Francesco il Papa della gente
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Francesco il Papa della gente

Dall'infanzia all'elezione papale, la vita di Bergoglio nelle parole dei suoi cari

  1. 313 pagine
  2. Italian
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Francesco il Papa della gente

Dall'infanzia all'elezione papale, la vita di Bergoglio nelle parole dei suoi cari

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Vaticanista argentina e intima amica della famiglia Bergoglio, Evangelina Himitian è una delle persone più vicine a Jorge Bergoglio ed è tra i pochi ad aver seguito da presso lo straordinario percorso che lo ha portato fino al soglio di Pietro. Riportando per la prima volta le parole dei familiari e raccontando episodi decisivi che ci mostrano il cuore più autentico della scelta d'amore di papa Francesco, questa commovente biografia ne rivela il lato privato e meno conosciuto: la migrazione dei genitori dall'Italia all'Argentina, l'infanzia nei quartieri popolari di Buenos Aires, la passione per lo studio e i maestri giovanili, gli anni di formazione tra i gesuiti, la nomina a vescovo e la volontà di testimoniare quotidianamente il Vangelo prendendosi cura degli ultimi. Nel ripercorrere i momenti cruciali dell'esistenza di Bergoglio, l'autrice ci accompagna all'origine del suo impegno per costruire una Chiesa povera tra i poveri e tocca le corde più intime dell'uomo che con la sua stupefacente bontà ha riacceso la gioia e la speranza nei cuori di milioni di fedeli in tutto il mondo. "Questa è la prima parola che vorrei dirvi: gioia! Non siate uomini e donne tristi, non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento. La nostra gioia non nasce dal possedere tante cose, ma dall'aver incontrato Gesù. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza. La speranza che ci dà Gesù!" Papa Francesco

