Incontri con Clemente Rebora
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Incontri con Clemente Rebora

La poesia scoperta nei luoghi che le hanno dato vita

  1. 192 pagine
  2. Italian
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Incontri con Clemente Rebora

La poesia scoperta nei luoghi che le hanno dato vita

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Tra le tante voci della poesia novecentesca in Italia, quella di Clemente Rebora spicca unica e inconfondibile. Il percorso del poeta milanese parte nel solco del movimento vociano e dura quasi mezzo secolo, innovandosi a incarnare drammi e ricchezze di un'esistenza interamente dedicata alla ricerca della verità. La gioventù laica e "risorgimentale", l'esperienza della depressione e dello smarrimento, l'orrore della guerra, l'amore terreno e la scoperta di un amore più grande, fino alla conversione e alla vocazione. Un travaglio spirituale e creativo che Gianfranco Lauretano ricostruisce per intero, guidandoci passo passo attraverso i momenti e soprattutto i luoghi di una vita sorprendente. Un racconto completo, accurato e coinvolgente nel quale giungiamo al nocciolo di un'esperienza poetica inesauribile, veramente grande perchè capace di dialogare con il lettore senza subire la patina del tempo.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858651414
Argomento
Letteratura
Categoria
Poesia

1

Infanzia e città

I primi anni

Biografi, studiosi e testimoni sono concordi nel descrivere la famiglia di Clemente Rebora in modo benevolo. Il papà Enrico e la mamma Teresa sono persone amorevoli e moralmente rette; dalla loro unione nascono sette figli, dei quali Clemente è il quinto. Una famiglia dunque che corrisponde a ciò che riferisce Rebora, in un ricordo di tarda età citato da Umberto Muratore:
La mia famiglia, così brava, si era però sganciata – al tempo di Garibaldi – dalla sua tradizione cattolica, pur camminando ancora nella sua scia morale, con grande rettitudine, e austerità, ma senza più nulla di soprannaturale.
Il fatto che sia nato il 6 gennaio, giorno dell’Epifania, dev’essere passato dunque inosservato, anche se poi accettano di battezzare il neonato per l’insistenza di certi parenti. Nella Milano del 1885, dove la gran parte delle persone sono cattoliche e la mentalità stessa è intrisa di fede cristiana, il rifiuto del battesimo fa ancora evidentemente scalpore. Ma Umberto Muratore a proposito dei genitori che si professavano «liberi pensatori» e aderivano agli ideali laici risorgimentali, afferma comunque che:
Accanto alla lontananza da una Chiesa-istituzione (veduta come ostacolo alla formazione e all’unione delle patrie terrene), conservavano una pur vaga apertura verso la «radice» da cui germina la Chiesa, così come un qualche riconoscimento agli alti valori morali che da quella radice si sprigionano.
In compenso Rebora figlio doveva essere una testa abbastanza matta, una personcina difficile da gestire per i suoi educatori naturali. Margherita Marchione ci informa che «era di natura impulsivo e, da piccolo, di carattere vivacissimo e in perenne rischio di rompersi il collo». Molto chiaro. Dispettoso coi fratelli, soprattutto con una sorellina, impertinente coi genitori (fa «inquietare il papà per le sue rispostacce», dice ancora la Marchione), disobbediente, non esita a sparire per mezze giornate, soprattutto quando la famiglia si reca in campagna: «Non di rado la famiglia lo cercava, ma inutilmente; poi ecco appariva bruciato dal sole, sporco, scapigliato, e gli occhi splendevano di gioia per l’essere stato con gente semplice, all’aria aperta, in mezzo alla natura». Ma forse non occorre questo ulteriore ricordo della studiosa: basta leggere come il poeta mette in scena se stesso in una poesia intitolata Frammento (Clemente, non fare così!),3 scritta verso i trent’anni, nella quale si descrive bambino. In essa si coglie bene la faccia buona della medaglia che controbilancia le offese, i dispetti, le rispostacce: «E in compenso nei servigi / Fresco e d’impeto a giovare». Una bontà naturale, una generosità e un’allegria innate contraddistinguono Clemente fin da piccolo, cosicché immediatamente dopo i dispetti alla sorella cerca di riconquistarla con piaceri e regalini, dopo i disastri in cucina la solerzia nell’aiutare in casa, dopo le cattive risposte ai genitori le scuse e le promesse di essere più buono. La cosa particolare è che spesso tali scuse venivano scritte in fogli e missive familiari come questa, scritta nel 1897. Promesse di bambino, quindi difficilmente mantenute, soprattutto quella di «non farlo più», eppure tremendamente serie, fatte con fede nella riuscita, perché scaturite dal bene per i propri cari:
Cari genitori, […]
Speriamo che questo sia l’ultimo Natale che prometto di star buono, e che per gli anni seguenti sarò un giovanetto serio, buono e modello […]. Con questi saldi proponimenti, vi auguro Buone feste.
Clemente
Come tutti i bambini, insomma, ciò che interessa a Clemente è di piacere ai genitori e, allo stesso tempo, la constatazione di non riuscirci. Questa e le altre lettere infantili rivelano il desiderio di essere perdonati. È la domanda di un perdono senza neppure meritarselo, la cui esperienza Rebora fece in primo luogo nel rapporto con una persona che rimarrà per lui sempre una presenza luminosa e alta: la mamma.

