Negri, froci, giudei & co.
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Negri, froci, giudei & co.

L'eterna guerra contro l'altro

  1. 325 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Negri, froci, giudei & co.

L'eterna guerra contro l'altro

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L'odio on-line, i cori razzisti negli stadi, l'omofobia, il ritorno del veleno antisemita, le violenze sui disabili, i pogrom contro i rom, gli inni immondi alla purezza del sangue. Fino all'urlo "foera di ball", l'invito a sparare su chi è in fuga dalla miseria o dai genocidi, lo scontro tra populismi in un'Europa sempre più infettata dalla xenofobia. Dall'antico terrore dei barbari alle pulizie etniche tra popoli fratelli, dal peso delle religioni alle piccole storie ignobili di oggi, Gian Antonio Stella ricostruisce un ricchissimo e inquietante quadro d'insieme del rapporto fra "noi" e gli "altri".

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2011
ISBN
9788858621516
Categoria
Sociologia
Negri, froci, giudei & co.
A Mario, perché la terra gli sia leggera.
Ad Armanda perché non si senta sola.

Cagnolini bon-ton e sorci lumbard

Quei populisti in cerca di voti contro la convivenza
Il cagnolino di Tiziana Maiolo diventò improvvisamente famoso, povera bestia incolpevole, quando la sua padrona ex radical-chic ora fasci-chic disse che era più civile dei rom. Era il febbraio del 2011. L’ex deputata comunista e berlusconiana commentava in diretta a Radio 24 la morte di quattro bambini bruciati in una baracca sulla via Appia Nuova a Roma. E se ne uscì con parole che sarebbero state bene in bocca a Magda Goebbels, la moglie fanatica del ministro della Propaganda hitleriano che si spinse a uccidere tutti i suoi sei figlioletti perché non crescessero in un mondo democratico.
I rom, sentenziò, «sono assolutamente ingestibili. Tutte le etnie sono integrabili tranne i rom. Loro no, non sono assolutamente integrabili. Perché non hanno la cultura del lavoro. Non vogliono assolutamente lavorare, a noi ci odiano e pensano soltanto a sfruttarci. Ci chiamano “gadge”, “gagè”, insomma quella parola lì, non hanno il senso dell’igiene, fanno i bambini solo per mandarli a rubare e in molti casi li avviano alla prostituzione minorile. Fanno la pipì sui muri! Neanche il mio cagnolino fa la pipì sui muri! Fa la pipì sugli alberi».
«Sta dicendo una cosa di una gravità assoluta», la interruppe il giornalista David Parenzo. «Sta dicendo che è più facile educare il suo cagnolino che un rom! È una cosa vergognosa!» E lei: «Per niente. Per niente. Il mio cagnolino è umano. Perché la Maiolo lo ha educato!». «Ma non si può dire che è più facile educare un cane che un uomo!» «I cagnolini e i bambini, se tu li educhi poi sono educati. Se nessuno li educa...»
Che la pensionata parlamentare non abbia molto rispetto per gli altri si sapeva. Basta vedere il suo sito internet, dove la dama se ne infischia dei suoi stessi elettori ricostruendo la propria biografia, dall’adolescenza al liceo Berchet all’insegnamento di diritto sanitario in corsi professionali, senza mai nominare «il Manifesto», per il quale lavorò a lungo, e men che meno Rifondazione comunista, con la quale entrò la prima volta in Parlamento nel 1992 prima del salto della quaglia che l’avrebbe portata due anni dopo a candidarsi con Forza Italia. Certo è che la leggerezza razzista con cui liquidò i rom tra gli applausi dei siti xenofobi e il modo in cui si rassegnò a scusarsi dopo il divampare delle polemiche («Ho detto una sciocchezza...») descrivono che aria tiri in Italia più di un saggio sociologico.
In quegli stessi giorni il consigliere regionale leghista Cesare Bossetti, eletto nel listino bloccato del cattolico ciellino Roberto Formigoni, decideva di non alzarsi per il minuto di silenzio nell’aula del Pirellone in ricordo dei bimbi rom morti bruciati. «Ero concentrato a leggere. Si fanno tante polemiche per nulla...», sbuffò. La sera, ancora a Radio 24, precisò che quei bimbi «non sono morti così importanti». Il minuto di silenzio lui lo vorrebbe «per gli incidenti stradali. O per tutte le persone che cadono dalle impalcature, per i muratori, per gli autisti...».
