Nel segno della parola
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Nel segno della parola

  1. 128 pagine
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Informazioni sul libro

La parola che da arma difensiva e offensiva si riduce a "merce" (Del Giudice); la parola che si piega a strumento di "prevaricazione", come dimostrano gli eccessi tragici degli ultimi tempi (Eco); la parola dell'uomo che si contrappone a quella di Dio e si fa "diabolica", divenendo veicolo di odio e divisione (Ravasi). Tre autori contemporanei dialogano con i testi di Gerusalemme, Atene e Roma, riuniti qui in un'antologia che ripercorre alcuni momenti esemplari della riflessione antica sulla parola e sul suo rapporto con il potere, dalla Genesi alle Nuvole di Aristofane alle Confessioni di Sant'Agostino. Oggi, nel tempo del rinnovato "impero della retorica", la tragedia è che i padroni del linguaggio mandino in esilio i cittadini della parola. In questa prospettiva la filologia, l'"amore per la parola", trascende il significato di disciplina specialistica e si eleva a impegno morale e civile di ogni uomo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858650684

PER UNA STORIA DELLA PAROLA

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La parola dell’inizio

Esordio assoluto e folgorante, quello che inaugura il “Libro dei Libri” e con esso la storia del mondo: esordio che trova il suo fondamento nella Parola creatrice di Dio, e che attraverso tale Parola scandisce le tappe della creazione. Ad essa si affianca la parola dell’uomo, che in un atto di originaria onomatothesía («imposizione dei nomi») definisce il creato circostante.

1 In principio Dio creò il cielo e la terra. 2 Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3 Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. 4 Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre 5 e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.
(Genesi 1, 1-5; trad. CEI)

19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche.

(Genesi 2, 19-20; trad. CEI)
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Parole che lodano Dio

È la più tipica modalità della poesia religiosa ebraica: di fronte alla parola creatrice di Dio, le creature rispondono con voci di lode e di gioia, di umiltà e di gratitudine. E se la parola del Signore ha attraversato i cieli, per creare l’universo, le parole degli uomini si sforzano di percorrere il cammino contrario, per tornare a Dio.

1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.
2 I cieli narrano la gloria di Dio,
e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento.
3 Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
4 Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
5 Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola [...].
8 La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è verace,
rende saggio il semplice.
9 Gli ordini del Signore sono giusti,
fanno gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi [...].
15 Ti siano gradite le parole della mia bocca,
davanti a te i pensieri del mio cuore.
Signore, mia rupe e mio redentore.
(Salmo 19 [18], 1-15; trad. CEI)

1 Esultate, giusti, nel Signore;
ai retti si addice la lode.
2 Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.
3 Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate.
4 Poiché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
5 Egli ama il diritto e la giustizia,
della sua grazia è piena la terra.
6 Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
7 Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi.
8 Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,
9 perché egli parla e tutto è fatto,
comanda e tutto esiste.
(Salmo 33 [32], 1-9; trad. CEI)

Fiocchi di neve in inverno

Dalle mura di Troia, Priamo e gli anziani consiglieri del suo séguito osservano i guerrieri achei e interrogano Elena sulla loro identità. Nel riconoscere Odisseo, il vecchio Antenore rievoca un episodio che evidenzia le virtù oratorie dell’eroe: un esempio omerico di “stile sublime” – già per i commentatori antichi – che soverchia e ammutolisce ogni avversario.

E a lui rispose Elena nata da Zeus:
«Quello è il Laertiade Odisseo, l’astutissimo,
che crebbe presso il popolo di Itaca pietrosa
e conosce ogni inganno, e densi pensieri».
E allora le disse in risposta il saggio Antenore:
«Donna, davvero questa parola tu l’hai detta bene:
ché già una volta venne qui da noi, il divino Odisseo,
ambasciatore, per te, con Menelao caro ad Ares,
e ospiti io li accolsi, li onorai in casa mia,
e seppi d’entrambi l’aspetto, e i densi pensieri.
Ma quando si mescolarono fra l’assemblea dei Troiani,
in piedi, Menelao superava Odisseo delle ampie sue spalle;
entrambi seduti, ben più maestoso era Odisseo;
ma quando parole e pensieri, per tutti, tessevano,
certo, sì, Menelao arringava fluente,
poche parole ma chiare, perché egli non è né ciarliero
né cattivo oratore: di nascita, era anche più giovane.
Ma quando s’alzava a parlare Odisseo astutissimo
restava immobile, in basso guardava, gli occhi inchiodati
[a terra,
e non agitava lo scettro né avanti né indietro,
ma lo teneva fermo, simile a un uomo inesperto:
l’avresti detto un pazzo, o uno stolto, davvero;
ma quando dal petto, vasta, emetteva la voce
e parole simili ai fiocchi di neve in inverno,
nessun altro mortale, no, con Odisseo avrebbe conteso:
e non si faceva più caso, allora, all’aspetto d’Odisseo».
(Omero, Iliade 3, 199-224; trad. di F. Condello)

