Fuoco alla paglia
1. Uscì per la prima volta a stampa su «Il Marzocco» il 15 gennaio 1905; nel 1910 fu compresa nella raccolta La vita nuda (Milano, Treves); nel 1922 venne infine inclusa nell’omonimo secondo volume delle «novelle per un anno», La vita nuda (Firenze, Bemporad).
Nelle prime due stampe, il titolo era Fuoco alla paglia!, e così lo aveva scritto anche Pirandello in due lettere ad Angiolo Orvieto all’indomani dell’uscita su «Il Marzocco» (v. CAR, pp. 320 e 323).
2. Quella di padrone severo e quella di servo riottoso. Simone Lampo sembra dunque fin da principio un’allegoria vivente della duplicità e della scissione, ma, sebbene fare (o rappresentare) più parti in commedia sia di norma una metafora sarcastica che fustiga comportamenti improntati ad ambiguità o doppiezza, il solitario antagonismo interiore del personaggio è piuttosto, come si vedrà (v. n. 26), quello di chi non riesce a consistere senza essere né servo né padrone.
3. I più vani, i più futili, ma anche, si deve intendere, i più strani e bislacchi: la stampa del «Marzocco» recitava: «i più speciosi e bizzarri», e in entrambe le prime due stampe erano più estesi i soliloqui in forma di conversazione con l’asina. Proprio uno di questi valeva a preparare una scenetta, una sorta di sketch o di solipsistica barzelletta (cassata per intero da Pirandello nella redazione del 1922) destinata a divertire il lettore – che è il solo a poterne godere lo sviluppo in due tempi – e a rendergli ancor meglio percepibile l’esasperazione che la «solitudine agra e nuda» aveva alimentato in Simone (v. sotto le nn. 8 e 35).
4. Sottocoda, ossia «finimento del cavallo da sella o da tiro, dell’asino e del mulo, che consiste in una doppia correggia imbottita nella quale si fa passare la coda dell’animale per assicurare la sella o il basto» (GDLI).
6. Se la godeva un mondo.
7. Guarnizione, ornamento.
8. Nella stampa del 1910 (come, con varianti minime fra le due, in quella del 1905), questo attacco di capoverso suonava così: «– Su, Nina, su, lasciati mettere questa bella gala qua! / Vecchia, ormai, quella sella: più dell’asina! come si tenesse su, così, tutta toppe e giunture, non si sapeva. Simone Lampo pensò che il giorno avanti su l’asino d’un suo compare, Vito Macaluso, aveva veduto una sella nuova fiammante, con certi festelli rossi e turchini: magnifica! E tentennò il capo, sogghignando: / – Certo com’è certo Dio, Nina, se gliela domandassimo in prestito, Vito Macaluso ce la negherebbe, quella sella, no? Che siamo più noi, Nina? Tu niente ed io nessuno. Siamo buoni soltanto da far ridere il paese, cara Nina» (v. NUAI, p. 1231). È questo il primo tempo della scenetta di cui alla n. 3. Nell’attaccare il cestino al sottocoda di Nina, Simone nota l’usura estrema della sella, si sovviene della sella sontuosa del compare, allucina fulmineamente il rifiuto, «certo com’è certo Dio», opposto ad una eventuale richiesta. Conversando con l’asina, ed omologandosi alla nullità della povera bestia, Simone ricava, ancor prima d’averla formulata, da una rabbiosa ipotesi soggettiva una tetra certezza oggettiva che sarà anche in seguito testardamente ribadita: «Tutti, tutti ridevano di lui e lo sfuggivano; nessuno che volesse dargli ajuto» (v. p. 69).
10. Lo spunto proviene forse da un ricordo autobiografico registrato in una lettera al padre del maggio 1886, nella quale Pirandello, studente a Palermo in periodo di campagna elettorale, parla della città parata «di tanti variopinti avvisi», si diverte a citare i nomi di alcuni candidati e si sofferma infine su quello di Menico La Licata («un nome – scrive Pirandello – che è l’espressione di un pensiero di Michele Cervantes»), curiosa figura di cui tratteggia il ritratto: «Costui, come Don Chisciotte, è un pazzo, e vorrebbe, nel suo intento, raddrizzare il mondo. È un povero venditore di uccelli e vive solo con l’uccellatura... Ogni mattina io lo vedeva pieno di freddo e di fame con le sue gabbie piene presso la salita dei Cintorinaj. Ora, da che han proposto la sua candidatura, non si vede più nel suo posto di vendita: il disgraziato ha smagliate e spezzate le sue reti e le sue gabbie, ha dato libertà a tutti i suoi uccelli, e vive di questi giorni a costo dei suoi sostenitori elettorali, due o tre giovani di spirito, che volendo ora far la satira agli omòni di Stato, sentiranno fra breve il rimorso di avere ammazzato moralmente il povero uccellatore. Perché il disgraziato nutre cieca fiducia nei voti, che egli sogna, e non ha dubbio alcuno sulla sua elezione, tanto che l’altro jeri vedendo Simone Cuccia per la via, lo salutò dandogli del collega. Che te ne pare? L’altra sera l’han fatto parlare ai suoi elettori. Sa leggere a pena; se sappia scrivere non so. Ha i capelli e la barba, lunghi, gli occhi vitrei, come di pazzo, alto, bruno, portamento ardito; quel cappello a cencio tirato sugli occhi gli dà l’aria di un tribuno. Un tribuno che andrà a finire al manicomio» (v. EFG, p. 6).
