Il miracolo dei soldi
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Il miracolo dei soldi

Come nascono, dove vanno, come si moltiplicano

  1. 202 pagine
  2. Italian
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Il miracolo dei soldi

Come nascono, dove vanno, come si moltiplicano

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Tutti maneggiano i soldi, pochi li conoscono. Quasi nessuno sa come si è passati dalle pecore all'oro e dalle banconote alla moneta elettronica, come è nato e si è evoluto il denaro, quale sarà il suo destino. Uomini come Creso, Alessandro Magno e Giulio Cesare hanno fatto della moneta uno strumento di governo dei popoli. Il denaro è potere, da sempre. Ma ai giorni nostri si ignora chi ne sia il vero signore e padrone. In questo agile libro, un economista dal linguaggio chiaro e senza peli sulla lingua spiega come la moneta – invenzione geniale paragonabile a quella della ruota – è diventata sempre più fluida e scorrevole, si è perfezionata nel corso del tempo, si è moltiplicata in modo prodigioso, si è fatta sempre più leggera e veloce… fino a raggiungere i suoi limiti, oltre i quali c'è solo il disastro. Ne è prova l'ultima crisi finanziaria, il terremoto globale che ha scosso tutto e tutti. Il denaro non risolve qualsiasi problema e, come per re Mida, il miracolo dei soldi può diventare una maledizione. Non è stata la ruota a portarci sulla luna, non sarà il denaro a risolvere le ingiustizie economiche mondiali. Per troppo tempo la moneta è parsa onnipotente e immortale. Della sua potenza abbiamo sperimentato i confini. Verrà sfatato anche il mito della sua immortalità?

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Informazioni

Editore
ETAS
Anno
2013
ISBN
9788858657294

PARTE II

La fabbrica dei soldi

7 Il miracolo della moltiplicazione dei soldi

L’erogazione di prestiti è importante, fondamentale, la parte centrale dell’attività bancaria. Ma non basta. Solo una banca può compiere il miracolo della moltiplicazione del denaro. Abituato a concedere prestiti, un uomo come Licinio Crasso, ricchissimo, quasi un banchiere del I secolo a.C., muove il denaro e muove l’economia. Mettendo in circolazione soldi destinati altrimenti a star fermi – rischiando in proprio e rinunciando momentaneamente al possesso di moneta che cambia di mano e trasferisce capacità di spesa e di investimento ad altri individui –, un uomo del genere sollecita il ritmo dell’attività economica ed è a suo modo un benemerito del sistema. C’è di più. Con un po’ di abilità e di fortuna, Crasso può aumentare la sua esposizione finanziaria complessiva verso la collettività e, ciononostante, ridurre il suo rischio.
Immaginiamo che, in un certo momento, il totale dei suoi crediti verso un gruppo abbastanza numeroso di individui sia pari a un milione di sesterzi. Ipotizziamo che siano persone di cui egli non si fidi ciecamente, soggetti della cui solvibilità non è sicuro. Ma Crasso è un uomo d’armi oltre che un amministratore pubblico, e dobbiamo anche immaginare come si tratti di prestiti che, per ragioni politiche, egli non poteva rifiutare. Per motivi analoghi e ancora più stringenti, Crasso non può certo negare un altro prestito di un milione di sesterzi al suo alleato Giulio Cesare, anch’egli triumviro e reggitore dello Stato. Anzi, questa operazione diventa per lui addirittura un’opportunità. Cesare non solo è un politico consumato, un guerriero audace e, ciò che non guasta, un uomo d’onore. Insomma, egli non solo è il debitore con cui tutti vorrebbero avere a che fare, ma possiede anche la qualità di trovarsi in stretti rapporti con le persone di cui Crasso è creditore paziente ma preoccupato. Il nostro astuto uomo d’affari conosce Cesare e le sue doti di stratega. Sa che, ben presto e in un modo o nell’altro, egli coinvolgerà i suoi sodali – tutti debitori di Crasso – in uno dei suoi tanti disegni, tutti finalizzati alla conquista di Roma e del potere assoluto. Sa che li assolderà, che richiederà loro costosi servizi, e che li metterà nelle condizioni di rimborsarlo, in parte se non del tutto. Due piccioni con una fava. Crasso chiude, o quasi, una partita difficile, aprendone un’altra più facile e politicamente molto vantaggiosa.
Questo è tutto ciò che può fare un uomo ricco e spregiudicato, uno che è quasi un banchiere. Ma non può fare di più, non può moltiplicare i soldi. Ciò che invece un vero banchiere riesce a fare in virtù dell’altro “pezzo” fondamentale della sua attività: la raccolta di denaro. La quale combacia alla perfezione con la sua propensione a prestarlo. È qui che si capisce tutta la potenza e la portata rivoluzionaria della banca, un organismo concettualmente nuovo e capace di imprimere alla moneta una vera e propria accelerazione. Stiamo parlando di una banca dei nostri giorni? Non necessariamente. Per assistere al miracolo non occorre l’ausilio della moneta legale né di altri strumenti di pagamento. Niente banconote, niente assegni, nessuno dei requisiti del funzionamento di un qualunque moderno sportello bancario. Bastano i soldi, i soldi fisici come li si è intesi, conosciuti e maneggiati per secoli, solidi e tangibili dischetti d’oro e d’argento, o anche di bronzo e di rame.
Immaginiamo la dinamica degli eventi. È la decima volta, nel giro di un paio d’anni, che un abitante delle campagne che circondano una fiorente cittadina marittima torna verso casa soddisfatto dopo aver affidato in custodia al proprio banchiere un sacchetto di cuoio gonfio di scudi. Sono tante le monete che ha appena consegnato. Per la precisione sono cento, cento luccicanti monete d’oro. Tra le mani stringe un prezioso pezzo di carta. È una ricevuta, una nota di deposito firmata di pugno dal suo fiduciario che attesta l’operazione avvenuta. Di foglietti così ne ha diversi altri, e riporrà quest’ultimo con gli altri, nascosti nel doppiofondo di un armadio di cui neanche sua moglie conosce l’esistenza. I raccolti degli ultimi tempi sono stati eccezionali, e il nostro agricoltore è contento. Ha da parte ormai un migliaio di scudi. In un giorno non troppo lontano potrà ritirarsi a vivere in città. Ha già adocchiato una casa con un bel giardino dove potrà trascorrere una vecchiaia serena e quasi lussuosa. Il futuro gli sorride.
Il futuro sorride ancor di più al suo banchiere, un noto e ricco mercante. È uno degli uomini più in vista della regione, e non ha faticato più di tanto per conquistarsi la fiducia di commercianti, artigiani e contadini di una vasta zona. Sono tanti quelli che gli affidano i loro risparmi. Chiuso nel suo palazzotto ben protetto del centro cittadino, il banchiere sta completando con carta e penna, al lume di una candela, la contabilità dell’ultimo incasso. Prima di andare a dormire, non resiste alla tentazione di dare un’ultima occhiata al cospicuo contenuto del suo forziere. Sono più di centomila scudi. E ciò che gli fa nascere un sorriso di compiacimento sulle labbra è il pensiero che questa cifra, da quando ha cominciato a custodire soldi altrui, è sempre cresciuta. Non c’è stato un solo giorno in cui il numero degli scudi in cassa sia diminuito, e questo lo riempie di ottimismo.
