Impero
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Impero

Il nuovo ordine della globalizzazione

  1. 468 pagine
  2. Italian
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Impero

Il nuovo ordine della globalizzazione

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Impero disegna una nuova geografia del potere: dal sistema di produzione fordista, meccanico e serializzato, a un'economia biopolitica, che lavora e manipola la vita sociale nei suoi meccanismi d'interazione, comunicazione e affettività; dalla centralità degli statinazione a una forma di sovranità globale, senza centro né confini, che giustifica ogni suo intervento consacrandolo in nome di una pace perpetua e universale. E contro questa forma di dominio sempre più assoluta si muovono poteri alternativi, forze di resistenza, la "moltitudine", eco postmoderna dell'antagonismo tipico della modernità: il popolo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858642252
Argomento
Economia

Michel Hardt – Antonio Negri

IMPERO

Traduzione e cura di Alessandro Pandolfi
Traduzione delle note e ricerche bibliografiche
a cura di Daniele Didero










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Proprietà letteraria riservata
© 2000 by The President and Fellows of Harvard College
ISBN 978-88-58-64225-2
Titolo originale dell’opera: The Empire
Traduzione a cura di Alessandro Pandolfi
Traduzione delle note e ricerche bibliografiche a cura di Daniele Didero

Prima edizione digitale 2013 da quinta edizione Bur Saggi dicembre 2010
Per conoscere il mondo BUR visita il sito www.bur.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Qualsiasi arnese diventa un’arma se lo si maneggia bene.
ANI DIFRANCO

Gli uomini lottano e perdono la loro battaglia; ciò per cui avevano combattuto si realizza comunque, malgrado la loro sconfitta, ma poi si rivela altro da ciò che essi credevano, e allora altri uomini devono continuare a lottare per ciò che i primi chiamavano con un altro nome.
WILLIAM MORRIS

Ringraziamenti

Vorremmo ringraziare gli amici e i colleghi che hanno letto parti del manoscritto e i cui commenti ci sono stati utili: Robert Adelman, Étienne Balibar, Denis Berger, Yann Moulier Boutang, Tom Conley, Arif Dirlik, Luciano Ferrari Bravo, David Harvey, Fred Jameson, Rebecca Karl, Wahneema Lubiano, Saree Makdisi, Christian Marazzi, Valentin Mudimbe, Judith Revel, Ken Surin, Christine Thorsteinson, Jean-Marie Vincent, Paolo Virno, Lindsay Waters e Kathi Weeks.

