VERSO IL DISASTRO
Introduzione
L’ondata di libri sul fondatore del fascismo, avviata nel 1926 dalla pionieristica monografia Dux di Margherita Sarfatti, cresce anno dopo anno, nel profluvio editoriale contrassegnato dalla nostalgia e consacrato al mito dell’uomo forte. Emblematica, da ultimo, la pubblicazione dei diari (apocrifi) del duce, a dimostrazione del persistente interesse per Benito Mussolini e della ricettività del mercato su quanto lo riguardi.
Quando tutto pare oramai noto sul duce, gli archivi restituiscono una fonte autentica, di straordinario rilievo per la conoscenza del «Mussolini intimo»: migliaia di lettere e di pagine diaristiche annotate quotidianamente da Clara Petacci, la persona che più di ogni altra ha condiviso l’esistenza del dittatore nel suo ultimo decennio di vita, e che dal 1936 – lei ventiquattrenne, lui cinquantatreenne – ne è stata l’amante, sino alla raffica fatale del 28 aprile 1945. Quelle carte entrano nella quotidianità del dittatore, sia nella dimensione pubblica sia nella sfera privata; assistiamo da dietro le quinte ai discorsi di piazza Venezia, apprendiamo gli antefatti di strategie politiche di carattere interno e/o estero, assistiamo allo scorrere dei giorni radiosi e di quelli tempestosi di un amore tenacissimo.
Sono qui trascritte le parti di gran lunga più significative degli autografi del 1939-1940, rivelatori della personalità del duce e delle sue posizioni politiche, dall’iniziale neutralità italiana alla successiva entrata in guerra, dalla conquista dell’Albania alla vittoria sulla Francia, dagli entusiasmi iniziali sino alla depressione per i rovesci delle campagne di Grecia e della guerra d’Africa.
Si tratta di pagine imprescindibili per l’analisi dell’uomo che per vent’anni ha dominato l’Italia, dalle quali traspaiono il retroterra psicologico del dittatore, i suoi orizzonti di riferimento, il cinismo con cui assiste alle distruzioni belliche da una posizione di relativa tranquillità, la preoccupazione con cui valuta il conflitto europeo in riferimento precipuo al suo potere personale...
Claretta Petacci, testimone privilegiata di vicende ben più grandi di lei, registra con pulsione impellente ogni parola del duce e ne fissa sulla carta gesti e comportamenti, consegnandoci il grande affresco della vita di Benito Mussolini dentro il palazzo del potere e nei momenti di intimità, quando lei lo chiama gattone e lui fa le fusa: «Desidero che tu mi chiami Ben: devi dirmi Ben» (5 ottobre 1939). Le vanno stretti i panni, in fondo banali, dell’amante del duce: in quel ruolo si sono alternate schiere di donne. Chi ricorda oggi Romilda Ruspi o Alice Pallottelli, che pure per un quindicennio le contesero i favori di Mussolini e lo resero padre? Se Claretta è sino a oggi considerata la personificazione degli amori illeciti nei palazzi del potere, d’ora in avanti sarà ricordata principalmente per i suoi fitti diari, una fonte di eccezionale rilievo per la conoscenza di Mussolini e della sua corte, raccolta a Palazzo Venezia, luogo-chiave della politica italiana e crocevia della diplomazia internazionale.
La sintesi cronologica che chiude questo libro dimostra il notevolissimo livello d’interazione realizzatosi tra la giovane romana e il maturo dittatore: si può dire che nel biennio 1939-1940 non vi sia giorno senza una molteplicità di telefonate e non trascorra una settimana senza quattro o cinque incontri.
Se nella primavera del 1937 il duce interpreta la nuova relazione come un’insperata novità, poiché sino ad allora si è unito a donne più o meno sue coetanee, già l’anno successivo è avvinto in un rapporto più profondo dei suoi soliti, che può essere raffrontato – per durata e intensità – soltanto a quello con Margherita Sarfatti, la figura emergente tra le amanti «storiche». L’intellettuale fiorentina era più vecchia di Mussolini, mentre la nuova partner ha quasi trent’anni in meno: «C’è tanta età fra noi: tu sei una bambina...» le dice in un momento di abbandono, per poi osservare con l’amaro in bocca: «Come può un donna di 27 anni amarne uno di 60? È tremendo e ridicolo…». Sul piano anagrafico potrebbe esserle padre. La consapevolezza del divario generazionale è all’origine della confidenza pronunciata il 5 febbraio 1939, subito dopo un incontro intimo nell’alcova di Palazzo Venezia: «Vorrei tenerti come una figlia, non prenderti mai».
La giovane romana conosce i terrori che angosciano il suo amante: oppresso dal carico degli anni, insegue l’illusione della giovinezza e attraverso l’unione con lei ritrova nuove energie. Un pomeriggio, nel dormiveglia seguito all’amore, ha un incubo: «Io voglio 18 anni: datemi 18 anni! Io voglio avere ancora 18 anni e ricominciare la vita...». Claretta lo scuote, ma lui insiste: «Ascolta, sii testimone di questo mio desiderio: non voglio morire! Non voglio diventare un mucchietto di ossa, non voglio!!».
