Gli africani salveranno l'Italia
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Gli africani salveranno l'Italia

  1. 180 pagine
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Gli africani salveranno l'Italia

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Tra la fine del 2008 e l'inizio del 2010 Rosarno è balzata all'attenzione dei media per ben due volte. Sfruttati, ammassati in baraccopoli, emarginati e spesso aggrediti, in un crescendo di tensione e violenza i migranti lottano per il diritto al lavoro ma anche per quello alla vita. In un comune commissariato per infiltrazioni mafiose, la voce degli africani è l'unica a levarsi con forza contro le 'ndrine, e a far paura al sistema. Antonello Mangano, con un'analisi storica ed economica, spiega come e perché siano proprio gli stranieri a reagire dove gli italiani si sono abituati ad accettare, vittime del racket e delle intimidazioni. Secondo Mangano, saranno gli immigrati a salvare Rosarno e forse l'Italia: "Non hanno un tetto, non hanno soldi, vivono in condizioni limite. Al Nord non trovano lavoro, ma un clima di razzismo. Al Sud la situazione è spesso disumana. Indirettamente, in modo forse non cosciente, la loro è una reazione alla mafia, a una situazione che la mafia contribuisce a produrre". Una tesi coraggiosa, che spiega come le ribellioni di Rosarno siano soprattutto una lotta alla 'ndrangheta, che può dare la spinta a un Paese da troppo tempo rassegnato alla malavita.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858652855
Categoria
Sociology
L’ANTIMAFIA DEGLI AFRICANI

Il coraggio di ribellarsi

In pochi mesi – da settembre 2008 a gennaio 2010 – tre rivolte degli immigrati africani al Sud hanno segnato il confine tra la rassegnazione e la protesta. Sono state le uniche ribellioni spontanee degli ultimi anni in risposta ad azioni criminali. Non sono stati gli abitanti di Campania e Calabria a trovare il coraggio della protesta, ma stranieri senza diritti.
Non per caso ha suscitato più attenzione il ferimento degli africani che il continuo stillicidio di calabresi morti ammazzati.
Nella terra senza speranza dei Casalesi, così come nel regno «infernale»1 dominato dai clan dei Pesce e dei Bellocco, sembra che gli italiani non abbiano più voglia o forza di ribellarsi. Nei decenni passati, campani e calabresi hanno perso un duro scontro sociale, hanno patito e soffrono ancora delle azioni militari di clan che vogliono imporre il loro dominio attraverso la paura e l’azione terroristica, forse pagano più di quanto si possa pensare la crisi o la fine di strutture che si basavano su precise ideologie.
Sta di fatto che non ci si ribella più. In queste contrade la legge si scrive a colpi di kalashnikov, e i fatti di cronaca più efferati sono ormai accolti con indifferenza.
Ci voleva, in Campania come a Rosarno, un pugno di africani per segnare la differenza tra il consueto e l’inaccettabile. Per un crudele paradosso, le uniche rivolte contro le mafie più feroci d’Italia sono state fatte da chi non ha diritti, documenti, identità. Uomini consapevoli che alla fine della protesta avrebbero rischiato l’espulsione. Non solo: in qualche caso, le stesse persone sono protagoniste delle rivolte. Dopo aver visto la barbara uccisione dei loro connazionali, infatti, centinaia di ghanesi si sono spostati da Castel Volturno verso Rosarno, come fanno ogni anno per la raccolta delle arance. Dopo poche settimane hanno visto ancora proiettili, e hanno dato vita a una nuova rivolta.
Nello stesso periodo, dal 12 al 17 dicembre 2009, pochi chilometri quadrati di territorio italiano sono sconvolti dalla violenza ai danni di cittadini italiani. I mass media, la politica e la stessa società civile reagiscono in maniera molto diversa, quasi indifferente. Suscita più emozione il ferimento non letale di quelli che sono definiti «fantasmi» o «schiavi», ovvero due degli immigrati impegnati nella raccolta delle arance, che la morte tragica e violenta di tre cittadini dell’Unione Europea. Il discrimine tra i due episodi è la rivolta dei neri da un lato, l’assuefatta indifferenza dei calabresi dall’altro.
Bombe, agguati, attentati, macchine imbottite d’esplosivo, teste di animali mozzati, ragazzi bruciati vivi nelle auto, feriti in agonia o in coma per settimane nelle corsie d’ospedale sono gli episodi «colombiani» che trasformano da anni la cronaca regionale in un bollettino degno di una zona di guerra.2
Questi crimini vengono liquidati con il fastidio di chi preferisce non affrontare il problema: «Si ammazzano tra loro», «queste cose succedono anche altrove», «i media evidenziano solo gli episodi negativi», «sono fatti sporadici». Poche ore dopo il ferimento del 12 dicembre, invece, come abbiamo visto, oltre quattrocento stranieri di Rosarno si erano radunati in strada per una piccola rivolta durata fino all’alba. Il giorno seguente collaboravano collettivamente alle indagini e identificavano il colpevole. Una seconda lezione. Non sappiamo se con il loro gesto gli africani salveranno Rosarno, o l’Italia imbrigliata dalla corruzione, impaurita dalla crisi, antropologicamente regredita. Certamente i loro gesti sono già simboli importanti.

