La fondazione di Roma
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La fondazione di Roma

753 a.c. L'alba di un impero

  1. 396 pagine
  2. Italian
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La fondazione di Roma

753 a.c. L'alba di un impero

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753 a.C. In un Lazio selvaggio e misterioso crescono i due gemelli che fonderanno la Città Eterna. Remo governa le forze della natura attraverso poteri segreti, che tenta in ogni modo di ignorare, perché il suo unico desiderio è condurre l'esistenza quieta del pastore. Romolo, invece, si dedica al brigantaggio con i compagni della Confraternita Saturnina e spende il bottino delle imboscate nelle bettole di Settemonti. Al compimento dei diciassette anni, Remo e Romolo, come tutti i loro coetanei, sono sottoposti alla prova per entrare nell'esercito dei Quiriti. Abbandonati in un bosco con in corpo un veleno mortale, i fratelli si salvano grazie ai poteri di Remo e, sulla via del ritorno, si imbattono nel prodigio della Stele che, animandosi, li mette in guardia sul loro destino. Incuranti delle parole della profezia, i fratelli si separano: Romolo diventa soldato mentre Remo si rifugia a casa di Angerona, la sua promessa. Ma i gemelli non possono sottrarsi alla sorte preparata per loro dagli dèi. Amulio, l'usurpatore del trono di Alba, ha mosso guerra contro Settemonti e schiere di Mantelli Neri seminano terrore in tutta la regione. Ai fratelli, ancora lontani l'uno dall'altro, non resta che imbracciare le armi, ignari che quello è il primo passo verso il compimento della profezia. In una notte infinita i gemelli affronteranno insieme la battaglia decisiva contro Amulio, scoprendo solo allora un terribile segreto sul loro passato e la missione di cui sono investiti: fondare la città che governerà il mondo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2011
ISBN
9788858616291

