Scritti su Wagner
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Scritti su Wagner

  1. 144 pagine
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Scritti su Wagner

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A molta distanza dal primo scritto su Wagner (la IV inattuale), e a pochissima dallo scoppio della pazzia, si situano queste due esplosioni dell'odio-amore di Nietzsche per Wagner. Esse sono nello stesso tempo tentativi spasmodici di liberazione da un'antica e mai superata dipendenza e un approfondimento in corpore nobili dell'analisi della décadence che, secondo Lowith, e il capolavoro di Nietzsche. Nell'illusione di combattere il tipo di décadent wagneriano opponendogli l'uomo dionisiaco, Nietzsche da una caratterizzazione rimasta insuperata, nelle sue luci e ombre, dell'arte wagneriana e, d'altra parte, uno scintillante specimen di quella chimica storica evolutiva che non avrebbe tardato a dare i suoi frutti avvelenati.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858654422

SCRITTI SU WAGNER

IL CASO WAGNER
UN PROBLEMA PER MUSICISTI

PREFAZIONE

Voglio sgravarmi un po’ la coscienza. Non è per pura cattiveria che in questo scritto lodo Bizet a detrimento di Wagner. Tra molti scherzi faccio presente una cosa con cui non c’è da scherzare. Voltare le spalle a Wagner fu per me un destino; prendere ancora piacere a qualcosa, dopo, una vittoria. Nessuno è stato forse invischiato col wagnerismo in maniera più pericolosa, nessuno si è difeso più duramente da esso, nessuno si è più rallegrato di essersene liberato. Una lunga storia! – Si vuole una parola per questo? – Se io fossi un moralista, chissà come lo chiamerei! Forse superamento di sé. – Ma il filosofo non ama i moralisti… non ama neanche le belle parole…
Che cosa esige da sé un filosofo come prima e ultima cosa? Di superare in sé il proprio tempo, di diventare «senza tempo». Con che cosa allora deve sostenere il suo cimento più duro? Proprio con quello per cui è figlio del suo tempo. Orbene, io sono altrettanto di Wagner figlio di questo tempo, voglio dire un décadent; solo che io l’ho capito, solo che io me ne sono difeso. Il filosofo in me se n’è difeso.
Quello che mi ha occupato più a fondo è in realtà il problema della décadence – ho avuto buoni motivi per farlo. «Bene e male» è soltanto una varietà di quel problema. Se ci si è fatto l’occhio per i sintomi della décadence, si capisce anche la morale – si capisce che cosa si nasconde sotto i suoi nomi e le sue formule di valore più sacri: la vita impoverita, la volontà della fine, la grande stanchezza. La morale nega la vita… Per un tale compito mi era necessaria un’autodisciplina: prendere partito contro tutto ciò che c’era di malato in me, compreso Wagner, compreso Schopenhauer, compresa tutta l’«umanità» [Menschlichkeit] moderna. – Un profondo estraneamento, raffreddamento, disincanto per tutto quanto è attuale e conforme allo spirito del tempo; e come desiderio supremo l’occhio di Zarathustra, un occhio che domina tutto il fatto uomo da un’enorme distanza – lo vede sotto di sé… Per una tale meta – quale sacrificio non bisognerebbe fare? Quale «superamento di sé»? Quale «rinnegamento di sé»?
La mia esperienza più grande fu una guarigione. Wagner fa parte semplicemente delle mie malattie.
Non che io voglia essere irriconoscente nei riguardi di questa malattia. Se io con questo scritto sostengo la tesi che Wagner è dannoso, non voglio per questo sostenere meno a chi egli è ciò nonostante indispensabile – al filosofo. Altrimenti uno se la può cavare forse senza Wagner. Ma il filosofo non è libero di fare a meno di Wagner. Egli dev’essere la cattiva coscienza del suo tempo – e per questo deve averne il miglior sapere. Ma dove troverebbe, per il labirinto dell’anima moderna, una guida più iniziatica, un conoscitore di anime più eloquente di Wagner? Attraverso Wagner la modernità parla la sua lingua più intima: non nasconde né il suo bene né il suo male, ha disimparato ogni vergogna di sé. E viceversa, si è fatto quasi un bilancio sul valore della modernità, una volta che si sia in chiaro con se stessi su bene e male di Wagner. – Comprendo perfettamente che oggi un musicista dica «io odio Wagner, ma non sopporto più nessun’altra musica». Ma comprenderei anche un filosofo che dichiarasse: «Wagner riassume la modernità. Non c’è verso, bisogna cominciare coll’essere wagneriani…».