Il sacrificio che compie

Teresa Rinaldi è una figura centrale e importantissima della vita di Rebora, dal ramo familiare della quale viene, tra l’altro, anche il nome di Clemente, che era quello del nonno materno. La mamma di Rebora entra frequentemente nella sua poesia, ne diventa un personaggio, il punto di coagulo di una simbologia precisa e costante nel tempo. Certe intuizioni, che saranno sviluppate anche nella fase finale della poesia di Rebora, quella “religiosa”, incominciano da subito. All’interno dei Frammenti lirici, la figura della mamma occupa un posto di rilievo nel dodicesimo testo,4 in cui il poeta ne parla esprimendo, al contempo, le sensazioni opposte di ardore e di ombra, «per le case dall’occhiaia strana»: «L’anima tarda, sul balcon tranquillo / Alla mamma vicina io mi riposo: / Spazia ella intorno tacita e divina / Accarezzando guarda». Stare vicino alla madre, in un luogo tranquillo, permette il riposo, il quietarsi di quella tensione continua e quell’ansia di vita che sempre segna Rebora. Lei non fa altro che guardare, ma lo fa in un modo bellissimo, la cui connotazione comincia a rivelarci la straordinaria stoffa poetica di Rebora: «accarezzando guarda». Difficile parafrase un’espressione così densa: occorre immaginare una madre reale e quel modo di guardare che è una carezza. Come dirlo? Molto indicativi sono anche i due aggettivi «tacita e divina», che introducono da un lato all’alta dignità di questa donna, dall’altro a una zona vicina al sovrumano, per dirla con Leopardi, se non ancora al sacro. Questo tema si precisa meglio nello stesso Frammento, più avanti, dove vengono aggiunte alcune connotazioni importanti alla figura della madre: il dono del sangue; la gioia del sacrificio; l’amore come difesa; l’indicare il padre di Clemente. Un commento a parte occorrerebbe proprio per la richiamata «silenziosa carità paterna», ancora una volta un denso coagulo di significato, e ancora una volta un accostamento a un Padre più alto, anch’esso silenzioso e caritatevole in questa parte della vita in cui Rebora non l’ha ancora esplicitamente abbracciato. Una madre dunque di un amore tenerissimo e profondo, che rinuncia a se stessa per l’affermazione del figlio e del padre. Sta in questo il suo sacrificio d’amore, il fare sacro della sua azione. Figura materna la cui tenerezza spesso ricorre nella poesia di Rebora: «E l’universo ingenuo si rivela / Come alla mamma, quando è sola, il bimbo» dice nel Frammento II e ritorna a dire, nel XXXIII: «Quasi bimbo che a mamma dorma in seno»; un sacrificio che arriva a togliersi il pane di bocca, nel LVI: «Come mamma nella fame / Tutto ai bimbi dona il pane» e che, con il padre, costruisce un nido: «L’amor del nostro nido, o mamma, o babbo» per rimanere solo ai Frammenti lirici (in questo caso il LXIII).
