronato Pinochet a rovesciare Allende, poi a fucilare migliaia e migliaia di democratici. Odio il Pentagono che cerca le guerre e le fa. Odio i loro Nixon, i loro quasi-Nixon, i loro neo-Nixon, che poi si ritrovano anche ad Est, dall’altra parte della barricata. Perché nessuno, su questo pianeta diviso tra due potenti, ha l’esclusiva del male.
Ma qui il discorso sta diventando troppo difficile per una bambina di tredici anni. (Si è ancora bambini a tredici anni ed io spero che tu lo sia.) Perciò ti saluto e ti prego di non aspettare un’altra lettera. Questa è stata del tutto eccezionale, devi capirlo. E ti abbraccio con affetto, e ti auguro ogni bene, ed auguro a me stessa di non deluderti mai.
Tua,
Oriana Fallaci

42.

Non è di me che hanno paura, ma della verità

Nel 1975 Oriana Fallaci intervista Alvaro Cunhal, segretario generale del Partito comunista portoghese, per «l’Europeo» (n. 24 del 13 giugno 1975). Cunhal, dopo aver affermato che in Portogallo non avrebbe mai potuto esserci una democrazia come nel resto dell’Europa occidentale, aveva poi smentito attraverso il Pcp. Oriana affida la sua replica al giornalista portoghese Alvaro Guerra, concedendogli un’intervista, pubblicata dalla rivista «A Luta».
1975
Caro Alvaro,
non voglio imitare il mio amato Pietro Nenni che, dopo una intervista, spedisce le risposte scritte dicendo: «Io sono un giornalista!». Ma, poiché le tue domande erano intelligenti, io ho continuato a pensarci. E, pensandoci, ho trovato alcune cose da chiarire. Così, le scrivo. Velocemente, senza pensarci. E con la speranza che tu comprenda l’italiano.
1) sul mestiere di giornalista. Per me è una maniera di vivere. E, come le donne che hanno vissuto tutta la loro vita in un harem, non conosco un’altra maniera di vivere. Cioè di pensare. Vivere e pensare (che è la medesima cosa) vivendo e pensando la storia nel momento stesso in cui la storia avviene. Scrivere la storia a… caldo. Cioè non dopo, quando è fredda. Scriverla e viverla. Di qui, la totale mancanza di obbiettività. Vivere significa per me partecipare. Chi partecipa fa una scelta. Quindi non può essere obbiettivo.
2) Sulla rivoluzione. La vera rivoluzione è evoluzione, ripeto. E l’evoluzione è tempo, è pazienza. Quindi la rivoluzione è tempo, è pazienza. (Lo dice una persona impaziente come me.) La rivoluzione impaziente è isteria. E l’isteria è… isteria. Non rivoluzione. L’evoluzione, cambiando la forma, cambia la sostanza. In altre parole, cambiando l’aspetto superficiale delle cose, cambia la sostanza delle cose. Cioè cambia il pensiero, l’anima. E non si cambia il pensiero dell’Uomo, l’anima dell’Uomo, con una isteria improvvisa. Se lo si cambia, non è rivoluzione: è moda. C’est la mode. Io non seguo la moda. Nemmeno nel modo di vestire. (Usavo i pantaloni venti anni fa, quando le donne non portavano i pantaloni.) Le rivoluzioni come le presenta Gonçalves18 sono come le minigonne di Mary Quant. E non dimentichiamo che le minigonne di Mary Quant sono diventate maxigonne nel giro di due anni. Non dimentichiamo che la moda è sempre una dittatura. Cioè una cosa irrazionale.
Numero due: che cazzo (chiedo scusa per la parola) di rivoluzione è una «rivoluzione» che, come la «rivoluzione» portoghese dimentica le donne? Questi «rivoluzionari» militari sono tutti uomini. Non c’è una donna nell’Mfa. Non c’è una donna nel Consiglio della Rivoluzione. Non c’è una donna al potere. Non c’è una donna al governo. Non c’è una donna nei quadri dei partiti politici. E la sola vera rivoluzione-evoluzione che avviene oggi è quella delle donne! Tutte le «rivoluzioni» non rivoluzioni hanno tenuto conto delle donne. Perfino la rivoluzione russa. Ma la «rivoluzione» portoghese ignora le donne completamente.
Perché? Perché viene da una casta antirivoluzionaria cioè antievoluzionaria come la casta militare. Ma come si permette un militare cioè un conformista come Gonçalves di definirsi «rivoluzionario»?!? Come si dice in italiano, egli è una «contraddizione in termini». Per concludere: questi «rivoluzionari» conformisti parlano a nome dei lavoratori, dei negri, di tutti gli slogan démodés e facili. E non parlano mai delle vittime dei lavoratori, delle vittime dei negri, cioè delle vittime due volte vittime che sono donne. Vedono le loro vittime nella lontana Angola, nel lontano Mozambico, e non le vedono nella loro casa, nel loro letto.
Forse perché sono così abituati ad essere fascisti e colonialisti in Angola e in Mozambico da non capire quanto sono fascisti e colonialisti nella loro casa e nel loro letto?!? Poveri «rivoluzionari»: vogliono cambiare il padrone delle banche e non vogliono cambiare il padrone del loro pensiero. Non vogliono addirittura cambiare il loro pensiero. Ignoranti e ipocriti, come tutti i «rivoluzionari».
3) Cunhal. Io non uccido chi sta morendo. Io non uccido i condannati a morte. Di conseguenza, io sarò l’ultima persona a dire cose cattive o crudeli su Cunhal. Ma vi sono altre ragioni per cui io non voglio dire cose cattive o crudeli su Cunhal. Alcune personali, altre morali.
a) Tutti i vigliacchi che oggi gridano «Viva Cunhal», come i giornalisti portoghesi, domani grideranno «Morte a Cunhal». Non li aiuto perché Cunhal pagherà per i suoi stupidi errori ed essi non pagheranno nulla.
b) Cunhal non ha mai smentito le cose che mi ha detto in un magnetofono. È il Partito comunista portoghese che ha smentito me per smentire Cunhal, per punire Cunhal. Il giorno in cui Cunhal dirà di non avere detto ciò che mi ha detto, io gli dirò: «Merda». Ma Cunhal non lo dirà perché è un uomo onesto anche se sbaglia.
c) Cunhal è un uomo che ha combattuto i fascisti. E questo io non lo posso dimenticare, non lo devo dimenticare. Io non sono arrabbiata con Cunhal. Io sono triste per Cunhal. Perché crede di essere un rivoluzionario ed è soltanto un conformista démodé, un uomo che vive nel passato, un uomo che non ha capito che la storia va avanti e non indietro. Il suo non è «rivoluzionarismo»: è romanticismo rivoluzionario. Un romanticismo da adolescente e non da uomo maturo. Non conosce la pazienza: conosce la prep...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Nota editoriale
  5. Sia chiaro che sono, purtroppo o no, una giornalista
  6. Vi scrivo dalla foresta cambogiana
  7. Aspettami. Io ti ho aspettato tanto
  8. La prosa non è un urlo, ma una disciplina
  9. Alekos, morto due volte
  10. Non so perdonare, né dimenticare
  11. Come le tartarughe in inverno
  12. Una sabbia fine come cipria
  13. L’alieno
  14. I giorni della rabbia
  15. Note
  16. Fonti
  17. Indice
  18. Tavole fuori testo