Olocausto bianco
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Olocausto bianco

  1. 488 pagine
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Olocausto bianco

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Difficile da accettare, ma la pedofilia in Italia esiste, e non è affare di pochi. Sono spesso uomini di buona cultura, a volte perfino affermati professionisti, a vivere in segreto la loro inconfessabile, cupa perversione, mentre molti bambini, nel nostro Paese e nelle mete tradizionali del turismo sessuale, continuano a pagarne l'altissimo prezzo. Tra vite distrutte, giri illegali e coperture potenti, questo fenomeno, scaturito dalle parti più oscure e remote della psiche umana, si rivela anche e soprattutto una terribile piaga sociale, un business che muove molti soldi, un delicato nodo giuridico e un problema politico. Ferruccio Pinotti si addentra in questo groviglio con gli strumenti che abbiamo imparato a vedergli utilizzare: quelli del giornalismo, dei dati, dell'inchiesta, delle interviste, dei documenti e delle carte processuali. Così, attraverso la ricostruzione di casi di cronaca eclatanti e le testimonianze di ex vittime, di abusanti, di giudici e psicologi, si disegna il puzzle complesso di un problema che è bene conoscere. Anche per provare a fermarlo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2010
ISBN
9788858606872
Categoria
Sociology
Luca Barbareschi: dal trauma all’impegno
È stato vittima degli abusi di un sacerdote per quattro anni, dai nove ai tredici. Il dominio subito, nell’anima e nel corpo, da un pedofilo lo ha segnato per sempre, influenzando molto il suo approccio alla vita. E a questo dramma, che gli ha distrutto l’infanzia e l’adolescenza, si è aggiunta la tragedia di non essere stato creduto da chi avrebbe dovuto essergli più vicino: suo padre.
Luca Barbareschi – noto attore, regista e autore teatrale –, dietro il volto scanzonato da perenne ragazzo e l’immagine vincente del tombeur de femmes, porta con sé un vissuto estremamente doloroso, una ferita lancinante che a distanza di molti anni non si rimargina. Non è facile parlarne, per Luca. La sua fisicità prorompente – è alto un metro e novanta, pesa cento chili, ha un fisico da atleta, un volto maschio e un’evidente carica sensuale – lo ha per molti aspetti condannato a essere un sex symbol, un oggetto del desiderio. Le parti che gli sono state affidate, dalla scena e dalla vita, sono quelle dell’uomo forte, deciso, persino ruvido: l’affascinante e pericoloso avvocato del musical Chicago; il commissario severo e deciso a scoprire la verità; il giornalista d’inchiesta pronto a ogni rischio.
Eppure, dietro questa immagine c’è un altro Luca Barbareschi: un uomo che ha combattuto una battaglia difficile contro i propri fantasmi, pagando un prezzo elevato. Un artista affermato che oggi combatte in prima linea contro gli abusi.
Incontriamo Barbareschi a Roma, nella sua casa di produzione, che ha autoironicamente chiamato Casanova Entertainment. Luca genera subito, nell’interlocutore, quell’immagine duale che è forse il suo ritratto più accurato: una grande forza accompagnata da un’altrettanto grande fragilità.
Una famiglia borghese e un collegio religioso
Per Barbareschi non è facile parlare della sua infanzia, della famiglia altoborghese in cui è cresciuto: il papà era un professionista, un ingegnere sempre in giro per il mondo – non a caso Barbareschi è nato in Uruguay, a Montevideo, il 28 luglio 1953 –, la madre proveniva da una famiglia di intellettuali. Non era una coppia unita, quella dei genitori di Luca. Professionisti impegnati, indaffarati a cercare la propria affermazione, intenti a mantenere il proprio status. Non c’è tempo per fermarsi, per prestare attenzione alle esigenze di un bambino in tenerissima età. Ci sono i viaggi, i trasferimenti, i ritorni.
La base è a Milano. Il piccolo Luca viene iscritto all’istituto Leone XIII, fondato dai gesuiti nel 1893. È definito da molti la «scuola dei vip». È infatti il collegio d’élite da cui sono uscite molte personalità importanti, come il petroliere Massimo Moratti, patron dell’Inter, e l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini. Piscina semiolimpionica, campi da calcio, palestre da basket e pallavolo, ricche biblioteche, comode sale studio. Il Leone XIII fa parte della storia culturale milanese e si pone in continuità con la tradizione pedagogica della Compagnia di Gesù. L’istituto ha come finalità primaria della sua attività educativa la formazione di «donne e uomini per gli altri», cioè di persone buone e competenti, «perché se l’uomo non è istruito non potrà aiutare efficacemente il prossimo; se non è buono non lo aiuterà o per lo meno non si potrà contare sul suo aiuto» recitano i documenti della Compagnia di Gesù. Queste le affermazioni di principio, ma le prassi purtroppo non sempre corrispondono alle enunciazioni. È in spregio ai grandi valori che Luca Barbareschi, all’età di nove anni, inizia a subire molestie e poi abusi proprio da un sacerdote del Leone XIII.