Il banchiere ritiene che sia arrivato il momento di agire. Ormai si sente pronto. Domani sarà per lui il giorno fatidico, quello che potrebbe cambiare per sempre il corso della sua vita. Incontrerà un uomo la cui fama si estende ben oltre i confini della provincia, un signore temuto e rispettato. Con lui ha già preso accordi di massima, e di lui si fida perché ha capito che si tratta di un individuo eccezionale. È un esploratore ma anche un conquistatore, una via di mezzo tra un uomo d’armi e un uomo d’affari, un tipo pieno di idee e capace di procurarsi i mezzi per concretizzarle. Questo individuo sta organizzando una spedizione che si prospetta molto redditizia. È un uomo del futuro. Senza saperlo è un borghese.
Dai servi della gleba del Medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia. La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno.
K. Marx, Manifesto del Partito Comunista
L’uomo ha giusto bisogno di un prestito di centomila scudi sul quale è disposto a riconoscere interessi nella misura di diecimila scudi l’anno. Con una somma del genere si vive da nababbi, senza dover fare più nulla, soprattutto se si è già ricchi. Per questo il mercante-banchiere non vede l’ora di sottoscrivere il contratto e di provvedere alla consegna materiale del denaro. Il quale, del resto, è sicuro che gli verrà prima o poi restituito. Il suo interlocutore è affidabile, sa il fatto suo, e lui ne è certo. Anche i depositanti possono dormire sonni tranquilli.
Tutto bene per tutti, quindi? Non è detto. La nostra storiella può prendere strade diverse. E a noi conviene concluderla velocemente, poiché il suo unico scopo è quello di spiegare come si moltiplicano i soldi, come nascono e come crescono quasi che fossero stati seminati.
Tanto per fare un esempio, potremmo immaginare che, dopo aver ottenuto gli scudi dal banchiere, il nostro signore – il nostro imprenditore – si sia affrettato a organizzare il viaggio che aveva progettato, ovvero la spedizione di una nave destinata a raggiungere un lontano Paese e a tornare carica di spezie e di altre preziose merci esotiche. Buona parte dei membri dell’equipaggio sarebbe stata assoldata in città, pagata in anticipo e, si deve presumere, anche profumatamente. Questi uomini, infatti, sarebbero stati separati dalle loro famiglie per lungo tempo, senza contare che il mare è pieno di insidie e che a bordo di una nave non servono soldi. Sul vascello sarebbero poi stati imbarcati i viveri e il resto del materiale occorrente, tutta roba comprata nell’area cittadina e pagata immediatamente. Insomma, pare che si profilino tutti i presupposti per ritenere che il nostro banchiere – l’unico a cui è possibile rivolgersi nel raggio di molti chilometri – possa ben presto veder tornare nel suo forziere almeno la metà dei soldi che ha prestato, e che si trovi ovviamente ad accoglierli sotto forma di nuovi depositi. Ciò che puntualmente accade.
La cassa, che si era completamente svuotata dei centomila scudi dopo l’erogazione del prestito, contiene ora cinquantamila scudi che sono subito tornati nelle mani del banchiere sotto forma di nuovi depositi. Semplice aggiornare la contabilità. Tra le attività, a sinistra, abbiamo crediti per centomila monete – quelle materialmente consegnate al signore che ha progettato il viaggio e che verranno restituite in futuro, almeno si spera –, più cinquantamila monete in cassa (i nuovi depositi effettuati dalle famiglie dei marinai e dai negozianti ai quali sono stati pagati gli approvvigionamenti della nave). A destra, le passività, come in tutti i bilanci che si rispettano, si presentano di uguale importo, vale a dire centocinquantamila. Sì, è così, poiché gli scudi in circolazione sono rimasti centomila – quelli originariamente in cassa e poi concessi in prestito –, ma i depositi sono diventati centocinquantamila, quelli esistenti all’origine più i nuovi. Da una certa somma di monete ne è scaturita un’altra, ben superiore, di depositi. Il prodigio si è avverato.
Ma questo che abbiamo descritto è un ben piccolo prodigio, una minuscola magia. Noi vogliamo assistere invece a una grande magia, a un fatto davvero stupefacente. E per questo immaginiamo un corso degli eventi un po’ fantastico, di stampo cinematografico. Nulla di insensato però, niente di illogico. Semmai una dinamica dei fatti volutamente forzata – alquanto romanzata, dobbiamo ammetterlo –, e tuttavia giustificata dalla necessità di comprendere quanto potrebbe teoricamente accadere.
