Gioventù
1. Fu pubblicata su «I Mattaccini» il 5 gennaio 1902. Non più ristampata, nel 1928 venne inclusa nel dodicesimo volume delle «novelle per un anno», Il viaggio (Firenze, Bemporad). Si riproduce il testo fornito da Mario Costanzo sulla base della mondadoriana del 1937-38 (v. Sole e ombra, n. 1).
2. Il curato di Cargiore si chiamerà così anche nel romanzo Suo marito.
3. «Deve provare, signora, e vedrà se non farà il miracolo di farla guarire».
4. Piccolissima borgata della valle del Sangone, parallela alla Valle di Susa. Nel cosiddetto Taccuino di Coazze, quadernetto contenente appunti presi durante un soggiorno in Valsusa nel 1901, Pirandello ne cita il nome fra quelli di numerosi altri «casali» della zona, che puntualmente compaiono nella novella: «– Frainet – (Casali: Villaretto, Galleana, Fornello, Selvaggio, Ruadamonte, Rufinera, Mattonera, Pian del Viermo, Brando, Savoja, Viretta, Balangero, Cargiore, Rolando ecc.)» (v. spsv, p. 1021); a Cargiore sono anche intitolate tre brevi liriche delle Poesie varie (ivi, pp. 797-8).
6. Monsü vale“signor” nell’uso dialettale piemontese. Nel Taccuino di Coazze due paragrafi sono dedicati a schizzare «tipi» incontrati nel paese, e tra questi c’è anche il farmacista Grattarola, nemico del medico: «Bel tipo, questo Grattarola! Ha una gamba tirata, e zoppica. Corto, d’una tinta gialliccia; occhi bianchi, baffi grigi alla chinese; parla poco, seccato, antipatico. È anche droghiere e tiene nella farmacia l’ufficio postale. Non gli si può chiedere una lettera se non nelle ore stabilite dall’orario. Non fa alcun favore, a nessuno. Talvolta non eseguisce neppure le ricette del dottore, che è costretto a mandare a Giaveno. L’uno dice dell’altro che è un asino chiel» (v. spsv, p. 1200). Questa serie di tratti non gradevoli e non affabili ha prodotto per condensazione l’«arcigno» del testo.
7. Equivale a “signora” nell’uso piemontese.
8. Così si chiameranno anche la vecchia zia del narratore ne La Messa di quest’anno e la madre del protagonista nel romanzo Suo marito, entrambe native di Cargiore.
9. Altro nome che proviene da una annotazione del Taccuino di Coazze: «– Prever – Martino Prever» (v. spsv, p. 1197). Qui è condiviso dal suicida e dal suo pronipote; nella novella del 1905 La Messa di quest’anno Prever sarà il cognome d’una famiglia di vecchi amici della zia Velia, nel romanzo Suo marito un Martino Prever ricomparirà come vecchio pretendente della signora Velia, madre di Giustino Boggiolo (v. rI, pp. 672-3 e 722).
10. La soffondeva d’una luce d’alba (v. La levata del sole I 473 e n. 30). Nel caso, si tratta di una notte di plenilunio, e, per il lume della luna, Pirandello usa volentieri espressioni come «albore» o «alba» lunare. V. anche qui, poco più sotto: «Pare che raggiorni».
11. Per i termini zana e fritinnio, v. La levata del sole, nn. 18 e 16. Per l’atmosfera incantata e sonora del capoverso, v. innanzitutto Cargiore III, 5: «I prati di silenzio inondi», e Cargiore I, 5-8: «Tutto pieno di fremiti è il silenzio / di quelle verdi alture: acuti, esigui / di grilli fritinníi, risi di rivoli / per le zanelle a piè de’ prati irrigui» (v. spsv, p. 797). E alle spalle delle due liriche stanno alcune annotazioni del Taccuino di Coazze: «Fremiti nel silenzio – zighi di grilli – risi di rivoli» (v. spsv, p. 1198). Inoltre, sia per la ricorrenza lessicale che per la similarità d’atmosfera (fulgore di stelle, canto di grilli, acqua nelle zane) v. La levata del sole I 470. Per la metafora luna-acqua (luce che inonda o allaga), v. anche Sole e ombra I 261.