Un mese prima, la procura della Repubblica di Arezzo aveva ricevuto la denuncia di un messaggio ciclostilato mandato a Natale 2010 da don Virgilio Annetti ai suoi parrocchiani della frazione di Rigutino dove, sotto gli auguri di buon Natale e le manifestazioni di letizia per la nascita del bambino Gesù, c’era un folle sfogo del prete: «Non ne posso più! In poco meno di una settimana due furti si sono verificati in parrocchia ad opera degli zingari che vengono prima a spiare e poi a portar via quello che trovano. (...) Allora senza tanti pietismi torna in mente quell’uomo che tentò invano, a suo tempo, una vera pulizia etnica. Si chiamava Himmler. Dette questo ordine. Aggiungere ad ogni convoglio un vagone di rom. Sappiamo bene dove il convoglio era diretto. Verrebbe da dire: ma benedetto Himmler, perché uno solo invece di due!».
Costretto dal vescovo a chiedere perdono («Rileggendo quel testo provo vergogna e rammarico...»), il prete tornava poi sul tema in un’intervista a una radio privata buttandola in caciara: «L’era solo una battutaccia, via...». «Una battutaccia? Ha citato Himmler...» «Sì, certo, anche lui non l’era mica una santa persona...» «Ho capito, ma Himmler!» «Una battutaccia! Ho detto solo che se invece di un vagone ne faceva due avrei avuto dei furti in meno... Mica lo santifico, Himmler... La stampa amplifica... È come se dicesse: ma io l’ammazzerebbe tutti...»
Il Rapporto Eurobarometro 2010 dice che l’Italia è uno dei Paesi in cui il rapporto tra persone di culture diverse è visto peggio. Domanda di partenza: «Le relazioni nel mio Paese tra persone di diverso retroterra culturale o religioso o nazionale è...». A seguire, le varie opzioni. Se a rispondere «buono» o «molto buono» sono 71 su cento abitanti del Lussemburgo, 67 dell’Estonia e della Finlandia e 64 del Regno Unito, gli italiani bendisposti verso gli stranieri scendono al 46% contro il 49% che considera questo rapporto «cattivo». Una percentuale vicina a quella della Svezia (49% di risposte negative), dell’Olanda (47) e della Danimarca (54) e nettamente inferiore solo a quelle greca (60) e turca (62).
Lo stesso rapporto certifica che solo un italiano su nove pensa che i rapporti con gli stranieri negli ultimi anni siano migliorati, 45 su cento li considerano stabili, 40 ritengono che siano via via peggiorati. Come peggiorati, e lo dimostra la lettura dei giornali, sono tutti i rapporti con il diverso in genere. Vale per gli stranieri in senso stretto, vale per gli «zingari», vale per gli omosessuali, vale per i clochard, vale per i disabili.
Dice tutto l’infame aggressione nella stessa aula di Montecitorio alla deputata Ileana Argentin che, costretta su una sedia a rotelle da una grave paralisi progressiva che le impedisce l’uso anche delle mani, è autorizzata, ovviamente, a fare applaudire al suo posto l’assistente che l’accompagna. Ricordate? Era il 31 marzo 2011 e dalle file leghiste, furenti per un applauso che consideravano illegittimo, partì un urlo: «Handicappata di merda!». Un insulto indecente. Tanto più da parte di chi si riconosce nella guida di Umberto Bossi, che in tema di razzismo è lui stesso carnefice e vittima essendo bollato on line dai nemici come un «paralitico di merda».
Ma vale più ancora, questo riemergere della mala bestia, per gli ebrei. La polemica divampata nella primavera 2011 intorno a Barbara Albertoni, la docente del liceo Manzoni di Milano che sul suo blog, come ha denunciato Marco Pasqua sulla «Repubblica», contesta la Giornata della Memoria e parla dell’Olocausto come d’un mito usato per far leva sul «senso di colpa dell’Occidente» e rendere «intoccabili» gli ebrei, è solo una delle tante.
Basta gironzolare in rete per trovare di tutto. Gruppi Facebook intitolati «Anna Frank Bugiardona». Commenti immondi come quello di «Luca SSL» (SS Lazio?) che sghignazza: «Ho letto il diario di Anna Frank. ’Sta stronza ci scriveva tutto tranne che i compiti». «Andrea U Tachipirina» lancia il tormentone, subito rilanciato da tanti altri, «Anna non l’ha fatta Frank». Club di internauti negazionisti come quello fondato da Samuele Cortinovis vomitato on line: «Anna Frank... Chi è??????? Una bambina ke se fosse viva avrebbe centinaia di milioni di dollari solo xkè ha scritto un diario d merda in una soffitta del kez? No ragazzi... Non permettiamo ke quel libro continui a vagare nel mondo. Distruggiamo tutte le copie esistenti...».
