Lettura. Mettere a fuoco l’epoca. I poeti e la crisi
di Davide Rondoni
Il sapere della poesia, la conoscenza del mondo che viene attraverso la poesia e l’arte, non si combina col sistema, non se ne verifica l’esattezza per la sistematicità: ad esempio, un grande autore come Baudelaire è estremamente contraddittorio, ma non per questo la conoscenza a cui perviene del vivente è meno vera, meno precisa. Gli scienziati e i pensatori studiano in modo sistematico il loro tempo, i poeti e i letterati invece ne sentono la passione e lo soffrono.
Lo diceva giustamente Simone Weil, rivolgendosi a un grande poeta quasi sconosciuto che si chiama Bousquet: «Lei ha il grande privilegio di soffrire l’epoca in cui si trova». Lo stesso Eliot, parlando di Baudelaire, diceva che aveva avuto il destino di soffrire la propria epoca come a nessuno dei poeti e degli scienziati era mai accaduto prima.
Questo per dire che con i poeti non si deve andare d’accordo, non ha senso dire: «Sono d’accordo con Leopardi o con Baudelaire» o «Riconosco che il loro pensiero è coerente ed esprime idee “che tornano”». E non perché la poesia sia un sapere di serie B o meno preciso. Anzi, molte volte è anticipatorio. Molto prima che Freud comparisse, Rimbaud diceva nelle sue lettere «Je est un Autre», «Io è un Altro». Aveva già espresso, in maniera molto chiara, un aspetto che riguarda la composizione del soggetto, che le scienze della psiche successivamente studieranno.
Il poeta W.H. Auden in un’opera profetica chiamata non a caso L’età dell’ansia, scriveva:
«Alcool, lascivia, fatica e l’ansia di esser buoni, avevano a questo punto provocato uno stato di euforia, sicché sembrava loro che soltanto un errore trascurabile e facilmente rettificabile, una dieta sbagliata, un’educazione inadeguata o un codice morale superato tenessero il genere umano fuori dal millenario Paradiso terrestre. Solo un altro piccolissimo sforzo, forse soltanto l’individuazione dei termini esatti della descrizione, e la gioia totale sarebbe immediatamente discesa sopra le forze armate stupefatte del mondo terreno ad abolire per sempre l’odio e la sofferenza».
È passato quasi un secolo, però Auden aveva già indicato quale fosse la caratteristica dell’epoca in cui viviamo, perché a mio avviso, se posso usare un’immagine, noi viviamo un’età che è quella dell’ansia e del preservativo. L’età della mancanza di rischio.
Auden ci sta dicendo che viviamo in un’epoca in cui una strana euforia, che dipende dall’alcool, dalla lascivia e da tutto il resto, è come se avesse convinto l’umanità che basta correggere alcune cose e la gioia totale diventa a portata di mano. Da qui nasce lo stato dell’ansia, perché se continuamente ti dicono: «Guarda che fra un attimo ci siamo, ancora un piccolissimo sforzo, stiamo arrivando». Uno si chiede: «Arriveremo o non arriveremo?». E, se ci pensate, anche a livello di mentalità normale, noi siamo continuamente bombardati da annunci di questo genere: «Scoperto il gene della…», «Il cancro sta per…», «il sistema finanziario è stato…».
Siamo continuamente circondati da annunci che dicono che con un piccolissimo sforzo siamo arrivati.
La prima istantanea che voglio segnalare, dunque, è che siamo nell’età dell’ansia.
Qui è importante notare cosa dice Auden: questo stato di euforia è provocato da certe cose come alcool, lascivia e l’ansia di esser buoni.
Un’idea bellissima quest’ultima: la bontà come una sorta di dovere. Che può appartenere solo a un’epoca moralista.
Anche Baudelaire attraverso le sue parole mette in luce alcuni aspetti caratteristici della nostra epoca. Egli veniva considerato da Paul Claudel l’uomo più intelligente dell’Ottocento, intorno al 1857 pubblica I fiori del male.
In questo periodo si stavano formando alcune di quelle ideologie che utilizzavano una promessa come loro forza: la vita dell’uomo si sarebbe risolta in chiave scientifica o politica. Pressoché tutto l’Ottocento, soprattutto nella seconda parte, è abitato da poeti e narratori che parlano del male: Dostoevskij, Leopardi, Baudelaire. Molti dicono che Leopardi parli del male perché era pessimista, ma il pessimismo di Leopardi, come anche I fiori del male di Baudelaire, nascono in opposizione a un eccessivo ottimismo della tendenza dominante di allora.