12. Quella che in Cargiore III, 6-9 (v. sopra alla nota 10) era impressione soggettiva dell’io lirico, spettatore commosso ancorché privo, per così dire, di storia; quello che in Suo marito sarà un soprassalto di Silvia Roncella, spettatrice forestiera a sua volta commossa ma protagonista d’una sua storia altra e lontana da quei luoghi, è qui invece il tacito ma decisivo snodo emotivo e narrativo che divarica la forbice metacronica presente-passato e fa scivolare la vecchia protagonista verso il tempo remoto e sepolto della sua prima storia amorosa e tragica, staccandola del tutto e definitivamente così dal presente di Marietta come dal limbo affettivo del più recente passato.
13. Gorgoglìo e borbottìo: v. Prima notte I 465: «il borboglio continuo del mare», ed E due! I 548: «il cupo borbogliare delle acque nere del fiume».
14. Fiume che corre in direzione ovest-est e si getta nel Po tra Moncalieri e Torino.
15. C’è già stata occasione di notare che gli incanti lunari sono raramente propizi e che la luna è piuttosto nume funebre e ctonio (v. Sole e ombra, n. 37). Questa occorrenza mi pare togliere, in forza della cornice contestuale, ogni dubbio al proposito, laddove il contesto lirico-estatico di Cargiore III, 14-8 era tutt’altro.
16. L’estatica sospensione di quest’episodio, che qui, come movimento narrativo, fa da tramite allo sprofondamento memoriale della moribonda, rinvia direttamente a Cargiore III, lirica non datata che potrebbe aver seguito ma ha più probabilmente preceduto, di poco, la stesura di Gioventù, e che vale la pena di riportare: «Solenne incanto, attonita quiete! / E tu la maga sei di queste liete / e sempre verdi alture, errante Luna. / Ignote son quassú de la fortuna / le veci. I prati di silenzio inondi; / par quasi che il silenzio si raffondi / nel tempo, e notti assai remote io penso / da te vegliate come questa, e un senso / arcano acquista a gli occhi miei la pace. / Cantano, intanto, come la fugace / gioja le ispira, alcune donne a coro, / nel chiaror blando, ed una, ecco, fra loro / fa tenor con la rustica minugia. / Solo sul prato prossimo s’indugia / un contadin: gli sento ad ora ad ora / la falce raffilare. Ancor lavora, / solingo, sotto il cheto lume pieno: / guizza a tratti la falce in mezzo al fieno» (v. spsv, p. 798). Nel 1911, Pirandello recupererà e ricucirà per intero sia questa lirica che la pagina di Gioventù nel romanzo Suo marito (v. rI, pp. 723-4), nel quale, con altri ruoli e talora sotto nomi differenti, ricompaiono anche altri personaggi della novella. La stessa Silvia Roncella, protagonista del romanzo, dopo un soggiorno a Cargiore, paese natale del marito, scrive febbrilmente una novella che pare corrispondere proprio a Gioventù: «Giustino corse alla scrivania, a vedere: restò disingannato: vi trovò una novella, una lunga novella. [...] Senz’alcun piacere si mise a leggerla; ma dopo le prime righe cominciò a interessarsi... Oh guarda! Cargiore... don Buti col suo cannocchiale... il signor Martino... la storia della mamma... il suicidio di quel fratellino del Prever... Una novella strana, fantastica, piena d’amarezza e di dolcezza insieme, nella quale palpitavano tutte le impressioni ch’ella aveva avuto durante quell’indimenticabile soggiorno lassù» (v. rI, p. 790).
17. Divanetto (v. La signorina, n. 32).
21. Fra le figure tratteggiate nel Taccuino di Coazze c’è quella del dottor Frangoro: «alto, asciutto, baffi biondi, capelli già canuti, cortissimi: freddo, muto, composto. Possiede anche lui una villetta grigia, con un vasto giardino dietro. Ha una moglietta simpatica e tre o quattro bambini» (v. spsv, pp. 1199-200). In Suo marito il medico cambierà ancora nome, la sua vicenda privata si arricchirà, ma non muterà la sua fisionomia fissata negli appunti di Coazze e in questa novella. Nel romanzo egli entra in scena come occasionale conoscente di Giustino Boggiolo, ridotto alla più tetra abulia dal tradimento della moglie: «Da quel cupo torpore di spirito lo aveva un po’ scosso [...] il nuovo medico condotto, venuto da poco a Cargiore con una signora che non si sapeva ancor bene se gli fosse moglie oppur no. Doveva esser ricca madama, perché il dottor Lais aveva preso in affitto un bel villinetto di certi signori di Torino e diceva di volerlo comperare. Alto, asciutto, rigido e preciso come un inglese, coi b...