IV
CONSIDERAZIONI GENERALI
I cicli figurativi che abbiamo considerato servono a un’unica, suprema idea, alla fede nell’immortalità dell’anima. In un’accezione più pura o più bassa, aprono una prospettiva sulla beatitudine dell’esistenza futura. Tanta cura e premura per la vita ultraterrena non può stupire nessuno che conosca il cuore umano e la serietà del sepolcro. E però il risultato è per i più inaspettato, anzi perfino indesiderato. Gli uni vedono il mondo antico danneggiato nella sua classicità, gli altri vedono il paganesimo innalzato a uno stadio troppo elevato di sviluppo religioso; tutti si armano contro chi disturba le opinioni consuete e non esitano a difendere da ogni attacco i loro possedimenti conquistati a fatica. Questa difficoltà a ottenere attenzione anche per i monumenti più eloquenti deriva dal punto di vista mitologico che, santificato da una lunga tradizione scolastica, domina le nostre idee e determina la direzione della ricerca.
La cultura classica conosce in primo luogo il mondo ellenico degli dei. Nelle figure dell’Olimpo omerico essa trova l’unità di misura universale non solo per la valutazione dei singoli fenomeni cultuali ma anche per la determinazione dell’orizzonte religioso in generale. Di conseguenza, i monumenti sepolcrali non sono considerati come una classe autonoma, separata; essi formano invece, assieme agli altri resti dell’arte antica, un ciclo figurativo al quale il mondo degli dei e dei miti ellenici attinge le proprie illustrazioni plastiche e grafiche. Nascono così Gallerie omériche, Orestiadi, Achilleidi, Odissee figurate, e una quantità di altri cicli figurativi relativi agli dei ed eroi più importanti. L’idea funeraria non trova attenzione. Non è nell’orizzonte della dottrina classica degli dei. Ogni relazione ideale che oltrepassi il contenuto immediato della rappresentazione supera i confini della comprensione mitologica comune e va rifiutata come una violazione di più sobrie regole interpretative. Meno che mai può essere tollerata una intromissione di dottrine mistiche sul rapporto tra la vita terrena e quella ultraterrena, tra il corpo e l’anima. Chi la tentasse, disconoscerebbe i superiori pregi del mondo delle divinità classiche, la loro trasparente chiarezza, i netti contorni di tutte le diverse figure, le schietta umanità dei rapporti. Secondo l’unità di misura dell’ideale religioso omerico, ogni misticismo è un turbamento dello spirito ellenico, che solo sotto l’influsso di impressionanti calamità o sotto il peso della vecchiaia poté decadere a tale degenerazione. La paccottiglia misterica appartiene alle infermità dei periodi tardi. L’epoca delle grandi creazioni nell’arte e nella poesia non tollera queste passeggiate dello spirito umano nei giardini incantati dell’al di là. Nessun pittore o scultore eminente fu mai al servizio dello zelo di una fede mistica. Sotto nomi divini, le loro opere magnificano l’ideale umano, e devono essere valutate per il godimento che sempre ci viene offerto dalla bellezza perfetta. Si inoltri pure la speculazione scolastica nei misteri ultraterreni, commenti la relazione del cosmo con la natura umana, e renda pure consapevole l’anima della sua destinazione uranica: il sereno spirito del popolo si allieta dei godimenti della vita presente, incurante di ciò che può accadere nell’ultimo istante. Ai suoi dei il Greco chiede la prosperità sulla terra, e anche i culti cereali nel loro sviluppo eleusino non sono che una supplica per la benedizione del granaio e del talamo coniugale. I riferimenti psichici appaiono solo negli scritti dei pitagorici e dei platonici dei secoli postcristiani, e non possono perciò essere ipotizzati prima neppure nella religione e nei suoi monumenti. Il sorprendente cumulo di terrecotte nei sepolcri si spiega con motivi che non richiedono mai l’abbandono della cerchia ideale ellenica. La maggior parte, per il tipo di oggetto, la tecnica e altre particolarità può essere classificata tra i giocattoli. Altre terrecotte, come il phallus, lo kteis e numerose figure animali, servono contro i malefizi. Alcune sono doni votivi o sacrifici sostitutivi, o comunque segni funerari suggeriti dall’uso, per i quali gli scrittori classici forniscono sufficienti testimonianze. I vasi dipinti si sottraggono a qualsiasi interpretazione mistica o simbolica tanto più in quanto la loro destinazione non offriva in nessun modo pretesti per un simile slancio ideale. È pur vero che tale categoria di oggetti proviene dai sepolcri, né si può contestare che alcune raffigurazioni si ripetano su monumenti funerari, come le pitture parietali, i sarcofagi, le urne cinerarie e perfino sulle lucerne, e che vasi del tutto corrispondenti siano raffigurati su dipinti vascolari come ornamento di monumenti funebri, e ancora che i pochi resoconti scritti che possediamo1 ricordino gli utensili di coccio solo in connessione con i sepolcri. Ma tutti questi dati di fatto svaniscono di fronte alla testimonianza fornita dalle raffigurazioni stesse. Soltanto di rado, infatti, incontriamo scene lu...