Racconti scapigliati
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Racconti scapigliati

  1. 592 pagine
  2. Italian
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Racconti scapigliati

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Incubi, ossessioni, fantasmi, sdoppiamenti. Sono i temi centrali dei racconti di Arrigo e Camillo Boito, Igino Ugo Tarchetti, Luigi Gualdo, Remigio Zena, e riflettono i turbamenti di un'età di passaggio, tra Romanticismo e Decadentismo. Specularmente, la verve linguistica, la scrittura frizzante e l'umorismo di Carlo Dossi, Giovanni Faldella, Achille Giovanni Cagna diventano sperimentalismo stilistico, facendosi strumento di una critica feroce ai miti e ai riti della società borghese. Un'antologia di racconti della Scapigliatura, non solo milanese, permette così di riscoprire una delle più interessanti avanguardie italiane, il movimento che forse meglio di altri ha espresso, sul piano letterario, l'inquietudine e le delusioni postrisorgimentali, mostrandone aspetti sociali e perfino linguistici tuttora irrisolti.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858648667
RACCONTI SCAPIGLIATI
ARRIGO BOITO
L’ALFIER NERO
Chi sa giuocare a scacchi prenda una scacchiera, la disponga in bell’ordine davanti a sé ed immagini ciò che sto per descrivere.
Immagini al posto degli scacchi bianchi un uomo dal volto intelligente; due forti gibbosità1 appajono sulla sua fronte, un po’ al disopra delle ciglia, là dove Gall2 mette la facoltà del calcolo, porta un collare di barba biondissima ed ha i mustacchi3 rasi com’è costume di molti Americani. È tutto vestito di bianco e, benché sia notte e giuochi al lume della candela, porta un pince-nez4 affumicato e guarda attraverso quei vetri la scacchiera con intensa concentrazione. Al posto degli scacchi neri c’è un negro, un vero etiope, dalle labbra rigonfie, senza un pelo di barba sul volto e lanuto il crine come una testa d’ariete; questi ha pronunziatissime le bosses,5 dell’astuzia, della tenacità; non si scorgono i suoi occhi, tien china la faccia sulla partita che sta giuocando coll’altro. Tanto sono oscuri i suoi panni che pare vestito a lutto. Quei due uomini di colore opposto, muti, immobili, che combattono col loro pensiero, il bianco cogli scacchi bianchi, il negro coi neri; sono strani e quasi solenni e quasi fatali.6 Per sapere chi sono bisogna saltare indietro sei ore e stare attenti ai discorsi che fanno alcuni forestieri nella sala di lettura del principale albergo d’uno fra i più conosciuti luoghi d’acque minerali7 in Isvizzera. L’ora è quella che i francesi chiamano: entre chién et loup;8 i camerieri dell’albergo non avevano ancora accese le lampade, i mobili della sala e gli individui che conversavano erano come sommersi nella penombra sempre più folta del crepuscolo, sul tavolo dei giornali bolliva un samovar9 su d’una gran fiamma di spirito di vino. Quella semi oscurità facilitava il moto della conversazione; i volti non si vedevano, si udivano soltanto le voci che facevano questi discorsi:
«Sulla lista degli arrivati ho letto quest’oggi il nome barbaro di un nativo di Morant-Bay».10
«Oh! un negro! chi potrà essere?»
«Io l’ho veduto Mylady; pare Satanasso in persona.»
«Io l’ho preso per un ourang-outang
«Io l’ho creduto, quando m’è passato accanto, un assassino che si fosse annerita la faccia.»