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2013
ISBN
9788858648438

Capitolo 1

Una strada che porta a Roma

Quando il volo Alitalia si alzò dal suolo argentino martedì 26 febbraio 2013, Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, avvertì una strana inquietudine. Erano le 14.15 e l’aereo era appena decollato dall’aeroporto internazionale di Ezeiza, in perfetto orario. Il cardinale si sistemò nella sua poltroncina, allungò le gambe e trasse un profondo respiro. Aveva chiesto un posto nella fila accanto all’uscita di emergenza perché rimanere seduto per così tante ore avrebbe acuito i dolori al ginocchio e all’anca di cui soffre. Non gli piace stare fermo troppo a lungo. Indossava le scarpe che portava tutti i giorni; le altre, quelle che gli avevano regalato poche ore prima i suoi collaboratori della cattedrale metropolitana di Buenos Aires, erano nel suo bagaglio, intatte. Gliele avevano comprate per l’occasione, quasi avessero intuito che il cardinale non avrebbe mai usato le scarpe rosse da Papa. «Non può viaggiare con quelle scarpe» lo avevano ammonito i padri del conclave locale. Bergoglio li aveva ringraziati per il pensiero, aveva sistemato il dono in valigia e calzato le sue vecchie compagne di viaggio.
Era arrivato in aeroporto con circa due ore di anticipo. Ci era andato da solo, come faceva ogni volta che si recava a Roma. Aveva lasciato la curia di Buenos Aires portando con sé una valigia e la ventiquattrore nera come bagaglio a mano. Aveva attraversato Plaza de Mayo ed era salito sull’autobus navetta dell’impresa Manuel Tienda León che lo aveva condotto in aeroporto. Prima di partire aveva salutato i suoi amici, come sempre. Aveva l’aria di chi parte per un breve viaggio. «Jorge, prenderai il bastone del comando?» gli aveva chiesto il suo edicolante con profetica intuizione. «No, scotta troppo» aveva risposto lui. Nel corso della giornata le persone a lui più vicine lo avevano salutato con grande emozione. «Non fate così, ora basta. Ci rivedremo tra un paio di settimane» diceva a tutti.
Poco dopo il decollo, nella solitudine e nel silenzio del velivolo, seduto sulla sua poltroncina in classe turistica (fila 25, corridoio), i dubbi cominciarono ad assalirlo. «State tranquilli. Non c’è alcuna possibilità che io diventi Papa.» Bergoglio aveva pronunciato questa frase fino alla nausea. «Il 23 [di marzo] sarò di ritorno a Buenos Aires.»
«Perché proprio il 23?»
«Il giorno dopo è la Domenica delle Palme. Devo tornare in tempo per celebrare la messa» aveva risposto lui.
«Non c’è alcuna possibilità»: lo aveva ripetuto così tante volte che era quasi riuscito a convincersene. Il cardinale era certo che il suo momento fosse già passato: uno dei motivi per cui la sua elezione appariva improbabile era che aveva già settantasei anni.
Ma la possibilità esisteva, e lui lo sapeva meglio di chiunque altro. L’idea non lo rallegrava; anzi, ne era profondamente contrariato. Si era già trovato in una situazione simile nel 1992, quando era stato nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires. Cinque anni dopo, quando seppe che Roma avrebbe indicato un coadiutore con diritto alla successione del cardinale Antonio Quarracino, non pensava che sarebbe stato lui il prescelto, anzi, era così sicuro che lo avrebbero trasferito in una diocesi nelle zone interne del Paese che la sua prima reazione fu supplicare che non lo facessero: «Sono di Buenos Aires, e lontano dalla mia città non saprei fare niente». Gli anni, tuttavia, gli avevano insegnato a non abbandonarsi a reazioni istintive, ma ad aspettare che il suo cuore elaborasse le emozioni e da esso sgorgasse spontanea la risposta giusta: «Sì».
Mentre l’aereo sorvolava l’oceano Atlantico e le hostess distribuivano bibite ai passeggeri, gli tornarono alla mente le conversazioni con i suoi collaboratori prima di partire.
«Ha un bagaglio molto pesante, padre?» gli aveva chiesto una persona di sua fiducia nel tentativo di capire se si trattasse solo di un viaggio di un paio di settimane o di un vero e proprio trasloco. «Con tutti gli abiti che devono indossare i cardinali per il conclave…» aveva aggiunto. Quel suo stretto collaboratore sapeva che una sola valigia era sufficiente a contenere i beni che padre Bergoglio aveva accumulato in tutta la sua vita: la collezione di dischi di musica classica, tango e opera; un poster del San Lorenzo, la sua squadra di calcio del cuore, autografato dai giocatori e che teneva appeso nel suo ufficio; le comode e logore scarpe nere; il crocifisso dei suoi nonni, che pendeva sopra il letto nell’appartamento al terzo piano della curia di Buenos Aires, di fronte alla cattedrale. E poco altro.
