Motel Voyeur
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Motel Voyeur

  1. 200 pagine
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Motel Voyeur

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È il 7 gennaio del 1980 quando Gay Talese, all'epoca impegnato nell'imminente pubblicazione del suo bestseller La donna d'altri, riceve una lettera scritta a mano e anonima. Il mittente è un uomo del Colorado, che dice di aver «appreso del suo attesissimo studio sul sesso in America» e «di poter contribuire con alcune importanti informazioni». Nel seguito di quella lettera l'autore rivela a Talese qualcosa di inconfessabile: alla fine degli anni Sessanta ha acquistato il Manor House Motel, alla periferia di Denver, per soddisfare le proprie tendenze voyeuristiche. Sotto il tetto della struttura ha costruito una «piattaforma d'osservazione», e da lì, attraverso dei finti condotti di ventilazione, da anni osserva gli ospiti ignari. Talese, incuriosito e intenzionato a scriverne, incontra l'uomo – Gerald Foos – in Colorado qualche settimana dopo, e visita il motel. Foos, però, dichiara di voler rimanere anonimo, il giornalista non accetta e decide che questa storia non sarà raccontata. Passano degli anni, Talese rimane in contatto con Foos, che gli invia pagine e pagine del suo Diario del Voyeur, un registro in cui ha annotato le abitudini, i vizi, le passioni dei suoi ospiti – coppie sposate, amanti occasionali, omosessuali, vedove, escort, e tanti altri – pensando a sé come a un pioniere della ricerca sul sesso. Quello che ne risulta è uno spaccato della sessualità in America tra gli anni Settanta e i Novanta, l'istantanea di una nazione che sta vivendo gli aspri effetti della guerra in Vietnam, i giorni della Rivoluzione Sessuale, della desegregazione. Oggi, dopo oltre trentacinque anni da quella prima lettera, Talese, in questo straordinario esempio di giornalismo narrativo, può raccontare finalmente la controversa vicenda umana di Gerald Foos, offrendoci il ritratto della vita più segreta dell'America nell'ultima metà del secolo scorso.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
ISBN
9788858687659

Uno

Conosco un uomo, sposato con due figli, che molti anni fa rilevò un motel di ventuno stanze vicino Denver per diventarne il voyeur residente.
Assistito dalla moglie praticò delle aperture rettangolari nei soffitti di una dozzina di stanze, ciascuna di trentacinque per quindici centimetri. Poi le coprì con delle veneziane di alluminio, all’apparenza delle griglie d’aerazione ma che, in verità, erano condotti per l’osservazione che gli permettevano, in ginocchio o in piedi sulla spessa moquette della soffitta, sotto il tetto spiovente del motel, di vedere gli ospiti nelle loro stanze. Da allora, ha continuato a osservarli per decenni, tenendo un registro quasi quotidiano di ciò che vedeva e sentiva – e mai, in tutti questi anni, è stato scoperto, nemmeno una volta.
Venni a sapere di questa persona grazie a una lettera assicurata, scritta a mano e non firmata, con data 7 gennaio 1980, spedita al mio indirizzo di casa a New York. Cominciava così:
Caro Mr Talese,
da quando ho appreso del suo attesissimo studio sul sesso in America da costa a costa, che verrà incluso nel volume di imminente pubblicazione La donna d’altri, sento di poter contribuire con alcune importanti informazioni al contenuto dello stesso o di un volume futuro.
Sarò più specifico. Sono proprietario di un piccolo motel, 21 stanze, nell’area metropolitana di Denver. È da 15 anni che è di mia proprietà, ed essendo destinato per natura al ceto medio, ha avuto modo di attrarre gente di ogni estrazione e ospitare un generoso spaccato della popolazione americana. La ragione per cui ho acquistato il motel fu di soddisfare le mie tendenze voyeuristiche e il mio pressante interesse per tutte le fasi della vita che le persone conducono, a livello sociale e sessuale, e per fornire una risposta all’antica questione «di come si comporta la gente quanto al sesso, nel privato della camera da letto».