Per non dire del processo pendente a Roma contro il principe Bante Maria Boncompagni Ludovisi, denunciato perché, in una furibonda litigata con la titolare di un negozio in via della Croce, stando alla denuncia della commerciante e alla cronaca di Laura Martellini sul «Corriere», sbottò: «Queste borse assomigliano a quelle di Hermès, che è un marchio di sporchi ebrei e fanno le borse con la pelle dei bambini palestinesi... Sporca ebrea dovresti andare di nuovo ai forni, troppo poco quello che vi hanno fatto». Sfogo che, secondo l’avvocato del nobiluomo, Giacomo Marini, sarebbe stato «né più né meno che una battuta, che il principe per altro nega, frutto di una litigata bagatellare». Cioè? «Bagatelle... Come se io dicessi a un veneto, così, per scherzo, polentone...»
È questo che colpisce. La progressiva indifferenza per il «peso» delle parole: «E che avrò detto mai?». La montante insofferenza verso chi si scandalizza per questo o quell’insulto razzista: «Potrò ben dire come la penso!». La crescente rivendicazione del diritto a sparare qualunque tesi a prescindere dal fatto che poggi su elementi documentati o no: «Gli storici sostengono che ad Auschwitz si gasavano i prigionieri? Io dico di no: la mia opinione vale quanto la loro».
«Non possiamo fingerci ognuno una sua storia di fantasia diversa da come è stata veramente», ha scritto lo storico Mario Isnenghi nell’opera collettiva La storia negata, curata da Angelo Del Boca. «Dobbiamo voler accertare i fatti. (...) Diversamente, la coscienza che tutto passi attraverso un punto di vista e un’interpretazione, e finisca in uso pubblico e strumentalizzazione politica, invece che più lucidi, ci rende solo più fatui. E una versione sbracata e facilona di “relativismo” o storia “fai da te” finiscono per imperare. Nulla è vero, tutto è vero. Nossignori, gli avvenimenti storici si sono svolti in una certa maniera e non in un’altra; sta a noi volerlo e saperlo accertare e documentare.»
Dalla fine di gennaio 2010 su internet c’è un ossario digitale di bambini ebrei: le foto di Fiorella e Samuele, Roberto e Giuditta e tutti gli altri piccoli, coi fiocchi tra le trecce e il triciclo e il vestito da marinaretto, scattate prima che fossero caricati sui treni per Auschwitz. Dal solo ghetto di Roma ne portarono via 288: quelli che passarono per il camino furono 287. E intanto gli opuscoli del Terzo Reich incoraggiavano le mamme germaniche: «Offrite un bambino al Führer ché ovunque si trovino nelle nostre province tedesche gruppi di bambini sani e allegri. La Germania deve diventare il Paese dei bambini».
Ferma il respiro, rileggere quelle righe propagandistiche della dispensa «Vittoria delle armi, vittoria del bambino» o i proclami nel Mein Kampf di Adolf Hitler («Lo Stato razzista deve considerare il bambino come il bene più prezioso della nazione») mentre riaffiorano su internet quelle immagini di piccola felicità familiare e domestica.
Per questo il Centro di documentazione ebraica contemporanea ha deciso di metterle on line. Perché è lì, sulla rete inondata di pattume razzista, che come ricordiamo più avanti si trovano migliaia di rimandi a siti che strillano «L’olocausto, una bufala di cui liberarsi» o «Il diario di Anna Frank: una frode». Ed è sulla rete, perciò, che doveva essere eretta questa specie di sacrario virtuale che ci ricorda come l’ecatombe successe solo una manciata di decenni fa. Un battere di ciglia, nella storia dell’uomo.
Sono le foto che i parenti scampati al genocidio consegnarono via via, a partire dalla liberazione di Roma, al Comitato ricerche deportati ebrei che tentava in quegli anni di ricostruire il destino degli italiani marchiati dal fascismo con la stella gialla e mandati a morire nei lager: «Questa è mia sorella Rachele...». «Questo è mio fratello Elio con sua moglie...» «Questi sono i miei nipotini Donato e Riccardo...» Quelli del Crde raccoglievano le immagini, le pinzavano su un cartoncino azzurro, ci scrivevano i nomi e inserivano le schede al loro posto, negli archivi dell’orrore.