Libro secondo

Sacerdoti dagli inferi

1

Remo sfilò il flauto dalla custodia di pelle e improvvisò un paio di note, nel tentativo di accordare il ritmo alla cadenza della sua camminata. Mezzo miglio più avanti individuò finalmente il tempo desiderato e attaccò la melodia.
Con la bisaccia che scendeva sul petto, il mantello annodato al collo, la verga in bilico sulle spalle e un cappello di paglia sulla testa, scivolava dinoccolato sul sentiero ombreggiato dai pioppi. Le note, intessendosi, si ispessirono sempre di più, fino a cucire una vela trasparente che pareva trascinarlo avanti.
Era rimasto a casa del padre appena due giorni, che gli erano serviti per pronunciare un’unica parola: addio. Non avrebbe accettato la corona di una nazione passata e non sarebbe diventato il soldato di un popolo in costruzione. Gli Aborigeni, o quel che ne rimaneva, erano la sua gente, ma non erano dalla sua parte. I Quiriti erano stranieri e conquistatori, eppure lo pretendevano con loro, ma solo dopo averlo voluto morto.
Suo padre era stato un uomo saggio, ma ora era un vecchio con sogni da bambino, e stava perdendo la saggezza un po’ alla volta come i bambini perdono i denti. I pensieri gli annebbiavano la mente e per scacciarli soffiò con forza nella canna forata, liberando una musica marziale e incalzante, che lo costrinse ad aumentare il passo per inseguirla.
Dopo la visione presso la Stele, per alcuni momenti si era sentito una cosa sola con suo fratello, e sulla giusta rotta, ma quando si era separato da Romolo, si era allontanato anche da se stesso e ora andava alla deriva, preda di correnti invisibili, incredulo e distante dalle vicende del mondo.
Romolo aveva deciso di diventare un quirite e di vivere accanto a quelli che avevano sperato nella sua morte. Senza nemmeno prendere in considerazione l’eventualità di passare da casa, si era avviato alla volta di Settemonti, con l’intenzione di presentarsi dal Curio Massimo a riscuotere il premio per essere sopravvissuto: una spada e un voto.
«Forse un giorno sarò davvero un condottiero e fonderò la città della profezia, ma prima devo diventare un soldato» aveva spiegato al fratello prima che si salutassero.
Remo non aveva nascosto la delusione. «Che senso c’è nel barattare la propria libertà con un pezzo di ferro e un frammento di coccio?»
«La libertà non è fuggire dal mondo, ma divenirne parte» aveva replicato Romolo, con gli occhi fissi sul sentiero per Settemonti.
«Meglio pastore che pecora, dico io.»
«Fratello, a volte temo che tu rimarrai un pastore per tutta la vita.»
«E il sogno presso la Stele? Che ne pensi, ora?»
«La mia vita è la mia via. Se gli dèi hanno davvero progetti su di me, stai tranquillo che verranno a cercarmi. Io non mi nasconderò.»
Remo aveva indicato le colline alle loro spalle. «Cosa hai fatto nell’ultimo anno?»
«Un po’ di giustizia, ma per farla tutta bisogna diventare grandi. Il capo di un villaggio può fare del bene a un villaggio; il capo di una città, invece, può fare del bene alla città e a tutti i suoi villaggi.»
«Quindi credi ancora nella profezia?»
«Credo in Romolo, fratello. Ora andrò a Settemonti, diventerò un quirite e un giorno la governerò. Allora libererò il nostro Popolo.»
Remo aveva stretto i pugni e l’erba ai suoi piedi si era mossa. «Certo, un giorno libererai il nostro Popolo, e intanto abbandoni la nostra famiglia. Domani diventerai un cittadino, ma fino a ieri hai fatto il bandito. Credi nel percorso indicato dalla profezia, ma nel frattempo ti volti dall’altra parte. Ti occuperai di tutti, ma ora ti interessi solo di te stesso. Fratello, tu ti stai perdendo.»
«Sei sicuro di rivolgerti a me, fratello
Dopo avergli augurato buona fortuna, senza fare molto per riparare il litigio, tranne una rapida e imbarazzata carezza, Remo era tornato a Quercia Spezzata per prendere congedo dai suoi genitori. Quando un pastore aborigeno era chiamato, aveva solo due possibilità: diventare un quirite o diventare un morto – lui sarebbe diventato uno spettro.
«Se rimango qui, arriveranno i soldati di Settemonti e ci uccideranno» aveva spiegato al padre. «Pertanto andrò a Ultimo Pago, e oltre se sarà necessario.»
«Dovunque andrai, non andrai mai più lontano di un passo dal luogo a cui sei stato destinato.»
Poi era venuto il turno di salutare Pan. «Dammi il tempo di sistemarmi nella nuova casa e poi tornerò a prenderti, vecchio mio.»
Troppo inquieto per aspettare la mattina seguente, era partito al tramonto. Per la prima volta, era stata la madre ad accompagnarlo lungo il viottolo fino al pozzo presso il confine, così come per tanti anni aveva fatto Faustolo, quando Remo usciva con il gregge.
Acca, dondolandosi con la mano intorno alla sua, aveva cantato con la voce affascinante che, da bambino, lo aveva fatto addormentare e poi, da adolescente, aveva risvegliato in lui la passione per la musica. Era stato proprio il talento canoro a procurarle la fama di strega perché, si mormorava, quei carmina antichi tramandavano oscuri misteri con cui compiere sortilegi e magie.
«Rimpiango di non averti mai chiesto di insegnarmi i segreti del canto» le aveva confidato Remo, pieno di nostalgia per tutto ciò che non era stato e non sarebbe più potuto essere.
«L’ho fatto, invece: allo stesso modo dell’usignolo con i suoi piccoli, te ne ho svelati i segreti. Tu canti.»
Quando gli occhi pieni di notte si erano posati sul suo volto, Remo aveva tremato: la madre gli era sconosciuta. L’amava, sicuro, ma come si ama quello che non si conosce; amava il desiderio di conoscerla, di saltare il fosso che li aveva separati, e di esplorare quel sentimento ancora vergine. Con lo sguardo le aveva chiesto scusa di averle in qualche modo preferito il padre – forse perché lo aveva sempre visto più debole di lei, seppure fosse un uomo risoluto e stimato da tutti.
«Madre, perdonami se per anni ho creduto a torto che tutti i tuoi sentimenti fossero solo per Romolo.»
Acca lo aveva accarezzato sulla guancia – il dorso duro della sua mano lo aveva commosso. Quanta forza c’era nelle donne? «Tu sei Romolo.»
Remo, senza più riuscire a trattenersi, aveva nascosto il volto tra la spalla e il mento della madre lasciandosi andare a un pianto sincopato. Quando infine era venuto il momento di separarsi, davanti alle pietre del pozzo calcinate dalla luce lunare, le aveva promesso con solennità che, quando si sarebbero rivisti, avrebbe incontrato un uomo e non più un ragazzo.
Acca si era limitata ad annuire, incapace di svelare quello che avrebbe dovuto. Immobile con una mano abbandonata lungo il fianco e l’altra premuta contro i denti, era rimasta a guardarlo allontanarsi sotto le stelle e poi sparire nel bosco.
Il figlio, senza essersene reso conto, era venuto non per pronunciare la parola addio, ma per ascoltarla.
Remo, le labbra serrate sulla canna, si voltò ma questa volta al suo seguito non c’era il gregge paterno, la familiare scia lattea, bensì un solo animale – toppa grigia appuntata al mantello notturno e incisa da due lampi gialli.
«Perché mi segui?» domandò a Lykos.
Perché me lo hai comandato.
«Non ti ho mai comandato nulla del genere» sbottò Remo.
Forse, dopo, ti sei imposto di dimenticare.
«Il problema è che non esiste un prima, per me.»
Non sempre viviamo nel tempo.
«In ogni caso è tempo che tu vada. Ora» gli ordinò Remo, e aspettò di vederlo scomparire tra i pioppi prima di proseguire.
Giunse a Ultimo Pago un paio d’ore prima dell’alba. Lasciò cadere la bisaccia e si sedette pe...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Collana
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Libro primo
  6. Libro secondo
  7. Libro terzo