Torniamo al giorno in cui il banchiere consegna centomila scudi all’uomo pieno di spirito d’iniziativa. Anzi alla notte (e ora si capirà il perché). L’oscurità, infatti, risulterà complice essenziale del furfante che, sferrata una bella randellata in capo a chi si era appena congedato dal banchiere – si consideri che, per motivi di riservatezza o per altre sconosciute ragioni, il capitano d’armi e di industria aveva commesso l’imprudenza di presentarsi da solo all’appuntamento –, si impadronirà della cassa ricolma di scudi che era stata appena issata su una carrozza, ora diventata comodo mezzo di fuga per il delinquente. Il quale, però, dopo aver temporeggiato un po’ – e temendo forse di poter imbattersi lungo la strada in un lestofante come lui –, decide infine di ridepositare la “sua” cassa di scudi presso lo stesso banchiere. (Immaginiamo che, compiuto un giro di depistaggio, il nuovo possessore della cassa aspetti la luce del giorno prima di presentarsi per effettuare l’operazione.)
L’avido banchiere accetta il deposito e contabilizza la nuova operazione (trascuriamo ora il fatto che egli, accecato con ogni probabilità dalla sua stessa bramosia, non noti la coincidenza dell’importo e neanche quella materiale della cassa, che l’autore del misfatto non ha avuto l’accortezza di sostituire). Pratico e veloce, il banchiere ha già fissato un altro appuntamento con un signore molto simile al precedente investitore (con la stessa attitudine a intraprendere e, purtroppo per lui, con una certa propensione a commettere le stesse imprudenze). Viene prontamente concesso ed erogato un nuovo prestito: uguale importo, identiche modalità. Ebbene, sarà che il mondo è pieno di criminali, sarà che le banche hanno la proprietà di attirarli, succede che anche il secondo destinatario del prestito viene derubato nello stesso modo, e che anche il ladro (qualcuno potrebbe pensare che è quello di prima, ma in realtà non si sa) decide, questa volta senza alcuna esitazione, di rivolgersi allo stesso banchiere – sia così a portata di mano –, i cui depositi a questo punto ammontano a trecentomila scudi (i centomila iniziali più i duecentomila successivi, frutto dei due prestiti subitaneamente tradottisi in depositi).
Ora chiedo venia al lettore, al quale chiedo anche di credere, per quanto abbia dell’incredibile, che questo episodio di ruberia a opera di chissà quali masnadieri si verificherà in forme analoghe innumerevoli volte. Sia che si tratti di una sorta d’incantesimo, sia che si sia sparsa la voce di furti perpetrabili con inusitata facilità e in un clima di assoluta sicurezza da parte di chi li compie avendo la subitanea possibilità di trasformarli in depositi, la cosa si ripeterà fino a rendere il banchiere debitore e creditore di cifre iperboliche. È sufficiente (si fa per dire) che l’operazione di deposito e gli altri avvenimenti che la consentono si replichino per un migliaio di volte, affinché il banchiere raggiunga un totale di bilancio di cento milioni di scudi. Ovvero, cento milioni di prestiti e cento milioni di depositi, con una base di partenza di solo centomila scudi. Certo si fa fatica a crederci. E ancor più incredibile è il fatto che questo processo potrebbe continuare all’infinito, non arrestarsi mai, e dar luogo a un ammontare incalcolabile e imprecisato di depositi.
Si lasci perdere per un momento la circostanza che la cosa è di difficile realizzazione sul piano pratico. Per risultare sorprendente, infatti, è sufficiente che essa sia possibile sul piano teorico. Il quale, del resto – se la teoria è buona –, è anche una buona anticipazione del piano pratico. (Piano che prevede una moltiplicazione dei depositi e dei prestiti del tutto concreta, per quanto più limitata di quella generata dalla nostra fantasiosa catena di furti.) Il credito genera moneta, nuovi depositi, nuova capacità di spesa.
I fatti della creazione di credito – almeno della creazione di credito nella forma di banconote – devono essere stati dall’inizio familiari a ogni economista. Inoltre, specialmente in America, le persone impiegavano liberamente il termine circolazione (check currency) e parlavano delle banche che “coniano moneta” e, con ciò, usurpano i diritti del Congresso. Nel 1885, Newcomb ha dato una descrizione elementare del processo mediante il quale i depositi sono creati attraverso la concessione di prestiti. Verso la fine del periodo (1911), Fisher ha fatto altrettanto. Anch’egli ha sottolineato l’ovvia verità che depositi e banconote sono fondamentalmente la stessa cosa. E Hartley Withers ha sottoscritto l’opinione che i banchieri non fossero intermediari ma “fabbricanti” di moneta.
J.A. Schumpeter, Storia dell’analisi economica
La verità è che la banca è una vera e propria fabbrica dei soldi e che gli uomini dovrebbero andare orgogliosi di essere riusciti a inventare un meccanismo in grado di generare qualcosa di simile a un infinito pratico. La qual cosa resta di fatto un infinito teorico, che è tuttavia raggiungibile da un punto di vista pratico. Si spiega allora come gli uomini, davanti a questa ipotesi – forse tanto verosimile da apparire inquietante per tutti –, si siano spaventati e abbiano avvertito la necessità di correre ai ripari. Ciò che è accaduto quasi ovunque attraverso l’intervento delle banche centrali.