«Ero timido, mingherlino, basso. Ero il più piccolo della classe, i miei compagni avevano appena sviluppato il vocione, e io invece con una vocina da angioletto, ciao miagolavo come una bambina», ricorda Luca. Imporsi su un bambino fragile, già immerso in conflitti familiari, non fu difficile per il gesuita. Iniziò a blandire il bambino, a renderlo oggetto delle sue crescenti attenzioni. Le mancanze affettive di Luca fecero il resto.
Ancora oggi non è facile parlarne.
«Avevo molto bisogno di sentirmi amato. Mia madre se n’era andata con un altro uomo. Io avevo scelto di stare con mio padre, ma anche lui, però, in casa non c’era mai: sono stato cresciuto dalla cameriera, ma frequentavo i migliori istituti scolastici religiosi. Ho veramente poche cose per cui posso ringraziare mia madre. Forse il mio lato delicato è nato lì. È un lato che non tiro fuori mai, lo difendo.»
Il piccolo Luca ha otto-nove anni, i suoi genitori sono di fatto separati e molto impegnati. Il gesuita s’insinua nelle carenze affettive del ragazzino, si impadronisce prima della sua psicologia, poi della sua sessualità. Le molestie diventano poco a poco abusi, i palpeggiamenti si trasformano in approcci molto più pesanti. L’identità personale di Luca, venne, invece che formata, distrutta, umiliata e offesa. Proprio la confusione generata dalla violenza del sacerdote renderà l’identità sessuale di Barbareschi estremamente complessa, sempre combattuta, divisa tra dongiovannismo e bisessualità riconosciuta; tra desiderio di famiglia e spinte trasgressive.
Anche altri ragazzi «famosi», oltre a Luca, hanno vissuto climi simili, in certe scuole. Alfred Hitchcock dai nove ai quattordici anni fu presso i gesuiti del St. Ignatius College di Stamford Hill, un ambiente rigido e severo, dove subì anche punizioni corporali. «Molto probabilmente» disse una volta lui stesso «è stato durante il periodo passato dai gesuiti che il sentimento della paura si è sviluppato con forza dentro di me.» Anche Luís Buñuel studiò in un collegio di gesuiti nel quale maturerà buona parte di quell’anticlericalismo che sarà uno dei temi principali della sua produzione artistica.
A Barbareschi andò peggio. Quella scuola costosa, nella quale vengono parcheggiati alcuni figli come uno status symbol, era diventata il teatro degli abusi che subiva quotidianamente.
Il rifiuto del padre
La ferita più terribile, tuttavia, arrivò quando tentò di parlare al padre dell’abuso subito.
«Mio padre era un tipo d’uomo ultraborghese, ortodosso, uno di quelli che dicono ai figli “di queste cose tu con tuo padre non ne parli”... È stato esattamente il mio caso: quando ho affrontato esplicitamente il problema della pedofilia con mio padre – da sottolineare che si trattava di un fatto avvenuto fuori casa, non in casa – lui mi ha risposto: come ti permetti di parlare di queste cose, vuoi creare uno scandalo, sputtanare il nome di tuo padre!»
È facile immaginare la disperazione di un bambino che chiede aiuto a un padre perché è vittima di un pedofilo ma non viene creduto.
«In casi come questo ti rendi conto dei limiti di un certo ambiente borghese. Io venivo da una famiglia estremamente colta, mio papà era un ingegnere, sua madre era stata un’economista – la prima economista del Novecento a occuparsi di cooperazione femminile – mentre il papà di mia nonna era stato tra i creatori del Parlamento italiano... Gente di grande onestà. Però la reazione immediata di mio padre, quando gli ho detto che un sacerdote abusava di me, è stata di assoluta chiusura.»
Il volto di Luca si contrae in un’espressione dolorosa, mentre narra questo vissuto così drammatico e personale: il rifiuto del padre a credergli lo ferì forse più della violenza del sacerdote. Alza le braccia e le lascia cadere, in un gesto che rende meglio di molte parole.
«Non mi voleva nemmeno ascoltare. Il suo atteggiamento rispecchiava una mentalità diffusa, che in qualche modo era infastidita anche solo dall’idea della pedofilia.»