Come abbiamo visto la madre torna protagonista in un dialogo col figlio in una poesia intitolata Frammento del 1914, successivo dunque alla prima raccolta dei Frammenti lirici ma ricalcante di essa molte caratteristiche stilistiche e tematiche; e la ritroviamo anche nei coevi Movimenti di poesia, testi, questi, pubblicati dall’autore su rivista e non in volume. Sono versi particolari, in cui Rebora sembra regredire, anche nel linguaggio, all’infanzia («ascolta, blonblòn, l’organetto») e si avvicina a quella infantilità della poesia che ricorda Palazzeschi. La mamma, inoltre, parla nella poesia Prima del sonno. È nella già citata Frammento (Clemente, non fare così!) che il poeta si ritrae bambino, una specie di Gianburrasca, un grillo «tutto salti e badalucchi» che ne combina di tutti i colori. E chi è la madre? «Mi scusavi buono»: l’avvocata del figlio, colei che sta dalla sua parte, sempre e indipendentemente da ciò che combina. La mamma è la persona che sembra amarci più di quanto noi stessi non ci amiamo:
[…]
Rifuggendo spesso a letto
Digiunavo il mio dispetto.
E tu, mamma, un po’ più tardi,
Rincalzando le coperte,
Curva, a sguardi,
Con un bacio sussurravi:
– Clemente, non fare così!
La studiosa Maria Caterina Paino, che ha partecipato ai lavori per una lettura concordanziale della poesia di Rebora scoprendo la ricorrenza frequente di parole che legano il campo semantico della madre a quello del sacro, così si esprime: «Figura centrale, dunque, questa della madre, interprete sin da subito di un ruolo chiaramente salvifico e lungo il corpus lessicalmente portatrice di attributi e prerogative che nel sistema reboriano appartengono alla sfera del divino».5 Nei momenti cruciali della vita del poeta la madre sarà sempre presente in modo amorevole e affermativo, appoggiando il figlio nelle scelte e offrendo il suo discreto ausilio. Così, nell’imminenza del noviziato sacerdotale, è da lei, madre laica di una famiglia di ideali risorgimentali, che riceve l’appoggio più carezzevole (è proprio il caso di dirlo!) e prezioso, come racconta lo stesso Rebora nel 1930:
Questa mattina accoccolato al letto della mamma […], si mostrò interiormente contenta che io divenga sacerdote. E mi disse che mi aiuterà sempre […]; ma poi aggiunse questo: anzi, anche più tardi ti aiuterò…
Una madre dunque che c’è e sta dalla parte del figlio, fino al punto di affermare una fede nell’oltre che viene accolta dal ragazzo trepidante come una meravigliosa ammissione.

