Psicopatologia della vita quotidiana
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Psicopatologia della vita quotidiana

  1. 468 pagine
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Psicopatologia della vita quotidiana

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Dimenticanze inspiegabili, atti casuali e maldestri: sono i comportamenti che costellano la vita di ogni giorno a essere raccolti e interpretati da Freud in una delle sue opere più brillanti. Con la Psicopatologia, il padre della psicoanalisi chiama proprio le increspature, gli inciampi, le smagliature della banalità quotidiana a testimoniare la nostra natura più intima, ribaltando una volta per sempre il rapporto tra "profondità" e "superficie". Attraverso esempi tratti dalla propria esperienza, dai racconti di pazienti e amici, da romanzi e poesie, Freud rivela gli insospettabili processi di rimozione che sono alla base di tutti questi "atti mancati". Così la Psicopatologia della vita quotidiana, oltre a offrire una chiave per decifrare tanti momenti della nostra esperienza, costituisce una via d'accesso al regno dell'inconscio, illustrando con un linguaggio semplice e diretto alcuni concetti fondamentali della psicoanalisi. Un testo sorprendente, per accostarsi senza pregiudizi a uno dei pensatori più controversi dell'ultimo secolo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858600795

PSICOPATOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA

I

DIMENTICANZA DI NOMI PROPRI

Nell’annata 1898 del «Monatschrift für Psychiatrie und Neurologie» ho pubblicato un breve saggio dal titolo Sul meccanismo psichico della dimenticanza, di cui intendo riprendere qui il contenuto come spunto per ulteriori discussioni. In quel saggio ho sottoposto ad analisi psicologica il caso ricorrente della dimenticanza temporanea di nomi propri, sulla base di un esempio pregnante ricavato dall’autosservazione, giungendo alla conclusione che il fatto, comune e privo di grandi implicazioni pratiche, per cui viene meno una funzione psichica, quella appunto del ricordare, ammette una spiegazione che va ben oltre quanto solitamente si ricava dal fenomeno.
Se non vado errato, uno psicologo cui si domandasse di chiarire come avvenga che si dimentichi così di frequente un nome che, pure, si è certi di conoscere, si accontenterebbe di rispondere che i nomi propri vanno soggetti a dimenticanza con maggiore facilità rispetto qualunque altro contenuto mnemonico. Avanzerebbe argomenti plausibili per giustificare questa situazione peculiare dei nomi propri, senza tuttavia supporre che esistano altre condizioni per cui ciò si verifichi.
Lo stimolo per occuparmi a fondo del fenomeno della dimenticanza temporanea di nomi propri è venuto dall’osservazione di alcune particolarità che si possono riconoscere abbastanza chiaramente non in tutti, ma in certi casi. In tali casi, infatti, non soltanto si ha dimenticanza, ma anche falso ricordo. Colui che si sforza di ricordare il nome dimenticato vede affacciarsi alla propria coscienza altri nomi, nomi sostitutivi, che subito riconosce come erronei, ma che continuano a imporsi alla mente con grande insistenza. Il processo che dovrebbe portare a riprodurre il nome ricercato si è, per così dire, spostato, comportando una sostituzione erronea. Ora, il mio presupposto è che tale spostamento non dipenda da un arbitrio psichico, bensì segua percorsi governati da leggi e prevedibili. In altri termini, suppongo che il nome sostitutivo, o i nomi sostitutivi, siano in una connessione ben precisa con il nome ricercato e spero, se riuscirò a dimostrare tale connessione, di poter poi far luce sul fenomeno stesso della dimenticanza di nomi propri.
Nell’esempio1 da me scelto nel 1898 per l’analisi, avevo tentato inutilmente di ricordare il nome del maestro che, nel Duomo di Orvieto, aveva dipinto i grandiosi affreschi del ciclo della fine del mondo. Al posto del nome cercato — Signorelli — si presentavano alla mente con insistenza altri due nomi di pittori — Botticelli e Boltraffio — che il mio giudizio, subito e decisamente, respinse come sbagliati. Appena mi fu comunicato da altri il nome esatto, lo riconobbi immediatamente e senza esitazioni. L’indagine sugli influssi e le associazioni, per cui la riproduzione mnestica si fosse così spostata da Signorelli a Botticelli e Boltraffio, portò a questi risultati:
a) La causa della dimenticanza del nome Signorelli non va ricercata né in una particolarità del nome stesso né in un carattere psicologico del contesto in cui era inserito. Il nome dimenticato mi era altrettanto familiare di uno dei due nomi sostitutivi, Botticelli, e senz’altro più familiare dell’altro, Boltraffio, di cui non conoscevo molto di più se non che egli apparteneva alla scuola milanese. Il contesto, poi, in cui era avvenuta la dimenticanza del nome mi appare innocuo e non comporta alcuna ulteriore chiarificazione: stavo viaggiando con uno sconosciuto da Ragusa, in Dalmazia, verso una località dell’Erzegovina; il discorso era caduto sui viaggi in Italia e avevo chiesto al mio compagno di viaggio se fosse mai stato a Orvieto e se vi avesse ammirato i famosi affreschi del…