PREFAZIONE

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L’IMPERO SI STA MATERIALIZZANDO proprio sotto i nostri occhi. Nel corso degli ultimi decenni, con la fine dei regimi coloniali e, ancora più rapidamente, in seguito al crollo dell’Unione Sovietica e delle barriere da essa opposte al mercato mondiale capitalistico, abbiamo assistito a un’irresistibile e irreversibile globalizzazione degli scambi economici e culturali. Assieme al mercato mondiale e ai circuiti globali della produzione sono emersi un nuovo ordine globale, una nuova logica e una nuova struttura di potere: in breve, una nuova forma di sovranità . Di fatto, l’Impero è il nuovo soggetto politico che regola gli scambi mondiali, il potere sovrano che governa il mondo.
Molti sostengono che la globalizzazione della produzione e degli scambi capitalistici comporta una maggiore autonomia delle relazioni economiche rispetto ai controlli politici e, quindi, che la sovranità politica sia in declino. Alcuni salutano questa nuova era come una liberazione dell’economia capitalistica dalle restrizioni e dai vincoli imposti dalle forze politiche; altri, invece, la deplorano poiché essa chiude i canali istituzionali attraverso i quali i lavoratori e i cittadini potevano influenzare o contestare la logica fredda del profitto capitalistico. È indubbiamente vero che, con l’avanzare della globalizzazione, la sovranità degli stati-nazione, benché ancora effettiva, ha subito un progressivo declino. I fattori primari della produzione e dello scambio – il denaro, la tecnologia, il lavoro e le merci – attraversano con crescente facilità i confini nazionali; lo stato-nazione ha cioè sempre meno potere per regolare questi flussi e per imporre la sua autorità sull’economia. Anche i più potenti tra gli stati-nazione non possono più essere considerati come le supreme autorità sovrane non solo all’esterno, ma neppure all’interno dei propri confini. Tuttavia, il declino della sovranità dello stato-nazione non significa che la sovranità, in quanto tale, sia in declino.1 Nel corso di queste trasformazioni, i controlli politici, le funzioni statuali e i meccanismi della regolazione hanno continuato a governare gli ambiti della produzione e degli scambi economici e sociali. La tesi di fondo che sosteniamo in questo libro è che la sovranità ha assunto una forma nuova, composta da una serie di organismi nazionali e sovranazionali uniti da un’unica logica di potere. Questa nuova forma di sovranità globale è ciò che chiamiamo Impero.
Il declino della sovranità dello stato-nazione e la sua crescente incapacità di regolare gli scambi economici e culturali è infatti uno dei primi sintomi che segnalano l’avvento dell’Impero. La sovranità dello stato-nazione era la pietra angolare su cui, per tutto il corso dell’epoca moderna, le potenze europee avevano costruito i loro imperialismi. Ciò che intendiamo con «Impero», tuttavia, non ha nulla a che vedere con l’«imperialismo». I confini definiti dal moderno sistema degli stati-nazione sono stati fondamentali per il colonialismo europeo e per la sua espansione economica: le frontiere territoriali della nazione delimitavano il centro di ogni singola potenza, dal quale veniva esercitato il potere sui territori esterni attraverso un sistema di canali e di barriere che, alternativamente, facilitavano e bloccavano i flussi della produzione e della circolazione. L’imperialismo costituiva una vera e propria proiezione della sovranità degli stati-nazione europei al di là dei loro confini. Alla fine, quasi tutti i territori del globo furono spartiti e lottizzati e la carta del mondo fu codificata con i colori europei: rosso per il territorio britannico; blu per quello francese; verde per il portoghese e così via. In qualunque luogo la sovranità moderna mettesse radici, veniva edificato un Leviathan che dominava la società e imponeva confini territoriali gerarchici per proteggere la purezza della sua identità da tutto ciò che era estraneo.
L’Impero emerge al crepuscolo della sovranità europea. Al contrario dell’imperialismo, l’Impero non stabilisce alcun centro di potere e non poggia su confini e barriere fisse. Si tratta di un apparato di potere decentrato e deterritorializzante che progressivamente incorpora l’intero spazio mondiale all’interno delle sue frontiere aperte e in continua espansione. L’Impero amministra delle identità ibride, delle gerarchie flessibili e degli scambi plurali modulando reti di comando. I singoli colori nazionali della carta imperialista del mondo sono stati mescolati in un arcobaleno globale e imperiale.