Una volta gli avevano domandato cosa avrebbe portato con sé se fosse scoppiato un incendio e fosse dovuto scappare di fretta. «L’agenda e il breviario» aveva risposto senza esitazioni. La sua agenda è piccola e nera e vi sono annotati i numeri di telefono delle molte persone che ha aiutato nel corso della sua esistenza. Di tanto in tanto le chiama per sapere come stanno, fare loro gli auguri di compleanno o chiedere notizie dei figli. Il breviario è il libro liturgico che stabilisce gli obblighi pubblici del clero durante l’anno. Lo tiene sempre con sé. «È il primo libro che consulto al mattino e l’ultimo che chiudo prima di addormentarmi» ha confidato. Anche questa volta, diretto a Roma al conclave che avrebbe eletto il successore di Benedetto XVI, aveva messo nella sua ventiquattrore i due volumi.
«No, il bagaglio non è molto pesante» aveva risposto al suo collaboratore. «Viaggio leggero. Una valigia sola, piccola, come sempre. È piuttosto piena, ma non di abiti. Porto ai miei amici un po’ di biscotti: alfajores con dulce de leche. Se arrivassi a mani vuote non me lo perdonerebbero mai…» aveva spiegato il cardinale Bergoglio. «Stia tranquillo, non c’è alcuna possibilità» aveva poi tagliato corto, intuendo la piega che stava prendendo la conversazione.
«Prego molto per lei, padre.»
«Allora non mi vuole bene.»
«Lei diventerà Papa.»
«No, non credo. Il 23 sarò di ritorno.»
«Come fa a saperlo? Se lo Spirito Santo dice di no, è una cosa. Ma se è lei a voler dire di no, rifletta bene a chi lo sta dicendo.»
Il silenzio che era seguito era parso eterno. Dopodiché si erano salutati.
«Lei dice sempre che bisogna farsi carico del proprio Paese, prenderselo sulle spalle; in questo caso si tratta della Chiesa. Forse è arrivato il suo momento e dovrà farlo. È probabile che questo sia l’ultimo servizio che presterà al Signore» gli aveva detto un altro collaboratore poco prima che si recasse in aeroporto.
Tutte le conversazioni che avevano preceduto la partenza sembravano andare nella stessa direzione. Lasciavano presagire un destino che cominciava ad apparire inesorabile, almeno nel suo intimo, nella sua convinzione e nella sua intuizione. Ma non nei suoi desideri. E nemmeno per l’opinione pubblica: il nome di Jorge Mario Bergoglio non compariva nella rosa dei papabili proposta dai media e dagli scommettitori.
E se quelle persone avessero avuto ragione? Se per lui fosse davvero giunto il momento di caricarsi la Chiesa sulle spalle? La Chiesa perde, o perdeva, migliaia di fedeli ogni giorno. Sarebbe toccato a lui affrontare quella terribile realtà ed esporsi in prima persona? Sarebbe divenuto il buon pastore che va a cercare le pecore allontanatesi dal gregge oppure, come ripeteva spesso nelle sue omelie, «il parrucchiere delle pecore: quello che si dedica a mettere i bigodini all’unica pecora rimasta» mentre le altre si smarriscono lungo la via?
Sarebbe diventato il primo Papa americano? Non era un’ipotesi poi così assurda, dal momento che la metà dei cattolici del mondo vive in America Latina, anche se in Argentina solo uno su cinque partecipa alla messa domenicale. La vera sfida sarebbe stata riconciliare la Chiesa con i valori che il mondo intero si aspetta di trovare in essa: onestà, trasparenza, austerità, coerenza, vicinanza e una maggiore apertura.
Il giorno successivo alla fumata bianca che annunciò al mondo l’elezione del nuovo Pontefice, a Buenos Aires squillò il telefono. Rispose lo stretto collaboratore che aveva salutato Bergoglio prima del viaggio. Da Roma arrivò una voce fresca e allegra. Era il Papa. «Aveva ragione lei: i cardinali me l’hanno fatta!» dichiarò col suo tono giocoso, ironico e inconfondibile.
I cardinali… Con loro fu ancora più diretto. Durante il conclave, quando si seppe che aveva superato i novanta voti, impartì la sua prima assoluzione: «Vi perdono» disse loro.
Alcuni mesi prima, diversi sindacalisti della capitale avevano telefonato agli uffici della Pastorale sociale dell’arcidiocesi di Buenos Aires. Erano preoccupati: «Raccomandate a padre Bergoglio di non andarsene da solo per la strada. È pericoloso. C’è molta gente che gli vuole male. Deve stare attento». Non era una minaccia, anzi il contrario: era l’avvertimento di alcune persone vicine ai centri del potere, sinceramente preoccupate per la sua sicurezza e per la sua scelta ardita di andare in giro come un cittadino qualsiasi.
