Nietzsche - Il pensiero come dinamite
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Nietzsche - Il pensiero come dinamite

Da La gaia scienza a Ecce homo

  1. 260 pagine
  2. Italian
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Nietzsche - Il pensiero come dinamite

Da La gaia scienza a Ecce homo

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Gli scritti da La gaia scienza fino a Ecce homo racchiudono il pensiero maturo di Nietzsche. Un pensiero esplosivo, che fa saltare tutto quello che era considerato fino allora stabile, fermo, assodato, sicuro, e che ancora oggi lascia aperti drammatici interrogativi. I saggi introduttivi di Sossio Giametta premessi a tali opere mostrano in che modo Nietzsche persegua, attraverso una scepsi profonda e sconvolgente (in primo luogo per lui stesso), l'ideale dell'indipendenza umana e l'educazione di sé e degli altri alla grandezza, rivestendo di alta poesia la multiforme tragedia del vivere; ma anche in che modo egli, sotterraneamente sospinto dalle correnti dell'epoca, per combattere la décadence nel suo aspetto morboso-estetizzante (wagneriano), sviluppi l'altra sua faccia, quella della violenza, accelerando la crisi involutiva della civiltà cristiano-europea giunta al suo tramonto.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2013
ISBN
9788858650554

Così parlò Zarathustra

1. La composizione

Così parlò Zarathustra è considerato comunemente, con qualche eccezione, il capolavoro di Nietzsche, e tale lo considerava Nietzsche stesso. Ma perché un’opera sia un capolavoro, bisogna che l’autore vi sia dentro per intero, come disse colui che Nietzsche considerava il suo maestro, Schopenhauer. Ora, Nietzsche è interamente in Così parlò Zarathustra, che illumina le opere precedenti e quelle seguenti come il sole i suoi pianeti. Esso mostra in particolare che le opere aforistiche che lo precedettero sono un ibrido tra due tendenze contrastanti: quella della natura ardente e visionaria, poetica e mistica, ben tedesca, di Nietzsche, che aveva già trovato espressione nella Nascita della tragedia, e quella del positivismo anglo-francese da lui abbracciato e ribaltato in senso illuministico per correggere e quasi castigare la propria visione schopenhaueriana e wagneriana, che era frattanto naufragata nella delusione e nel disgusto. In tali opere l’esprit de finesse cozza infatti continuamente con l’esprit de géométrie con cui pretende di sposarsi, anche se esse costituiscono un unicum originalissimo che, pur pregiudicato su temi fondamentali dai postulati positivistici (conoscenza e morale), conserva grande valore come lavoro psicologico, moralistico e poetico. Sul piano filosofico, però, detti postulati inchiodano l’ingegno di Nietzsche, che proprio per il fatto di essersene lasciato suggestionare e strumentalizzare dimostra, per questa parte, mancanza di vera originalità. Anche le qualità originali di Nietzsche ebbero a soffrire dall’abbraccio del positivismo, ma non tanto da non riuscire alla fine – poiché l’originalità è indipendenza e attività – a liberarsene e a trionfarne proprio nello Zarathustra. E questa appunto è la ragione della singolarità ed eccellenza di quest’opera: che in essa Nietzsche riuscì, dopo una lunga e inconsapevole marcia irta di ostacoli e pericoli, a celebrare il trionfo della sua più vera natura, a divenire ciò che era, secondo un’espressione presa da Pindaro ma poi diventata tipicamente sua.