b) La dimenticanza del nome non si spiega se non ricordando il tema immediatamente precedente di quella conversazione, e si manifesta come perturbazione del nuovo argomento da parte di quello precedente. Poco prima di chiedere al mio compagno di viaggio se fosse mai stato a Orvieto, ci eravamo intrattenuti sulle usanze dei turchi che vivono in Bosnia e in Erzegovina. Avevo raccontato quanto avevo udito da un collega che operava come medico tra quella gente, e cioè che essa era solita dimostrarsi fiduciosa verso il medico e rassegnata al proprio destino. Quando si deve comunicare loro che non c’è più rimedio per un malato, ci si sente rispondere: «Signore, che cosa debbo dire? So che se fosse possibile salvarlo, lo salveresti». In queste frasi cominciamo a trovare le parole e i nomi: Bosnia, Erzegovina [Herzegowina], Signore [Herr], che si possono inserire in una serie di associazioni tra Signorelli e Botticelli-Boltraffio.
c) Suppongo che la serie di idee sui costumi dei turchi in Bosnia e così via sia stata capace di disturbare un pensiero successivo per il fatto che io avevo sottratto la mia attenzione prima ancora di averle portate a termine. Ricordo, infatti, che volevo raccontare un secondo aneddoto, che nella mia memoria si affiancava al primo. Questi turchi valutano il godimento erotico come superiore a ogni altra cosa e, in caso di disturbi sessuali, cadono in preda a una disperazione che contrasta stranamente con la loro rassegnazione di fronte al pericolo della morte. Un paziente del mio collega gli aveva detto una volta: «Sai, signore, che quando non si può più far quello, la vita perde ogni valore». Mi astenni dal comunicare questo tratto caratteristico perché non avevo l’intenzione di toccare quel tema2 in una conversazione con un estraneo. Ma feci di più: distolsi la mia attenzione anche dal seguito delle idee che nella mia mente si sarebbero potute collegare con il tema «morte e sessualità». L’effetto di una notizia ricevuta poche settimane prima, nel corso di un breve soggiorno a Trafoi [Bolzano], si ripercuoteva su di me. Un paziente, per il quale mi ero prodigato, aveva posto fine alla sua vita a causa di un disturbo sessuale inguaribile. So con precisione che, alla mia memoria cosciente, questo triste avvenimento, e tutto ciò che vi si riconduceva, non si era presentato durante quel viaggio in Erzegovina. Ma la corrispondenza Trafoi-Boltraffio mi costringe a supporre che, nonostante ne avessi volutamente distolto l’attenzione, tale reminiscenza fosse diventata operante in me.
d) Non posso più considerare la dimenticanza del nome Signorelli come un fatto casuale. Devo riconoscere l’influenza di un motivo in tale processo. Si trattava di motivi che mi inducevano a interrompermi nel comunicare le mie riflessioni (sui costumi dei turchi ecc.) e che, inoltre, mi spingevano a escludere dalla mia coscienza i pensieri che vi si riconnettevano e che mi avrebbero portato alla notizia ricevuta a Trafoi. Io dunque volevo dimenticare qualcosa, avevo rimosso qualcosa. Volevo dimenticare qualcosa che non era il nome del pittore di Orvieto, ma quell’altra cosa era riuscita a mettersi in rapporto associativo con questo nome, per cui il mio atto di volontà fallì e io dimenticai contro il mio volere una cosa, mentre volevo dimenticarne intenzionalmente un’altra. L’avversione a ricordare mirava a un dato contenuto; l’incapacità di ricordare si manifestava per un altro. Chiaramente sarebbe stato più semplice se l’avversione e l’incapacità di ricordare avessero riguardato il medesimo contenuto. Anche i nomi sostitutivi non mi sembrano più, tra l’altro, così completamente arbitrari come prima della spiegazione; essi mi richiamano alla mente (per una sorta di compromesso) sia ciò che intendevo dimenticare sia quanto intendevo ricordare, e mi dimostrano che la mia intenzione di dimenticare qualcosa né ha avuto completo successo né è fallita del tutto.
e) È assai singolare il legame instauratosi tra il nome ricercato e il tema rimosso (relativo alla morte e alla sessualità ecc., in cui ricorrono i nomi Bosnia, Erzegovina, Trafoi). Lo schema qui introdotto, ripreso dal saggio del 1898, cerca di rappresentare in modo chiaro questo nesso.