«La strada? Non la lascerò mai» rispose Bergoglio, per nulla spaventato dalle parole dei suoi collaboratori. «Io devo stare a contatto con la gente. Se non lo facessi potrei impazzire. E rischierei di diventare un topo da sacrestia» aggiunse.
La sua scelta ha motivazioni ben precise. Padre Bergoglio sa bene che, per poter operare un reale cambiamento nella vita di coloro che si avvicinano a lui per la prima volta, è indispensabile che questi lo considerino una persona accessibile. Uno di loro. Un uomo qualunque. «Gesù fece questa scelta per predicare il bene. Scese in strada, si mescolò con il suo popolo. Rimase tra la gente. Sapete qual è il luogo fisico in cui Gesù trascorreva più tempo? La strada» disse durante un discorso pubblico nell’ottobre del 2012.
«Cosa le piace di più di Buenos Aires?» gli chiesero nel corso di un’intervista realizzata dall’ufficio stampa dell’Arcivescovado di Buenos Aires nel novembre del 2011, quando concluse il suo mandato come presidente della Conferenza Episcopale Argentina. «Camminare per la strada. Ogni angolo di Buenos Aires ha qualcosa da raccontare. Buenos Aires è un insieme di luoghi, di quartieri e di veri e propri paesi. Villa Lugano è più di un semplice quartiere: è un paese con una propria idiosincrasia che lo rende diverso da qualsiasi altro. Nelle città ci sono spazi, come ad esempio i grandi viali, che sono solo luoghi qualsiasi; alcuni quartieri, invece, mantengono intatto il proprio fascino» rispose, e le sue parole lasciarono trasparire quanto fosse innamorato della sua città.
Forse è questo il motivo per cui, quando dal balcone del Vaticano fu annunciata l’elezione di un Papa argentino come successore di Benedetto XVI, la festa esplose proprio nel luogo della città che Bergoglio ama di più: la strada.
Mercoledì 13 marzo 2013. Gli istanti successivi alla fumata bianca furono eterni. L’umanità intera sapeva che era stato eletto un nuovo Papa e aspettava di conoscerne il nome. Nella città, nei bar, nei luoghi di lavoro e nelle case si aprì una sorta di parentesi temporale, un momento di sospensione in cui era permesso trascurare i propri impegni per guardare la televisione. Solo poche persone, forse quelle a lui più vicine, si aspettavano di sentir annunciare un nome argentino. Per tutti gli altri, c’erano forti probabilità che la scelta ricadesse sull’italiano Angelo Scola o sul brasiliano Odilo Pedro Scherer.
«Bergoglio potrebbe rivelarsi la vera sorpresa» scrisse proprio quel giorno in un allegato alla terza pagina del quotidiano argentino «La Nación» la giornalista Elisabetta Piqué, corrispondente da Roma.
Quel che è certo è che nessuno si aspettava di sentire il suo nome quando il cardinale francese protodiacono del Vaticano, Jean-Louis Tauran, uscì sul balcone principale della basilica di San Pietro accompagnato da due sacerdoti. Con voce tremante e tono pacato si avvicinò al microfono e pronunciò quello che tutto il mondo già sapeva: «Habemus Papam». In Piazza del Vaticano scoppiò l’applauso e la trepidazione si diffuse in tutto il pianeta. Un attimo dopo arrivò l’annuncio del nome, che in pochi compresero da quelle prime parole in latino: «Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio».
«Che cos’ha detto? Ha detto Bergoglio?» Queste erano le domande che si ripetevano in tutto il mondo. Il dubbio durò solo pochi secondi perché i media diffusero immediatamente la conferma: l’argentino Jorge Mario Bergoglio era il nuovo Papa. Nella città di Buenos Aires la notizia riecheggiò come un’esplosione. Ci furono grida, abbracci, applausi, incredulità, festeggiamenti e, naturalmente, commenti pessimisti.
Era come se fosse stato segnato il golden goal durante la finale della coppa del mondo di calcio. La notizia lasciò tutti senza parole. E l’entusiasmo fu incontenibile.
Aggrappato alle sbarre del suo balcone all’appartamento 12 in un condominio dell’avenida Libertador, quasi all’angolo con calle Salguero, un giovane gridava la notizia a chiunque volesse ascoltarlo: «Il Papa è argentino! Il Papa è Bergoglio! Grazie, Signore!». Era euforico, fuori di sé dall’emozione.
Gli automobilisti suonavano il clacson, in un concerto che nel giro di pochi secondi si estese a tutta la città e risuonò in quartieri molto distanti tra loro: da Palermo a Flores ad Almagro.
Nelle strade di Buenos Aires, il luogo preferito del nuovo Papa, tutti festeggiavano, si abbracciavano e gridavano di gioia. C’era chi telefonava, chi parlava con sconosciuti, senza distinzione tra le religioni, nessuno giudicava se la notizia fosse buona o cattiva, una sola cosa importava: il Papa era argentino.