Acquistai il motel al fine di conseguire il mio scopo e l’ho amministrato personalmente, e ho sviluppato un metodo a prova di bomba per osservare e ascoltare le interazioni tra le vite di persone diverse, senza che sappiano mai che qualcuno le sta guardando. L’ho fatto solo per la mia illimitata curiosità per la gente e non perché sia un mero voyeur disturbato. È ormai da quindici anni che va avanti, e ho preso nota della maggior parte degli individui da me osservati, ho compilato interessanti statistiche su ognuno, vale a dire quanto fatto; quanto detto; le caratteristiche individuali; età e corporatura; da quale parte del Paese arrivano; comportamenti sessuali. L’estrazione di questi individui è quanto mai varia. L’uomo d’affari che porta la segretaria nel motel nella pausa di mezzogiorno, caso generalmente classificato, nel gergo dei motel, come «a ore». Coppie sposate in viaggio da uno Stato all’altro, per affari o vacanza. Coppie che non sono sposate ma vivono insieme. Mogli che tradiscono i mariti e visa versa. Il lesbismo, sul quale ho fatto uno studio personale causa la vicinanza al motel di un ospedale dell’esercito americano e relative infermiere e donne militari ivi impiegate. L’omosessualità, per cui nutrivo scarso interesse pur tuttavia osservandolo per determinarne motivazioni e pratiche. Gli anni Settanta, sul finire, hanno rivelato una nuova deviazione sessuale, il «Sesso di Gruppo», che mi sono trovato a osservare con grande interesse.
Si tende a classificare i preparativi come deviazione sessuale, ma visto quanto la pratica sia comune per la più grande proporzione di persone, andrebbe riclassificata come preferenza sessuale. Se i ricercatori sessuali & la gente in genere avessero la capacità di guardare dentro le vite private degli altri e vederli praticati & eseguiti, e di accertarsi con precisione di quanta percentuale della gente normale indulge nelle cosiddette deviazioni, la loro posizione cambierebbe all’istante.
Ho visto portare a compimento la gran parte delle emozioni umane, il ridicolo e il tragico. Sessualmente, sono stato testimone, osservatore e studioso di prima mano del miglior sesso spontaneo, extra-laboratorio tra coppie e del grosso delle altre deviazioni sessuali concepibili, per la durata degli ultimi quindici anni.
Il mio obiettivo principale nel voler fornire a lei queste informazioni confidenziali è il convincimento che possano essere di valore per un pubblico generale e per i ricercatori del sesso in particolare.
Aggiungo che avrei voluto raccontare questa storia ma non ho abbastanza talento e ho timore di venire scoperto. La speranza è che questa fonte di informazioni possa essere d’aiuto aggiungendo una prospettiva aggiuntiva alle sue altre risorse nello sviluppo del suo volume o di libri futuri. Magari, se non saprà che fare di queste informazioni, potrà mettermi in contatto con qualcuno che saprà cosa farne. Se è interessato a ottenere informazioni ulteriori o gradisce ispezionare il mio motel e le mie attività, la prego di scrivermi alla casella il cui numero è in calce, o di notificarmi come io la possa contattare. Al momento non posso rivelare la mia identità, causa i miei interessi professionali, ma le sarà rivelata quando potrà assicurarmi che queste informazioni saranno tenute in assoluta riservatezza.
Spero di ricevere una sua risposta. Grazie.
Sinceramente suo,
presso Casella postale 31450
Aurora, Colorado
80041
Dopo averla letta, accantonai la lettera per qualche giorno, non sapendo come o perfino se fosse il caso di rispondere. Ero profondamente scosso dal modo in cui quest’uomo aveva violato la fiducia dei clienti e invaso la loro privacy. Oltretutto, dato che ho sempre insistito nell’usare i veri nomi dei soggetti dei miei articoli e libri, già sapevo che non avrei accettato la condizione dell’anonimato che mi veniva imposta, anche se, come l’autore lasciava intendere nella sua lettera, non poteva fare diversamente. Per evitare di finire in prigione, e le fondate cause legali che avrebbero potuto mandarlo sul lastrico, era costretto a riservare a se stesso la privacy che negava ai suoi ospiti. Un uomo simile poteva essere una fonte attendibile?
Eppure, mentre rileggevo certe sue frasi manoscritte – «L’ho fatto solo per la mia illimitata curiosità per la gente e non perché sia un mero voyeur disturbato» e «ho preso nota della maggior parte degli individui da me osservati» –, dovevo ammettere che i metodi e le ragioni della sua ricerca erano simili a quelli del mio libro La donna d’altri. Io, per esempio, avevo preso appunti in segreto mentre gestivo dei centri massaggi di New York o mi mescolavo agli scambisti della comune nudista di Sandstone Retreat, nella California del Sud; e The Kingdom and the Power, il mio libro del 1969 sul «New York Times», comincia così: «I giornalisti sono quasi tutti inquieti voyeur che vedono le verruche del mondo, le imperfezioni delle persone e dei luoghi». Ma la gente che osservavo e raccontavo io mi aveva dato il consenso.
