I conti con me stesso
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I conti con me stesso

Diari 1957-1978

  1. 273 pagine
  2. Italian
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I conti con me stesso

Diari 1957-1978

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Che i diari di Montanelli siano un'opera a sé, diversa dalla sua attività giornalistica, letteraria e storica, mi sembra dimostrato dalla modesta importanza che gli avvenimenti politici hanno in queste pagine. Nel diario parlò anzitutto di se stesso. Sergio Romano "Milano, 2 giugno. È la festa della Repubblica. Io la celebro ricevendo nelle gambe quattro pallottole di rivoltella, calibro 9. Me le sparano alle 10.10, appena uscito dall'albergo Manin, alle spalle. Aggrappandomi all'inferriata dei giardini pubblici, penso: 'Devo morire in piedi!'. Questo pensiero stupido, retaggio sicuramente del Ventennio, è forse quello che mi salva: cadendo, avrei probabilmente preso l'ultima scarica nell'addome." Indro Montanelli ci restituisce il racconto di vent'anni di storia del nostro Paese, vissuti da protagonista e analizzati con sguardo schierato ma sempre onesto, dalla prima linea del fronte civile. Un memoriale in cui sopra gli avvenimenti risaltano le persone: amici e nemici ritratti prima di tutto come uomini, senza falsi buonismi o censure. Il risultato è un affascinante affresco d'Italia, osservata e giudicata con quella dissacrante ironia che l'autore non risparmia neppure a se stesso.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2010
ISBN
9788858601310
Argomento
Storia