11. Imposte (v. L’onda, n. 21).
14. Gridi acuti, brevi ma laceranti.
16. Iterati gridi acuti e sottili, intesi come verso caratteristico di alcuni uccelli.
17. È il fischiare breve, sommesso, intermittente di merli, fringuelli e altri uccelli.
18. Cantare per richiamo. Lo spincione è infatti il fringuello da richiamo.
20. V. sopra a p. 67: «si comandò di sellar la vecchia asinella»: nel rispetto d’una tipica procedura compositiva deputata all’organizzazione del tempo narrativo, il segmento retrospettivo risulta perfettamente delimitato e incorniciato dal raddoppio discorsivo. È un po’ come se l’istanza narrante utilizzasse il tempo che occorre a Simone per sellare l’asina per informare i lettori d’una serie di antefatti significativi e necessarî alla buona comprensione della storia.
22. La terra ricca, fertile e ospitale che era stata il miraggio e la meta per i pionieri che l’avevano raggiunta avventurosamente attraversando da est ad ovest il continente nord-americano. Qui quel nome significa, per antonomasia, la ricchezza.
24. Il tradimento, l’abbandono, la solitudine sono spesso, per non dire sempre, conditio sine qua non per avventure conoscitive ed esistenziali dagli esiti imprevedibili.
25. Ancora nella stampa del 1910 si leggeva: «divorato dalla brama di risalire allo stato di prima e in una continua esasperazione, che gli faceva commettere tutte quelle follie» (v. NUAI, pp. 1232-3; corsivo nostro). Liberandolo di quella brama dall’oggetto così chiaro e così conformistico, Pirandello ha fatto fare al personaggio un notevole passo avanti; quel passo, almeno, che gli consente di non desiderare un riscatto sociale e un rientro nell’ordine, se anche non lo rende pronto per spiccare il volo di Nàzzaro.
26. È questo, effettivamente, l’esasperante guado in cui è impantanato Simone: non essere né savio né matto (dal momento che le follie «le commetteva apposta»), né ricco né povero. E la posizione né... né... esprime bene la perdita d’identità e l’inconsistenza.
28. Propriamente «l’insieme dei beni mobili e immobili e delle rendite che costituiscono la dotazione di un [...] vescovado» (GDLI).
29. Passi, lasciamo perdere (espressione latina).
30. Il gioco dell’onomastica letteraria è qui piuttosto trasparente. È noto che Nazareno (o Nazzareno) è detto Gesù, da Nazaret, la città della Galilea divenuta la sua patria adottiva al ritorno dall’Egitto (v. Mt. 2.21-3). E questo Nàzzaro vagabondo, povero e puro di cuore, è certamente figura del Cristo. Curiosamente antifrastica è dunque la scena che segue, nel corso della quale questo messia schivo e scontroso, lungi dal sollecitare l’apostolato di Simone Lampo, lo respinge perché reo di peccato mortale. Ma anche Simone (il solo nel corpus novellistico a chiamarsi così, se si esclude il Simonello Marruca di Zia Michelina, meglio noto come Marruchino) porta un nome ben marcato, quello appunto che era stato del primo apostolo di Gesù, Simone di Betsaida, poi rinominato Pietro o Cefa (dall’aramaico kepha, che vuol appunto dire roccia, pietra). È anche lui, dunque, un predestinato, sebbene il cognome Lampo gli si adatti per le sue bizzarrie, non invece per la lentezza e riluttanza della sua vocazione.
31. V. Pallottoline!, n. 16.
32. Non tratto più affari.
33. La mappa non muta: nominati o no, i luoghi sono i medesimi: Porto Empedocle ancora allo stato di «paesello», osservata dalla strada che percorre il sovrastante «altipiano marnoso». V. Prima notte, n. 10.
34. È la solita contrapposizione, quella che s’è già vista s...