Una strage di italiani

Possono consolarsi gli africani. Il ferimento di due ivoriani ha fatto più notizia di tre calabresi morti ammazzati nel giro di quaranta ore. La sera del 17 dicembre 2008, un bracciante agricolo di sessantatré anni veniva ucciso a Rosarno a colpi di pistola. Il figlio ritrovava il cadavere in mezzo ai campi coltivati a kiwi, in contrada Olmelli. Uno dei tanti fotogrammi di quel film dell’orrore che è la cronaca nera dei paesi calabresi.3
Appena il giorno prima, una strage tra gli uliveti era avvenuta a Briatico, paese sul mare cristallino della costa degli Dei, non distante dalla Piana, il cui consiglio comunale a suo tempo era stato sciolto per mafia.4 Due morti il bilancio, futili motivi e rancori personali la causa scatenante. Ai deceduti va aggiunto un ferito casuale: l’autista di un pulmino di passaggio con a bordo sette bambini della scuola materna. Pochi centimetri, pochi attimi avrebbero trasformato una notizia da pagina interna nella tremenda strage degli innocenti che riecheggia in tutto il mondo.5

Oltre lo sfruttamento, il razzismo mafioso

Rosarno è uno dei tanti paesi agricoli del Meridione dove gli immigrati sono sfruttati. Ma è anche l’unico dove sono stati vittime di sconcertanti episodi di violenza gratuita. Tutto inizia nel 1992, l’anno dei primi arrivi. Gli africani, gli uomini e le donne dell’Est Europa iniziano a sostituire i braccianti locali. Ma col passare degli anni, il prezzo delle arance scende inesorabilmente, da 1400 lire al chilo fino ai 10-20 centesimi di euro odierni. Ma non tutti sono poveri a Rosarno. Ad esempio, non lo sono di certo gli organizzatori della mega-truffa nota come «arance di carta» scoperta nel 2007,6 agrumi virtuali da conferire alle associazioni dei produttori, pesare di fronte a funzionari compiacenti e infine scambiare coi lauti compensi dell’Unione Europea. La truffa, scoperta nel corso dell’Operazione Withdrawal, presentava anche aspetti grotteschi, come spedizioni di frutta a indirizzi inesistenti in Francia, presso cui gli investigatori hanno trovato un museo e un parcheggio.
E gli africani sempre lì, nel fango e nel freddo, non un soldo di più rispetto ai venticinque euro della «paga standard». Figurarsi ora che l’Ue ha stretto le maglie, i controlli sono più severi, le intermediazioni proibite, il crollo del prezzo delle arance renderebbe conveniente solo lasciarle sui rami, almeno per i piccoli proprietari. Figurarsi, se oggi le condizioni dei raccoglitori possono migliorare. Eppure questa non è solo una storia di sfruttamento, che la renderebbe simile a quanto accade nella valle del Belice per la vendemmia, nel foggiano per i pomodori, nella Campania degli ortaggi, nel ragusano delle primizie, nel siracusano dei pomodorini, ovvero le stazioni della via crucis del lavoro stagionale che impegna la fascia più precaria, ricattabile e bisognosa dell’immigrazione senza documenti.
Questa è una storia di razzismo mafioso, violenza gratuita, odio senza motivi, estorsioni nei confronti di poverissimi. Una storia che inizia lontano.
Racconta un testimone: «Ricordo che nel 2006 un ragazzo è stato investito. Chi lo ha colpito, magari non volontariamente, è ritornato sui suoi passi, lo ha visto in quelle condizioni, probabilmente il ferito ha accennato una reazione, l’investitore lo ha ammazzato di botte, forse voleva finirlo. Il ferito è scappato dentro la campagna ed è riuscito a salvarsi. All’epoca abbiamo valutato una denuncia contro ignoti, alla fine la vittima ha detto: “Sicuramente questi avranno la possibilità di farmi ancora più male di quanto me ne hanno fatto, non voglio denunciarlo perché ho paura, preferisco continuare a prendere pochi euro al giorno”.».
Oppure la storia incredibile della festa di fine Ramadan dello stesso anno. «È finita verso mezzanotte, ognuno se ne è poi andato a casa a piedi. Era rimasto un po’ di cous cous. Un ragazzo di diciotto anni torna a casa, ma verso mezzanotte viene aggredito, lo hanno ammazzato di botte. Se ne va in ospedale, la prima cosa che gli hanno chiesto è stata: “Che cosa ci facevi in giro a quest’ora?”.»
Ancora una storia raccolta sul campo: «Nell’inverno del 2007, un magrebino, tra l’altro un ragazzo con i documenti in regola che lavora in uno stabilimento nella zona industriale, è stato fermato da quattro tipi in macchina, che agitavano una paletta come quella della forze dell’ordine. È stato perquisito e fatto entrare in macchina, si è reso subito conto che non si trattava di carabinieri, è riuscito a scappare, lo hanno inseguito, hanno cercato di investirlo. Infine gli hanno preso la bicicletta e l’hanno gettata in un burrone…».
Anche il capitano Boracchia racconta un episodio gravissimo: «Nel novembre del 2007, a Rizziconi, un paese dei dintorni, furono gambizzati tre stranieri in un casolare isolato.»7
Un’ulteriore testimonianza arriva dal reportage del «Guardian»: «Poco prima di lasciare la clinica, sono intervenuto per fermare un gruppo di ragazzi italiani che stavano picchiando dei migranti – racconta Mustafa, cittadino marocchino. – C’è tanta violenza contro gli immigrati. Uno che conosco è stato colpito da una bottiglia di vetro rotta e lasciato senza conoscenza ai bordi della strada. C’è gente che ti punta la pistola e ti rapina tutto. E hanno pure un gioco, lo chiamano “andare per un marocchino”, vanno in gruppo sugli scooter e ti colpiscono con i bastoni quando passi. La polizia non fa niente.»8
È il gioco della Nazionale, in due senza casco sul motorino a sfrecciare sull’asfalto. Ai bordi delle strade ne incontri sempre qualcuno: non puoi sbagliare, sono stranieri per forza, perché qui solo loro vanno a piedi, del resto non ci sono marciapiedi neanche nel centro della cittadina. I rosarnesi hanno tutti la macchina, dalle utilitarie fino alle Audi e alle Bmw nere, è incredibile quante ne passano.
Un altro «divertimento» è quello dei sassi, un gruppo di giovinastri si mette su un cavalcavia dell’autostrada e inizia il tiro al bersaglio.
Il 14 novembre 2008 un misterioso suicidio alla Cartiera: un ghanese di ventotto anni viene trovato impiccato.

