Nei tuoi occhi è la mia parola
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Nei tuoi occhi è la mia parola

Omelie e discorsi di Buenos Aires 1999-2013

  1. 1,056 pagine
  2. Italian
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Nei tuoi occhi è la mia parola

Omelie e discorsi di Buenos Aires 1999-2013

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Papa Francesco ha inaugurato un modo diverso di vivere il pontificato rinnovando intensamente anche il rapporto di ognuno di noi con la fede. Una rivoluzione iniziata durante il suo arcivescovato in Argentina, che possiamo cogliere appieno in questo volume in cui sono raccolte tutte le omelie e i discorsi pronunciati dal 1999 al 2013, fino all'ultima, profetica omelia preparata prima di partire per il Conclave. "Leggere queste pagine" scrive padre Antonio Spadaro nell'introduzione "è come entrare nella 'camera oscura' di Papa Francesco. E questo laboratorio fotografico serve a capire meglio, a comprendere la stagione ecclesiale che stiamo vivendo." Un patrimonio di parole a testimoniare un'esperienza viva a contatto col popolo di Dio, ma che fornisce anche il retroterra utile per comprendere "da dove viene" la straordinaria capacità che ha Francesco di parlare ai fedeli, fin dalla prima volta, quando dalla loggia di San Pietro salutò le persone lì raccolte con quell'indimenticabile: "Fratelli e sorelle, buonasera...". Nelle parole che Bergoglio, anno dopo anno, rivolge agli argentini ritroviamo lo spirito e l'atteggiamento del pastore della Chiesa universale che esorta a uscire, ad andare "nelle periferie" dove "c'è sangue sparso, cecità desiderosa di vedere", a "risanare ferite" e "riportare a casa quelli che vagano dispersi". E incontriamo il Papa che quando predica, come dice nell'illuminante conversazione inedita che apre questo libro, ha bisogno di "avere un contatto", di "guardare gli occhi". E di ascoltare. Perché "se non si ascolta la gente come si fa a predicare?".

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2016
ISBN
9788858686751
Categoria
Religion

2008

Cultura e religiosità popolare

Religiosità popolare come inculturazione della fede nello spirito di Aparecida

La V Conferenza del CELAM svoltasi a maggio nel santuario brasiliano di Aparecida1 è stata un evento ecclesiale. Uno sguardo acuto sulla realtà latinoamericana oggi chiama la Chiesa a svolgere la sua missione evangelizzatrice.
Non è un fatto nuovo, per la Chiesa, proporre l’evangelizzazione come meta del suo agire: nel cristianesimo esiste uno slancio originario e fondante verso l’annuncio della salvezza a tutti i popoli (Mt 28,19).
Ma la necessità urgente della missione che è al centro del messaggio di Aparecida parla della percezione di un logoramento nel cattolicesimo latinoamericano. Nel corso di oltre cinquecento anni la fede cristiana è penetrata nella cultura del continente e ha offerto una religiosità che, quando viene accolta con sincerità, alimenta la vita personale e dei nostri popoli. Tuttavia, sebbene i cattolici restino la maggioranza, qualcosa sta cambiando. All’inizio della Conferenza Papa Benedetto ha detto: «Si percepisce […] un certo indebolimento della vita cristiana nell’insieme della società e della partecipazione alla vita della Chiesa cattolica, dovuto al secolarismo, all’edonismo, all’indifferentismo e al proselitismo di numerose sette, di religioni animiste e di nuove espressioni pseudoreligiose» (Discorso inaugurale, DA 2).
Ci troviamo in un’epoca nuova, con mutamenti profondi e rapidi. Questa realtà genera incertezza, confusione e paura nel cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo. Nel contesto latinoamericano e caraibico tutto ciò diviene più complesso e drammatico perché i nostri popoli vivono una realtà in cui la povertà e l’esclusione sono in crescita, la corruzione istituzionalizzata mette radici, la violenza di ogni genere si espande man mano che si consolida la perdita dell’identità personale.
Questa situazione si è progressivamente sviluppata attraverso cambiamenti già scorti quarant’anni fa dal Concilio Vaticano II (GS 4-10). Quelle trasformazioni si sono acuite e il passaggio epocale richiede una nuova maniera di collocarci nella storia che è cambiata e continuerà a cambiare. Oggi stiamo vivendo cose che pensavamo impensabili o lontane nel tempo, e il futuro ci appare incerto.
Non possiamo liquidare i fenomeni insorti nella postmodernità, gli effetti della globalizzazione e tanti altri processi come se fossero una crisi passeggera di cui bisogna aspettare la fine in modo che tutto torni come prima. L’irreversibilità della globalizzazione – così ingiusta in molti sensi –, che nella sua dimensione positiva si traduce in «un intreccio di relazioni a livello planetario… un guadagno per la grande famiglia umana e un segnale della sua profonda aspirazione all’unità» (Benedetto XVI, DA 2), è, tuttavia, una innovativa opportunità per l’evangelizzazione di raggiungere tutto il mondo, e, per la Chiesa, di costruire l’unità nei continenti e tra i popoli: di rendere più effettiva la collaborazione e la credibilità dei cristiani.
La Conferenza ha la forte convinzione che il cristiano non possa non essere missionario e, d’altra parte, quest’esigenza non possa essere vissuta in profondità e in verità senza un atteggiamento di discepolato: un incontro personale e comunitario con Gesù Cristo. Noi cristiani siamo discepoli del Maestro e pertanto non possiamo guardare la realtà se non in termini di missione.
Non siamo osservatori imparziali, ma uomini e donne desiderosi di impregnare tutte le strutture della società di un amore che abbiamo conosciuto e che, quando incontra la realtà, è capace di trasformarla in vita abbondante.
Nel Discorso inaugurale il Papa ha detto che quello è «la cosa migliore che ci sia accaduta in vita nostra» ed «è quanto abbiamo da offrire al mondo e resistere alla cultura della morte con la cultura cristiana della solidarietà costituisce un imperativo che ci riguarda tutti» (DA 480).
In modo concreto, con apertura critica, sapienziale e profetica, con identità e con discernimento, la Chiesa in America Latina e nei Caraibi vuole mettersi in stato di «discepolato missionario» per «dare vita ai nostri popoli», in Cristo.
È proprio del discepolo il discernimento: lo «sguardo umile» (DA 36), l’ascolto attento (DA 366). Il discepolo non sa che cos’è e che cosa deve fare, perché non è Maestro. Ascolta, è disponibile, non ha risposte. Quella è la Chiesa di Aparecida: una comunità di discepoli missionari che vogliono ascoltare il Signore. L’ascolto del Signore si fa anche nell’ascolto della realtà con spirito umile, per discernere che cosa bisogna essere e fare.
L’America Latina sperimenta, come il resto del mondo, una trasformazione culturale; «la V Conferenza cerca di stabilire criteri su come evangelizzare la cultura, e su come si possa far giungere la Buona novella alla gente tramite la cultura di ogni popolo» (cardinale Paul Poupard).