Tuttavia la composizione dello Zarathustra, nel 1883, non fu nella vita di Nietzsche un avvenimento programmato. Ancora nel 1882 egli pensava di dedicarsi per dieci anni allo studio esclusivo delle scienze naturali presso l’università di Vienna o quella di Parigi, per dare fondamento scientifico alla sua teoria dell’eterno ritorno di tutte le cose. L’idea dell’eterno ritorno, che si era affacciata alla sua mente nell’agosto del 1881 mentre camminava lungo il lago di Silvaplana in Engadina, gli sembrava insieme alta e terribile. Con l’affermazione e anzi divinizzazione della vita che comportava, di quella stessa vita che gli appariva d’altro lato grondante di dolore, di angoscia e di disgusto, essa aveva acquistato ai suoi occhi un valore di rivelazione, che gli poneva il dovere di farsene annunciatore agli uomini. Ma egli appunto non voleva farlo finché non si fosse assicurato della sua fondatezza scientifica. Quindi a quel tempo non si proponeva affatto di chiudere il periodo positivistico con la composizione dello Zarathustra, come poi sarebbe avvenuto. Questa fu un’esplosione dovuta in particolare a tre fattori: 1) l’accumulo interiore, 2) il particolare stato fisico e spirituale, 3) l’amore per Lou Salomé. Ma, ciò detto, è innegabile che lo Zarathustra rappresenti, rispetto a tutta la produzione passata di Nietzsche e segnatamente alle sue opere aforistiche, un tale cambiamento e progresso, un tale salto di qualità, un tale dippiù di libertà, felicità, altezza e universalità, che non è inadeguato parlare in proposito di una conversione.
Il punto di forza della conversione precedente (adesione al positivismo) era stato la preminenza accordata all’intelletto sul sentimento e sull’istinto. Il punto di forza di quella attuale fu, in una spirale più ampia, la riconduzione e riduzione della conoscenza intellettuale, riconosciuta derivata e limitata, alla sua base istintiva, dunque una nuova preminenza accordata all’istinto sull’intelletto. Sui rivolgimenti successivi di Nietzsche come sulle loro cause e molto altro ancora ragguaglia ottimamente, nel suo libro F. Nietzsche in seinen Werken (1894), la Russa che era stata sua amica e di cui egli si era innamorato. Ma a Lou Salomé non dobbiamo soltanto il suo utile saggio. Le dobbiamo anche ciò che lo stesso Nietzsche le dovette per la composizione di Così parlò Zarathustra. A quel tempo Nietzsche si trovava in procinto di attingere il suo «grande meriggio», cioè il vertice del suo sviluppo spirituale e biologico. Le oscillazioni della sua salute, che fu sempre una salute-malattia, erano diventate massime, sia nell’esaltazione vitale – dovuta forse già in parte a quell’euforia morbosa che avrebbe preso il sopravvento da Il caso Wagner in poi – sia nella depressione e nell’avvilimento: due cose, queste, che costituirono poi i poli positivo e negativo dello Zarathustra. Sussisteva comunque, fra le oscillazioni positive e negative, ancora una sana – perché feconda – alternanza o compensazione, che consentì a Nietzsche di scrivere La gaia scienza (un libro «che rivela da cento segni la vicinanza di qualcosa di incomparabile»)1 e poi lo Zarathustra appunto, voluto come l’opera del grande Sì alla vita. In seguito quel pur instabile equilibrio si perdette. Nietzsche non raggiunse più vette simili e anzi la sostanza del suo lavoro andò deteriorandosi. La sua salute declinò rapidamente, le oscillazioni divennero sempre più laceranti e maltollerabili, i sentimenti sempre più morbosi, finché la sua mente si spezzò nella pazzia il 3 gennaio 1889.