«Ed io lo conosco, signori, e posso assicurarvi che quel negro è il miglior galantuomo di questa terra. Se la sua biografia non vi è nota posso raccontarvela in poche parole. Quel negro nativo del Morant-Bay venne portato in Europa fanciullo ancora da uno speculatore, il quale vedendo che la tratta degli schiavi in America era incomoda e non gli fruttava abbastanza, pensò di tentare una piccola tratta di grooms11 in Europa, imbarcò segretamente una trentina di piccoli negri, figliuoli dei suoi vecchi schiavi, e li vendé a Londra, a Parigi, a Madrid per duemila dollari l’uno. Il nostro negro è uno di questi trenta grooms. La fortuna volle ch’egli capitasse in mano di un vecchio Lord senza famiglia, il quale dopo averlo tenuto cinque anni dietro la sua carrozza, accortosi che il ragazzo era onesto ed intelligente, lo fece suo domestico, poi suo segretario, poi suo amico e morendo lo nominò erede di tutte le sue sostanze. Oggi questo negro (che alla morte del suo Lord abbandonò l’Inghilterra e si recò in Isvizzera) è uno dei più ricchi possidenti del cantone di Ginevra, ha delle mirabili coltivazioni di tabacco e, per un certo suo segreto nella concia della foglia, fabbrica i migliori zigari12 del paese; anzi guardate, questi vevay13 che fumiamo ora vengono dai suoi magazzeni, li riconosco pel segno triangolare che v’è impresso verso la metà del loro cono. I Ginevrini chiamano questo bravo negro Tom o l’Oncle Tom14 perché è caritatevole, magnanimo; i suoi contadini lo venerano, lo benedicono. Del resto egli vive solo, sfugge amici e conoscenti, gli rimane al Morant-Bay un unico fratello, nessun altro congiunto; è ancora giovane ma una crudele etisia15 lo uccide lentamente, viene qui tutti gli anni per far la cura delle acque.»
«Povero Oncle Tom! quel suo fratello a quest’ora potrebbe già essere stato decapitato dalla ghigliottina di Monklands.16 Le ultime notizie delle colonie narrano d’una tremenda sollevazione di schiavi furiosamente combattuta dal governatore britannico. Ecco intorno a ciò cosa narra l’ultimo numero del Times:17 «I soldati della regina inseguono un negro di nome Gall-ruck che si è messo a capo della rivolta con una banda di 600 uomini, ecc., ecc.»
«Buon Dio,» esclamò una voce di donna, «e quando finiranno queste lotte mortali fra i bianchi ed i negri?!»
«Mai,» rispose qualcuno dal bujo; tutti si rivolsero verso la parte di chi aveva profferito quella sillaba. Là v’era sdrajato su d’una poltrona, con quella elegante disinvoltura che distingue il vero gentleman dal gentleman di contraffazione, un signore che spiccava dall’ombra per le sue vesti candidissime.
«Mai,» riprese quando si sentì osservato, «mai perché Dio pose odio fra la razza di Cam e quella di Iafet,18 perché Dio separò il colore del giorno dal color della notte. Volete udire un esempio di questo antagonismo accanito fra i due colori?
Tre anni fa ero in America e combattevo anch’io per la buona causa, volevo anch’io la libertà degli schiavi, l’abolizione della catena e della frusta, benché possedessi nel Sud buon numero di negri. Armai di carabine i miei uomini dicendo loro: siete liberi, ecco una canna di bronzo, delle palle di piombo, mirate bene, sparate giusto, liberate i vostri fratelli. Per istruirli nel tiro avevo innalzato un bersaglio in mezzo ai miei possedimenti. Il bersaglio era formato da un punto nero, grosso come una testa, in un circolo bianco. Lo schiavo ha l’occhio acutissimo, il braccio forte e fermo, l’istinto dell’aguato come il jaguar,19 in una parola ha tutte le qualità del buon tiratore; ma nessuno di quei negri colpiva nel segno, tutte le palle escivano dal bersaglio. Un giorno, il capo degli schiavi, avvicinandosi a me mi diede, nel suo linguaggio figurato e fantastico, questo consiglio: “Padrone, mutate colore; quel bersaglio ha una faccia nera, fategli una faccia bianca e colpiremo giusto.” Mutai la disposizione del circolo e feci bianco il centro; allora su cinquanta negri che tirarono, quaranta colsero così…» e dicendo queste ultime parole il raccontatore, prese una pistoletta da sala ch’era sul tavolo, mirò per quanto l’oscurità glielo permise ad un piccolo bersaglio attaccato al muro opposto e sparò. Le signore si spaventarono, gli uomini corsero alla fiamma del samovar, la presero e andarono a constatare da vicino l’esito del colpo. Il centro era forato come se si fosse tolta20 la misura col compasso. Tutti guardarono stupefatti quell’uomo, il quale con una squisita cortesia domandò perdono alle dame della repentina esplosione soggiungendo: «Volli finire con una immagine un po’ fragorosa, altrimenti non mi avreste creduto». Nessuno ardì dubitare della verità del racconto.