Quando ricevetti questa lettera, nel 1980, mancavano sei mesi alla pubblicazione di La donna d’altri, ma già se n’era parlato parecchio. Il «New York Times» aveva pubblicato un pezzo, sull’edizione del 9 ottobre del 1979, secondo cui la casa di produzione United Artists aveva appena comprato i diritti cinematografici del libro per due milioni e mezzo di dollari, superando il precedente record per la vendita dei diritti di un libro: i 2,15 milioni pagati per Lo squalo.
«Esquire» aveva già pubblicato un estratto da La donna d’altri negli anni Settanta, e decine di riviste e quotidiani avevano parlato del libro. Ad attirare l’attenzione dei giornali era stato il mio metodo di ricerca: avevo gestito centri massaggi di New York, mappato l’economia della compravendita sessuale in città e cittadine del Midwest, del Southwest, del profondo Sud, nonché trascorso sul campo diversi mesi da nudista al Sandstone Retreat, nel Topanga Canyon, a Los Angeles, per raccogliere informazioni di prima mano. Quando uscì, il libro schizzò in cima alla classifica del «New York Times» e rimase al primo posto per nove settimane consecutive, vendendo milioni di copie tra Stati Uniti ed estero.
Se il mio corrispondente del Colorado fosse, per usare le sue parole, «un voyeur disturbato» – da far pensare al proprietario del Bates Motel in Psycho di Alfred Hitchcock; o al film-maker assassino di L’occhio che uccide di Michael Powell, o invece un uomo inoffensivo di «illimitata curiosità» come il fotoreporter Jimmy Stewart, costretto sulla sedia a rotelle in La finestra sul cortile di Hitchcock; o addirittura un semplice mitomane – potevo scoprirlo solo accettando quell’invito a conoscerci di persona.
Avevo in programma un viaggio a Phoenix quello stesso mese, pertanto decisi di spedirgli un biglietto, con il mio numero di telefono, in cui mi offrivo di fare una tappa all’aeroporto di Denver durante il ritorno a New York, proponendo di vederci al ritiro bagagli alle quattro del pomeriggio del 23 gennaio. Mi lasciò un messaggio sulla segreteria telefonica dicendo che si sarebbe fatto trovare lì – e così quel giorno lo vidi emergere dalla folla in attesa e venirmi incontro mentre mi avvicinavo al nastro che trasportava le valigie.
«Benvenuto a Denver» mi disse con un sorriso, esibendo con la mano sinistra il biglietto che gli avevo spedito. «Piacere, Gerald Foos.»
La prima impressione fu che questo affabile sconosciuto non avesse nulla di diverso da almeno la metà degli uomini con cui avevo appena viaggiato in business class. Orientativamente sui quarantacinque, di carnagione chiara, occhi nocciola, un metro e ottanta, in leggero sovrappeso. Indossava una giacchetta di lana marrone chiaro sbottonata e una camicia da completo, anch’essa sbottonata, appena troppo stretta per il suo collo tozzo e muscoloso. Rasato di fresco, aveva una testa di folti capelli scuri in un taglio pulito, con la riga da una parte; dietro la spessa montatura di corno degli occhiali esibiva l’espressione invariabilmente amichevole che si addice a un locandiere.
Dopo la stretta di mano e i convenevoli al ritiro bagagli, accettai il suo invito a stare al motel per qualche giorno.
«La sistemiamo in una di quelle stanze dove non ho i miei privilegi d’osservazione» disse, sorridendo con leggerezza.
«Va bene» risposi, «ma potrò unirmi a lei mentre guarda la gente?»
«Sì» disse. «Forse già stasera. Ma solo dopo che mia suocera Viola sarà andata a dormire. È vedova e lavora con noi, vive in una delle stanze del nostro appartamento, che sta dietro l’ufficio. Io e mia moglie abbiamo preso tutte le precauzioni per non farla partecipe del nostro segreto; lo stesso vale, si capisce, per i nostri figli. La soffitta in cui sono installati i condotti per l’osservazione è sempre chiusa a chiave. Solo io e mia moglie abbiamo le chiavi. Come le ho scritto nella mia lettera, negli ultimi quindici anni nessun ospite ha mai avuto il minimo sospetto di essere sotto osservazione.»