Maggio 1969 - Aprile 1972

Il sessantotto fu una febbre europea, e si diffuse per mimetismo e contagio con un decorso che ricorda, su diversa scala, le rivoluzioni del 1848. Ma in Francia (dove il movimento studentesco e gli scioperi paralizzarono il Paese per due settimane), la febbre scese abbastanza rapidamente e il governo, dopo le elezioni politiche, riprese in mano il controllo della situazione. Vi fu una riforma universitaria. Vi furono importanti accordi sindacali. E vi fu infine una riforma costituzionale promossa dal generale de Gaulle per adattare le istituzioni centralizzate della Quinta Repubblica alla domanda di “democrazia diretta” che sembrava alzarsi dalla società francese. Ma il suo fallimento, nel referendum dell’aprile del 1969, dimostrò che il Paese era sazio di riforme. Comincia allora una fase durante la quale la società francese assorbe gradualmente, senza troppi scossoni, alcuni dei mutamenti, soprattutto nei costumi sessuali e nel “galateo” sociale, di cui il sessantotto era stato promotore.
In Italia, invece, il 1969 fu l’anno in cui l’agitazione e la protesta divennero croniche e per certi aspetti “normali”. Divennero normali, ad esempio, l’occupazione delle scuole e delle università, gli scontri con la polizia e tra giovani appartenenti a diversi gruppi politici, i cortei operai, gli scioperi generali e di settore, le contestazioni all’interno della funzione pubblica e della stessa magistratura. Cominciarono ad apparire associazioni in cui il ricorso alla lotta armata veniva dibattuto e programmato. Divenne sempre più difficile, in quelle circostanze, organizzare avvenimenti e visite internazionali, come quella del presidente americano Nixon a Roma in febbraio. Le prime bombe scoppiarono alla stazione e alla Fiera di Milano in aprile, seguite da quelle su otto treni in agosto e infine dall’attentato contro la Banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, in dicembre, nel quale persero la vita sedici persone.
Questa continua turbolenza e il modo in cui affrontarla provocarono discussioni e divergenze che ebbero ricadute politiche. La prima vittima fu la riunificazione socialista. Quando le correnti di sinistra prevalsero nel Comitato centrale, i socialdemocratici di Saragat ricostituirono il loro vecchio partito. Il governo, presieduto dal democristiano Mariano Rumor, dovette dimettersi e divenne, dopo un mese di trattative, un monocolore democristiano. Anche il Pci fu investito da questa ondata di accuse, ripensamenti e autocritiche. I dissenzienti erano i promotori di un mensile, «il manifesto», che aveva criticato, tra l’altro, la linea seguita dal partito dopo l’intervento sovietico in Cecoslovacchia dell’agosto 1968. Furono radiati dalla dirigenza con una decisione che parve a molti “staliniana”.
Il governo, il Parlamento e gli industriali fecero alcune concessioni, non sempre felici e opportune. Il ministro dell’Istruzione riconobbe agli studenti delle scuole medie superiori il diritto di tenere assemblee nei locali scolastici. Fu varata una riforma “provvisoria” dell’esame di maturità (durò vent’anni). Fu abolita la disparità salariale fra il Nord e il Sud. Furono riconosciuti il diritto d’assemblea nelle fabbriche e la parità normativa fra operai e impiegati. Furono liberalizzati gli accessi alle facoltà universitarie. Fu approvato il disegno di legge sullo Statuto dei lavoratori. Fu raggiunto un accordo tra governo e sindacati per la indicizzazione delle pensioni. Il prezzo di queste “conquiste” fu pagato dall’intera comunità nazionale con il peggioramento dei conti pubblici e 302.597.000 ore di sciopero.
Apparvero infine nel corso dell’anno due espressioni che appartengono da allora al lessico politico italiano. La prima — “strategia dell’attenzione” — fu coniata da Aldo Moro per definire l’atteggiamento che la Dc avrebbe dovuto adottare verso il Pci. La seconda — “autunno caldo” — fu usata dal socialista Francesco De Martino per descrivere il clima sindacale del Paese dopo la pausa estiva.
***
Gli anni Settanta furono nella storia politica italiana il decennio dei torbidi: una crisi politica e sociale più lunga e non meno sanguinosa di quella che il Paese attraversò dalla fine della Grande guerra all’avvento del fascismo. I governi furono deboli, di breve durata e inclini a riforme frettolose che avrebbero dovuto dare una risposta al malessere della società, ma crearono spesso le condizioni per nuovi malesseri. Così accadde per la legge sulle Regioni, approvata all’inizio del 1970. La loro istituzione era prevista dalla Costituzione, ma la Democrazia cristiana l’aveva lungamente rinviata per evitare la nascita di potenti amministrazioni “rosse” soprattutto in Emilia, Toscana e Umbria. Alla fine