Le portavoce di pace
Possiamo realizzare un mondo nuovo attraverso tutti i progressi che ci permettono di comunicare, di dialogare senza limiti, di creare quello specchio globale nel quale tutte le culture possono risplendere nella loro unicità.
FATEMA MERNISSI
Una situazione, questa, che indebolisce ogni prospettiva di sviluppo, poiché se viene a mancare il contributo che la presenza femminile può fornire nel miglioramento alla comunicazione, nella creazione di uno spirito di gruppo, nell’impegno e nella ricerca della qualità all’interno delle organizzazioni, risulta impossibile raggiungere l’eccellenza in ogni tipo di impresa.
Il contributo femminile assume un rilievo ancora maggiore se si considerano i problemi indotti dall’influenza che la globalizzazione esercita sulla società civile: ci sarà sempre più bisogno della presenza delle donne nella gestione dei problemi che uniscono e che allo stesso tempo dividono il pianeta, a livello culturale, sociale ed economico.
Le donne sono una componente essenziale dello sviluppo economico e sociale, come le Nazioni Unite continuano a sottolineare. Nel 2007, in occasione della Conferenza organizzata dalla Business and Professional Women’s Foundation tenutasi a New York, ho avuto la possibilità di partecipare insieme a Rita Levi-Montalcini, e a molte donne provenienti da tutto il mondo e protagoniste delle realtà sociali più disparate, a incontri per sostenere la componente femminile nell’acquisizione di più ampi diritti e promuovere una cultura di genere universale. «La BPW International sviluppa il potenziale professionale e di leadership delle donne a tutti i livelli tramite il mentoring, la rete, la formazione professionale ed i programmi e progetti di empowerment economico in tutto il mondo» è quanto dichiarato da Liz Benham, attuale Presidente internazionale della BPW International.
Nel 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la creazione di un organismo Onu per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne, in quella che è stata definita un’importante decisione storica. Ban Ki-moon, Segretario generale delle Nazioni Unite, è stato definito il «difensore delle donne» per aver fatto diventare una sua priorità l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, sulla base della convinzione che «l’uguaglianza di genere non solo è un diritto umano fondamentale, ma la sua realizzazione ha enormi implicazioni socio-economiche. Donne realizzate promuovono economie fiorenti, stimolando la produttività e la crescita».
Etiopia, maggio 2010.
Se non si superano queste situazioni di disuguaglianza non è pensabile che si possa costruire un mondo migliore e pacifico.
La Banca Mondiale, in occasione della ricorrenza dell’8 marzo, ha sottolineato che «i Paesi che promuovono i diritti delle donne e aumentano il loro accesso alle risorse produttive e all’istruzione hanno tassi di povertà più bassi, una crescita economica più rapida, meno corruzione. Un maggior coinvolgimento delle donne porta a maggior trasparenza, sia nelle imprese, sia nell’amministrazione pubblica, l’istruzione, la sanità, la produttività, il credito e la governance funzionano meglio quando le donne sono coinvolte».
Un ruolo significativo è rappresentato dalla cooperazione internazionale che ha conosciuto negli ultimi vent’anni una crescita rilevante con l’ausilio e il contributo di organizzazioni che forniscono assistenza a persone svantaggiate, in ambienti sociali difficili da gestire.
Soltanto una grande sensibilità e dedizione verso gli altri può consentire di sviluppare un lavoro associativo nel rispetto della dignità delle persone allo scopo di migliorarne le condizioni di vita.
Dall’evidenza dei risultati conseguiti emerge spesso un coinvolgimento emotivo molto forte, un’identificazione con un percorso di crescita professionale con alti costi, in termini di sacrifici, uniti alla necessità di rendere concreto e attivo un progetto e poterne seguire l’evoluzione. A tutto questo si aggiunge uno «speciale» modo di sentire l’equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare che, di norma, la donna vive e sente come necessità propria per il bene comune.
Shirin Ebadi, che ha ricevuto nel 2003 il premio Nobel per la pace, è oggi il simbolo della rivoluzione verde iraniana e così ha riassunto la condizione femminile nel suo Paese: «Qui una donna vale la metà di un uomo. In un’aula di tribunale la testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo».