Da sempre superstizioso, Mussolini considera Claretta il suo portafortuna: quell’amore è scoppiato in contemporanea alla conquista dell’Impero; significativo il nome scelto per il battesimo del loro fuoribordo: Mascottina, lo stesso nomignolo augurale da lui attribuito all’amante. Vanità e narcisismo gli fanno sciorinare di fronte a Clara il repertorio chilometrico delle conquiste; egli si rappresenta come inguaribile donnaiolo: «Ci sono diverse qualità di uomini: poligami, come per esempio io, e monogami. Chi si contenta di una sola donna, e chi di molte» (27 agosto 1939). «Io sono un sessuale, un uomo che non si lascia sfuggire una donna» (1° agosto 1939); «Sono proprio un incorreggibile ragazzo: sento la femmina come un cane!» (26 novembre 1939). Si compiace persino di avere intrattenuto a lungo rapporti mercenari. Simili confessioni alimentano la gelosia di Claretta, che tanto irrita Ben.
Per una forma di schizofrenia, al libertino corrisponde lo statista paladino della famiglia: l’inguaribile puttaniere proclama la sacralità e l’indissolubilità del matrimonio. La sua vera natura è il cinismo, nei rapporti con il gentil sesso («No, io non credo né ho mai creduto quando dicevano di amarmi. Non credo neanche al tuo amore. Non ho mai amato: ho preso le donne», 20 settembre 1939) come nella politica («Gli salterei alla gola senza pensare ancora un minuto, ma questi italiani, no, questi no: loro vogliono i loro comodi, il caffè, la femmina, i teatri...», 11 aprile 1940).
Il contesto politico internazionale, con la crisi europea del 1939, condiziona il rapporto amoroso. Il duce è sconfortato: teme di ritrovarsi schiacciato dalla temperie bellica: «Questo è il momento più drammatico della mia vita. Abbiamo perduto quel che avevamo conquistato: giornata nera, nera. Mi spiace dirti queste cose, ma è così, e tutto si annuncia più nero» confessa nel dicembre 1940. La rassicurante presenza di una donna fedele e innamorata rappresenta un diversivo, la confortante esistenza dello spazio a due che lui domina. La progressiva debolezza del capo del governo accresce la sua dipendenza psicologica dalla giovane che ogni pomeriggio lo attende nell’appartamento di Palazzo Venezia.
Mentre Ben è impegnato nelle udienze, Claretta riempie fogli su fogli con la cronaca degli incontri tra i due amanti. Cronache poi riprese e completate alla Camilluccia, tra una telefonata e l’altra, con l’annotazione di ogni frase e comportamento di Mussolini; ne trascrive la decina di telefonate quotidiane e ricostruisce i soggiorni a Castel Fusano, le visite a Villa Torlonia, le sciate al Terminillo, gli incontri clandestini nella riviera romagnola...
La trascrizione virgolettata delle parole del duce è talvolta corredata da rapidi commenti sugli stati d’animo della diarista, che si mantiene comunque in secondo piano: il protagonista è lui, l’uomo che le ha rivoluzionato l’esistenza. I diari rivestono notevoli valenze storiche e politiche; sarebbe riduttivo e mistificante relegarli sul piano privato sentimentale, ricercandovi il girotondo di performance sessuali più o meno riuscite. Quando Claretta assiste casualmente a telefonate del dittatore con ministri, dirigenti della polizia o con il direttore del «Popolo d’Italia», si affretta a trascriverne il contenuto.
Nella puntigliosissima cronaca di ore, di giornate, di settimane e di anni la diarista si presenta nel duplice ruolo di amante di Mussolini e di testimone ammirata della sua azione di governo. Con un intervento di autocensura, tace la sua vita al di fuori del rapporto con Ben: rari cenni sulle dinamiche familiari, silenzio assoluto sui rapporti amicali e su qualsiasi altra frequentazione maschile, peraltro evocata dalle scenate di gelosia del dittatore.
Questi resoconti mostrano un personaggio egoista e inebriato dal potere, che parla in continuazione di se stesso: della sua sofferta infanzia, delle innumerevoli donne che ha posseduto, del fiuto politico che lo contraddistingue, della sua abilità di stratega. L’ipertrofia egotista dilaga, senza pudori né argini: «Sono crudele e giusto nel mio giudizio: io sono un critico feroce di me stesso e di tutto» (15 novembre 1939); «Io vedo di là del colle, non sbaglio mai – sono un animale! Ho sempre ragione» (17 novembre 1940). Il despota si mette a nudo, e ammette senza infingimenti le proprie debolezze: «Mi faccio schifo a parlare tanto. Non c’è poi granché da dire. Ho dei libri dei miei discorsi: troppi! Non posso sempre parlare!!» (29 marzo 1...