degli anni Sessanta la Dc dovette cedere e la legge finanziaria per le nuove entità regionali fu approvata alla Camera in gennaio e al Senato in maggio. Molti sperarono che la riforma avrebbe avvicinato i cittadini alla cosa pubblica e consolidato la democrazia italiana. Ma i moti calabresi nel luglio 1970 e quelli abruzzesi nel febbraio dell’anno seguente lasciarono intravedere un futuro alquanto diverso. I motivi delle agitazioni non furono politici e ideologici, ma palesemente e sfacciatamente clientelari. Reggio Calabria non voleva che Catanzaro fosse sede del governo. L’Aquila non voleva che la sede fosse trasferita a Pescara. Dopo scontri molto violenti, soprattutto in Calabria, il governo adottò formule di compromesso dando qualche soddisfazione a ciascuna delle città interessate.
Si era dimesso nel frattempo il governo monocolore di Mariano Rumor. Il presidente succedette a se stesso con un quadripartito composto dalla Dc, dai due partiti socialisti e dai repubblicani di Ugo La Malfa. Poche settimane dopo il Psi dovette eleggere un nuovo segretario in sostituzione di Francesco De Martino, diventato vice presidente del Consiglio, e scelse Giacomo Mancini. Per rappresentare tutte le sfumature del partito furono eletti tre vicesegretari. Uno di essi era un giovane “autonomista” milanese, particolarmente stimato da Pietro Nenni: Bettino Craxi.
Il terzo governo durò soltanto sino a luglio e cadde nel mezzo della crisi calabrese. Il nuovo presidente del Consiglio fu Emilio Colombo, ministro del Tesoro in altri governi di centro-sinistra, e la composizione fu pressoché la stessa. Le crisi non servivano a cambiare linea politica, ma a correggere equilibri, a sostituire un giocatore stanco e a mettere in squadra qualcuno che aspettava il suo turno in panchina. Era difficile immaginare che governi del genere potessero adottare strategie forti e coerenti contro il potere crescente dei sindacati e i gruppuscoli rivoluzionari che stavano sorgendo soprattutto nelle università e nelle fabbriche. In uno stabilimento milanese della Siemens fu trovato, nel luglio del 1970, un pacco di volantini contro dirigenti e capireparto in cui apparve per la prima volta la sigla delle Brigate Rosse. Nel marzo del 1971 un gruppo di militanti del gruppo XXII Ottobre uccise a Genova durante una rapina il portavalori dell’Istituto autonomo case popolari. Nelle stesso periodo le indagini della magistratura sull’attentato di piazza Fontana si orientarono verso militanti dell’estrema destra. In dicembre le Brigate Rosse fecero il primo “esproprio proletario” in un grande magazzino milanese. Un rapporto del prefetto di Milano Libero Mazza calcolò che nella città esistessero ormai circa 20.000 militanti di gruppi eversivi, prevalentemente di sinistra. Si cominciò a parlare di “opposti estremismi”, ma le sinistre continuarono per molto tempo a sostenere che il terrorismo era soltanto di destra.
Gli scioperi, le agitazioni studentesche e l’instabiltià del governo ebbero l’effetto di suscitare le prime reazioni dell’opinione pubblica moderata, soprattutto a Milano, e di provocare le velleitarie ambizioni golpiste di Junio Valerio Borghese, comandante della X Mas all’epoca della Repubblica di Salò. Ma anche in quegli anni confusi e tumultuosi, la società italiana non cessò di modernizzarsi. Fu approvata, per iniziativa della Dc, la legge sul referendum abrogativo. Nel dicembre del 1970 venne definitivamente approvata quella sul divorzio, contro la quale furono immediatamente raccolte le firme per un referendum. Nel marzo del 1971 la Corte costituzionale autorizzò la pillola e abrogò la legge che vietava la propaganda degli anticoncezionali. In ottobre il Parlamento approvò una riforma fiscale, l’introduzione dell’Iva al posto dell’Ice e l’istituzione dell’anagrafe tributaria. Alla fine dell’anno la Repubblica cambiò presidente: al posto di Giuseppe Saragat fu eletto Giovanni Leone.
Ma nei mesi seguenti il quadro politico divenne ancora più tumultuoso e preoccupante. Alla fine del marzo 1972 il corpo dell’editore Gian Giacomo Feltrinelli fu trovato su un traliccio dell’alta tensione nei pressi di Segrate. Era stato ucciso dalla bomba che egli stesso aveva cercato di innescare. Due mesi dopo, in maggio, il commissario di polizia Luigi Calabresi fu ucciso di fronte alla sua abitazione da terroristi che volevano vendicare le sue pretese responsabilità nella morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, indagato per l’attentato di piazza Fontana. E alla fine di maggio tre carabinieri morirono per l’esplosione di una bomba nascosta in un’automobile abbandonata. Le tre vicende saranno materia di indagini, processi e contestazioni che si prolungheranno sino ai nostri giorni.