Il cammino percorso

Risulta impossibile metterci davanti alla realtà dell’evangelizzazione nell’oggi dell’America Latina senza tenere presenti certi termini, come: cultura, inculturazione, religiosità popolare, pietà popolare. Dietro ciascuna di queste parole si celano realtà che sono state oggetto di studio, di analisi ma, soprattutto, oggi sono il risultato di un’esperienza forgiata nel corso della storia. E la storia stessa, con le sue costanti fluttuazioni, è andata determinando il senso e il luogo che occupano.
Nel documento finale della V Conferenza la parola «cultura» appare circa settanta volte, e ciò che si intende esprimere con essa è totalmente diverso da ciò che significava quando negli anni Cinquanta si svolse la prima Assemblea dell’episcopato latinoamericano. Al tempo stesso la realtà della religiosità popolare ha un’incidenza e una risonanza positiva molto diverse da quanto si poteva percepire quando questo stesso termine si affacciava nei primi scritti della Chiesa latinoamericana.
Non possiamo giungere a una comprensione completa se non leggiamo quei termini alla luce della storia che li ha man mano forgiati, dando loro la dimensione che hanno oggi. Non si può comprendere l’evoluzione della Chiesa dell’America Latina se non si tiene conto dei cambiamenti sociali e politici che qui si sono verificati a partire dagli anni Sessanta.
Alla fine del Concilio di Trento, nel 1563, l’America aveva già accolto centinaia di missionari e assisteva alla grande controversia suscitata da Bartolomé de Las Casas sui metodi di evangelizzazione e di conversione; comprendeva una trentina di diocesi e aveva già dato vita a vari concili locali e provinciali per discutere il progetto missionario americano.
Quei quattro secoli hanno avuto termine con il Vaticano II, dove si è posta in evidenza la diversità di situazioni e di culture in cui vivevano Chiese differenti, come le irrigidite cristianità europee, le Chiese orientali, le comunità in India, Giappone e Cina, le giovani Chiese dell’Africa e, tra gli altri, i cattolicesimi popolari dell’America Latina.
Per la prima volta quei temi entravano «dalla porta principale» e diedero alle nostre Chiese particolari una nuova luce per affrontare vecchi problemi e iniziare un dialogo culturale, al loro interno e verso l’esterno. «Con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (NA 2).
In un diverso contesto il Vaticano II riscopre l’importanza dei carismi all’interno della Chiesa (LG 12) ed esorta inoltre a discernere i segni dei tempi (GS 4; 11; 44). Il Concilio rappresenta un’apertura al dialogo con il mondo contemporaneo, una certa riconciliazione con la modernità dei Lumi e un recupero della dimensione profetica della Chiesa nei confronti della società. Con questa luce apportata dal Concilio è possibile comprendere che cosa sia accaduto in questi ultimi decenni in America Latina e come l’abbia vissuto la Chiesa.

