Umiliati e offesi
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Umiliati e offesi

  1. 448 pagine
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Informazioni sul libro

Fra le strade di Pietroburgo, nelle fredde prospettive della capitale, si incrociano le vicende di esseri umani in lenta rovina. La famiglia Ichmenev, amministratrice dei terreni del principe Valkovskij, viene allontanata dalla casa familiare a causa dell'amore sorto fra la giovane Nataša e il figlio del principe, l'ingenuo Aleša, ed è costretta a trasferirsi nella capitale; qui si muove anche Nelly, orfana poco più che bambina, che ha assistito impotente alla malattia della madre e all'indifferenza del nonno. Ivan Petrovi?, studente e scrittore, ritratto di un Dostoevskij ventenne, è testimone protagonista: innamorato di Nataša sin da bambino, la aiuta nella fuga d'amore con Aleša, e decide di adottare Nelly per sottrarla agli abusi e alla mendicità. In Umiliati e offesi, uno dei primi romanzi di Dostoevskij, emergono da una nebulosità ancora diffusa i personaggi e le situazioni che saranno propri del grande scrittore: i tormenti e l'amore, i personaggi candidi, l'indagine e la comprensione dell'animo umano.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858644676
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

PARTE SECONDA





I

Due minuti dopo ridevamo tutti e tre come pazzi.
«Lasciate, lasciate dunque che vi racconti» gridava Alëša, coprendo le nostre risa con la sua voce squillante. «Voi credete che ogni cosa proceda come prima, che io sia venuto qui con un sacco di inezie e nient’altro… Vi assicuro, invece, che si tratta di una cosa importantissima. Volete tacere una buona volta?»
Aveva un gran desiderio di raccontare. Dal suo aspetto si poteva arguire che aveva importanti notizie da comunicarci. Ma l’aria d’importanza che aveva assunto per l’ingenuo orgoglio d’essere in possesso di notizie di grande rilievo, fece subito ridere Nataša. Vedendola ridere, risi involontariamente anch’io. E più egli si irritava, più la nostra ilarità aumentava. Il dispetto e, poi, la disperazione quasi infantile di Alëša ci avevano portati a un tal grado di allegria, che ormai sarebbe bastato farci vedere il dito mignolo, come al tenente nel racconto di Gogol’, perché scoppiassimo in rumorose risate. Mavra, che era uscita dalla cucina, stava sulla soglia e ci guardava con profonda indignazione, indispettita che Alëša non avesse avuto una buona lavata di capo da parte di Nataša, come la brava donna aveva sperato in quei cinque giorni, e che tutti fossero così allegri. Infine Nataša, accortasi che la nostra ilarità offendeva Alëša, cessò di ridere.
«Ebbene, che cosa vuoi raccontarci?» domandò.
«Devo accendere o no il samovar?» domandò Mavra, interrompendo Alëša senza alcun riguardo.
«Vattene, Mavra, vattene» rispose il giovane, agitando le braccia per cacciarla al più presto. «Vi narrerò ciò che fu, che è e che sarà, perché io so tutto. Vedo, cari amici, che siete curiosi di sapere dove ho passato questi cinque giorni; appunto questo voglio raccontarvi, ma voi non me ne date il modo. Anzitutto, devo dirti che ti ingannavo, Nataša, che ti ingannavo da tempo, da molto tempo, e questa è la cosa più importante.»
«Mi ingannavi?»
«Sì, ti ho ingannato per un mese; fin da prima dell’arrivo di mio padre. Ora è arrivato il momento di essere completamente sinceri. Un mese fa, quando mio padre era ancora assente, ricevetti da lui una lunghissima lettera, che vi ho tenuto nascosta. In quella lettera mi annunciava semplicemente e direttamente, e, notate, lo faceva in tono così serio che me ne spaventai persino, che la faccenda del mio fidanzamento era definitivamente conclusa, che la mia fidanzata era la perfezione, che io, si capisce, non ero degno di lei, ma che, nondimeno, dovevo assolutamente sposarla. Mi avvertiva, quindi, di prepararmi al matrimonio, scacciando dalla mente tutte le sciocchezze che la ingombravano, e così via; inutile dire a quali sciocchezze alludesse. E quella lettera, ecco, io ve l’ho tenuta nascosta.»
«Ma se non ci hai nascosto nulla!» lo interruppe Nataša. «Mi pare che ti voglia dare delle arie! In realtà, invece, ci hai raccontato immediatamente ogni cosa. Ricordo ancora come sei diventato, a un tratto, tenero e obbediente; non ti staccavi di un passo da me, come se avessi commesso qualche colpa; quanto alla lettera, ce l’hai riferita un po’ alla volta.»
«Non è possibile! L’importante, l’essenziale non ve l’ho riferito di certo. Può darsi che abbiate indovinato qualche cosa da soli, ma io non ho raccontato nulla. Ho nascosto tutto in me, e ne ho sofferto terribilmente.»
«Mi ricordo, Alëša, che a quel tempo mi chiedevate continuamente consiglio, e che mi avete raccontato ogni cosa; a brani, si capisce, a mo’ di supposizioni» aggiunsi, guardando Nataša.
«Hai raccontato tutto! Non vantarti, per favore. Ti pare che sapresti tener nascosto qualche cosa, tu? Come potresti mai mentire? Sono sicura che persino Mavra ha saputo tutto. Mavra, l’hai o non l’hai saputo, tu?»
«Come potrei non saperlo!» rispose Mavra, facendo capolino dalla porta. «Ce l’avete raccontato prima che trascorressero tre giorni. Non siete tagliato per fare il furbo, voi!»
«Che noia parlare con voi! Fai tutto questo per dispetto, Nataša. E anche tu sbagli, Mavra. Ricordo che ero come pazzo in quei giorni. Te lo ricordi, Mavra?»
«Come potrei non ricordarmelo. Siete come pazzo anche ora!»
«No, no, non parlo di questo. Ti ricordi? Allora mancavamo assolutamente di denaro e tu andasti a impegnare il mio portasigari d’argento. Inoltre, permetti che ti faccia questa osservazione, Mavra, inizi a prenderti troppe confidenze con me. Nataša ti ha viziata troppo. Va bene, dunque, ammettiamo che vi abbia anche raccontato tutto a brani, subito dopo aver ricevuto la lettera (infatti, ora me ne ricordo). Ma voi non sapete in che tono quella lettera fu scritta, mentre è proprio il tono la cosa più importante di quella lettera. Questo è appunto ciò di cui sto parlando.»
«Ebbene, sentiamo, che tono era?» domandò Nataša.
«Senti, Nataša, tu parli come se si trattasse di uno scherzo. Non scherzare. Ti assicuro che la cosa è grave. Il tono era tale che mi fece cascare le braccia. Mio padre non mi aveva mai parlato in quel modo. Insomma, dal tono si poteva capire che sarebbe stato più probabile veder sprofondare sotto terra Lisbona, che non mio padre desistere dal suo intento.»
«Va bene, va bene; e allora, perché hai trovato necessario tenermi nascosto ogni cosa?»
«Ah, santo Dio! Per non spaventarti, si capisce! Speravo di poter mettere a posto le cose da solo. Dunque, dopo quella lettera, non appena mio padre fu di ritorno, cominciarono le mie torture. Mi ero preparato a rispondergli con fermezza, chiarezza e serietà, ma mi mancava sempre l’occasione di farlo. Lui, furbacchione, non mi interrogava su nulla! Anzi, aveva lo stesso contegno che se tutto fosse già deciso tra noi, al punto che non potessero più sorgere discussioni né spiegazioni di sorta. Capisci? Che non potessero più sorgere… che presunzione! Nei rapporti con me, invece, era pieno di affettuosità e di gentilezza. Me ne stupii, persino. Se sapeste, Ivan Petrovič, com’è intelligente! Ha letto tutto, sa ogni cosa, e basta che vi guardi una volta per conoscere tutti i vostri pensieri, come se fossero i suoi. Evidentemente, è proprio per questa ragione che l’hanno soprannominato “il gesuita”. A Nataša non piace che io lodi mio padre. Non stizzirti, Nataša. Dunque… a proposito, prima non mi dava mai denari, ieri, invece, me ne ha dati. Nataša! Angelo mio! Ormai la nostra miseria è finita! Ecco, guarda! Tutto quello che mi ha tolto in questi sei mesi per punirmi me lo ha restituito in una volta sola; guarda quanto denaro ho; non ho ancora avuto tempo di contarlo. Mavra, guarda quanto denaro! Adesso non avremo più bisogno di impegnare i cucchiai e i gemelli dei polsini!»
Così dicendo, si cavò di tasca un pacco molto grosso di biglietti di banca, poi circa millecinquecento rubli in argento, e mise tutto sulla tavola. Mavra guardò meravigliata Alëša e si complimentò con lui. Nataša l’esortò a raccontare.
«Io mi domandavo che cosa avrei potuto fare» continuò Alëša. «Come avrei potuto andare contro il suo desiderio? Vi giuro che se avesse continuato a essere cattivo con me, invece di diventare così alla mano come si mostra adesso, non avrei badato a nulla. Gli avrei detto semplicemente che non voglio obbedirgli, che ormai non sono più un bambino, ma un uomo, e che non c’è più nulla da fare! E credetemi, avrei saputo insistere. Così, invece, che cosa potevo dirgli? Non consideratemi troppo colpevole. Mi sembra che Nataša sia malcontenta. Perché vi scambiate delle occhiate? Ecco, sono sicuro che pensate entrambi così: “Sono riusciti ad abbindolarlo, non ha neppure un briciolo di fermezza”. Vi sbagliate! Di fermezza ne ho, e più di quanta possiate credere. Infatti, nonostante la mia situazione, mi sono subito detto: “L’unico mio dovere è di dire tutto, di spiegare tutto a mio padre”; e così ho fatto, gli ho detto tutto, e lui mi ha ascoltato fino in fondo.»
«Ma che cosa, che cosa gli hai detto?» domandò Nataša, inquieta.
«Che non voglio un’altra fidanzata, perché ne ho già una, e che questa sei tu. Intendiamoci, non gliel’ho ancora dichiarato così esplicitamente, ma ho preparato il terreno, e domani glielo dirò; così ho deciso. Da principio, ho cominciato a dire che sposarmi per denaro è una cosa vergognosa e poco nobile, e che da parte nostra è proprio ridicolo considerarci degli aristocratici (gli ho parlato con tutta franchezza, come se fossimo due fratelli). Poi gli ho spiegato che io appartengo al tiers-état e che il tiers-état c’est l’essentiel; che sono orgoglioso di assomigliare agli altri, e che non voglio differire da nessuno… insomma, gli ho esposto tutte queste sane idee… Ho parlato con eloquenza e con ardore, al punto da stupirmene io stesso. Gli ho dimostrato con molte prove… anche dal suo modo di considerare le cose… gli ho detto sinceramente: che principi siamo noi? Non siamo tali altro che per nascita, giacché, in sostanza, non c’è in noi nulla di principesco. Innanzi tutto, non possediamo affatto grandi ricchezze, e, in questo caso, la ricchezza è l’essenziale. Oggi il vero principe è Rotschild. In secondo luogo, è da tempo che nel gran mondo non si sente parlare di noi. L’ultimo dei nostri a essere noto fu lo zio Semën Valkovskij, ma non era conosciuto che a Mosca, e solo per aver dilapidato le ultime trecento anime che gli rimanevano; e se mio padre non si fosse fatto la fortuna da sé, i suoi nipoti sarebbero ora costretti a lavorare la terra con le loro proprie mani. Ne esistono di principi così! Non è, quindi, il caso di darsi troppe arie. Insomma, gli ho detto tutto quello che mi pesava sul cuore, e gliel’ho detto con calore e sincerità, e ho aggiunto anche qualche altra cosa. Mio padre non ha fatto alcuna obiezione; mi ha rimproverato semplicemente di aver abbandonato la casa del conte Nainskij; infine mi ha detto che dovevo cercare di entrare nelle grazie della mia madrina, la principessa K., perché se fossi stato accolto bene da lei, avrei trovato un’ottima accoglienza ovunque, e la mia carriera sarebbe stata assicurata; e ha continuato a parlare a lungo di queste cose. Erano tutte allusioni al fatto che io, dopo essermi legato a te, Nataša, ho trascurato tutti quanti; dunque, tutto ciò dipenderebbe dalla tua influenza su di me. Finora, però, mio padre non ti ha mai tirata direttamente in ballo; si direbbe anzi che evita di farlo. Giochiamo entrambi d’astuzia, aspettiamo, ci spiamo l’un l’altro; ma puoi essere sicura saremo noi a vincere.»
«Va bene, va bene, ma come è finito il vostro colloquio? Che cosa ha deciso tuo padre? Questo è l’importante. Ma che chiacchierone sei, Alëša!»
«Che cosa abbia deciso, lo sa il Signore. Per conto mio, non sono certo riuscito a capirlo; ma non sono affatto un chiacchierone, non parlo che di cose serie. Forse non ha preso alcuna decisione; si limitava a sorridere ascoltando i miei ragionamenti, ma come se provasse compassione di me. Capisco bene che è una cosa umiliante, ma non ho vergogna. “Io” diceva “sono pienamente d’accordo con te, ma andiamo dal conte Nainskij e guardati bene dal ripetere queste cose quando saremo là. Io ti capisco, ma là nessuno ti capirebbe.” Credo che non sia molto ben accolto da loro, e che siano in collera con lui per qualche cosa. In generale, si vede che non hanno più molta simpatia per mio padre nel gran mondo. Il conte, a tutta prima, mi ha accolto con molta maestosità, guardandomi dall’alto in basso; sembrava aver assolutamente dimenticato che ero cresciuto in casa sua; ha finto persino di dover fare uno sforzo per ricordarsi chi ero, ve lo giuro! Si vede che ce l’ha con me per la mia ingratitudine; in realtà, non si tratta affatto d’ingratitudine; in casa sua regna una tal noia, ed è per questo che non volevo andarci. Anche mio padre è stato accolto con la massima noncuranza, con una tale noncuranza, che non riesco a capire che piacere provi a ritornarci. Tutto ciò ha provocato in me un senso d’indignazione. Quel pover’uomo è costretto a curvare la schiena davanti a lui; capisco che lo fa per me, ma io non ho bisogno di nulla. Dopo, avrei voluto esprimere a mio padre tutti questi sentimenti, ma me ne sono astenuto. Perché avrei dovuto? Non sarei certo riuscito a cambiare le sue convinzioni; lo avrei soltanto afflitto; ne ha già tante di afflizioni senza che io gliene procuri di nuove! “Bene,” ho pensato “giocherò d’astuzia, costringerò il conte a rispettarmi.” E lo volete sapere? Ci sono riuscito in un momento; in un sol giorno tutto è cambiato. Adesso il conte Nainskij non sa più che cortesie usarmi. E ci sono riuscito io, proprio io, da solo, con la mia astuzia, di modo che mio padre ne è rimasto sbalordito!»
«Senti, Alëša, faresti meglio a raccontarci il fatto puro e semplice!» esclamò Nataša spazientita. «Credevo che ci avresti riferito qualche cosa che riguarda noi due; invece, non desideri che raccontarci come hai saputo distinguerti in casa del conte Nainskij. Che vuoi che me ne importi del tuo conte?»
«Che vuoi che me ne importi? Avete sentito, Ivan Petrovič? Dice che non le importa nulla del conte! Ma se il nocciolo della faccenda sta proprio lì! Lo riconoscerai subito anche tu; ogni cosa si spiegherà verso la fine della mia narrazione. Lasciatemi soltanto parlare… Inoltre, lasciate che dica (perché non essere sincero?), a te, Nataša, e anche a voi, Ivan Petrovič, che forse, qualche volta, sono molto irragionevole davvero; ammettiamo pure (capita talvolta anche questo) che sia semplicemente stupido. Ma in questa occasione vi assicuro che ho dimostrato molta astuzia e… una certa intelligenza, persino; per questo credevo che anche voi sareste rimasti contenti nel rendervi conto che non sempre… manco d’intelligenza.»
«Ma che vai dicendo, Alëša, mio caro?»
Nataša non poteva sopportare che Alëša venisse considerato poco intelligente. Quante volte mi aveva tenuto il broncio, senza, però, farmene rimprovero, quando, senza fare troppi complimenti, provavo ad Alëša ch’egli aveva commesso qualche sciocchezza: quello era un punto vulnerabile nel suo cuore. Non poteva sopportare l’umiliazione di Alëša, tanto più che, probabilmente, riconosceva la scarsità della sua intelligenza. Non gli diceva mai in faccia la propria opinione su questo punto, per non offendere il suo amor proprio; lui, invece, in simili casi, dimostrava molta perspicacia e indovinava sempre i sentimenti nascosti di lei. Nataša se ne accorgeva e ne rimaneva afflittissima, e subito cominciava ad adularlo e a carezzarlo. Ecco perché le parole di Alëša avevano adesso avuto un’eco dolorosa nel cuore di lei.
«No, no, Alëša; tu non sei che spensierato; non sei affatto come dici di essere!» aggiunse. «Perché ti vuoi umiliare?»
«Benissimo; dunque lasciatemi finire. Dopo la visita al conte, mio padre si è stizzito persino con me. Io, invece, ho pensato in cuor mio: “Aspetta un po’!”. Eravamo per strada, diretti a casa della principessa; avevo sentito dire da tempo che, data la sua età avanzata, la principessa aveva quasi perso il lume della ragione, inoltre era sorda e adorava i suoi cagnolini. Ne aveva tutto un branco, e voleva loro un bene dell’anima. Ciò nonostante, ha conservato la sua immensa influenza nel grande mondo, e persino il conte Nainskij, le superbe, deve fare antichambre da lei. Strada facendo, ho stabilito un piano d’azione, e indovinate un po’ su che cosa l’ho basato? Sull’amore che hanno per me tutti i cani; parola d’onore! Me ne sono accorto da un pezzo. Sarà per un magnetismo speciale che ho in me, sarà semplicemente perché anch’io amo tutti gli animali… non lo so, fatto sta che i...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Nota biografica
  5. Bibliografia
  6. UMILIATI E OFFESI
  7. PARTE PRIMA
  8. PARTE SECONDA
  9. PARTE TERZA
  10. PARTE QUARTA
  11. EPILOGO