La trasformazione della moderna geografia imperialista del mondo e l’affermazione del mercato mondiale segnalano il passaggio all’interno del sistema capitalistico di produzione. Ma, soprattutto, le divisioni spaziali tra i tre «Mondi» (il Primo, il Secondo e il Terzo) si sono confuse, di modo che troviamo di continuo il Primo Mondo nel Terzo, il Terzo nel Primo e il Secondo quasi da nessuna parte. Il capitale sembra trovarsi di fronte a un mondo levigato, o meglio, a un mondo definito da nuovi e complessi regimi di differenziazione e omogeneizzazione, deterritorializzazione e riterritorializzazione. La costruzione degli itinerari e dei limiti di questi nuovi flussi globali è stata accompagnata da una trasformazione degli stessi processi produttivi e, cioè, da una riduzione del ruolo del lavoro industriale di fabbrica e da una crescente priorità attribuita al lavoro basato sulla comunicazione, sulla cooperazione e sull’affettività. Nella postmodernizzazione dell’economia globale, la creazione della ricchezza tende sempre più risolutamente verso ciò che definiamo produzione biopolitica – la produzione della vita sociale stessa – in cui l’elemento economico, quello politico e quello culturale si sovrappongono sistematicamente e si investono reciprocamente.
Molti identificano negli Stati Uniti l’autorità suprema che domina la globalizzazione e il nuovo ordine mondiale. I loro sostenitori li esaltano come leader mondiale e unica superpotenza; gli avversari li denunciano come un oppressore imperialista. Queste opposte valutazioni si basano entrambe sulla convinzione che gli Stati Uniti abbiano assunto quel ruolo di potenza globale che le nazioni europee hanno abbandonato. Se il XIX secolo è stato il secolo britannico, il XX è stato quello americano; in altri termini, se la modernità è stata europea, la postmodernità è americana. L’accusa più grave che gli oppositori rivolgono agli Stati Uniti è che questi ultimi ripetono le stesse pratiche dei vecchi imperialisti europei; i loro sostenitori, invece, vedono negli Stati Uniti un leader assai più efficiente e magnanimo, in grado di riuscire laddove gli europei hanno fallito. La nostra ipotesi di fondo, che sia emersa una nuova forma di sovranità imperiale, contraddice entrambe queste concezioni. Né gli Stati Uniti, né alcuno stato-nazione costituiscono attualmente il centro di un progetto imperialista. L’imperialismo è finito. Nessuna nazione sarà un leader mondiale come lo furono le nazioni europee moderne.
Gli Stati Uniti occupano una posizione indubbiamente privilegiata nell’Impero, ma questo privilegio non deriva dalle somiglianze quanto piuttosto dalle differenze rispetto alle vecchie potenze imperialiste europee. Queste differenze possono essere chiaramente identificate se si focalizzano i fondamenti propriamente imperiali (non imperialistici) della costituzione americana, ove per «costituzione» intendiamo, a un tempo, la costituzione formale – il documento scritto con i suoi vari emendamenti e i suoi dispositivi giuridici – e la costituzione materiale, vale a dire l’ininterrotta formazione e ridefinizione della composizione delle forze sociali. Thomas Jefferson, gli autori del Federalist e gli altri padri fondatori degli Stati Uniti si erano ispirati al modello imperiale dell’antichità: essi credevano di aver creato un nuovo Impero sull’altra sponda dell’Atlantico, un nuovo Impero con le frontiere aperte e in continua espansione, in cui il potere sarebbe stato effettivamente distribuito in reti. Questa idea imperiale è sopravvissuta maturando attraverso la storia della costituzione americana ed è riemersa oggi, su scala globale, nella sua forma pienamente realizzata.
Occorre sottolineare che noi non usiamo il termine «Impero» come una metafora che implica la definizione delle somiglianze tra l’attuale ordine mondiale e gli imperi di Roma, della Cina, quelli precolombiani ecc. – ma piuttosto come un concetto che esige un approccio essenzialmente teorico.2 Il concetto di Impero è caratterizzato, soprattutto, dalla mancanza di confini: il potere dell’Impero non ha limiti. In primo luogo, allora, il concetto di Impero indica un regime che di fatto si estende all’intero pianeta, o che dirige l’intero mondo «civilizzato». Nessun confine territoriale limita il suo regno. In secondo luogo, il concetto di Impero non rimanda a un regime storicamente determinato che trae la propria origine da una conquista ma, piuttosto, a un ordine che, sospendendo la storia, cristallizza l’ordine attuale delle cose per l’eternità. Dal punto di vista dell’Impero questo è, a un tempo, il modo in cui le cose andranno per sempre e il modo in cui sono sempre state concepite. In altri termini, l’Impero non rappresenta il suo potere come un momento storicamente transitorio, bensì come un regime che non possiede limiti temporali e che, in tal senso, si trova al di fuori della storia o alla sua fine. In terzo luogo, il potere dell’Impero agisce su tutti i livelli dell’ordine sociale, penetrando nelle sue profondità. L’Impero non solo amministra un territorio e una popolazione, ma vuole creare il mondo reale in cui abita. Non si limita a regolare le interazioni umane, ma cerca di dominare direttamente la natura umana. L’oggetto del suo potere è la totalità della vita sociale; in tal modo, l’Impero costituisce la forma paradigmatica del biopotere. Infine, benché l’agire effettivo dell’Impero sia continuamente immerso nel sangue, il suo concetto è consacrato alla pace – una pace perpetua e universale fuori dalla storia.