Se si leggono le lettere che Nietzsche scrisse allora ai suoi amici, si vede che la sua vita si trascinava pesantemente, fra crisi di disperazione intervallate da rari momenti o periodi di gioia e serenità, a parte la tregua alcionia che dovette essere il periodo «buono» con Lou Salomé. La concezione dell’eterno ritorno fu un momento supremo, probabilmente l’impennata massima del suo spirito e della sua vitalità. Essa accese in lui quella «suprema speranza» di cui egli parla ripetutamente nello Zarathustra e che per intanto dovette infondergli serenità e vigore, ispirargli coraggio e fiducia per prepararsi alla «missione della sua vita». Ma anche allora, in fondo, egli non pensava che a una trasvalutazione di tutti i valori, non all’impennata ditirambica dello Zarathustra. Benché infatti chiami l’eterno ritorno la «concezione fondamentale» di quest’opera, tale teoria non vi è esposta che nella terza parte. E però lo Zarathustra fu dapprima solo il Proemio e la prima parte attuale, ritenuti allora tutto lo Zarathustra, e poi solo le prime due parti e poi ancora – fin quando non fu compiuta la quarta parte nel 1885 – solo le prime tre. Ciò fa pensare che dunque, per arrivare allo Zarathustra nella sua scaturigine originaria, Nietzsche dovette percorrere una strada che non portava direttamente all’eterno ritorno. E anche se molto, per la scelta di questa strada, dipese certamente da tutto il nuovo indirizzo che avevano preso i suoi pensieri e, com’egli dice, il suo gusto dopo la svolta della primavera del 1881, non si sa se sarebbe giunto in modo così netto, così «glorioso» alla piena realizzazione di se stesso e del suo genio qualora, alle forze che ormai congiuravano tutte verso tale meta, cioè al fattore interno, non si fosse aggiunto, a scatenarlo e potenziarlo, un fattore esterno: l’incontro, l’amicizia, l’amore per Lou Salomé.
Sull’importanza di questo incontro per la creazione dello Zarathustra non si è finora insistito per la buona ragione che siamo qui nel campo delle ipotesi; ma del «fattore Lou», ossia dell’effetto esaltante che l’amore o l’illusione o il desiderio d’amore per la ventenne Lou fece su Nietzsche nei mesi precedenti la composizione di Also sprach Zarathustra, è difficile esagerare l’importanza. Non solo per quel che l’universale esperienza consente e quasi comanda di pensare al riguardo («L’amour c’est beaucoup plus que l’amour»), ma anche per la decisiva testimonianza di Nietzsche stesso. Nella primavera del 1884 scrisse infatti alla sorella, nemica di Lou:
Una cosa è certa: di tutte le conoscenze che ho fatte, la più preziosa e la più feconda è stata per me quella della signorina Salomé. Solo dal momento che la conobbi diventai maturo per il mio Zarathustra.
Questo elemento biografico, biologico e psicologico insieme contribuì dunque certamente a determinare – per il principio di Pascal che vige anche per i fatti psichici – l’alta ispirazione che permea lo Zarathustra, l’aura poetica e profetica che lo avvolge e in genere quella superiore, eroica positività e «salute» che lo sostengono e che non sono un fenomeno normale nemmeno nei poeti più sani e ispirati. Proprio la sua positività, in presa diretta con la natura di Nietzsche, lo distingue dalle opere aforistiche, dominate dalla scepsi.

2. Il messaggio

Così parlò Zarathustra è certamente un libro chiaro, e per molti ciò significa che quel che Nietzsche vi ha voluto dire non abbisogna di commenti e spiegazioni per esser compreso. Questo è vero se si bada ai particolari, ai singoli pezzi o capitoli che lo compongono; ma per quanto riguarda il significato generale, il suo «messaggio», esso rimane – pur nella sua abbagliante chiarezza – un libro oscuro, il libro più oscuro di Nietzsche. Ciò è confermato da Nietzsche stesso, che lo dice addirittura «incomprensibile», perché si rifà a esperienze che egli non ha in comune con nessuno. È quindi evidente che qui la chiarezza non è tanto perspicuità quanto chiarità, nitore, splendore, è il velo (quasi il vello) luminoso che avvolge la vitalità più profonda. Ma questo significa anche che l’oscurità è determinata dalla densità dei significati, non dalla mancanza di un senso unitario. Rimane però difficile dire quale sia questo senso unitario, e finora è stato elevato a senso generale sempre e solo qualcuno dei suoi sensi particolari. Proprio la ricchezza e stratificazione dei significati, e certo anche la suaccennata nascita dell’opera per aggregamenti successivi, corrispondenti ad aggregamenti successivi interiori, fanno sì che essa si presenti in maniera quanto mai varia e composita. Nello Zarathustra, detto da Lou Salomé «poema mistico», si possono infatti distinguere: cornici narrative, parti moralistiche, parti filosofiche, squarci lirici e mistici, pezzi autobiografici e pezzi profetici. Tutti questi elementi, che sono individualmente rappresentati nell’opera in maniera troppo incisiva e funzionale per non costituirne parti integranti, sono effettivamente atti, nella loro eterogeneità, a confondere la mente circa la sua vera natura. D’altra parte, però, pensare a un centone sarebbe nettamente sbagliato. Perché non ci può essere un «capolavoro» che non abbia un’unità profonda, per quanto difficile da scorgere.
Non resta perciò che considerare lo Zarathustra una summa, la cui unità potrebbe essere costituita dall’aspirazione a dare in un’opera unica la più alta sapienza (verità e saggezza) nella forma più splendida con la visione del passato e la previsione dell’avvenire. Come summa, in effetti, lo Zarathustra costituirebbe un organismo unitario in cui le suddette parti, pur restando autonome, sarebbero collegate tra loro con vincolo essenziale. Ora, se si considera che il problema morale o del vivere integro (la saggezza) è per la filosofia e l’arte in genere, ma per la filosofia e l’arte di Nietzsche specialmente, il problema dei problemi, e che d’altra parte solo il problema morale fa sorgere il problema gnoseologico e il problema estetico, giacché si deve conoscere per agire e l’oggetto del conoscere è la verità, e ci si deve esprimere (la bellezza, è stato già detto, non è ornamento ma espressione); e se inoltre si considera che, affinché la sapienza sia tale, abbia cioè carattere universale e non privato come l’accortezza, deve fondarsi sull’intera esperienza umana e perciò sul passato donde scaturisce il presente, rivissuto e sintetizzato esemplarmente (filogeneticamente) nell’esperienza e nel passato del sapiente stesso, qui del suo «redentore» Zarathustra; e che a nulla vale infine la sapienza se non serve da guida alla costruzione dell’avvenire, dunque come previsione del futuro: ecco che tutto si organizza armoniosamente e si ordina gerarchicamente, in Also sprach Zarathustra, intorno al motivo generatore morale, allo stesso modo che in un organismo naturale tutto si ordina intorno al suo principio vitale.
Naturalmente questa configurazione va suffragata con un’apposita indagine, da condursi con metodo storico-critico, in base anzitutto alle tracce e agli appigli lasciati da Nietzsche e dai suoi interlocutori. Poiché non ci risulta che una tale indagine sia già stata istituita, mentre pullulano le interpretazioni ideologiche e attualizzanti, che non tengono conto del contesto storico dell’interpretato, ci applicheremo a questa indagine cominciando, com’è naturale, da Nietzsche stesso.
Del quale è da dire soprattutto questo: che non riuscì mai a dare, dello Zarathustra, una definizione precisa, pur indicandone ogni volta elementi essenziali. Per esempio, scrivendone all’amico Franz Overbeck, l’11 febbraio 1883, dice:
Questo libro del quale ti ho scritto, una cosa di dieci giorni, mi appare ora come il mio testamento. Esso dipinge con la massima precisione l’immagine del mio essere, quale esso è una volta che io abbia lasciato cadere ogni peso che mi grava addosso. È un’opera poetata e non una raccolta di aforismi.