a) Medellín

Benché il ventaglio dei temi proposti fosse più ampio, la povertà e la necessità di libertà furono quelli che nel post-Concilio catturarono l’attenzione per l’America Latina e i Caraibi.
La rivoluzione cubana di Fidel Castro, il tentativo di impiantare il desarrollismo,2 i movimenti sociali popolari in Perù, in Cile, in Bolivia, in Messico cominciarono a cambiare il panorama dell’America Latina insieme al fallito tentativo di «Che» Guevara di allargare la rivoluzione a tutta l’America Latina partendo dalla Bolivia: questo è il contesto nel quale si svolge, nel 1968, la II Conferenza latinoamericana dei vescovi. Medellín non è stata soltanto un’applicazione del Concilio all’America Latina, ma una rilettura creativa del Vaticano II nell’ambito di un mondo di povertà ingiusta, con strutture di peccato economiche e sociali. La Chiesa in America Latina comincia a cercare di capirsi e di scoprire la propria missione partendo dal grido dei suoi poveri, dalla sofferenza del popolo, degli indigeni, delle donne, degli operai, dei contadini, dei bambini.
Benché a Medellín la questione culturale non sia mai stata trattata direttamente, tutte le riflessioni erano tinte della coloritura che la realtà sociale stava dando alla cultura.
La II Conferenza dell’episcopato latinoamericano si espresse in favore dell’enorme massa dei diseredati di questo continente e profuse gran parte delle sue energie nella costituzione di una «Chiesa che nasce dal popolo», uno spazio di riunione dei più poveri attorno all’ascolto e alla comprensione della Parola di Dio, alla luce della presa di coscienza operata sulla realtà quotidiana.
Fu attraverso quell’opzione per i più poveri che le Chiese particolari vennero a un contatto più diretto con la sfaccettata realtà religioso-culturale di questo continente. Creando lo spazio perché i poveri avessero il loro posto e prendessero la parola, si riscopriva una Chiesa nascosta, composta da reminiscenze di oltre duemilaseicento popoli nativi, con le loro innumerevoli lingue e tradizioni, oltre a due milioni di discendenti da africani. Fu inevitabile che non si riuscisse a introdurre nelle liturgie le espressioni culturali di quegli enormi segmenti di popolazione.
Medellín fu così importante per l’America Latina e anche per la Chiesa universale, che quando, nel 1974, il presidente del CELAM Eduardo Pironio andò a Roma per il Sinodo sull’evangelizzazione, portò con sé tre suggerimenti pastorali che avrebbero poi avuto una marcata influenza sulla famosa esortazione apostolica di Paolo VI, la Evangelii nuntiandi. I tre suggerimenti erano: le comunità ecclesiali di base, il tema della liberazione e la religiosità popolare.

b) Puebla

La conferenza di Puebla3 trova in piena ebollizione quel processo di «restituzione della parola» ai poveri. Le comunità ecclesiali di base e i movimenti popolari di liberazione ritenevano che l’unico cambiamento sociale possibile dovesse essere quello assunto dalle masse e che sapesse parlarne il linguaggio. Questa concezione, con le sue luci e le sue ombre, contribuì a fare rincontrare la Chiesa con le culture indigene autoctone e in modo più esplicito con quelle afroamericane.
A Puebla il tema culturale entrò dalla porta della religiosità popolare e s’inserì nelle tematiche motivate dalla commemorazione dei cinquecento anni [V Centenario della scoperta e dell’evangelizzazione dell’America, n.d.r.], che sarebbero culminate a Santo Domingo.4 Puebla si dedica ampiamente alla riflessione sulla religiosità popolare. Ma riesce a contemplare questa religiosità soltanto come una realizzazione imperfetta del «radicale substrato cattolico» di questo continente.
Dal 1989 il panorama sociale ed ecclesiale cambia molto. La caduta del socialismo dell’Est, il neoliberalismo presentatosi come unica via di salvezza, l’insorgere della corrente culturale della postmodernità, segnano un cambio di orizzonte nella coscienza sociale ed ecclesiale dell’America Latina.