Furono rarissimi, ad avere la fortuna di veder tornare un loro caro. Dei 1023 ebrei rastrellati quel maledetto «sabato nero» dell’ottobre ’43, rientrarono vivi a Roma solo in 17. E tra questi, come dicevamo, solo un bambino dei 288 che erano stati portati via. Una strage di innocenti. Uguale in tutta l’Italia. Il dato più sconvolgente, scrivono appunto Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida ne Il futuro spezzato. I nazisti contro i bambini, è «l’altissimo numero delle vittime più giovani, dei bambini e dei ragazzi ebrei: complessivamente i morti, da zero a vent’anni, ammontano a 1541». Di questi, i figlioletti con pochi mesi o pochi giorni di vita furono 115.
Riaprire quel faldone, per far vedere a tutti i volti di quegli italiani schiacciati sotto il tallone dai nazi-fascisti, non è solo un recupero della memoria. Restituire a quegli ebrei una faccia, un nome, un cognome, qualche briciola di storia personale, come già aveva fatto ad esempio Liliana Picciotto ne Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia, vuol dire strappare ciascuno di loro all’umiliazione supplementare. L’essere stati uccisi come anonimi. Riconoscibili l’uno dall’altro, come il bestiame, solo per i numeri marchiati a fuoco sul braccio.
Ed ecco il passato restituirci bambini, bambini, bambini. Come Fiorella Anticoli, che aveva due anni e due grandi nastri bianchi tra i boccoli. Graziella Calò, che in piedi su una sedia pianta le manine sul tavolo per non cadere. Olimpia Carpi, infagottata in un cappottino bianco. E Carlo D’Angeli, che dall’alto dei suoi quattro o cinque anni bacia il fratellino Massimo appena nato. E poi Costanza e Franca ed Enrica il giorno che andarono al mare a giocare col tamburello sulla battigia. E Sandro e Mara Sonnino, un po’ intimoriti dalla macchina fotografica mentre la mamma Ida sprizza felicità.
Sono 413, gli ebrei delle foto messe in rete all’indirizzo www.cdec.it/ voltidellamemoria/ dbdisplay02.asp. Quelli tornati vivi furono due: Ferdinando Nemes e Piero Terracina. Tutti gli altri, assassinati. Buona parte lo stesso giorno del loro arrivo ad Auschwitz.
Sono in troppi, ad aver fretta di dimenticare. O a voler voltar pagina senza riflettere su quello che è successo. A rovesciare tutte le colpe sui nazisti. Quelle foto, messe on line due giorni dopo l’amaro riconoscimento del papa su quanti restarono indifferenti, ci ricordano come andò. E magari è il caso di rileggere, insieme, qualche passo di quel libro di Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida. «I bimbi ebrei sono anche vittime di una ulteriore piaga che infuria nei mesi dell’occupazione nazista, quella della delazione: secondo la sentenza emessa dalla corte di assise di Roma nel luglio 1947, un gruppo di sei spie italiane che agiscono nella capitale vendono i bambini ebrei a mille lire l’uno e i militi italiani si distinguono nel dare loro la caccia, come l’appuntato dei carabinieri che arresta nel febbraio 1944 a La Spezia Adriana Revere, di nove anni...»
E ti domandi: com’è possibile che sulla stessa rete dilaghino, dopo quello che è successo, centinaia di siti che sputano sull’Olocausto?
Certo, ci sono anche segnali positivi. Come la decisione di Gianni Alemanno (tanto più significativa per la storia politica che il sindaco di Roma ha alle spalle) di ricordare finalmente, con una targa in via del Portico d’Ottavia, la storia di Settimio Calò, l’uomo che nel rastrellamento del ghetto ebraico di Roma del 16 ottobre 1943 vide portar via la moglie Clelia Frascati, nove figli e un nipotino. O il grande successo televisivo di uno spettacolo teatrale duro e sconvolgente quale Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, il lungo monologo con cui Marco Paolini ha raccontato la decimazione dei disabili sotto il Terzo Reich. O ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Negri, froci, giudei & co.
  5. Ringraziamenti