A quel punto estrasse dal taschino un foglio di carta piegato e me lo consegnò. «Spero non abbia nulla in contrario a leggerlo e mettere la firma» disse. «Dopodiché potrò essere del tutto sincero con lei e non avrò problemi a portarla in giro per il motel.»
Era un documento di una solo pagina, ben redatto a macchina, e attestava che non avrei mai identificato Gerald Foos per nome nei miei scritti, né avrei mai associato pubblicamente il suo motel con alcune delle informazioni che avrebbe condiviso con me, non senza la concessione di una liberatoria. Sostanzialmente ripeteva le preoccupazioni già espresse nella prima lettera. Dopo averlo esaminato, firmai il documento. Che importanza aveva? Avevo già preso la mia decisione, a quelle condizioni non avrei scritto di Gerald Foos. Mi ero fermato a Denver solamente per incontrare quest’uomo di «illimitata curiosità per la gente» e per soddisfare la mia illimitata curiosità nei suoi confronti.
Quando arrivarono i miei bagagli, insistette per portarli; lo seguii lungo il terminal, fino al parcheggio e infine a una berlina Cadillac nera tirata a lucido. Dopo aver sistemato le mie cose nel portabagagli e avermi fatto cenno di sedermi accanto a lui, mise in moto. Rispose al mio commento positivo sulla sua automobile dicendo di possedere anche una nuova Lincoln Continental Mark V; ma il suo vero orgoglio erano tre vecchie Thunderbird: una decappottabile del 1955 e le due Hardtop del ’56 e del ’57. Sua moglie Donna guidava una Mercedes-Benz 220S, una berlina del ’57, di colore rosso.
«Io e Donna ci siamo sposati nel 1960» disse mentre imboccava l’uscita dall’aeroporto per prendere la statale che ci avrebbe portati al motel, nella periferica cittadina di Aurora. «Io e Donna abbiamo frequentato lo stesso liceo ad Ault, un paesino a centocinque chilometri a nord. Milletrecento anime, grossomodo, quasi tutti contadini e allevatori.» I suoi genitori possedevano una fattoria di sessantacinque ettari ed erano tedeschi americani. Li definì dei gran lavoratori, persone affidabili e di cuore, che per lui avrebbero fatto qualunque cosa, «tranne parlare di sesso». Ogni mattina sua madre si vestiva nella cabina armadio della loro camera da letto, e lui non li aveva mai visti mostrare alcun interesse per il sesso. «Perciò, essendo curiosissimo del sesso anche nella prima adolescenza – con tutti quegli animali della fattoria intorno a me come potevo evitare di pensare al sesso? – cercai fuori casa dove imparare quanto potevo della vita privata della gente.»
Non dovette cercare poi tanto, mi spiegò al volante dell’auto nel traffico lento dei pendolari. Una fattoria vicino, una settantina di metri dalla loro, era occupata da una delle sorelle minori già sposate di sua madre, Katheryn. Quando cominciò a guardarla, sua zia Katheryn aveva probabilmente poco meno di quarant’anni; «seni grandi, un corpo snello e atletico, capelli di un rosso fiammante», così la descrisse. Camminava spesso nuda per la sua stanza, la sera, con le luci accese e gli scuri aperti: lui andava a curiosare da sotto il davanzale – «una falena attratta dalla sua fiamma» – nascondendosi lì per un’oretta a guardare in silenzio e masturbarsi. «È per lei che ho cominciato a masturbarmi.»
Nei cinque o sei anni successivi tornò spesso a guardarla e non fu mai scoperto. «A volte mia madre mi vedeva sgattaiolare fuori di casa e mi chiedeva: “Ma dove te ne vai a quest’ora?” E io inventavo delle scuse, tipo che dovevo controllare i cani perché mi pareva di sentire i coyote». Poi sgattaiolava fino alla finestra di zia Katheryn, sperando di trovarla nuda, che camminava per la stanza o magari seduta al tavolino da toeletta a sistemare le sue bamboline tedesche di porcellana, o la sua preziosa collezione di ditali, che teneva in una vetrinetta di legno appesa alla parete della camera da letto.
«A volte c’era suo marito, zio Charlie, ma di solito dormiva della grossa. Beveva molto, e potevo contare sul fatto che non si svegliasse. Una volta li vidi fare sesso e rimasi turbato. Ero geloso. Lei era mia. Avevo visto molto di più del suo corpo rispetto a lui. L’ho sempre considerato un tipo rozzo che non la trattava come si deve. Io ero innamorato di lei.»