Il nome Signorelli vi appare scomposto in due parti. Le due ultime sillabe (elli) si presentano inalterate in uno dei due nomi sostitutivi. Le prime due sillabe hanno acquisito, attraverso la traduzione di Signor in Herr, molteplici e svariati nessi con i nomi contenuti nell’argomento rimosso, ma sono in tal modo andate perse ai fini della riproduzione [cosciente]. La sostituzione di Signor ha avuto luogo come se si fosse verificato uno spostamento entro i nomi collegati di «Herzegovina e Bosnia», senza riguardo al senso né alla delimitazione acustica delle sillabe. In tale processo, dunque, i nomi sono stati trattati in modo simile agli ideogrammi di una frase che debba essere trasformata in rebus. Nulla è penetrato nella coscienza dell’intero processo che, per tali vie, ha creato i nomi sostitutivi in luogo del nome Signorelli. Tra l’argomento in cui compare il nome Signorelli e l’argomento rimosso che lo precedeva nel tempo non sembra, a prima vista, potersi scoprire un nesso che vada al di là della ripetizione di sillabe uguali (o meglio di successioni di lettere uguali). Non è forse superfluo osservare che la precedente spiegazione non contraddice le condizioni necessarie, secondo gli psicologi, per la riproduzione e la dimenticanza, da essi ricercate in determinate relazioni e predisposizioni. Abbiamo solamente aggiunto, per alcuni casi, un motivo a tutti quei fattori da tempo riconosciuti che possono provocare la dimenticanza di un nome e abbiamo inoltre chiarito il meccanismo del falso ricordo. Quelle predisposizioni sono indispensabili, anche nel nostro caso, per creare la possibilità che l’elemento rimosso si impossessi tramite associazione del nome cercato e lo porti con sé nella rimozione. Forse questo non si sarebbe verificato per un altro nome in più favorevoli condizioni di riproduzione. È infatti probabile che un elemento represso abbia una tendenza permanente a imporsi in qualche altro luogo, ma che ottenga tale risultato soltanto là dove incontri adeguate condizioni. In altri casi, la repressione avviene senza perturbazione funzionale, o, come possiamo legittimamente dire, senza sintomi.
Ricapitolando le condizioni per la dimenticanza di un nome accompagnato da un falso ricordo, abbiamo dunque: 1) una certa disposizione a dimenticarlo; 2) un processo di repressione avvenuto poco tempo prima; 3) la possibilità di instaurare un’associazione esteriore tra il nome in questione e l’elemento precedentemente represso. L’ultima condizione, probabilmente, non va sopravvalutata, poiché, in fatto di associazione, le pretese sono modeste, e questa potrà quindi raggiungersi nella maggior parte dei casi. Un diverso e più profondo quesito è questo: se tale associazione esteriore possa effettivamente costituire la condizione sufficiente perché l’elemento rimosso disturbi la riproduzione del nome cercato, o se non sia necessaria una più intima connessione tra i due argomenti. Stando a una considerazione superficiale, si potrebbe essere indotti a escludere l’ultima condizione e a considerare sufficiente la contiguità nel tempo senza relazione fra i contenuti. Un’analisi più approfondita, però, dimostra più spesso che i due elementi (quello rimosso e quello nuovo) legati da associazione esteriore hanno inoltre un nesso contenutistico, che anche nell’esempio di Signorelli è dato verificare.
Naturalmente, il valore dell’indagine acquisita tramite l’analisi dell’esempio di Signorelli dipende dalla nostra volontà di considerarlo come un caso tipico o come un evento sporadico. Ora, devo affermare che la dimenticanza di nomi propri accompagnata da falso ricordo avviene molto frequentemente nel modo chiarito per il caso Signorelli. Quasi tutte le volte che ho potuto osservare tale fenomeno direttamente su me stesso, sono riuscito anche a spiegarlo nel modo sopra esposto, vale a dire come motivato da rimozione. Debbo anche addurre un altro argomento in favore della natura tipica della nostra analisi. Non credo sia legittimo distinguere per principio tra i casi in cui la dimenticanza di nomi è accompagnata da falso ricordo e quelli in cui non si presentano invece nomi sostitutivi sbagliati. In molti casi questi nomi sostitutivi affiorano spontaneamente; in altri casi, in cui non siano emersi spontaneamente, possono essere costretti a farlo mediante uno uno sforzo di attenzione, e allora manifestano le stesse relazioni con l’elemento rimosso e con il nome cercato che se fossero venuti spontaneamente. Sembra siano necessari due fattori perché un nome sostitutivo affiori alla coscienza: in primo luogo, lo sforzo d’attenzione; in secondo luogo, una condizione interiore, connessa con il materiale psichico. Potrei ricercare il secondo fattore nella maggiore o minore facilità con cui si instaura la necessaria associazione esteriore tra i due elementi. Buona parte dei casi di dimenticanza di nomi senza falso ricordo viene così ad aggiungersi ai casi con formazione di nomi sostitutivi, per i quali vale il meccanismo dell’esempio Signorelli. Di certo non avrò l’audacia di sostenere che tutti i casi di dimenticanza di nomi siano da annoverare nel medesimo gruppo. Esistono, senza dubbio, casi di dimenticanza di nomi che avvengono assai più semplicemente. Saremo certo abbastanza prudenti se definiremo questo stato di cose affermando: accanto alla semplice dimenticanza di nomi propri esiste anche una dimenticanza motivata dalla rimozione.
1 [Al suo rientro a Vienna dalla Dalmazia, Freud racconta l’episodio qui narrato all’amico Fliess, nella lettera del 22 settembre 1898.]
2 [In tutte le edizioni precedenti a quella del 1924 Freud aveva scritto: «quel delicato tema».]