È come se questi poeti avessero sentito che c’era qualcosa di falso, nell’affermare che una promessa di perfezionamento della vita umana, potesse avvenire attraverso la politica e la scienza, le famose «magnifiche sorti progressive» con cui Leopardi ironizzava.
Tant’è vero che la letteratura in quegli anni mette in scena continuamente il male. In Delitto e Castigo di Dostoevskij, Raskolnikov ammazza la vecchia senza motivo: ti racconto questo fatto, tocca a te farci i conti.
Baudelaire invece scrive un libro dove continuamente mette in scena la contraddizione perenne. Si chiama I fiori del male appunto perché ci sono i fiori e c’è il male, c’è l’alto e il basso, la donna è una regina e una puttana, la città è un posto magnifico ma anche un inferno. La realtà appare sempre presa da una contraddizione insanabile.
Leopardi parla dell’uomo come di un «quasi nulla», che sperimenta il nulla, ma è qualcosa.
Molti poeti nell’Ottocento esprimono il male e Baudelaire a un certo punto spiega questa chiave dicendo: «La maggior parte degli errori intorno al bello nasce dalla falsa concezione del XVIII secolo intorno alla morale. La natura in quel periodo era considerata quale base, origine e archetipo di tutto il bene e di tutto il bello possibili. E, nell’accecamento generale di quel secolo non ebbe poca parte la negazione del peccato originale». In questo «errore» Baudelaire vedeva il tratto comune di due ideologie che pure apparivano contrapposte. «La scuola borghese e quella socialista. Moralizziamo! Moralizziamo! Gridano entrambe con una febbre da missionari… Per loro l’arte non è più che una questione di propaganda» (Il pittore della vita moderna, 1863).
Baudelaire ci dice che c’è un problema in campo estetico, lui sta parlando della letteratura, ma nei fenomeni di oggi si capisce benissimo che queste parole sono profetiche. Era il teorico dell’arte per l’arte, intendendo con ciò che lo scopo dell’arte non è moralizzare, come vorrebbero la scuola socialista e quella borghese. Pensate: qual è il libro che ha avuto più successo negli ultimi anni in Italia? Gomorra! È una buona «inchiestina» giornalistica che è stata prenotata dai librai in quattromila copie. Poi la scuola borghese e la scuola socialista, che sono le edizioni attuali, hanno cominciato a promuovere commercialmente il libro, per questo è diventato importante, perché è un libro «morale».
Di conseguenza oggi lo scrittore italiano vale perché è morale, non perché scrive bene.
Noi siamo completamente dentro a questo fenomeno e Baudelaire ci dice che l’origine di questa tendenza, per cui l’arte non è più che una questione di propaganda, è l’errore intorno al bello e alla morale nato nel Settecento, dove la natura era considerata base, origine e archetipo di tutto il bello possibile. E aggiunge che non ebbe poca parte, in questa vicenda, la negazione del peccato originale.
Non a caso Baudelaire è un grande cristiano dell’Ottocento, perché si accorge che c’è qualcosa che non va in questa vicenda dove la natura è l’archetipo del bene e del bello, perché il peccato originale rimane fuori e viene negato.
I fiori del male sono una raccolta considerata il libro di poesie più importante della modernità, senza il quale non avremmo Eliot, Montale e altri, libro a cui Baudelaire ha lavorato tutta la vita, un po’ a casa sua, un po’ in un bordello di Versailles, un po’ girando con un unico vestito per molti mesi; un libro a cui ha dato la vita. La prima poesia che vi offro e che bisogna imparare a memoria e attaccarsi alla parete di fronte al letto, si intitola Al lettore e recita così:
L’idiozia l’errore il peccato l’avarizia
occupano i nostri spiriti e rodono i nostri corpi.
E noi? Nutriamo amabili rimorsi
come mendicanti pidocchiosi la loro sporcizia.
Sono testardi i nostri peccati, deboli i pentimenti;
le confessioni ce le facciamo pagare lautamente,
e torniamo allegri sulla via fangosa, credendo
d’aver lavato le macchie con poco vile pianto.
Sul guanciale del male c’è Satana Trismegisto
che culla e culla il nostro spirito incantato
e la volontà, metallo pregiato, lui
lo dissolve – sapiente alchimista.
È il Diavolo che regge i fili che ci muovono!
troviamo charme nelle cose ripugnanti;
ogni giorno ...