Giovani, ignoranti e armati

Nell’inverno del 1999, incoraggiati dal clima creato dalla giunta Lavorato, di sinistra e antimafiosa, alcuni africani inviano al sindaco una drammatica lettera:9
Siamo venuti solamente e unicamente per la raccolta degli agrumi, ma siamo vittime da quando siamo arrivati a Rosarno di una violenza e di ultrarazzismo senza precedenti. Dal nostro arrivo fino a oggi, nei viali, nelle piazze, a volte nei luoghi di lavoro, nei ghetti siamo quotidianamente (ventiquattro ore su ventiquattro, anche durante il riposo notturno) vittime di congiure razziste: ragazzini minorenni che ci sputano in faccia, «brigate» clandestine in moto-scooter… aggressioni inimmaginabili di ogni tipo.
Per paura la brava gente rifiuta di affittarci le case, quindi siamo obbligati a dormire in modo disumano nei ghetti, senza acqua, senza elettricità, [usando come letti] i cartoni raccolti per strada. Il 19 novembre [1999] verso sera alcuni onesti lavoratori dell’Africa nera, fra i quali due senegalesi e un burkinabé sono stati vittime di giovani stupidi, ignoranti e armati illegalmente che facevano il tiro a segno davanti al ghetto. I lavoratori sono finiti all’ospedale… Facciamo appello soprattutto allo Stato italiano a prendere tutte le misure necessarie per fermare questo stato di violenza gratuita.

L’acqua delle pozzanghere

Oggi i migranti schiavizzati lavorano nelle stesse terre dove pochi decenni fa gli abitanti del luogo condussero lotte sindacali di massa per vedere riconosciuti diritti elementari. Alla fine degli anni Cinquanta, le raccoglitrici di olive vivevano condizioni tanto drammatiche da «bere l’acqua delle pozzanghere», come racconta una di esse in un toccante documentario.10 La brutalità degli agrari non era dissimile da quella odierna. Ma molti piccoli proprietari oggi alle prese con gli africani sono gli stessi che occuparono le terre e le dissodarono sventolando bandiere rosse. Fino al recente passato, un durissimo scontro ha opposto il movimento bracciantile prima e il Pci dopo al sistema politico-mafioso. La distribuzione delle terre tra i braccianti, l’organizzazione in cooperative, le lotte ecologiste e per il lavoro nella Piana, l’esperienza del sindaco antimafia Lavorato sono stati momenti tanto importanti quanto poco conosciuti e ormai lontani.11
La fine del movimento, al contrario, ha portato a momenti difficili, fino alla situazione odierna. Oggi Rosarno è un tassello di un mosaico più ampio, quello dell’economia agricola del Meridione segnata da assistenzialismo e truffe, dal distorto sistema del welfare europeo, così come da lavoro nero, caporalato, violenza. Un quadro ben lontano dalle formule consolatorie che continuano a dipingere un Su...

Indice dei contenuti

  1. Gli Africani salveranno l'Italia
  2. Copyright
  3. Introduzione di Valentina Loiero
  4. LA CACCIATA DEI NERI
  5. LE RADICI DELLA RIVOLTA
  6. L’ANTIMAFIA DEGLI AFRICANI
  7. GLI AFRICANI SALVERANNO L’ITALIA
  8. APPENDICE
  9. Riferimenti bibliografici
  10. Sommario