II

DIMENTICANZA DI PAROLE STRANIERE

Il lessico corrente della nostra propria lingua, nell’ambito dell’uso normale, appare protetto dalla dimenticanza. Ciò non accade, notoriamente, quando si tratta di vocaboli di una lingua straniera. La tendenza a dimenticarli esiste per tutte le parti del discorso e un primo grado di disturbo funzionale si manifesta nella irregolarità della nostra padronanza del lessico straniero, a seconda delle condizioni generali e del grado di stanchezza. Queste dimenticanze presentano, in tutta una serie di casi, il medesimo meccanismo che ci si è palesato nell’esempio di Signorelli. A riprova, comunicherò una sola analisi, ricca però di caratteristiche rilevanti, che riguarda la dimenticanza di una parola non sostantivale di una citazione latina. Mi si permetta di riferire questo piccolo episodio per esteso e in modo particolareggiato.
Ancora in occasione di un viaggio di vacanza, la scorsa estate, rinnovai la conoscenza di un giovane di formazione accademica che — mi accorsi subito — aveva una certa familiarità con alcuni dei miei scritti di psicologia. Non ricordo più come, eravamo giunti a parlare della collocazione sociale della razza a cui noi due apparteniamo, e questo giovane, ambizioso, esprimeva profondo rammarico per il fatto che la sua generazione, così si era espresso, fosse destinata ad atrofizzarsi, non potendo sviluppare i propri talenti né soddisfare le proprie esigenze. Concluse il suo appassionato e commosso d...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. BUR
  3. Frontespizio
  4. Sommario
  5. Prefazione di Mario Lavagetto. Fantasmi nel quotidiano
  6. Introduzione di Domenico Chianese. Alle origini della psicopatologia: l'autoanalisi e il rapporto con Fliess
  7. Nota del curatore Nelly Cappelli
  8. Cronologia della vita e delle opere
  9. Psicopatologia della vita quotidiana
  10. Apparati - Appendice