La parola che feconda

Che le vie e i pensieri di Dio non siano quelli degli uomini, costantemente intenti ad affaticarsi per ciò che non sazia, è motivo di profonda consolazione. E questa parola divina, che scende necessaria e assoluta come i fiocchi di neve di una retorica veritiera e persuasiva, è un verbo efficace, non vano, che fa germogliare la terra e promette gioia perpetua.

6 Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
7 L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrà misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
8 Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore.
9 Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
10 Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare,
11 così sarà della parola
uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.
12 Voi dunque partirete con gioia,
sarete condotti in pace.
I monti e i colli davanti a voi
eromperanno in grida di gioia
e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani.
13 Invece di spine cresceranno cipressi,
invece di ortiche cresceranno mirti.
(Isaia 55, 6-13; trad. CEI)

La parola dei sovrani

I basiléis («sovrani» e insieme «giudici») ritratti da Esiodo (databile, con molta incertezza, intorno al 700 a.C.) fanno della parola, ispirata dalla Musa Calliope, uno strumento di governo e di consenso, che garantisce loro l’incondizionata ammirazione del popolo.

[Calliope] anche ai re venerandi si accompagna:
colui cui danno onore le figlie del grande Zeus
e guardano benevole alla nascita, fra i re nutriti da Zeus,
sulla sua lingua versano una dolce rugiada
e le parole scorrono amabili dalle sue labbra: il popolo
tutto l’ammira, mentre egli discerne le leggi
con eque sentenze. E parlando sicuro
sapientemente egli placa d’un tratto le liti più acerbe;
ed è perciò che i re sono saggi, perché ai popolani
offesi, in assemblea, compiono il risarcimento
senza fatica, quietandoli con tenere parole.
E quando giunge all’adunanza, tutti lo venerano come un dio
con dolce reverenza, ed egli risplende fra i convenuti.

(Esiodo, Teogonia 80-92; trad. di F. Condello)
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La parola del tiranno

Tradizionalmente riferito all’avvento del tiranno Pisistrato (VI sec. a.C.), il frammento soloniano è il perfetto ritratto del demagogo che raggira il popolo con le sue parole e sovverte la realtà dei fatti, garantendo a sé duraturo potere e ai suoi creduli sostenitori dura schiavitù.

Ma se avete sofferto tristi pene per la vostra stoltezza
ora non datene agli dèi la colpa:
questi uomini li avete fatti grandi proprio voi, voi li avete appoggiati,

perciò patite orrenda schiavitù.
Uno per uno, voi seguite tutti le orme della volpe,
ma insieme siete solo teste vuote:
voi badate alla lingua e alla parola mutevole di un uomo:
di ciò che accade, non vedete nulla.

(Solone, fr. 11 W.2; trad. di F. Condello)

Encomio di Elena

La più lucida teorizzazione – ed esemplificazione – della parola sofistica viene da quel Gorgia che, giunto ad Atene nel 427 a.C., fu ritenuto il vero padre della retorica: una retorica in grado di signoreggiare le opinioni e i pregiudizi che l’anima umana alimenta e che il retore manipola a proprio uso. Nulla è impossibile per la parola, nemmeno vincere cause manifestamente deboli: com’è quella di Elena, riscattata da un discorso che si confessa – dopo tanto sfoggio d’arte e sottigliezza – puro «gioco».