Milano, una vocazione nazionale

La Milano che dal 1885 fino allo scoppio della Prima guerra mondiale fu il teatro dell’infanzia e della giovinezza di Rebora, coi suoi primi trent’anni spartiti a metà tra Ottocento e Novecento, è una città straordinaria, dinamica, aperta e vincente. È probabilmente anche l’unica città italiana di livello europeo, che sa tenere il passo col progresso in certi momenti frenetico che caratterizza le più avanzate società occidentali a livello economico, scientifico, tecnologico. La sua classe dirigente è quella borghesia dinamica e intraprendente che contribuirà in modo decisivo a farne la capitale economica d’Italia, anche se non quella politica. Durante tutto l’Ottocento Milano è al centro delle vicende fondamentali che portano all’unificazione della nazione. Il secolo si apre con la città che passa più volte ora ai francesi ora agli austriaci, nel giro di pochissimi anni. Ogni cambiamento politico porta un rivolgimento culturale ed economico: vanno e vengono borghesi e aristocratici, romantici e classicisti (i due termini avevano anche un significato politico: i romantici erano i milanesi, e il termine significava anche moderno, progressista; i classicisti erano gli austriaci occupanti), filoimperialisti, riformisti, filosabaudi e rivoluzionari. E, naturalmente, carbonari e massoni. Ma il filone ideale più importante, che darà a Milano il volto caratteristico vivo fino a oggi, è quello cattolico-liberale. Intanto l’impulso all’impegno e alla lotta verso l’unità d’Italia diventa sempre più forte, tanto da far affermare ad Alessandro Colombo che «Milano è forse la città che per prima ha sentito la vocazione nazionale dell’Italia».6
Durante le Cinque Giornate e i moti del 1848, i democratici federalisti che fanno riferimento a Carlo Cattaneo vorrebbero adottare una soluzione moderata: pur rimanendo nell’Impero austriaco chiedono per la città ampia autonomia amministrativa. Ma l’arrivo dall’Inghilterra di Giuseppe Mazzini, che appoggia l’annessione al Piemonte e la scelta militare, causa il fallimento della proposta federalista; Cattaneo si ritira così oltre il confine elvetico. Ancora Colombo afferma:
Se il riformismo cattaneiano suonava idealista, lo spostamento dei mazziniani verso i moderati consegnò il patriottismo milanese al traino dei disegni piemontesi. Da allora Milano seguirà passivamente il destino del processo di unificazione sabauda, assecondando, non guidando, la costituzione dell’Italia unita.7
Da quel momento è come se, perduta la possibilità del primato politico, la città si fosse gettata a capofitto nel tentativo di conseguire quello economico, riuscendoci tra l’altro perfettamente. Proprio negli anni in cui nasce e muove i primi passi il piccolo Rebora, cioè gli Ottanta del XIX secolo, si afferma l’immagine di una Milano che traina il resto del Paese, sempre un passo avanti in fatto di modernità; e del milanese che lavora sodo e costruisce reddito e progresso, contrapposto al resto di un Paese spesso retrogrado, parolaio, non aggiornato e persino, in molte sacche, sottosviluppato. Lampante è l’esempio dell’Esposizione universale del 1881, che il governo nazionale voleva a Roma, ma che Milano riesce a strappare alla capitale pagando tutte le spese con le casse cittadine; o la costruzione, due anni dopo, della società elettrica e della prima centrale termoelettrica del nostro continente. Le nuove banche, più solide di altrove e resistenti anche alle burrasche finanziarie che, allora come oggi, periodicamente si abbattevano sul tessuto economico degli Stati, consegnano ben presto al capoluogo lombardo la supremazia finanziaria e creditizia, allineandolo alle capitali europee. Alla preminenza economica si accompagna un’intensissima vita sociale, con un gran numero di giornali e di iniziative culturali, fondative e organizzative in campi allora emergenti, come quello turistico, sportivo o dello spettacolo.

Milano diventa Milano

Se intorno al 1820 la popolazione di Milano si aggira sui duecentomila abitanti, poco più di cent’anni dopo supera gli ottocentomila, quadruplicando in circa un secolo. Questo straordinario incremento, che rispetto alla situazione di partenza è unico in Italia, è dovuto in massima parte al fenomeno dell’immigrazione dei lavoratori provenienti dalle altre regioni della nuova nazione: un grande numero di ditte e aziende estremamente vivaci e competitive alimenta la richiesta esponenziale di manodopera. Cambiamenti così estesi e repentini hanno causato in altre città del mondo grandi terremoti sociali; si pensi a Londra e a tutto il degrado umano che l’urbanizzazione improvvisa, seguita alla Rivoluzione industriale, ha portato con sé, così come lo ritroviamo nelle pagine di Charles Dickens e nei personaggi dei suoi capolavori. A Milano, invece, le tensioni sociali sono state assai minori, confermando il carattere accogliente della sua società. Lo scrittore francese Stendhal, che nutriva per il capoluogo lombardo una forte passione, ne parla come se fosse una specie di Rio de Janeiro di oggi: «L’amore folle per l’allegria, la musica e i costumi molto liberi, l’arte di godere la vita con tranquillità...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Premessa su poesia e biografia
  5. Bibliografia essenziale
  6. 1. Infanzia e città
  7. 2. Una giovinezza mazziniana
  8. 3. Arriva la poesia
  9. 4. La musica, i monti, l’arme, gli amori
  10. 5. Le traduzioni dal russo e i Canti anonimi
  11. 6. Il silenzio e la voce di Rosmini
  12. 7. Torna infine la poesia