Una terribile condizione di solitudine, che rendeva il sacerdote ancora più forte nei rapporti con il piccolo Luca. Viene spontaneo chiedere a Barbareschi come si sia comportata sua madre, in quel drammatico frangente. Almeno lei capì?
«Mia madre se n’era andata due anni prima dei fatti, quando ne avevo sette. E questa è una delle ragioni per le quali io sono stato abbandonato a me stesso... Vivevo solo, con una tata; mio padre era assorbito dai suoi ideali, era un genio nel suo campo. Ma io ero un bambino molto solo...»
Le reazioni emotive nel gestire gli abusi sono articolate, in un bambino.
«Il problema è la solitudine. È a causa della solitudine che sviluppi una capacità seduttiva, nel desiderio di avere il consenso di chiunque. Al contempo ti crei dei forti sensi di colpa, perché pensi di essere tu il motore della pedofilia, dal momento che sei tu che vai a cercare il consenso.»
Barbareschi è stato per molti anni in analisi; e ha ripensato a lungo a questi meccanismi, ai delicati rapporti tra affettività e sessualità.
«Mi ricordo che, essendo un bambino molto solo, per me era fondamentale essere il cocco del mio professore. A quel punto accetti tutte le attenzioni che ti vengono rivolte. Poi a quell’età la sessualità è molto incerta. Tu provi allo stesso tempo schifo e curiosità... Ti toccano il pisello e sei ancora un ibrido... È un’età difficile, l’età dei giochi ambigui con gli amici. Ma un conto è farlo tra coetanei – a chi non è mai capitato di masturbarsi? –, un altro conto è se uno di sessant’anni, un sacerdote, abusa di te e poi ti tiene psicologicamente in pugno.»
Barbareschi sottolinea il senso di disagio, parla di «bruttura» come sentimento dominante della sua psicologia di bambino.
«Quando sei un bambino e sei vittima di un raffinato pedofilo, pensi di essere colpevole, responsabile di aver sedotto un prete di sessant’anni. Ho impiegato molti anni per recuperare la mia dignità. Per questo è importante rompere il muro di omertà. Esiste una reale difficoltà di ammissione, per quanto riguarda ciò che si è subito da piccoli.»
Barbareschi ha sofferto molto per ciò che ha vissuto.
«Il meccanismo perverso della pedofilia rende il bambino un disadattato: non si sente adatto, perde l’orgoglio. Il meccanismo della seduzione, il meccanismo della morbosità è inoltre privo di ironia. Per questo sarebbe fondamentale prendere in giro i pedofili; aggredire il fenomeno, ma anche sbeffeggiarlo, utilizzare la risata come arma. Per superare l’abuso è fondamentale imparare l’autoironia. Purtroppo, quando si è molto piccoli, non si è capaci di ironia. Si sviluppa un’enorme sofferenza, si interiorizza tutto.»
Il risarcimento
Luca Barbareschi, anche se sono passati molti anni dalla sua vicenda, non ha ancora superato del tutto l’abuso subito. E ha più volte cercato una rivalsa, un risarcimento, sino al punto di recarsi in quel collegio religioso di Milano, nel luogo dei suoi abusi.
Con un’immagine efficace, l’attore-regista si paragona al protagonista di un’opera di von Kleist, Michael Kohlhaas: il testo racconta la storia di un sopruso avvenuto nel 1500, in Germania, a seguito del quale si avvia una reazione a catena incontrollabile, fatta di violenze, insoddisfazioni, superstizione; un turbine di eventi che diventano lo spunto per profonde riflessioni sull’uomo e sulla giustizia.
«Molti anni dopo gli abusi subiti da quel sacerdote sono tornato al collegio di gesuiti. Ho chiesto di incontrare il direttore e l’ho affrontato. Come Michael Kohlhaas, ho detto: sono venuto a farmi chiedere scusa...Voglio che riconosciate l’abuso che un vostro sacerdote ha compiuto su di me, quand’ero un bambino. Loro freddamente mi hanno detto: “No, guardi, forse lei si sbaglia... È sicuro di quello che dice?”.»
Il cinismo di una parte del mondo ecclesiastico di fronte al problema della pedofilia, anche nel caso di Barbareschi, non viene smentito. Torna così alla mente una battuta che circola sui ges...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Introduzione
  6. PRIMA PARTE. Pedofilia familiare
  7. SECONDA PARTE. Pedofilia ecclesiastica
  8. TERZA PARTE. Pedofilia globale
  9. QUARTA PARTE. Lotta alla pedofilia
  10. QUINTA PARTE. Pedofili in carcere
  11. Appendice
  12. BIbliografia
  13. Sommario