[1] Vanto di una città è il valore dei suoi uomini, di un corpo la bellezza, di un’anima la sapienza, di un’azione l’eccellenza, di una parola la verità; i loro opposti, onta. Un uomo, una donna, un detto, un fatto, una città e un’azione, se meritevoli di elogio, conoscano l’onore dell’elogio. Se immeritevoli, li colga il biasimo. Eguale errore, eguale stoltezza è biasimare ciò che merita elogio ed elogiare ciò che merita biasimo. Dovere di un uomo è che egli affermi secondo giustizia quanto deve essere affermato e confuti <quanto è affermato contro giustizia. [2] È dunque doveroso confutare> chi biasima Elena: lei che condannano unanimi, a una sola voce, <il racconto> dei poeti, la credulità del pubblico e la fama del nome, che è divenuto ormai memoria di catastrofi. Quanto a me, intendo fornire un fondamento razionale alle mie parole, così da scagionare l’infamata dall’accusa, mostrare la menzogna di chi la infama, dimostrare la verità e porre fine a tale stoltezza [...]. [5] Chi e perché e come soddisfece il suo desiderio, e possedette Elena, non starò a dire, perché dire a chi sa ciò che già sa produce credito ma non diletto. Tralascerò quegli eventi e verrò al principio del mio discorso, esponendo le ragioni per cui Elena non poteva non recarsi a Troia. [6] Per volontà della sorte, per decisione degli dèi, per decreto del destino lei fece ciò che fece, ovvero rapita a forza, o persuasa dalle parole, <o fatta preda dell’amore>. Se avvenne per divina volontà, si incolpi chi è colpevole. Perché è impossibile che l’umana intelligenza ostacoli i desideri degli dèi. Mai il più debole ostacola il più forte: natura vuole invece che il più debole sia vinto e sospinto dal più forte, che il più forte guidi e il più debole segua. Il dio è superiore all’uomo per forza, per sapienza e per ogni altra dote. Se dunque al destino o al dio va ricondotta l’accusa, Elena sia prosciolta dall’infamia. [7] Se invece fu rapita a forza, violata contro ogni legge, oltraggiata contro ogni giustizia, il rapitore – è chiaro – fu il colpevole, poiché la oltraggiò, e lei, la rapita, patì danno, perché fu oltraggiata. E il barbaro che compì un delitto così barbaro secondo la parola, secondo la legge e secondo l’azione, merita accusa dalla parola, esilio dalla legge, pena dall’azione. E lei invece – violata, privata della patria, strappata ai suoi cari – chi potrebbe ingiuriarla? Chi potrebbe, piuttosto, non compiangerla? L’uno commise atti indegni, l’altra li subì; giusto dunque commiserare l’una, e detestare l’altro. [8] Ma se fu invece la parola a persuaderla e a incantarle il cuore, non sarà più difficile difendere Elena, e liberarla dall’accusa. La parola è un potente sovrano: minuta e invisibile, essa compie azioni divine. Perché la parola può spegnere la paura, eliminare la sofferenza, alimentare la gioia, accrescere la compassione. Che sia così lo mostrerò: [9] ma occorre mostrarlo anche alla comune opinione degli ascoltatori. La poesia, tutta intera, io la considero e la definisco parola in metro. Un brivido colmo d’ansia, una pietà densa di lacrime, una struggente brama di dolore invadono chi la ascolta; in virtù della parola, l’anima rivive in sé gioie e sciagure di vicende e vite estranee. E ancora, prestate attenzione: [10] i divini incantesimi della parola sono stimoli al piacere, rimedi al dolore; unendo la sua forza alle spontanee aspettative dell’anima, l’incantesimo affascina e persuade e trasforma l’anima in virtù del suo sortilegio. Per due vie sanno insinuarsi incantesimo e sortilegio: gli errori dell’anima e gli inganni del pregiudizio. [11] Quanti hanno persuaso e persuadono, e quanti furono persuasi, e su quanti argomenti, inventando parole menzognere! Perché se tutti sempre avessero memoria del passato, <conoscenza> del presente e prescienza del futuro, la parola, pur uguale, non potrebbe ingannare con uguale efficacia; ma ora non è facile né rammentare ciò che è stato, né comprendere appieno ciò che è, né prevedere ciò che ha da essere. Così, nella maggioranza dei casi, la maggioranza degli uomini elegge il pregiudizio a consigliere della propria anima. E il pregiudizio, che è incerto e malsicuro, fra malsicuri e incerti diletti irretisce chi a lui si affida. [12] [...] La parola che persuase l’anima di Elena fece sì che la sua anima, persuasa, credesse a ogni detto e assentisse a ogni fatto. Colui che ha persuaso ha esercitato costrizione: dunque è ingiusto; ma colei che è stata persuasa ha subito la costrizione della parola: non merita dunque cattiva fama. [13] La persuasione, corroborata dalla parola, imprime l’anima dell’impronta che essa vuole. Guardate alle parole degli scienziati, che teoria dopo teori...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. AVVERTENZA DEL CURATORE
  5. NEL SEGNO DELLA PAROLA
  6. PER UNA STORIA DELLA PAROLA