IL CASO WAGNER
LETTERA DA TORINO DEL MAGGIO 1888

ridendo dicere severum

1

Ieri ho sentito – lo credereste? – per la ventesima volta il capolavoro di Bizet. Ancora una volta ho resistito in soave raccoglimento, ancora una volta non sono scappato via. Questa vittoria sulla mia impazienza mi sorprende. Come una tale opera rende perfetti! Chi la sente, diventa egli stesso un «capolavoro». – E davvero mi è parso, ogni volta che sentivo la Carmen, di diventare più filosofo, un filosofo migliore di quel che mi pare di essere normalmente: diventato così longanime, così felice, così indiano, così sedentario… Star seduto per cinque ore: prima tappa della santità! – Posso dire che l’orchestra di Bizet è quasi l’unica che io ancora sopporti? Quell’altra orchestra, che oggi va per la maggiore, quella wagneriana, brutale, artificiosa e «innocente» insieme, che parla in tal modo ai tre sensi dell’anima moderna in una volta – quanto mi riesce nociva questa orchestra wagneriana! Io la chiamo scirocco. Mi fa sudare in maniera fastidiosa. Il mio bel tempo se n’è andato.
Questa musica invece mi sembra perfetta. Avanza leggera, morbida, con cortesia. È amabile, non fa sudare. «Ciò che è buono è leggero, tutto ciò che è divino cammina con piedi delicati»: articolo primo della mia estetica. Questa musica è cattiva, raffinata, fatalistica; ciò nonostante rimane popolare – ha la raffinatezza di una razza, non quella di un individuo. È ricca. È precisa. Costruisce, organizza, porta a termine. Con ciò rappresenta l’opposto del polipo in musica, l’«infinita melodia». Si sono mai sentiti sulla scena accenti tragici più dolorosi? E come li si raggiunge! Senza smorfie! Senza coniazione di monete false! Senza la menzogna del grande stile! – Infine: questa musica tratta l’ascoltatore da persona intelligente, addirittura da musicista – essendo anche in ciò l’opposto di Wagner, che, qualunque cosa sia altrimenti, era comunque il genio più scortese del mondo (Wagner ci prende quasi come se –, ripete una cosa tante volte finché uno si dispera – finché uno ci crede).
E detto ancora una volta: io divento un uomo migliore quando questo Bizet mi parla. Anche un migliore amante della musica, un migliore ascoltatore. È mai possibile ascoltare ancora meglio? – Io seppellisco le mie orecchie anche sotto questa musica, ne ascolto la causa. Mi sembra di riviverne la nascita – tremo dei pericoli che accompagnano ogni audacia, sono rapito dai colpi di fortuna, di cui Bizet non ha colpa. – È strano! In fondo non ci penso, o non so quanto ci pensi. Giacchè tutt’altri pensieri mi passano frattanto per la testa… Si è notato che la musica rende la mente libera? che dà ali al pensiero? che si diventa tanto più filosofi quanto più si diventa musicisti? – Il cielo grigio dell’astrazione come solcato da lampi; la luce abbastanza forte perché traspaia tutta la filigrana delle cose; i grandi problemi pronti per essere afferrati; il mondo come visto dall’alto di una montagna. – E con ciò ho dato la definizione del pathos filosofico. E improvvisamente mi cadono in grembo risposte, una piccola grandine di ghiaccio e di saggezza, di problemi risolti… Dove sono? – Bizet mi rende fecondo. Tutto ciò che è buono mi rende fecondo. Non ho altra gratitudine, non ho neanche altra prova per ciò che è buono.

