Ritorno a Berlino
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Ritorno a Berlino

Il racconto dell'autunno che ha cambiato l'Europa

  1. 339 pagine
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Ritorno a Berlino

Il racconto dell'autunno che ha cambiato l'Europa

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Dov'eri, la notte in cui cadde il Muro? È una domanda che percorre ancora il cielo sopra Berlino. La ritroviamo nelle parole di scrittori cardine della memoria tedesca come Günter Grass ma anche di autori simbolo del dopo-89 come Ingo Schulze. La ripetono le trame di film ormai diventati di culto come Good bye Lenin! e le mille espressioni artistiche di una città che negli ultimi vent'anni è diventata uno dei maggiori centri della creatività europea. Berlino è ben lontana dall'essere pacificata, la cicatrice del Muro l'attraversa ancora, dopo quella notte di novembre in cui sembrava che i suoi abitanti fossero già diventati ein Volk, un solo popolo. Per questo la ricostruzione brillante e appassionata di quei giorni scritta "a caldo" dagli inviati Rai Lilli Gruber e Paolo Borella oggi sembra una cronaca in presa diretta, che ci riporta immediatamente a quelle atmosfere e a quei retroscena. E per questo, oltre a riproporne qui le pagine più avvincenti, gli autori ci riaccompagnano a Berlino, vent'anni dopo. C'era una volta il Muro. E quando c'era il Muro, non c'era Berlino. Questo libro ci porta a toccare con mano il laghetto dove trafficavano le spie e i memoriali del passato nazista, il cuore un tempo spezzato di Potsdamer Platz e i luoghi della Ostalgie, l'eco delle voci di politici e cantanti, agenti e fuggiaschi. E poi le testimonianze di berlinesi vecchi e nuovi, e cantieri ancora aperti e strade cambiate per sempre. I volti di una memoria che è parte irrinunciabile del futuro. Oggi che il mondo intero è cambiato, e l'unità della Germania è una certezza nel cuore dell'Europa, è ora di tornare a Berlino, senza astio e senza nostalgie. Per riscoprire lo stesso bisogno di futuro, la stessa voglia di vincere a quel gioco che chiamiamo convivenza.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2011
ISBN
9788858606803
Argomento
History
Categoria
World History

QUEI GIORNI A BERLINO

Le pagine che seguono sono tratte dal libro di Lilli Gruber e Paolo Borella, Quei gironi a Berlino (Rai-Eri, 1990). Del diario tenuto allora, alcuni fatti e racconti sono andati perduti nella storia. Ma molti conservano invece tutto il significato e l’urgenza di quei giorni. Abbiamo scelto di riproporli in questa edizione, così come sono stati vissuti.

Capitolo 1

ESTATE’89: LA GRANDE FUGA

1° ottobre

LE DUE DI NOTTE: alla stazione ferroviaria di Dresda transita il convoglio speciale 18518 proveniente da Praga. È un treno con un carico umano molto particolare: trasporta più di mille profughi tedesco-orientali che si erano rifugiati nell’ambasciata di Bonn a Praga. I governi di Germania Orientale, Cecoslovacchia e Germania Federale hanno raggiunto un accordo perché possano espatriare a Ovest, con la condizione posta da Berlino Est: i profughi devono prima ripassare per la Ddr, perché sia chiaro che non è legale lasciare il Paese senza autorizzazione e che solo la Ddr può «ritirare» ai fuggitivi la cittadinanza. Pigiati come sardine nei dieci vagoni verdi, i passeggeri si guardano spauriti: sono ancora ostaggi di un treno delle ferrovie orientali, mancano ancora più di 150 chilometri al confine con la Repubblica Federale. Qualche bambino piange perché non riesce a dormire, i corridoi sono stipati di gente che non ha posto a sedere, di scatole di cartone e di carrozzine.
Quando il treno sta per ripartire chi era affacciato al finestrino assiste a una scena sorprendente: sulla piattaforma della stazione di Dresda compaiono improvvisamente gruppi di giovani che fanno segno di voler salire sul treno. Prima che la locomotiva si metta in moto fanno in tempo a saltare sul convoglio e a «sparire» in mezzo ai compatrioti che proteggono questi ultimi candidati all’espatrio. I poliziotti, i Vopos come qui si chiamano gli agenti abbreviando il termine Volkspolizisten (poliziotti del popolo), e i funzionari della Stasi, ovvero il Ministerium für Staatssicherheit (la polizia segreta della Ddr), non hanno avuto il tempo o il coraggio di reagire. Stessa scena per i treni speciali successivi, a Reichenbach e a Plauen: alcuni ragazzi vengono addirittura issati attraverso i finestrini per essere accolti nei treni che vanno all’Ovest.
A pochi giorni dalle celebrazioni del quarantennale della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr), il presidente Erich Honecker ha valutato che non poteva arrivare all’appuntamento con i capi di Stato di tutto il mondo con la «grana» dei profughi ancora irrisolta e ha deciso di «sgonfiare» la questione che appassiona da quest’estate l’opinione pubblica mondiale. Ma come aveva fatto il primo rivolo di fuggitivi a trasformarsi in torrente, come si erano decise decine di migliaia di persone a lasciare casa, parenti e amici per iniziare una nuova vita nell’«altra Germania»?
Il desiderio di andarsene dalla Ddr era in costante crescita già negli ultimi anni tra i «sudditi di Honecker» e il governo lasciava consapevolmente aperta la valvola di sfogo dell’espatrio legale approfittando anche dei «risarcimenti» pagati dalla Germania Federale: per ogni emigrato all’Ovest la Germania Est riceveva 7000 marchi occidentali, che al cambio libero ne valevano almeno 50.000 orientali. In tutto il 1988 se ne erano andati in 39.000 e solo nei primi sei mesi dell’89 altri 40.000 cittadini lasciavano legalmente il Paese. Ma le richieste di espatrio crescevano esponenzialmente: altre 300.000 famiglie, ossia un milione di persone, avrebbero voluto partire e il regime di Honecker non poteva permettere una simile emorragia umana. Perciò inaspriva la persecuzione dei candidati all’espatrio: chi ha presentato domanda è declassato sul posto di lavoro, non gli viene assegnata un’abitazione, non può andare all’università.
La fuga resta una via rischiosa, perché le guardie di frontiera in servizio sul Muro di Berlino e lungo tutto il confine tra le due Germanie hanno disposizione di fermare a ogni costo i «disertori», anche se da qualche anno è stato allentato lo Schiessbefehl, l’ordine di sparare che è costato la vita a 200 persone. Chi viene arrestato per tentata fuga finisce in galera e l’unica speranza che gli rimane è di venir «comprato» dalla Repubblica Federale. La Costituzione federale impone l’aiuto ai perseguitati e il regime di Honecker, pur di procurarsi valuta occidentale, ha accettato l’assurdo giuridico di liberare, per 10.000 marchi ciascuno, i detenuti che peraltro rifiuta di considerare prigionieri politici.
Un’altra possibilità utilizzata in passato da singole persone, che si rifugiavano nella rappresentanza diplomatica della Repubblica Federale a Berlino Est, sperando che una trattativa tra Bonn e le autorità comuniste permettesse poi loro di espatriare, diventa quest’estate una speranza collettiva: già alla fine di luglio sui 400 metri quadrati dell’ambasciata in Hannoverstrasse si accalcano decine di famiglie che devono convivere in condizioni penose. Ma questa volta l’avvocato Wolfgang Vogel, l’amico di Honecker che in passato aveva sbrogliato casi simili, non ha avuto dal presidente l’autorizzazione a trattare. Per dare un esempio le autorità decidono di sbarrare l’accesso all’ambasciata.
Dall’inizio dell’estate però, con uno straordinario atto politico i nuovi governanti di Budapest, dove il partito comunista ha costretto alle dimissioni János Kádár, hanno deciso di abbattere la Cortina di ferro. Da questo momento i turisti della Ddr in Ungheria, profittando dello smantellamento del sistema d’allarme lungo il confine con l’Austria, possono passare clandestinamente all’Ovest. Il governo ungherese è legato a Berlino Est da un accordo che l’impegna a non lasciare uscire verso Paesi non socialisti i cittadini tedesco-orientali; ciononostante le guardie di frontiera a volte chiudono un occhio.
Il 14 agosto seguiamo noi stessi con la troupe della Zolcer Filmproduktion il tentativo di fuga di due coppie di giovani sul sentiero che dal villaggio di Ferto˝rákos porta al confine. Strisciano in mezzo ai cespugli, ma vengono avvistati: da una torre di vedetta una guardia spara in aria per segnalare la loro presenza a una pattuglia che li arresta, mentre lascia andare la troupe televisiva. Così è stata salvata la forma, ma il giorno dopo, rilasciando i mancati fuggiaschi, gli stessi soldati ungheresi indicano loro un sentiero non sorvegliato. La notte stessa i ragazzi raggiungono incolumi Mörbisch, il primo villaggio austriaco oltre frontiera.
La prima spettacolare fuga di massa riesce in occasione del meeting dell’Unione paneuropea di Otto d’Asburgo. Il 19 agosto si sparge la voce che in occasione del raduno sulla frontiera austro-ungarica verrà aperto per qualche ora il confine. I tedeschi dell’Est che si trovano in Ungheria si recano alla manifestazione con ogni mezzo. Dopo il taglio simbolico di un pezzo di reticolato viene aperto il cancello attraverso il quale i tedeschi, mescolati ad austriaci e ungheresi, cominciano a passare in Austria. Le guardie che dovrebbero impedirlo non possono fare nulla di fronte alla ressa e alle spinte che tutti danno ai profughi. Sulle ali della folla 660 persone corrono così verso la libertà e, una volta attraversato il confine, si inginocchiano a baciare la terra e piangono abbracciandosi.
La Germania Orientale protesta vibratamente e nei giorni successivi i soldati ungheresi caricano con manganelli e lacrimogeni i gruppi di profughi che tentano altre fughe collettive. Alla fine di agosto la situazione rischia di diventare insostenibile: a Budapest migliaia di cittadini della Ddr che non vogliono rientrare in patria resistono accampati nella tendopoli organizzata dal Soccorso maltese per offrire un’alternativa ai profughi che avevano occupato l’ambasciata della Repubblica Federale, ormai congestionata a livelli intollerabili; la bella stagione è finita, non bastano più i vestiti estivi né i pochi risparmi racimolati prima delle vacanze. La Germania Occidentale conduce una febbrile trattativa con le autorità di Budapest che alla fine scelgono la soluzione umanitaria: la sera di domenica 10 settembre viene annunciato che dalla mezzanotte tutti i tedeschi possono partire senza visto. I passaporti della Germania Federale sono già pronti: Bonn li concede a tutti i tedeschi, non riconoscendo l’esistenza di una «seconda» cittadinanza tedesca, quella della Ddr. Le scene di gioia e di commozione nel campo profughi di Budapest sono il preludio di un esodo biblico che inizia la notte stessa, grazie ai pullman della Croce Rossa e ai treni speciali messi a disposizione da Austria e Germania Federale.
Il primo paese dopo la frontiera austro-bavarese è Passau: il borgomastro e la cittadinanza sono rimasti svegli tutta la notte per accogliere i «fratelli tedeschi», per ogni bambino hanno preparato un palloncino con scritte di benvenuto. «Siamo stati più fortunati di voi a poter vivere gli ultimi quarant’anni in libertà» dice il sindaco in un discorso improvvisato, «abbiamo quindi nei vostri confronti un dovere di solidarietà.» Vicino al confine sono state allestite tendopoli militari per alloggiarli fino a che non avranno trovato una casa e un lavoro. È in questi campi, tra Tiefenbach e Vilshofen, nel cuore della ricca Baviera agricola, che andiamo a intervistare i «nuovi cittadini» federali per uno speciale televisivo sulla vicenda dei profughi. «Il primo motivo per cui ce ne siamo andati è che nella Germania Orientale tutto viene sempre guidato dall’alto; non puoi mai dire quello che pensi perché ti dicono loro quello che devi pensare.» Il verbo che usano per spiegarci questo concetto è bevormunden, che equivale al nostro «porre sotto tutela» un minorenne o un demente, ma che contiene la parola Mund, bocca, a fornire proprio l’immagine di un bavaglio che ti impedisce di parlare.
«Ho ventidue anni, sono operaio specializzato ma a casa mia lavoravo in condizioni incredibili, perché rispetto ai Paesi avanzati siamo rimasti indietro di cinquant’anni; figuratevi che le macchine sulle quali lavoravo ancora erano state costruite sotto l’impero del Kaiser!» «Io lavoravo come operaio edile, pur avendo studiato ingegneria: sapete che da noi un ingegnere guadagna meno di un operaio? Ma quello che mi pesava di più era che non potevo vedere il mondo: come si fa quando gli unici Paesi dove puoi viaggiare sono quelli dell’area socialista?»
Molti profughi appena vedono la telecamera si rifiutano di parlare, temendo rappresaglie per i parenti che sono rimasti all’Est. «Speriamo che la nostra fuga rimanga un segreto fino alla fine dell’estate» dicono due giovani. «Per non correre rischi non abbiamo nemmeno avvertito i nostri genitori.»
Altri profughi non concedono interviste perché troppo impegnati a cercare un’occupazione; le associazioni imprenditoriali tedesche sono già presenti nelle tendopoli con pullman dotati di telefono e computer, dove vengono segnalate le offerte di impiego corrispondenti alle rispettive qualifiche. A parte la solidarietà, i datori di lavoro fanno anche il loro interesse, come ci spiega la rappresentante degli imprenditori indipendenti Lolo Schmidt: «Gente come questa, che vuole ricominciare da capo, è molto più motivata dei nostri lavoratori che sono già sazi. E in Germania c’è proprio carenza di tecnici, infermieri e piastrellisti provetti. Si danno da fare per costruirsi una nuova esistenza come facevamo noi subito dopo la guerra, in mezzo alle macerie». Gli ex cittadini della Germania Est sembrano voler troncare ogni legame con il loro Stato di provenienza: alla frontiera vediamo arrivare colonne di macchine targate originariamente Ddr, alle quali hanno asportato la D e la R per cancellare il nome dello Stato comunista, lasciando solo la D che contraddistingue invece la Germania Occidentale. I più fortunati viaggiano sulle Lada russe, sulle Sˇkoda cecoslovacche e sulle Wartburg, le berline prodotte nella Germania Est che dispongono di un motore a due tempi con tre cilindri: a pieno regime sviluppano una potenza di 50 cavalli e una velocità di 125 chilometri orari. Ma la grande maggioranza dei nuovi arrivati, giovani lavoratori che vestono invariabilmente in jeans, giunge a bordo di una Trabant, la vettura più diffusa nella Germania Orientale: 600 centimetri cubici, motore bicilindrico a due tempi alimentato a miscela, 26 cavalli e velocità massima di 100 chilometri orari. «Sappiamo che le nostre macchine fanno molto rumore e inquinano otto volte più della media consentita nella Repubblica Federale» quasi si scusano i profughi ai quali viene concesso di circolare in deroga alle leggi.
Ma quale è stato il vostro rapporto con l’Ovest per tutti questi anni? «Emigravamo ogni sera con la fantasia, guardando la televisione dell’altra Germania» rispondono. «Ma a partire da questa estate la televisione è diventata anche la fonte di indicazioni per chi voleva espatriare: sono stati i reportage sulle prime fughe riuscite che ci hanno convinto a partire per l’Ungheria.» In effetti non si potrà mai valutare abbastanza il ruolo giocato dalla «controinformazione elettronica» nella storia della Ddr. «I nemici del popolo stanno sui tetti» dichiarava già Walter Ulbricht di fronte all’infittirsi della selva di antenne, rendendosi conto che il contatto quotidiano con l’Occidente sabotava il progetto della Abgrenzung, della demarcazione rispetto al modello capitalistico della Germania Federale: e nel termine Abgrenzung è contenuta la parola Grenze, cioè il «confine» che bisognava barricare per difendere la propria identità.
La televisione ha fatto scoppiare anche lo scandalo dell’ambasciata di Praga: alla fine di agosto le stanze e il parco del Palazzo Lobkowitz, il monumento barocco sede dell’ambasciata federale, erano occupati dai «turisti» della Ddr. I diplomatici occidentali decisero di chiuderne l’accesso, senza tener conto che a Praga c’erano le troupe di mezzo mondo per l’anniversario dell’invasione di Praga da parte dei carri armati russi e degli alleati del Patto di Varsavia, celebrato dal regime di Jakes facendo caricare i dimostranti. Prima di ripartire, i reporter fecero in tempo a trasmettere le immagini dell’ambasciata. Non è un caso che lì un mese dopo i profughi fossero già 2000 e le televisioni fossero tornate per riprendere le drammatiche sequenze dei tedeschi che scalano i cancelli del palazzo sfuggendo alla presa dei poliziotti cecoslovacchi.
Finalmente oggi, 1° ottobre, Honecker ha dato via libera ai rifugiati di Praga, ma quanto è successo stanotte alla stazione di Dresda non dovrà ripetersi: nei prossimi giorni i treni speciali dei profughi verranno deviati su tratte secondarie e la stazione verrà comunque presidiata da ingenti forze di polizia negli orari di partenza dei convogli ordinari per l’Ovest.
Consentendo l’espatrio, Honecker ha risolto il problema di chi vuole andarsene, ma non ha dissolto la fortissima impressione che ha destato all’interno della Ddr l’esodo di decine di migliaia di concittadini; nelle chiese protestanti se ne è discusso apertamente e il sinodo evangelico si è concluso il 19 settembre con un documento che sostiene la necessità di cambiamenti profondi nella prassi politica ed economica. Un nuovo movimento politico, Neues Forum, ha chiesto invano l’autorizzazione a tenere pubbliche riunioni. All’uscita dalle funzioni religiose del lunedì nella chiesa di San Nicola a Lipsia, gruppi di cittadini hanno inscenato nelle ultime settimane di settembre manifestazioni di protesta, subito represse dalla polizia. Di tutto questo noi giornalisti abbiamo conoscenza solo attraverso le notizie che filtrano in Germania Occidentale e il contatto telefonico con il pastore Rainer Eppelmann a Berlino Est. L’ingresso nella Ddr ci è stato interdetto: la crisi innescata dalla vicenda dei profughi non deve avere testimoni.

CAPITOLO 2

LA PAURA DELLA REPRESSIONE

9 ottobre

DA BERLINO OVEST ci tocca seguire gli sviluppi nella Ddr «dall’esterno», anche se ci troviamo geograficamente quasi in mezzo alla Germania Orientale. In compenso ci sono strutture molto più funzionanti a disposizione dei giornalisti e le notizie circolano senza censure.
Ci confermano che decine di arrestati nelle manifestazioni per le riforme a Berlino Est hanno subìto processi sommari e condanne a pene pecuniarie. Nessuno conosce il numero di quelli che rimangono in carcere; si sa che la Chiesa evangelica sta adoperandosi per la loro liberazione presso le autorità, che sostengono trattarsi di «teppisti resisi colpevoli di atti di vandalismo».
Un barlume di speranza viene da Dresda, dove dopo i violenti scontri degli ultimi due giorni, il borgomastro comunista Wolfgang Berghofer si è detto disposto a ricevere una delegazione di esponenti del dissenso che chiede il rilascio degli arrestati.
A Berlino Est è stato fondato un partito socialdemocratico che si chiamerà Sdp, per distinguersi dalla Spd della Germania Federale. Lo guida Ibrahim Böhme, uno storico già membro del partito comunista, che evidentemente ha percorso in senso inverso il cammino dei socialisti tedesco-orientali. Dopo la guerra la vecchia socialdemocrazia era stata costretta a confluire nella Sed, il Partito di Unità Socialista che in realtà era ed è dominato dai comunisti, adesso invece sono gli ex militanti del «partito di classe» che riscoprono la tradizione democratica del socialismo tedesco.
Ma non è a Berlino né a Dresda che guardano in questo momento tutti gli occhi. C’è un’attesa spasmodica e piena di paura per quanto accadrà stasera a Lipsia. Anche nella seconda città della Ddr ci sono state contromanifestazioni sciolte dalla polizia e arresti durante il week-end della festa nazionale, ma è per la sera di questo lunedì che si aspetta un grande raduno p...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Vent’anni Dopo
  5. Tra Passato e Futuro
  6. Quei Giorni a Berlino
  7. Appendice: 1949–1989: La parabola della Repubblica Democratica Tedesca
  8. Indice