I diritti umani in Iran non hanno voce e la discriminazione in base al sesso e alla religione è fortissima: basti solo pensare che per partecipare a qualsiasi evento o manifestazione culturale la donna deve chiedere il consenso al proprio marito.
Dalla proposta del Cipsi, un coordinamento di quarantotto Ong di sviluppo e associazioni di solidarietà e cooperazione internazionale, e da Chiama l’Africa, durante il Seminario internazionale per un Nuovo patto di solidarietà tra Europa e Africa svoltosi dal 28 al 30 dicembre 2008, è nata l’idea della Campagna Noppaw per l’assegnazione del Nobel per la Pace 2011 alle donne africane. Un Nobel collettivo che, se sarà conferito, costruirà una nuova cooperazione tra l’Europa e l’Africa e si farà promotore di iniziative volte ad assicurare il rispetto dei diritti umani in popolazioni che purtroppo ancora oggi non possono usufruirne.
Si è avviato così un lavoro per la messa in luce della quotidianità vissuta dalle donne africane, attraverso le loro storie, il loro silenzioso lavoro in difesa e per la tutela della vita, del loro ruolo di costruttrici di relazioni e di pace nella famiglia, nella comunità e nella società. I contenuti e le motivazioni della candidatura al premio Nobel collettivo sono basati sulle esperienze e testimonianze di molte donne africane.
Anche in occasione del Seminario che si è svolto a Dakar nell’ottobre 2010, con la nascita del Manifesto della Campagna Noppaw, si è evidenziato l’essenziale e fondamentale ruolo che la donna africana ricopre.
I sostenitori della Campagna, sin dal suo esordio, si sono prefissi lo scopo di immergersi nella realtà africana al fine di analizzare i diversi ambiti in cui le donne sono protagoniste attive:
1. nell’economia, dove il ruolo femminile è fondamentale nel settore dell’agricoltura, nel piccolo commercio e nel microcredito;
2. nella cultura, che si esplica nell’istruzione e nella formazione professionale;
3. nella salute, che coinvolge principalmente la vita delle donne africane, spesso impegnate con coraggio e ostinazione a difenderne il diritto;
4. nella trasformazione sociale, dove il ruolo della donna è un processo attivo;
5. nell’ambiente, dove ancora le donne africane sono impegnate nella ecosostenibilità, nel garantire a se stesse e ai propri figli un futuro diverso.
L’appello, di seguito riportato, mette in luce l’importanza dell’attività giornaliera che le donne svolgono in ogni Paese del Continente africano, e che merita il riconoscimento da parte del mondo intero.
Sono in maggioranza le donne a lavorare i campi in una terra che quasi mai appartiene loro, solo perché donne. Ad esse che controllano il 70 per cento della produzione agricola, che producono l’80 per cento dei beni di consumo e assicurano il 90 per cento della loro commercializzazione, è quasi sempre impedito di possedere un pezzo di terra.
Sono decine di migliaia le piccole imprese che le donne africane hanno organizzato mediante il microcredito, in tutti i settori dell’economia: dall’agricoltura, al commercio, alla piccola industria. Sono migliaia, forse decine di migliaia, le organizzazioni di donne impegnate nella politica, nelle problematiche sociali, nella salute, nella costruzione della pace. E sono le donne quelle che con più coerenza assicurano, in un’Africa troppo spesso segnata dal malgoverno e dalla corruzione, la speranza del cambiamento e della democrazia. Sono le donne africane che, in condizioni quasi impossibili a causa del maschilismo, della poligamia, del disinteresse o dell’assenza degli uomini, continuano a difendere la vita dei loro figli e a nutrirli, a lottare contro la pratica delle mutilazioni genitali, a curare i più deboli e indifesi.
Sono le donne africane che, di fronte alle prevaricazioni del potere, sanno alzarsi in piedi per difendere i diritti calpestati. Dentro al dramma della guerra soffrono le pene dei padri, dei fratelli, dei mariti e dei figli, che molto spesso si vedono strappare ancora bambini costretti a fare i soldati, costretti ad uccidere. Il loro destino poi, se scampano alla morte, è volto al peggio delle violenze, che salva la vita, ma colpisce per sempre l’animo.
Le donne sono la spina dorsale che sorregge l’Africa in tutti i settori della vita: dalla cura della casa e della prole all’attività economica, alla partecipazione politica, all’impegno nella tutela ambientale, nell’arte e nell...