8 La nascita e la missione delle banche centrali

Una banca centrale è, prima di qualsiasi altra cosa, una banca. In linea di principio, essa si attiene quindi ai canoni di comportamento di qualunque altro organismo bancario, la cui funzione precipua è quella di negoziare e produrre moneta. Accanto a questa missione le banche centrali ne hanno sviluppate altre che, nel corso del tempo, sono diventate preponderanti rispetto a quella originaria.
Caratteristica che accomuna pressoché tutte le banche centrali è quella di essere nate da istituzioni “normali”, banche di credito ordinario la cui storia e le cui responsabilità, a un certo punto, sono diventate speciali. Le banche centrali più antiche del mondo sono quella svedese, la Riksbank (1656), e la Banca di Inghilterra, la cui fondazione risale al 1694. Pur nella diversità delle vicende e del contesto di ciascun Paese, le banche centrali si affermano ovunque come le banche più affidabili di ogni rispettiva realtà nazionale, ovvero come gli istituti meglio organizzati e gestiti – i più vicini all’autorità costituita nonché i più diffusi sul territorio – tra quelli presenti dentro i confini di una nazione. Per esempio, in Italia, al momento dell’unificazione nel 1861, le banche di emissione erano cinque, diventate poi sei nel 1870. E non a caso la Banca d’Italia, istituita nel 1893 a seguito della fusione di alcune di esse, nacque a immagine e somiglianza della Banca nazionale del Regno d’Italia – ovvero del maggiore tra gli istituti che si stavano accorpando – che era anche la più grande e articolata delle banche italiane. Bisognerà comunque attendere il 1926 affinché la Banca d’Italia diventi l’unico istituto di emissione del Paese e venga ufficialmente incaricata, in virtù di una prima legge bancaria, dello svolgimento di una vigile azione di controllo su tutte le banche del sistema. Nello stesso anno fu applicata in Italia una regola diffusa in diversi sistemi bancari del mondo. Venne introdotta infatti la riserva obbligatoria, ovvero la regola per cui una certa percentuale dei depositi di qualsiasi banca ordinaria doveva essere ridepositata in contanti presso la banca centrale. Varata come misura a tutela dei depositanti, la norma merita di essere ricordata poiché evita tecnicamente – teoricamente, ma tutto sommato anche praticamente – che possa verificarsi lo “strano caso” della moltiplicazione infinita dei depositi descritta nel capitolo precedente.
Lo strumento, lo ripeto, fu studiato per costituire una riserva di liquidità a disposizione delle banche da utilizzare in caso di emergenza a favore dei depositanti, contraenti deboli per definizione nel rapporto con gli organismi creditizi. Ma in realtà non ha mai funzionato in questo senso. Il suo interesse teorico-pratico, infatti, sta tutto nella sua capacità di bloccare sul nascere qualsiasi possibilità reale o virtuale di riproduzione incontrollata dei depositi. Il lettore ricorderà certamente la sconcertante vicenda del mercante-banchiere e della schiera di sfortunati individui ai quali, uno dopo l’altro, ha concesso una serie interminabile di prestiti. Ebbene, ragioniamo. È come se il meccanismo della riserva obbligatoria fosse chiamato a spegnere un fuoco altrimenti inestinguibile e destinato a diventare un incendio di proporzioni gigantesche. Immaginiamo che dei centomila scudi inizialmente depositati presso di lui, il banchiere – il nostro, quello tanto avido da diventare persino distratto – possa prestarne solo novantamila, dal momento che diecimila sarebbero vincolati alla costituzione della riserva presso la banca centrale. Una volta reimpossessatosi dei novantamila dati in prestito, il banchiere si vedrebbe di nuovo costretto a depositarne a riserva il 10%, cioè novemila, dovendo pertanto ridurre il suo prestito successivo a ottantunomila. È facile capire che, di questo passo, il nostro banchiere si troverebbe a disporre di cifre sempre più piccole – sempre più prossime allo zero – per le successive erogazioni di credito. In sostanza, il processo moltiplicativo esisterebbe ma fino a un certo punto, dopodiché si esaurirebbe.
Chiunque comprenderà che, se sono state poste nella condizione di ricevere depositi obbligatori da parte di tutti gli altri istituti bancari, le banche centrali sono state messe di fatto nella posizione di chi controlla l’intero sistema. Dopo aver svolto per lungo tempo la comune attività delle banche commerciali – organismi dediti alla raccolta del risparmio e alla concessione di prestiti –, le banche centrali maturano una responsabilità pubblica, sistemica. Non si limitano a rifinanziare le banche, ma vigilano su di esse e sulla loro sana e prudente gestione; curano l’emissione di moneta e ne regolano la circolazione in un contesto che – nel corso del XX secolo ovunque, anche a livello internazionale – assiste al progressivo disancoramento del denaro dall’oro.
Oggi le banche centrali sono istituti di emissione indipendenti, organi della politica monetaria dei Paesi o delle aree economiche che condividono la medesima moneta. Differiscono dalle banche commerciali che producono e diffondono una moneta scritturale o bancaria, quella costituita dai depositi che circolano mediante assegni, bonifici, carte ...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Dedica
  5. Introduzione
  6. PARTE I Le radici dei soldi
  7. PARTE II La fabbrica dei soldi
  8. PARTE III Il miracolo dei soldi
  9. Bibliografia