Capitolo 2

Papa non si nasce

Il quartiere Flores si trova nel centro nevralgico di Buenos Aires. Quel giorno era in subbuglio: non capita spesso di scoprire che il nuovo Papa è originario della propria comunità.
In calle Membrillar al numero 531, tra Francisco Bilbao ed Espartaco, c’è ancora la casa nella quale ha vissuto fino all’età di ventun anni Jorge Mario Bergoglio, l’uomo che oggi siede sul soglio di Pietro. Dell’abitazione originaria resistono solo due cancellate e un gazebo che fa ombra al patio. Per raggiungerlo bisogna percorrere un corridoio, lungo il quale riecheggia il tacchettio delle scarpe. Sebbene la facciata sia stata completamente restaurata, la struttura della casa è ancora solida dopo settantasei anni. «Ha buone fondamenta» fa notare Arturo Blanco, l’attuale proprietario, un ex seminarista che vive lì con Marta, sua moglie. Nei giorni seguenti all’elezione di Francesco, la casa di Flores è diventata la meta delle peregrinazioni dei vicini. Sono in molti nel quartiere ad aver condiviso ricordi d’infanzia con il nuovo Pontefice e tutti desideravano riunirsi per rievocarli ed esprimere così il proprio entusiasmo per la sua elezione.
Bergoglio nacque giovedì 17 dicembre 1936. Era il primo dei cinque figli di Mario Giuseppe Francesco Bergoglio, contabile, e Regina Maria Sivori, casalinga. Dopo alcuni anni arrivarono anche Oscar, Marta, Alberto e María Elena, l’unica sorella ancora in vita. Rosa Margherita Vasallo, sua nonna, abitava a pochi passi da loro. Fu lei a insegnargli le preghiere e a spingerlo fin da bambino ad abbracciare la fede cristiana. Quando nacquero i suoi fratelli minori, il piccolo Jorge cominciò a trascorrere le giornate a casa dei nonni, dove imparò a parlare il piemontese.
I genitori di Jorge erano entrambi immigrati italiani, ma si conobbero a Buenos Aires, partecipando alle attività della parrocchia. L’odissea che condusse i Bergoglio in Argentina è una lunga storia.
Nel 1864 il bisnonno del Papa comprò una casa di campagna a Bricco Marmorito, una piccola frazione agricola in provincia di Asti. Anche in questa località è scoppiata la festa quando è stato pronunciato l’«Habemus Papam». Un ramo della famiglia di Papa Francesco che abita ancora lì ha seguito col fiato sospeso l’elezione. «Quando abbiamo sentito pronunciare il suo nome siamo rimasti molto sorpresi, perché non avevamo mai pensato che Jorge potesse davvero diventare Papa» ha affermato Anna Bergoglio, una lontana cugina.
I Bergoglio si stabilirono nella nuova casa insieme ad altri membri della famiglia. Alcuni anni dopo si trasferirono a Portacomaro, un altro piccolo comune dell’astigiano, dove nacque e crebbe Angelo, il nonno dell’attuale Papa. Anche in questo paesino italiano di soli duemila abitanti al momento della proclamazione del nuovo Papa le campane hanno suonato e due giorni dopo è stata organizzata una grande festa in piazza. La città di Buenos Aires, il quartiere Flores, i paesi di Bricco Marmorito e Portacomaro: tutti rivendicavano il nuovo Papa come autentico figlio della propria terra. «È il nipote di Angelo Bergoglio» non faceva che ripetere padre Andrea, il parroco della chiesa di San Bartolomeo.
Nel 1920 Angelo si trasferì con i suoi sei figli a Torino. Due anni più tardi tre dei suoi fratelli emigrarono in Argentina e si stabilirono nella città di Paraná, a Entre Ríos, dove avviarono un’impresa di pavimentazione. Nel 1929 Angelo decise di raggiungerli, non perché avesse problemi economici, ma perché sentiva la mancanza dei suoi fratelli. Fu così che decise di vendere la pasticceria di cui era proprietario e di comprare i biglietti per la nave Principessa Mafalda, diretta in Argentina. Ma la nave ebbe un’avaria e naufragò nel nord del Brasile, perciò la famiglia dovette imbarcarsi sulla Giulio Cesare. Mario Giuseppe, il padre del futuro Papa Francesco, aveva ventun anni, era celibe e si era diplomato in ragioneria.
Sbarcarono nel porto di Buenos Aires in un caldo pomeriggio estivo, ma Rosa Margherita si teneva stretto addosso il suo pellicciotto di volpe. Non poteva toglierselo: nella fodera aveva cucito tutti i suoi risparmi, una vera e propria fortuna.
I nuovi arrivati alloggiarono all’Hotel degli Immigranti, affacciato sul porto, come tutti coloro che arrivavano in Argentina in quegli anni. Poi proseguirono il viaggio verso Paraná.
Laggiù li aspettava un imponente edificio vicino al fiume. L’avevano costruito i prozii di Papa Francesco e l’avevano battezzato con l’altisonante nome di Palazzo Bergoglio. C’erano appartamenti a sufficienza per tutte le famiglie. Ma quando scoppiò la crisi del 1931 gli affari iniziarono ad andare male. Un anno dopo...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. 1. Una strada che porta a Roma
  6. 2. Papa non si nasce
  7. 3. La formazione del vescovo di Roma
  8. 4. La difficile missione di imparare a governare
  9. 5. L’esilio, un «master» in sacerdozio
  10. 6. Il nodo che la Vergine Maria sciolse
  11. 7. La rivoluzione della fede
  12. 8. Il Papa della strada
  13. 9. Un Papa latinoamericano
  14. 10. Un uomo di tutte le religioni
  15. 11. Quando Dio vota: elezioni in Vaticano
  16. 12. Il Papa della gente e le sue sfide
  17. A mo’ di epilogo. Come ho conosciuto Bergoglio
  18. Ringraziamenti
  19. Appendice
  20. Bibliografia