2

Anche quest’opera redime; Wagner non è il solo «redentore». Con essa si prende congedo dall’umido Nord, da tutti i vapori dell’ideale wagneriano. Già l’azione ci redime da essi. Essa ha ancora, di Mérimée, la logica della passione, la linea più breve, la dura necessità; ha soprattutto ciò che è proprio della zona calda, l’asciuttezza dell’aria, la limpidezza dell’aria, qui il clima è sotto ogni aspetto mutato. Qui parla un’altra sensualità, un’altra sensibilità, un’altra serenità. Questa musica è serena; ma non di una serenità francese o tedesca. La sua serenità è africana; ha su di sé la fatalità, la sua felicità è breve, improvvisa, senza remissione. Invidio Bizet per aver avuto il coraggio di questa sensibilità, che nella musica colta d’Europa non aveva ancora trovato un suo linguaggio – di questa sensibilità più meridionale, più abbronzata, più riarsa… Come ci fanno bene i gialli pomeriggi della sua felicità! Allora spingiamo lo sguardo in lontananza: avevamo mai visto un mare più liscio? – E come ci parla tranquillizzante la danza moresca! Come, nella sua lasciva malinconia, la nostra stessa insaziabilità impara per una volta la sazietà! – Infine l’amore, l’amore ritradotto nella natura! Non l’amore di una «vergine superiore»! Nessun Senta-sentimentalismo! Sibbene l’amore come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele – e appunto in ciò natura! L’amore, che nei suoi mezzi è la guerra e nel suo fondo l’odio mortale dei sessi! – Non so di nessun altro caso in cui la tragica ironia che costituisce l’essenza dell’amore si esprima in modo così rigoroso, trovi una formulazione così terribile, come nell’ultimo grido di Don José, con cui l’opera si chiude:
Sì, io l’ho uccisa,
io – la mia adorata Carmen!
– Una tale concezione dell’amore (l’unica che sia degna di un filosofo) è rara; essa fa sì che un’opera d’arte spicchi tra mille altre. Giacché in media gli artisti fanno come tutti gli altri, anzi peggio – fraintendono l’amore. Anche Wagner l’ha frainteso. Credono di essere in esso disinteressati perché vogliono il bene di un altro essere, spesso contro il loro proprio. Ma in compenso vogliono possedere quest’altro essere… Neanche Dio fa in ciò eccezione. È lungi dal pensare «Se ti amo, che te ne importa?» – diventa terribile, se non lo si ricambia. L’amour – con questa massima si ha ragione sia tra gli uomini che tra gli dèi – est de tous les sentiments le plus égoïste, et par conséquent, lorsqu’il est blessé, le moins généreux (B. Constant).