Poi continuò: «Ma combattendo per la libertà dei negri mi sono convinto che i negri non sono degni di libertà. Hanno l’intelletto chiuso e gli istinti feroci. Il berretto frigio21 non dev’esser posto sull’angolo facciale della scimmia».
«Educateli (rispose una signora) e il loro angolo facciale si allargherà. Ma perché ciò avvenga non opprimeteli, schiavi, colla vostra tirannia, liberi, col vostro disprezzo. Aprite loro le vostre case, ammetteteli alle vostre tavole, ai vostri convegni, alle vostre scuole, stendete loro la mano.»
«Consumai la mia vita a ciò, signora. Io sono una specie di Diogene22 del Nuovo Mondo; cerco l’uomo negro ma fin’ora non trovai che la bestia.»
In questo momento comparve sull’uscio un cameriere con una gran lampada accesa; tutta la sala fu rischiarata in un attimo. Allora si vide in un angolo, seduto, immobile, l’Oncle Tom.
Nessuno sapeva ch’egli fosse nella sala, l’oscurità l’aveva nascosto, quando tutti lo scorsero fecesi un lungo silenzio. Gli sguardi degli astanti passavano dal negro all’Americano. L’Americano s’alzò, parlò all’orecchio del cameriere e tornò a sedersi. Il silenzio continuava. Il cameriere rientrò con una bottiglia di Xeres23 e due bicchieri. L’Americano riempì fino all’orlo i due bicchieri, ne prese uno in mano, il cameriere passò coll’altro dal negro.
«Signore, alla vostra salute!» disse l’Americano al negro, alzando il bicchiere verso di lui come insegna il rito della tavola inglese.
«Grazie, signore, alla vostra!» rispose il negro e bevettero tutti e due. Nell’accento del negro v’era una gentilezza tenera e timida e una grande mestizia; dopo quelle quattro parole si rituffò nel suo silenzio, s’alzò, prese dal tavolo de’ giornali l’ultimo numero del Times e lesse con viva attenzione per dieci minuti.
L’Americano che cercava un pretesto per ritentare il dialogo si diresse verso l’angolo dove leggeva Tom e gli disse con delicata cortesia: «Quel giornale non ha nulla di gajo per voi, signore; potrei proporvi una distrazione qualunque?».
Il negro cessò di leggere e s’alzò con dignitoso rispetto davanti al suo interlocutore.
«Intanto permettiate ch’io vi stringa la mano,» riprese l’altro; «mi chiamo Sir Giorgio Anderssen. Posso offrirvi un’avana?»
«Grazie, no; il fumo mi fa male.»
Allora l’Americano, gettando lo zigaro che teneva fra le labbra, tornò a domandare:
«Posso proporvi una partita al bigliardo?».
«Non conosco quel giuoco, vi ringrazio, signore.»
«Posso proporvi una partita agli scacchi?»
Il negro titubò poi rispose: «Sì, questa l’accettò ...

Indice dei contenuti

  1. Racconti Scapigliati
  2. Copyright
  3. Introduzione di Roberto Carnero
  4. Note bio-bibliografiche
  5. Bibliografia
  6. RACCONTI SCAPIGLIATI
  7. Indice