Vizi e virtù dell'animo umano
eBook - ePub

Vizi e virtù dell'animo umano

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Vizi e virtù dell'animo umano

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

La realizzazione di sé attraverso la conquista della libertà interiore e dell'autonomia intellettuale e spirituale: questo è l'itinerario che Seneca ci indica nei sette Dialoghi morali, accompagnandoci nel lungo cammino verso una saggezza che è capacità di vivere al meglio la vita che ci è data.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Vizi e virtù dell'animo umano di Lucio Anneo Seneca in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Storia e teoria della filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858647578

L’IRA*

LIBRO I

1. Hai insistito, o Novato,1 ch’io scrivessi come si possa placare l’ira, e mi pare che tu abbia buone ragioni per temere in particolare questa passione, che è fra tutte la più turpe e rabbiosa. Mentre nelle altre c’è una certa calma e compostezza, questa è interamente agitata e pronta all’attacco, ed è portata alla follia da un desiderio, in tutto indegno dell’uomo, di dolore, di armi, di sangue, di torture; incurante di sé, pur di nuocere al prossimo, si avventa persino sulle armi puntate contro, e brama una vendetta destinata a coinvolgere anche il vendicatore.
Per questo alcuni filosofi hanno definito l’ira come una follia di breve durata; infatti è ugualmente incapace di controllarsi, dimentica del buon contegno e dei vincoli di parentela, cocciutamente impegnata a dar compimento alle proprie iniziative, chiusa ai consigli della ragione, sconvolta da motivi futili, incapace di distinguere la giustizia e la verità, in tutto simile alle frane che si infrangono su ciò che travolgono. Del resto per convincerti che non sono sani di mente coloro che sono in preda all’ira, osserva attentamente il loro aspetto; come infatti sono precisi sintomi di follia lo sguardo sfrontato e minaccioso, la fronte accigliata, il volto torvo, l’andatura concitata, le mani sempre in movimento, il colorito alterato, il respiro affannoso e profondo, tali sono i sintomi delle persone adirate: gli occhi sono ardenti e accesi, in tutto il volto si diffonde un intenso rossore, poiché il sangue ribolle dal profondo del cuore, le labbra tremano, i denti si serrano, i capelli si levano ritti sul capo, il respiro è faticoso e rumoroso, si avverte il rumore delle articolazioni che si contorcono, un gemere e un muggire, un parlare smozzicato con parole non chiaramente espresse, un frequente batter di mani e calpestio di piedi sul terreno, l’intero corpo agitato ed esprimente grandi e irose minacce, l’aspetto sconcio a vedersi e spaventoso di chi deforma i lineamenti e si gonfia di collera – è difficile dire se sia un difetto più detestabile o brutto.
Le altre passioni si possono nascondere o nutrire in segreto, l’ira invece si evidenzia chiaramente nell’aspetto, e ribolle in maniera tanto più evidente quanto più è grande. Non vedi come tutti gli animali, quando stanno per attaccare, offrono degli indizi premonitori e smettono in tutto il loro corpo l’atteggiamento abituale e tranquillo e inaspriscono la loro ferocia? I cinghiali hanno la bava alla bocca e affilano i denti con lo sfregamento, i tori menano cornate all’aria e smuovono il terreno con l’agitarsi delle zampe, i leoni fremono, i serpenti, eccitati, gonfiano il collo, le cagne in preda alla rabbia hanno un aspetto pauroso: nessun animale è per natura tanto spaventoso e pericoloso da non lasciare apparire, quando è colto dall’ira, l’aggiunta d’una nuova ferocia. So bene che anche le altre passioni si nascondono a fatica, e si possono conoscere in anticipo libidine, paura e sfrontatezza, grazie ai sintomi che presentano, poiché ogni agitazione d’una certa intensità produce un mutamento nello sguardo. Dov’è allora la differenza? Le altre passioni si intravedono, questa si impone con tutta evidenza.
2. Infine, a voler considerare i suoi effetti e i danni che produce, nessun malanno costò di più all’umanità. Vedrai massacri, avvelenamenti, gramaglie reciproche di accusati, distruzioni di città, genocidi, uomini eminenti venduti all’asta, case incendiate, incendi non trattenuti entro la cerchia muraria, ma vaste regioni illuminate dal fuoco nemico. A stento si scorgono le fondamenta di famosissime città: è stata l’ira a distruggerle. Si vedono spazi di terreno abbandonati senza abitanti per un tratto di molte miglia: è stata l’ira a spopolarli. Il ricordo di tanti condottieri è sopravvissuto come esempio d’un avverso destino: l’ira trafisse uno nel suo letto, uccise un altro violando le sacre leggi del banchetto, straziò un altro al cospetto delle leggi nel foro affollato, a un altro comandò di offrire il suo sangue al parricidio, a un altro di farsi sgozzare da uno schiavo, a un altro di fiaccarsi il corpo sulla croce.2 Finora ho parlato di supplizi di singole persone: lasciati da parte coloro che l’ira travolse uno alla volta, che dirai se ti verrà voglia di considerare assemblee passate a fil di spada, la plebe massacrata da un’irruzione di soldati, e interi popoli mandati a morte in strage confusa?
L’ira trasforma nel suo contrario tutto ciò che è ottimo e giustissimo. Non consente che si ricordi di alcun dovere colui che da essa è posseduto: fa di un padre un avversario, d’un figlio un parricida, d’una madre una matrigna, d’un cittadino un nemico, d’un re un tiranno. L’ira è la brama di vendicare un’offesa o, come dice Posidonio,3 la brama di punire colui dal quale ti ritieni ingiustamente offeso. Alcuni l’hanno definita l’impulso dell’animo a recar danno a chi ci ha recato danno o ne ha avuto il proposito.
… come se abbandonassero la nostra cura o disprezzassero la nostra autorità. Ma perché la folla si adira con i gladiatori e giudica tanto ingiustamente un’offesa il fatto che non affrontano volentieri la morte? Si ritiene disprezzata, e con lo sguardo, i gesti, la passione da spettatore si muta in nemico. Tutto ciò non è ira ma qualcosa che le si avvicina, come quella dei bimbi che, se cadono, pretendono che si frusti la terra e spesso neppure sanno perché si adirano, ma si adirano così, senza che ve ne sia una ragione e che abbiano subìto un’offesa, non senza però una qualche parvenza d’offesa e una qualche brama di vendetta. Son così beffati con busse finte e si lasciano chetare dalle finte lacrime di chi li scongiura e una finta vendetta elimina il loro falso dolore.
3. Dicono: «Spesso ce la prendiamo non con chi ci ha offeso, ma con chi ne ha l’intenzione; dal che si può capire che l’ira non nasce dall’offesa». È vero che ce la prendiamo con coloro che hanno l’intenzione di offenderci, ma essi ci offendono col loro stesso proposito, e chi ha l’intenzione di fare un torto, è come se già lo facesse. Dicono: «Che l’ira non sia brama di vendetta lo si capisce dal fatto che i più deboli spesso s’arrabbiano con i più forti, e non bramano una vendetta che giudicano impossibile». Innanzi tutto abbiamo detto che è la brama, non la possibilità, di infliggere una punizione; e gli uomini bramano anche al di là delle loro possibilità. In secondo luogo nessuno è tanto debole da non sperare di poter punire anche un uomo potentissimo: a nuocere siamo bravi tutti.
La definizione di Aristotele4 non si discosta molto dalla nostra; dice infatti che l’ira è il desiderio di ricambiare un dolore. Sarebbe lungo spiegare che differenza ci sia tra questa e la nostra definizione. Per confutarle entrambe, si dice che le fiere si adirano senza essere provocate da una offesa né per punire o recare dolore altrui; infatti benché sia questo il risultato, non è questo il loro proposito. Bisogna però dire che le fiere e ogni essere vivente eccetto l’uomo non conoscono l’ira, la quale, benché sia opposta alla ragione, nasce solo dove c’è spazio per la ragione. Le fiere provano degli impulsi, la rabbia, la ferocia, l’assalto, ma non l’ira e neppure la voglia di vita lussuosa, benché verso certi piaceri siano più sregolate dell’uomo. Non devi credere a colui che dice:
Né il cinghiale ricorda l’ira, né la fiducia nella velocità la cerva, né gli orsi gli assalti ai robusti armenti.5
Per ira intende assalto, attacco; quanto all’ira, non la conoscono più del perdono. I muti animali ignorano le passioni umane, ma hanno degli impulsi simili a esse; altrimenti se ci fosse in loro l’amore e l’odio, ci sarebbero anche l’amicizia e l’avversione, il dissenso e la concordia; di tutto ciò emergono anche in essi alcune tracce, ma sono beni e mali propri dell’animo umano. Prudenza, preveggenza, scrupolo, riflessione sono concesse solo all’uomo, e gli animali sono preclusi non solo alle virtù, ma anche ai difetti dell’uomo. L’insieme del loro aspetto, sia esteriore sia interiore, è diverso da quello dell’uomo: quel non so che di regale e di principesco ha tutt’altra origine. Come hanno la voce, ma non distintamente articolata, anzi confusa e non in grado di esprimere parole, come hanno la lingua, ma impacciata e non libera nei movimenti, così la stessa funzione primaria è poco sottile, poco perfetta. Colgono quindi la vista e l’aspetto delle cose che gli danno lo stimolo e l’impulso, ma in modo torbido e confuso. Di conseguenza i loro attacchi e le agitazioni sono impetuosi, ma non sono paura, ansia, tristezza e ira, ma qualcosa di simile a tutto questo; perciò finiscono presto e si mutano nell’affezione opposta e, dopo aver infuriato e provato paura in modo assai intenso, pascolano, e al folle fremito e alla scorreria subito tien dietro il riposo e l’assopimento.
4. Abbiamo chiarito a sufficienza che cosa sia l’ira. Fra di essa e l’iracondia c’è evidentemente la stessa differenza che fra l’ubriaco e il beone, fra lo spaventato e il timido. Uno può essere adirato senza essere iracondo, e l’iracondo talora può non essere adirato. Tralascerò le altre definizioni che con vari termini greci dividono l’ira in diversi aspetti, poiché non hanno nella nostra lingua vocaboli loro propri, anche se parliamo di persone irritabili, aspre, come pure di colleriche, rabbiose, brontolone, intrattabili, ruvide, termini tutti che indicano diverse gradazioni dell’ira; fra costoro possiamo mettere i bisbetici, che rappresentano un tipo raffinato d’iracondia. C’è infatti un’ira che si placa prima di arrivare all’urlo, ce n’è una non meno ostinata che frequente, una selvatica nel far uso delle mani, ma più controllata nelle parole, una che si lascia andare a espressioni e offese acerbe, una che non va oltre i lamenti e le manifestazioni di avversione, una profonda e grave e che si agita nell’intimo: ci sono altri infiniti tipi di questa complicata malattia.
5. Abbiamo indagato che cosa sia l’ira, se sia tipica di qualche altro animale diverso dall’uomo, in che cosa differisca dall’iracondia, quanti siano i suoi tipi: vediamo ora se l’ira abbia fondamento naturale e se sia utile e debba perciò in qualche misura essere conservata.
Esaminando l’uomo si vedrà chiaramente se abbia fondamento naturale. Nessun essere è più mite dell’uomo, finché il suo stato d’animo è nel giusto, e nulla è più crudele dell’ira. Nessun essere, più dell’uomo, ama il prossimo, e nulla è più ostile dell’ira. L’uomo è nato per darsi reciproco aiuto, l’ira mira alla rovina; egli vuole vivere in comunità, essa starsene isolata, l’uno giovare, l’altra nuocere, l’uno portare aiuto anche agli sconosciuti, l’altra aggredire persino le persone più care, l’uno è pronto addirittura a sacrificarsi per il bene altrui, l’altra è pronta a scendere in campo, pur di trascinare giù altri. Pertanto chi ignora la natura più di colui che assegna alla sua creatura migliore e più perfetta questo difetto feroce e rovinoso? L’ira, come abbiamo detto, è bramosa di punire, e non è affatto conforme alla natura dell’uomo che una tal brama egli nutra nel suo cuore mansueto. La vita dell’uomo si fonda sulle buone azioni e sulla concordia, ed è spinta al patto di comune aiuto non dalla paura ma dall’amore reciproco.
6. «E allora? non è forse necessario talvolta il castigo?» Certamente, ma deve attuarsi senza ira, alla luce della ragione, poiché non nuoce, ma cura, benché sembri nuocere. Come trattiamo col fuoco certi pali contorti per raddrizzarli e, messi in opera i cunei, vi facciamo pressione non per romperli ma per liberarli dalle nodosità, così correggiamo con dolore del corpo e dell’animo le indoli depravate dal vizio. Il medico per l’appunto, nei disturbi di poco conto, cerca dapprima di non allontanarsi molto dalle abitudini giornaliere e di dare regolare scansione a cibi, bevande ed esercizi fisici, e di consolidare la salute mutando semplicemente il ritmo della vita. Il passo successivo è fare in modo che la misura adeguata rechi giovamento. Se la giusta misura e la regolare scansione non giovano, toglie e riduce alcuni alimenti; se il malato non reagisce positivamente neppure a ciò, gli proibisce di nutrirsi e libera il corpo col digiuno; se il trattamento blando risulta inutile, pratica il salasso e interviene chirurgicamente sulle membra, se le parti vicine recano danno e propagano la malattia; e nessuna cura sembra crudele quando ha per effetto il conseguimento della salute. Allo stesso modo si conviene che il legislatore e il capo della comunità curino, finché è possibile, le indoli con sole parole, e per di più affabili, per indurre al dovere e insinuare nei cuori l’amore per ciò che è onesto e giusto e l’odio contro i vizi; passino poi a un discorso più severo, che sia ancora di avvertimento e di rimprovero; quindi facciano ricorso a castighi pur sempre lievi e suscettibili d’esser revocati: infliggano infine le pene più gravi ai delitti più gravi, di modo che muoia solo colui la cui morte si risolve a suo stesso vantaggio. In questo soltanto saranno diversi dai medici: questi ultimi procurano facile morte a coloro cui non hanno potuto garantire la vita, i primi invece tolgono la vita ai condannati con disonore e vilipendio pubblici, non perché la pena di qualcuno dia loro gioia (il saggio è libero da sì disumana ferocia), ma perché siano di insegnamento a tutti, e poiché non hanno voluto essere utili da vivi, la comunità si giovi almeno della loro morte.