3

Voi vedete già quanto questa musica mi rende migliore? – Bisogna méditerraniser la musique: ho buone ragioni per questa formula (Al di là del bene e del male, p. 220 [aforisma 255]). Il ritorno alla natura, alla salute, alla gaiezza, alla giovinezza, alla virtù! – Eppure io ero uno dei wagneriani più corrotti… Ero capace di prendere Wagner sul serio… Oh, questo vecchio mago! Quante cose non ci ha dato a intendere! La prima cosa che la sua arte ci offre è una lente d’ingrandimento: ci si guarda dentro e non si crede ai propri occhi – tutto diventa grande, anche Wagner diventa grande… Che astuto serpente a sonagli! Per tutta la vita ci ha agitato questi suoi sonagli sulla «dedizione», sulla «fedeltà», sulla «purezza»; con un elogio della castità si è ritirato da questo mondo corrotto! E noi gli abbiamo creduto…
– Ma voi non mi state a sentire? Voi stessi preferite il problema di Wagner a quello di Bizet? Neanch’io lo sottovaluto, esso ha il suo fascino. Il problema della redenzione è in se stesso un problema rispettabile. Su niente Wagner ha riflettuto così a fondo come sulla redenzione. L’opera wagneriana è l’opera della redenzione. In lui c’è sempre qualcuno che vuole essere redento: ora un ometto, ora una signorina – è questo il suo problema. – E con che ricchezza varia il suo Leitmotiv! Come sono rare, come sono profonde le sue elusioni! Chi, se non Wagner, ci ha insegnato che l’innocenza redime di preferenza i peccatori interessanti (il caso del Tannhäuser)? O che lo stesso Ebreo errante viene redento, diventa sedentario, quando si sposa (il caso dell’Olandese volante)? O che le donnacce vecchie e corrotte preferiscono farsi redimere da casti giovinetti (il caso di Kundry)? O che le belle ragazze amano più di tutto farsi redimere da un cavaliere che sia wagneriano (il caso dei Maestri cantori)? O che anche le donne sposate si fanno redimere volentieri da un cavaliere (il caso di Isotta)? O che il «vecchio Dio», dopo essersi moralmente compromesso sotto ogni aspetto, viene infine redento da uno spirito libero e immoralista (il caso dell’Anello)? Ammirate in particolare quest’ultima profondità di pensiero! Voi la capite? Io mi guardo bene dal capirla… Che dalle suddette opere si possano trarre anche altri insegnamenti, vorrei più dimostrarlo che contestarlo. Come pure che da un balletto wagneriano si possa essere portati alla disperazione – e alla virtù! (ancora il caso di Tannhäuser). Che il non essere andati a letto al momento giusto possa avere le peggiori conseguenze (ancora il caso di Lohengrin). Che non si debba sapere mai troppo bene con chi ci si sposa veramente (per la terza volta il caso di Lohengrin) – Tristano e Isotta glorificano il perfetto marito che, in un caso particolare, non ha che una domanda: «Ma perché non me lo avete detto prima?». Risposta:
Questo dirti non posso
e ciò che chiedi
saper non potrai mai.
Il Lohengrin contiene una messa al bando del ricercare e domandare. In tal modo Wagner rappresenta il concetto cristiano del «tu devi e non puoi non credere». Essere scientifici è un crimine contro l’Altissimo, il Santissimo… L’Olandese volante predica la sublime dottrina che la donna trattiene anche l’uomo più volubile, detto wagnerianamente lo «redime». Qui ci permettiamo una domanda. Posto cioè che questo fosse vero, sarebbe perciò anche desiderabile? – Che ne è dell’«Ebreo errante» che una donna adora e trattiene? Egli cessa semplicemente di errare, si sposa e non ci interessa più. – Tradotto in termini reali: il pericolo per gli artisti, per i geni – e proprio questi sono gli «Ebrei erranti» – sta nella donna: le donne adoranti sono la loro rovina. Quasi nessuno ha abbastanza carattere per non farsi rovinare – «redimere», quando si sente trattato come un dio. Subito accondiscende alla donna. – Davanti a ogni eterno femminino l’uomo è vile: ben lo sanno le femminucce. In molti casi di amore femminile e forse proprio nei più famosi, l’amore è solo un più sottile parassitismo, un annidarsi nell’anima e talvolta addirittura nella carne di un altro – oh, quanto sempre a spese «del padrone di casa»!
Si conosce la sorte di Goethe nella Germania dalla morale acida e zitellesca. Egli fu per i Tedeschi sempre uno scandalo e ha avuto sincere ammiratrici solo tra le Ebree. Schiller, il «nobile» Schiller, che rompeva loro i timpani con la grandi parole – lui sì che andava loro a genio. Che cosa rimproveravano a Goethe? Il «monte di Venere»; e di aver poetato epigrammi veneziani. Già Klopstock gli tenne un sermone morale; e ci fu un tempo in cui Herder, quando parlava di Goethe, usava di preferenza la parola «Priapo». Lo stesso Wilhelm Meister fu considerato solo un sintomo di decadenza, un «ridur...

Indice dei contenuti

  1. Scritti su Wagner
  2. Copyright
  3. Introduzione. Gli Scritti su Wagner nell’opera di Nietzsche
  4. La vita di Nietzsche al tempo degli Scritti su Wagner
  5. Cronologia della vita e delle opere
  6. Bibliografia
  7. SCRITTI SU WAGNER
  8. SOMMARIO