Continuavo ad ascoltare Gerald Foos senza commentare, ma ero sorpreso dal suo candore. Lo conoscevo da neanche mezz’ora e già si lasciava andare a confidenze sulle sue fissazioni masturbatorie e sulle origini delle sue attività da voyeur. Abituato, in quanto giornalista, a dare risposte alle mie curiosità, non ricordo di aver incontrato qualcuno che richiedesse meno sforzi da parte mia. Mi ci erano voluti anni per conquistare la fiducia del boss mafioso Bill Bonanno, soggetto del mio libro Onora il padre: anni di lettere, visite al suo avvocato, cene con lui «a microfoni spenti». Alla fine avevo conquistato la sua fiducia, l’avevo convinto a trasgredire il codice mafioso del silenzio, ed ero arrivato a conoscere anche la moglie e i figli. Gerald Foos, invece, non aveva avuto esitazioni. Faceva tutto da solo mentre io, un confidente reso innocuo dall’accordo di riservatezza, sedevo nell’auto e ascoltavo. L’automobile era il suo confessionale.
«Alle superiori non ebbi rapporti sessuali» proseguì, «ma a quei tempi era così quasi per tutti. Lì incontrai la mia futura moglie, come ho detto; io e Donna però all’epoca non uscivamo insieme. Aveva due anni meno di me. Era studiosa, tranquilla, e anche abbastanza carina, ma a me piaceva una delle ragazze pompon della squadra di football. Io ero una stella della squadra, giocavo running back. Per due anni feci coppia fissa con la ragazza pompon, che si chiamava Barbara White ed era bellissima. I suoi genitori gestivano una tavola calda sul corso. Niente sesso, ripeto, ma tanti abbracci e baci dopo la scuola sui sedili del mio pick-up Ford del ’48. Una sera eravamo parcheggiati dietro la stazione di servizio all’uscita nord del paese, e cercai di toglierle le scarpe. Volevo vederle i piedi. Aveva mani perfette, e un corpo snello – portava ancora la divisa da cheerleader – e io volevo solo vedere i suoi piedi e tenerli in mano. Non la prese bene. Provai a insistere e lei si infuriò e scese dal pick-up. Poi si strappò dal collo la catenina e mi lanciò l’anello.
«Non la seguii fino a casa» continuò. «Sapevo che era finita. Mi vide a scuola il giorno dopo e cercò di dirmi qualcosa, ma non aveva più importanza. Avevo perso la sua fiducia e non potevo riconquistarla. La nostra storia era chiusa. Mi sentivo triste, confuso e un po’ frustrato. Era quasi finito il mio ultimo anno. Dovevo cambiare aria. Non sapevo niente delle persone. Decisi di arruolarmi in Marina.»
Raccontò di aver passato i quattro anni successivi nel Mediterraneo e in Estremo Oriente, seguendo i corsi di addestramento per specialista in demolizioni sottomarine; intanto, durante le licenze a terra, ampliava le sue conoscenze sessuali sotto la guida delle ragazze che intrattenevano i clienti in certi locali. «La mia propensione al voyeurismo si attenuò» scrisse in seguito. «In alcune occasioni tornai a essere voyeur, ma di regola in quegli anni partecipai al più alto numero possibile di avventure sessuali. È stato un periodo di apprendimento ed esperienze, per me: approfittavo dei miei viaggi in Marina per scoprire tutto ciò che potevo. Mi imbarcai per due anni, viaggiavo di porto in porto e visitai ogni postribolo possibile dal bacino del Mediterraneo all’Estremo Oriente. Un’esperienza eccellente, ma ancora cercavo risposte e volevo capire le questioni complesse relative a quanto accade nel privato. La mia soluzione assoluta per la felici...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Motel Voyeur
  4. Uno
  5. Due
  6. Tre
  7. Quattro
  8. Cinque
  9. Sei
  10. Sette
  11. Otto
  12. Nove
  13. Dieci
  14. Undici
  15. Dodici
  16. Tredici
  17. Quattordici
  18. Quindici
  19. Sedici
  20. Diciassette
  21. Diciotto
  22. Diciannove
  23. Venti
  24. Ventuno
  25. Ventidue
  26. Ventitré
  27. Ventiquattro
  28. Venticinque
  29. Ventisei
  30. Ventisette
  31. Ventotto
  32. Ventinove
  33. Trenta
  34. Trentuno
  35. Trentadue
  36. Trentatré
  37. Trentaquattro
  38. Trentacinque
  39. Nota dell’Autore
  40. Nota del Traduttore