1969

Roma, 28 maggio. Visita a Panfilino Gentile. Mi ringrazia della recensione alla sua Storia del Cristianesimo. Dice: «Quello che mi ha commosso è vedere che il libro lo hai letto veramente. Capita di rado, coi nostri critici. Eppoi il fatto che sei d’accordo su San Paolo. Il Cristianesimo lo ha inventato lui, non Cristo. Cristo aveva inventato solo una piccola eresia ebraica. L’interpretazione di Loisy è esatta. Da duemila anni questa Chiesa non vive che d’imbrogli… Son contento che il libro ti sia piaciuto… Tu che nella casa Rizzoli hai tanti amici, perché non gli chiedi di far pubblicare una mia foto su “Novella 2000”?». «Non mi pare che i lettori di “Novella 2000” possano interessarsi a un libro come il tuo…» «Non si sa mai… Io sono venale e voglio che il libro si venda… “Novella 2000”, mi hanno detto, tira quattrocentomila copie… Fra tanti clienti ce ne può essere anche qualcuno interessato ai problemi del sincretismo ebraico-cristiano che sono fondamentali… sono fondamentali… quel Paolo è un personaggio, oltretutto, pieno di sex-appeal… L’unico che avesse stoffa di generale in quella specie di fureria ch’era la congrega degli Apostoli… Vedi un po’ se puoi far pubblicare una recensione su “Novella 2000”… Una recensione, possibilmente, con fotografia…»
Sopravviene Virgilio Titone,1 reduce da un convegno del centro di studi Einaudi. Ne è entusiasta. Dice che stanno progettando una seria riforma della Costituzione. «Macché riforma e macché Costituzione!» sbotta Panfilo, «qui ci vogliono le bombe!… Io sono un liberale terrorista e non concepisco che le bombe!…» «Ma ne hai mai tirate?» chiede Titone. «Bombe no, ma a botte ho fatto quando a Napoli mi cacciarono dalla cattedra, e Missiroli scrisse: “Bene hanno fatto gli squadristi napoletani a scacciare questo professorucolo…”. Aveva ragione. Gli squadristi avevano fatto benissimo perché nel torto ero io col mio antifascismo… Mi sottovalutavo… Io non sono un intellettuale. Sono un uomo d’azione!» conclude enfaticamente aggiustandosi le coperte sotto cui giace da dieci anni.
29 Maggio. È morto Uguccione Ranieri di Sorbello.2 Era venuto a Roma da sua suocera. Stava benissimo. Era anzi particolarmente sereno e contento perché aveva finito un suo lavoro di ricerca storica cui attendeva da anni. A fine pranzo ha detto: «Non mi sento bene». Si è alzato, ed è crollato a terra, stecchito. Era un gran signore e un gran galantuomo che ha trascorso la sua vita in crociate nelle quali non aveva nulla da guadagnare. L’ultima è stata la campagna propagandista negli Usa per convincere gli americani a dare il nome di Da Verrazzano al grande ponte sull’Hudson. Nel suo perfetto inglese (lo scriveva meglio dell’italiano) inondò l’America di articoli e conferenze (parlava benissimo, con molto humor e senza enfasi oratorie) cercando di familiarizzare gli ascoltatori col nome Da Verrazzano, la cui pronuncia rappresentava per essi la difficoltà più grossa all’adozione di quel nome. Questa smania missionaria credo che l’avesse derivata da sua madre americana. E per seguirla aveva trascurato le sue proprietà terriere. Le sue campagne erano in stato pietoso, la sua bella villa sul Trasimeno mezzo disunta. Era un buon scrittore, un infaticabile sommozzatore di archivi, un ricercatore attento e scrupoloso di curiosità storiche, un umanista moderno che aveva allargato i suoi orizzonti a tutta la cultura contemporanea, specie anglo-sassone: un uomo insomma che ha realizzato un centesimo di quel che poteva per via di quel suo dispersivo correr dietro a un’infinità di altri interessi. Era stato anche un autentico combattente della Resistenza: per ben sedici volte si era fatto paracadutare dagli Alleati dietro le linee tedesche: impresa che chiunque altro si sarebbe fatto ripagare con altrettante medaglie. Lui non aveva ricevuto nemmeno una citazione, e di questi episodi non ha mai parlato. Sua moglie — una donna introversa e poco espressiva, ma di gran classe, che senza averne l’aria lo adorava — ha trascorso la vita a inseguirlo per smacchiargli i ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Prefazione
  4. Settembre 1957 - Gennaio 1958
  5. Settembre - Dicembre 1966
  6. Maggio 1969 - Aprile 1972
  7. Maggio 1977 - Maggio 1978
  8. Note
  9. Indice Dei Nomi
  10. Indice