Poi però, scrivendone all’editore Schmeitzner, il 14 febbraio 1883, lo definisce: «È un poema o un quinto vangelo o qualcosa per cui non c’è ancora un nome». E un’altra volta ancora, scrivendo all’amico Erwin Rohde, il 22 febbraio 1884:
Il mio Zarathustra è finito nei suoi tre atti: […] È una specie di abisso del futuro, qualcosa che dà raccapriccio, ma specialmente per la sua beatitudine. Vi è dentro tutto il mio, senza modelli, paragoni, predecessori; chi vi ha vissuto dentro una volta ritorna al mondo con un altro volto.
Come si vede, Nietzsche oscillava non poco, circa il significato preciso della sua opera. Anzi all’inizio dubitava del suo valore. Nella già citata lettera a Overbeck diceva infatti anche:
Ciò mi fa venire in mente la mia ultima follia, voglio dire lo Zarathustra. Ogni paio di giorni mi capita di dimenticarmene; sono curioso di sapere se abbia un qualunque valore – io stesso questo inverno sono incapace di giudicare e potrei ingannarmi nel modo più grossolano su valore e disvalore.
Il discepolo Peter Gast gli venne in aiuto, facendo risuonare sullo Zarathustra il primo squillo di fanfara:
A questo libro si deve augurare la diffusione della Bibbia, il suo prestigio canonico, tutta la serie dei suoi commenti, su cui si fonda in parte il suo prestigio (lettera del 2 aprile 1883).
Nietzsche gli risponde (il 6 aprile):
[…] nel leggere la Sua ultima lettera sono stato colto da un brivido. Se Lei avesse ragione: allora la mia vita non sarebbe fallita? E meno che mai proprio ora che lo avevo creduto più che mai?
Nietzsche si riprende. Il 28 giugno 1883 scrive a Carl von Gersdorff:
Il tempo del tacere è passato: il mio Zarathustra, che ti sarà mandato in questa settimana, ti dirà quale alto volo abbia spiccato la mia volontà. Non lasciarti trarre in inganno dalla forma favoleggiante di questo libriccino: dietro tutte le sue parole semplici e strane sta la mia più profonda serietà e tutta la mia filosofia. È solo l’inizio del mio farmi conoscere – non di più! So molto bene che non esiste nessuno che possa fare qualcosa di simile a questo Zarathustra.
Da notare che Nietzsche non parla qui mai dell’eterno ritorno. Ne parla Gast dopo aver letto le prime pagine della terza parte:
Questo Zarathustra! A leggerlo si ha quasi la sensazione che da esso in poi si debba dare al tempo una nuova datazione. Un giorno Ella sarà venerato ancor più dei fondatori delle religioni asiatiche, speriamo in modo meno asiatico!
Quindi Nietzsche può scrivere a Overbeck il 10 marzo 1884: «[…] è possibile che nella mia mente sia sorto per la prima volta il pensiero che spacca in due la storia dell’umanità», del quale lo Zarathustra «non è altro che il vestibolo, la prefazione». Ma di ciò oltre. Per ora notiamo che, poiché Nietzsche parla di un quinto vangelo e Gast paragona lo Zarathustra alla Bibbia, lo Zarathustra stesso non va giudicato in sé ma rapportato ai vangeli cristiani. Nietzsche però non parla solo di un quinto vangelo ma anche, in Ecce homo, di «un ditirambo alla solitudine o, se sono stato capito, alla purezza». Il suo vuol essere dunque il vangelo della purezza, come quello di Cristo è il vangelo della carità. Ma che cos’è la caritas? L’amore del prossimo. E che cos’è la purezza? L’amore di sé in quanto amore della vita. Non possono le due cose stare insieme? Sembra di no, dato che Nietzsche ha scritto lo Zarathustra e ha vissuto per contrapporre la visione governata dal principio della purezza a quella governata dal principio della carità. Poiché questa contrapposizione è la base dell’opera, quest’ultima pullula di luoghi in cui l’amore del «remoto» si accapiglia con l’amore del prossimo.

3. Il ditirambo

L’amore della purezza non porta alla felicità, bensì al sacrificio di sé e degli altri. «Al mio amore offro me stesso e il prossimo mio come me stesso», dice Zarathustra («Dei compassionevoli») rovesciando il comandamento di Cristo «Ama il prossimo tuo come te stesso». L’amore di sé che è nell’amore della purezza è dunque lontano da ogni forma di edonismo. Comporta l’obbedienza a un comandamento che è iscritto nella natura dell’uomo e che fa dell’uomo uno strumento ai fini della vita, dell’incremento della vita. Per Nietzsche...

Indice dei contenuti

  1. Nietzsche Il pensiero come dinamite
  2. Copyright
  3. Introduzione
  4. La gaia scienza
  5. Così parlò Zarathustra
  6. Al di là del bene e del male
  7. Genealogia della morale
  8. Crepuscolo degli idoli
  9. Il caso Wagner e Nietzsche contra Wagner
  10. L’Anticristo
  11. Ecce homo
  12. Sommario