c) Santo Domingo

La IV Conferenza latinoamericana dei vescovi ha luogo a Santo Domingo, nel 1992; ci s’interroga sul cammino della Chiesa in America Latina. La sfida di inculturare il Vangelo nella società richiede di evitare che i laici riducano la loro azione all’ambito intraecclesiale: vanno spinti, invece, a «penetrare gli ambienti socioculturali e ad essere in essi protagonisti della trasformazione della società alla luce del Vangelo» (DSD 98). I laici devono smettere di essere «cristiani da sacrestia» in ciascuna delle loro parrocchie e devono assumersi in prima persona l’impegno nella costruzione della società politica, economica, lavorativa, culturale e ambientale.
Con questa cornice di fondo, tuttavia, già erano delineate le condizioni per una visione meno angusta della realtà delle culture latinoamericane. Si discusse la «unità e pluralità delle culture indigene, afroamericane e meticce» e si fecero passi avanti in quella direzione, riconoscendo il nostro «continente multietnico e pluriculturale», con una «visione del mondo di ciascun popolo», «ma che cercano la propria unità a partire dall’identità cattolica» (DSD 244). Si accetta, pertanto, la pluralità culturale e sociale, purché essa non implichi una pluralità religiosa.
Le conclusioni di Santo Domingo scoprono una piaga ancora aperta nelle relazioni delle Chiese cristiane con le tradizioni ancestrali dei popoli americani: la ricerca e la preservazione della «identità cattolica» sembrano entrare in conflitto con la sfida del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso. La Commissione 26, riunita nel corso dell’incontro, afferma la «ininterrotta azione di Dio attraverso il suo Spirito, in tutte le culture» (DSD 225-1), intendendo l’inculturazione come «un processo condotto a partire dall’interno di ogni popolo e comunità» (DSD 225-2).
Nella versione definitiva del documento ci si apre a «promuovere un’inculturazione della liturgia accogliendo con stima i loro simboli, riti ed espressioni religiose compatibili con il chiaro senso della fede, conservando il valore dei simboli universali e in armonia con la disciplina generale della Chiesa» (DSD 248).

Cultura in Aparecida

È indubbio che il nuovo avvicinamento alla realtà latinoamericana utilizzato in Aparecida abbia privilegiato il concetto di cultura come una chiave interpretativa importante. L’accostamento al tema è stato molto variegato, ma non appare alcuna definizione concisa del termine; troviamo piuttosto vari tratti particolari di questo concetto, determinati dalla lettura che si è fatta della realtà.
«In questa realtà di cambiamenti culturali emergono nuovi soggetti, con nuovi stili di vita, modi di pensare, di sentire, di percepire e di stabilire relazioni. Sono i produttori e gli attori della nuova cultura.» (DA 51)
Si tratta di un concetto dinamico: esso presuppone si parli di soggetti, che la producono e la attuano, nonché delle loro maniere di comportarsi e delle rappresentazioni che danno di ciò che li circonda. Questo tipo di legame provoca un costante cambiamento nella società. Gli elementi prodotti nella cultura influiscono gli uni sugli altri, sviluppando così negli individui nuove forme di espressione e di decisione.
Aparecida mette in rilievo che il fenomeno sociale si manifesta con una grande complessità. Ci sono situazioni riconosciute indegne dell’essere umano, e si rende necessario scoprire come il cristianesimo interagisca con questo fenomeno. La Chiesa ormai non concepisce se stessa al margine della produzione di senso, bensì come uno degli attori dentro questo processo. Non si colloca in una posizione critica, ma come un partecipante attivo in ciò che determina la configurazione degli spazi collettivi. Questa collocazione supera la tentazione che la Chiesa possa considerarsi una realtà esterna alla società e alle sue contraddizioni. La Chiesa è produttrice di cultura, vale a dire di comportamenti umani, e promotrice di processi. È soltanto una parte del grande spettro, non l’unico attore. La capacità d’influenza che possiede viene sfidata dall’impegnativa missione di convincere dell’attualità e della possibilità del progetto cristiano, come un progetto che realizza interamente l’uomo e la storia concreta entro cui si muove ogni giorno.
Sullo sfondo di Aparecida c’è, tra l’altro, la coscienza della nostra responsabilità di mostrare che la Buona notizia di Gesù è una via concreta di salvezza. Ciò ha per contropartita la necessità di scoprire e riconoscere che ruolo ha giocato e deve giocare la Chiesa davanti a realtà dolorose e ingiuste che colpiscono gran parte della società. Aparecida ha constatato un div...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le orme di un pastore. Una conversazione con Papa Francesco
  4. Introduzione
  5. Nota del traduttore
  6. Sigle
  7. Nei tuoi occhi è la mia parola
  8. 1999
  9. 2000
  10. 2001
  11. 2002
  12. 2003
  13. 2004
  14. 2005
  15. 2006
  16. 2007
  17. 2008
  18. 2009
  19. 2010
  20. 2011
  21. 2012
  22. 2013
  23. Note
  24. Fonti
  25. Indice