Dunque l’umana natura non è portata al castigo, e pertanto non è conforme all’umana natura neppure l’ira, visto che è portata al castigo. E voglio proporre la dimostrazione di Platone (nulla vieta che ci serviamo del pensiero altrui in ciò che ha di comune col nostro): «L’uomo dabbene» dice «non fa del male». Il castigo fa del male e perciò non si addice all’uomo dabbene, e quindi neanche l’ira, poiché il castigo si addice all’ira. Se l’uomo buono non gode del castigo, non godrà neppure di quello stato d’animo cui il castigo reca piacere; quindi l’ira non ha fondamento naturale.
7. Benché l’ira non abbia fondamento naturale, non si deve forse mettere in pratica, visto che spesso è riuscita utile? Essa solleva e stimola gli animi, e senza l’ira il coraggio in guerra non compie nulla di grandioso, se non viene di qui il fuoco e se questo sprone non pungola e lancia nei pericoli gli audaci. Pertanto alcuni pensano che la cosa migliore sia controllare l’ira, non sopprimerla, e toltone ogni eccesso ridurla alla misura salutare, conservando però quella passione senza la quale l’azione sarà fiacca e la forza e l’energia dell’animo si dissolveranno. Innanzi tutto è più facile tener fuori di noi ciò che è dannoso che controllarlo, e non farlo entrare in noi che porgli un freno una volta che sia entrato; infatti quando i vizi diventano padroni, sono più forti di chi vorrebbe governarli, né tollerano d’essere troncati o ridotti. In secondo luogo la ragione stessa, cui vengono affidate le redini, è padrona di sé finché è libera dalle passioni; se si mescola e si inquina con esse, non può tenere a freno quelle passioni che avrebbe potuto respingere. Infatti la mente, una volta scossa e spodestata, è schiava della passione che la spinge. Mentre certi eventi, al loro inizio, sono in nostro potere, procedendo oltre ci trascinano con la loro forza e non ci lasciano la possibilità di tornare indietro. I corpi che cadono nel vuoto non hanno alcun controllo di sé e non possono, una volta lasciati cadere, fermarsi o indugiare, ma una caduta che non consente ritorno tronca ogni proposito e impedisce il ravvedimento e non è possibile non arrivare a quella meta dove sarebbe stato possibile non andare; allo stesso modo l’animo, se si abbandona all’ira, all’amore e ad altre passioni, non ha la facoltà di arrestare lo slancio; è giocoforza che lo trascini e lo porti al fondo il suo peso e la natura disposta a cedere ai vizi.
8. La cosa migliore è disprezzare subito i primi sintomi dell’ira e opporci al suo stesso nascere e impegnarci a non cadere in suo possesso. Poiché se comincia a portarci fuori strada, è difficile il ritorno alla salvezza, in quanto la ragione non ha voce una volta che la passione è entrata in noi e la nostra volontà le ha riconosciuto qualche diritto: essa farà per il resto tutto ciò che vorrà e non ciò che le permetterai. Lo ripeto, il nemico va arrestato al confine, poiché quando ha varcato le porte ed è entrato, non sopporta che i prigionieri gli fissino dei limiti. L’animo infatti non è separato dalle passioni e non le osserva dal di fuori, sì da non permettere che esse avanzino più del giusto, ma si incarna nella passione stessa e non riesce a richiamare quella sua energia utile e salutare. Passione e ragione non hanno, come ho detto, loro sedi separate e diverse, ma sono il cambiamento dell’animo in meglio e in peggio. Come potrà dunque risorgere la ragione che ha ceduto all’ira, dominata e oppressa dai vizi? o come potrà liberarsi da un disordine in cui la parte cattiva ha la meglio? «Ma alcuni» si dice «riescono a controllarsi nell’ira.» Sì da non fare nessuna di quelle azioni che l’ira impone, o da farne qualcuna? Se non ne fanno alcuna, è chiaro che per le nostre attività non è necessaria l’ira, che voi invocate come se avesse una forza maggiore della ragione. Io chiedo infine: è più forte o più debole della ragione? Se è più forte, come potrà la ragione porle un freno, visto che suole obbedir...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Introduzione
  5. Cronologia
  6. La provvidenza
  7. La fermezza del saggio
  8. L’ira
  9. Sulla felicità
  10. La vita ritirata
  11. La tranquillità dell’animo
  12. La brevità della vita