L’Impero dispone di enormi strumenti e poteri di oppressione e di distruzione; tuttavia, questo non ci fa assolutamente rimpiangere le vecchie forme di dominio. Il passaggio all’Impero e i suoi processi di globalizzazione offrono nuove possibilità alle forze di liberazione. La globalizzazione non è certo una realtà semplice e i molteplici processi con i quali la identifichiamo non sono unificati, e tanto meno univoci. Il nostro compito politico non è, per così dire, semplicemente quello di resistere contro questi processi, bensì quello di riorganizzarli, e di orientarli verso nuove finalità. Le forze creative della moltitudine che sostengono l’Impero sono in grado di costruire autonomamente un controImpero, un’organizzazione politica alternativa dei flussi e degli scambi globali. Le lotte volte a contestare e sovvertire l’Impero, così come quelle tese a costruire una reale alternativa, si svolgeranno sullo stesso terreno imperiale – in realtà, queste nuove lotte hanno già iniziato a emergere. Attraverso queste e altri tipi di lotte, la moltitudine sarà chiamata a inventare nuove forme di democrazia e un nuovo potere costituente che, un giorno, ci condurrà, attraverso l’Impero, fino al suo superamento.
Nella nostra analisi del passaggio dall’imperialismo all’Impero, prenderemo in considerazione in primo luogo l’Europa e, quindi, un asse tra l’Europa e l’America. Questa scelta non dipende dal fatto che riteniamo queste aree come le fonti privilegiate ed esclusive di nuove idee e delle innovazioni storiche: semplicemente, questo è stato l’orizzonte geografico dominante lungo il quale si sono sviluppati i concetti e le pratiche che attualmente animano l’Impero, in sintonia, – come cercheremo di mostrare – con l’espansione del sistema capitalistico di produzione.3 Mentre la genealogia dell’Impero è, in tal senso, europea, i suoi attuali poteri non sono limitati ad alcuna area determinata. Le logiche di potere che, per un verso, hanno avuto origine in Europa e negli Stati Uniti, al giorno d’oggi investono pratiche di dominio che attraversano l’intera superficie del globo. Ma, soprattutto, neanche le forze che contestano l’Impero e prefigurano effettivamente una società globale alternativa sono limitate ad alcuna regione geografica. La geografia di questi poteri alternativi, una nuova cartografia, attende ancora di essere scritta o, meglio, comincia a essere scritta dalle resistenze, dalle lotte e dai desideri della moltitudine.
Scrivendo questo libro abbiamo cercato, per quanto possibile, di utilizzare un ampio approccio interdisciplinare.4 Le nostre argomentazioni intendono essere, a un tempo, filosofiche e storiche, culturali ed economiche, politiche e antropologiche. Il nostro oggetto di analisi, peraltro, esige questa ampia interdisciplinarietà dato che, nell’Impero, le distinzioni che in passato potevano giustificare approcci rigidamente disciplinari stanno progressivamente venendo meno. Ad esempio, nel mondo imperiale, l’economista ha bisogno di una conoscenza di base della produzione culturale per comprendere l’economia; analogamente, la critica culturale ha bisogno di una conoscenza di base dei processi economici per comprendere la cultura. Questo è dunque un requisito intrinseco al nostro progetto. In definitiva, con questo libro speriamo di aver contribuito a fornire un quadro teorico generale, un insieme di strumenti concettuali per teorizzare e agire all’interno e contro l’Impero.5
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Come altri grossi libri anche questo può essere letto in molti modi diversi: dall’inizio alla fine e viceversa, per singole parti, soltanto qua e là, o basandosi su corrispondenze. I capitoli della Parte Prima introducono la problematica generale dell’Impero. Al centro del libro, nella Seconda e nella Terza Parte, esponiamo la storia del passaggio dalla modernità alla postmodernità o dall’imperialismo all’Impero. La Parte Seconda ricostruisce questo passaggio soprattutto dal punto di vista della storia delle idee e della cultura dall’inizio della modernità sino al presente; il filo rosso è costituito dalla genealogia del concetto di sovranità. La Parte Terza affronta il medesim...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio