Keynes
  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

John Maynard Keynes iniziò la sua carriera di economista quando il capitalismo liberale a dominanza inglese sviluppatosi dopo la rivoluzione industriale mostrava i primi segni di indebolimento, a fronte dell'emergere di nuove potenze e delle trasformazioni interne di ordine sociale. La Grande guerra e la crisi del 1929 seguita dalla Grande depressione assesteranno colpi definitivi a quel modello di capitalismo. Convinto che bisognasse rifondarlo, Keynes domandò allo Stato di farsi carico dei problemi dell'occupazione non in qualità di imprenditore o finanziere ma quale elemento in grado di stimolare l'attività privata attraverso la spesa pubblica. La sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta del 1936 rivoluzionò la teoria economica, fondò la macroeconomia e costituì le basi del moderno Welfare State.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Keynes di Roberto Marchionatti, Mario Cedrini, AA.VV., Roberto Marchionatti, Mario Cedrini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Filosofia e Storia e teoria della filosofia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2022
ISBN
9791255010012
FOCUS

IL PENSIERO E LE OPERE

All’inizio del Novecento, quando Keynes entrò al King’s College di Cambridge per studiare matematica, il mondo occidentale viveva quel periodo di rapido sviluppo della produzione industriale e del commercio internazionale e di crescita del benessere generale, che divenne noto come Belle Epoque e che ora gli storici definiscono come «prima globalizzazione», per la forte integrazione economica internazionale che lo caratterizzò. L’economia internazionale era organizzata intorno a due principi-istituzioni: mercati aperti e sistema monetario a base aurea – il gold standard, un sistema monetario in cui l’oro costituisce la base monetaria e le monete nazionali sono convertibili in oro –, che garantì per lungo tempo una sostanziale stabilità dei cambi. L’equilibrio tra potenze era gestito dalla leadership finanziaria e politica della ricca Inghilterra, centro di un grande impero, anche se nuove potenze economiche, la Germania e gli Stati Uniti, iniziavano in parte a insidiarne l’egemonia. Keynes definirà quel periodo, poi irrimediabilmente cancellato dalla grande guerra, un’«età dell’oro»: «Quale straordinario episodio del cammino economico dell’uomo è l’età che termina nell’agosto 1914!», dimenticando però che lo sviluppo occidentale si reggeva anche sul colonialismo e l’imperialismo che devastarono molta parte del resto del mondo.
L’università di Cambridge rappresentava, insieme a quella di Oxford, il luogo di formazione dell’élite inglese che governava il Paese e l’Impero. La Cambridge di allora era popolata di grandi intellettuali quali il filosofo George Edward Moore, il matematico e filosofo Bertrand Russell e il fondatore della scuola economica di Cambridge, l’economista più autorevole al mondo, Alfred Marshall. Tutti segneranno fortemente la formazione e lo sviluppo del pensiero di Keynes, ma all’inizio furono i primi due ad affascinarlo maggiormente, determinando l’indirizzo dei suoi studi nell’ambito della teoria della probabilità.
La fondazione dell’epistemologia di Keynes è nel Treatise on Probability, risultato di un lungo travaglio intellettuale iniziato con la reazione critica di Keynes alla pubblicazione, nel 1903, dei Principia Ethica di Moore. Il filosofo cantabrigense vi sosteneva una posizione di etica pratica secondo la quale la condotta degli individui doveva seguire le convenzioni sociali esistenti, così ottenendo la più alta frequenza di “buoni” risultati – ciò che è “buono” è percepito dall’uomo attraverso la sua «intuizione morale». Tale posizione etica era in contrasto con quella allora professata da quei giovani intellettuali di Cambridge, in particolare il gruppo degli Apostoli di cui Keynes faceva parte, che rifiutavano di seguire le convenzioni sociali stabilite, affidandosi al giudizio individuale, e consideravano quella parte del pensiero di Moore inaccettabile perché sopravvalutava il criterio economico-utilitaristico della tradizione benthamita (dal filosofo utilitarista del Sette-Ottocento Jeremy Bentham).
Considerazioni di probabilità occupano un posto di rilievo nella teoria di Moore, e questo, scrive Keynes in My Early Beliefs, contribuì «all’impegno col quale, per molto tempo, ho dedicato tutto il mio tempo libero allo studio di questo problema», oggetto della dissertazione di laurea, preparata tra 1906 e 1907. Da questa originò negli anni successivi il Treatise, sostanzialmente concluso prima della guerra, ma pubblicato nel 1921. Keynes formulò una teoria del comportamento in condizioni di incertezza che, nelle sue intenzioni, doveva permettere di mantenere la superiorità del giudizio individuale rispetto alle regole convenzionali. Keynes lavorava dentro la tradizione analitica inglese, e l’influenza di Bertrand Russell è indubbia:
come Russell aveva tentato di dare alla matematica una base logica, così Keynes provò, nella sua difesa della conoscenza probabile contro la certezza, di definire una logica dell’induzione (laddove Russell, con Alfred North Whitehead, ne aveva definito una della deduzione).
Alle teorie frequentiste – di cui Moore fece implicitamente uso – e matematiche della probabilità, Keynes contrappose una trattazione della probabilità come «grado di credenza» (degree of belief) in una proposizione che è razionale avere sulla base dell’evidenza disponibile. La probabilità, lungi dall’essere definibile o misurabile quantitativamente, è oggettiva perché materia di logica: è soggettiva solo nel senso che dipende dalla conoscenza cui è relativa. Discutendo del metodo induttivo, Keynes sottolineava che l’ipotesi di “atomismo” – il sistema sotto indagine consiste in elementi i cui effetti sono separati, indipendenti e invariabili – era plausibile sulla base dell’esperienza: comunemente utilizzata dagli scienziati, l’ipotesi aveva dato buoni risultati in molti campi. Ma è l’ipotesi alternativa – riprendendo Moore, «il tutto ha un valore intrinseco differente dalla somma dei valori delle parti» – e cioè quella di organicismo, che certamente egli adotta a metà degli anni Venti, in un saggio biografico sul grande economista e statistico inglese Francis Y. Edgeworth, che con lui aveva diretto l’Economic Journal: nelle scienze sociali, scrisse, prevalgono problemi di unità organica e di discontinuità, il tutto non è uguale alla somma delle parti, piccoli cambiamenti producono grandi effetti, e le ipotesi di uniformità ed omogeneità non sono soddisfatte. Egli adottò tale posizione probabilmente perché era divenuto un economista, e per di più della scuola di Marshall, che aveva posto al centro della sua indagine la questione metodologica della trattazione di fenomeni sociali complessi, caratterizzati da problemi di unità organica. Fu l’adozione di questo atteggiamento metodologico per affrontare le questioni economiche del suo tempo che rese subito Keynes un pensatore della complessità sociale.
L’economia era divenuta il principale interesse di Keynes negli anni Venti del Novecento. Il riferimento teorico fondamentale fu Marshall, influente in realtà fin dal periodo della formazione intellettuale di Keynes, il quale frequentò le sue lezioni per prepararsi all’esame per entrare nell’Amministrazione Civile, e scrisse brevi saggi che Marshall corresse e commentò. Questi cercò d’indurlo a proseguire gli studi di economia già in occasione del loro primo confronto intellettuale, ma Keynes preferì allora la carriera pubblica all’India Office. Tuttavia, già nell’estate del 1908, dopo il ritiro del suo maestro dall’insegnamento attivo, ritornò a Cambridge come lecturer in economics, ruolo che mantenne fino al 1914. Nel 1911 divenne editor dell’Economic Journal e pubblicò il suo primo libro, Indian Currency and Finance, una riflessione sulla finanza e il sistema monetario dell’India che aprì la sua carriera di riformatore dell’ordine internazionale.
Keynes approfondì progressivamente negli anni successivi la lezione marshalliana dell’esperienza, del realismo e del senso comune, riassumendola magistralmente nel saggio biografico pubblicato sull’Economic Journal alla morte di Marshall, nel 1924. Egli ebbe in alto grado, scrisse, quell’«amalgama di logica e di intuizione e vasta conoscenza di fatti» richiesta dall’interpretazione economica nella sua forma “alta”, e che fa dell’economia un soggetto difficile. Inevitabilmente, dunque, Keynes si dovette confrontare profondamente con la concezione economica di Marshall e con l’idea che il soggetto dell’economia è fondamentalmente complesso, tale da richiedere di superare i confini dei semplici strumenti della teoria astratta.

IL PRIMO DOPOGUERRA E I PROBLEMI MONETARI

Il saggio Le conseguenze economiche della pace, scritto nel 1919, impose Keynes sulla scena internazionale. Responsabile, di fatto, durante la Prima guerra mondiale, del complesso sistema finanziario alleato, e poi delegato del Tesoro britannico alla conferenza di Versailles, nel 1919 Keynes consegnò al mondo una forte denuncia morale dei termini del trattato di pace e insieme una lucida analisi della grande trasformazione subita dall’ordine economico europeo e internazionale. L’«Eldorado» prebellico, un mondo che sembrava distribuire i frutti della globalizzazione senza dimenticare alcuno; il mondo dell’etica vittoriana, della virtù del risparmio e di un’accumulazione di capitale senza precedenti, con l’Europa al suo centro, era ormai un ricordo del passato. La guerra aveva rivelato «la possibilità del consumo immediato», scriveva Keynes, e l’inflazione, redistribuendo arbitrariamente i redditi, avrebbe ulteriormente minato le basi del capitalismo e della stabilità sociale. Soprattutto, sull’orlo del baratro, i governi alleati sembravano mossi dalla volontà di accelerare il declino.
Illustrazione esemplare del rifiuto di Keynes di applicare l’«ipotesi atomistica» alle relazioni internazionali, è l’interdipendenza economica dell’Europa il vero tema delle Conseguenze. Osservava che mirando alla distruzione del «cuore» del «corpo europeo» attraverso l’imposizione alla Germania di disposizioni (eliminazione della capacità di commerciare, e delle industrie di carbone e acciaio) e riparazioni intollerabili (ben lontane dalla capacità tedesca di ripagarle attraverso le esportazioni), gli Alleati avrebbero in realtà condannato se stessi. I famosi e impietosi ritratti dei tre grandi della conferenza (il presidente statunitense Woodrow Wilson, l’ex primo ministro francese Georges Clemenceau e il premier inglese David Lloyd George) segnalano l’irresponsabilità del creditore (unico) statunitense, incapace di assumere la leadership globale, e l’impasse dell’Europa, schiacciata sotto il peso dei debiti interalleati. È di questi ultimi che Keynes, insistendo sulla natura non commerciale dei debiti stessi, chiese agli Stati Uniti la cancellazione, dichiarando la volontà britannica (creditrice nei confronti degli alleati europei) di procedere in tal senso. Un atto di generosità anche interessata, per consentire alla Francia in particolare di ridurre le richieste nei confronti della Germania, e all’Europa di rilanciare (attraverso il «grande schema» ideato da Keynes di un prestito internazionale alla Germania garantito dagli alleati) l’economia del Continente e insieme gli scambi commerciali con gli Stati Uniti, altrimenti destinati a essere, nell’immediato futuro, a senso unico, contro l’interesse degli Americani stessi.
Gli Stati Uniti non presero mai in considerazione la proposta di Keynes che, nel rimarcare l’assenza di considerazioni economiche tra le ragioni che condussero al Trattato di pace, evidentemente sottovalutò quelle prettamente politiche. Ex post, tuttavia, il quarto ritratto – quello del banchiere tedesco Carl Melchior («nemico sconfitto»), con il quale Keynes negoziò l’approvvigionamento di viveri alla Germania – rivela la drammaticità del passaggio storico e la consapevolezza che ne ebbe il Keynes difensore della «dignità» dei vinti.
La prima depressione post-bellica indusse Keynes a concentrarsi sui problemi domestici di una Gran Bretagna scossa da veementi oscillazioni del potere d’acquisto della moneta (fenomeni inflattivi prima, nel biennio 1919-20, e deflattivi poi, fino al 1922), anche se l’insistenza sull’instabilità della moneta come costo di produzione, e soprattutto fattore primario d’instabilità sociale, è in realtà il risultato di riflessioni risalenti proprio alle Conseguenze. L’analisi degli effetti dell’inflazione e della deflazione, proposta ne La riforma monetaria del 1923, divenne rapidamente un classico del genere: i due mali redistribuiscono la ricchezza e alterano i comportamenti. L’inflazione, ingiusta, è il male minore, perché trasforma certo l’imprenditore in profittatore, ed erode i salari della classe lavoratrice, ma la deflazione, dannosa, avvantaggia l’elemento improduttivo, il rentier, e deprime l’attività economica stessa, con risultante disoccupazione.
L’intento dell’opera è quello di trasformare i responsabili della politica monetaria in veri e propri controllori delle fasi di espansione e recessione del sistema.
Occorre regolare la moneta, per via di «decisioni deliberate», poiché l’ottica classica, e la presunta autoregolazione del sistema, richiedono di attendere il lungo periodo, che è «guida fallace per gli affari correnti»: «nel lungo periodo, saremo tutti morti». Il rifiuto dell’automatismo domanda inoltre, poiché scelta deve essere tra stabilità dei prezzi (interni) e stabilità dei cambi visto che i prezzi esteri sono esogeni, e il cambio si stabilizza solo quando siano stabili entrambi i livelli dei prezzi, interno ed esterno , di privilegiare la prima sulla seconda, e dunque di scongiurare (qui l’eresia di Keynes) il tanto atteso ritorno alle “sane” regole dell’oro, necessariamente foriero, per la Gran Bretagna dell’epoca, di deflazione.

L’OPPOSIZIONE AL SISTEMA AUREO

Fu il cancelliere dello scacchiere Wiston Churchill, nell’aprile del 1925, ad annunciare il ritorno della sterlina alla parità aurea, nel quadro del generale tentativo di ricostruzione dell’ordine pre-bellico, e dunque la rivalutazione del cambio del 10%. Pochi mesi dopo Keynes pubblicò Le conseguenze economiche di Winston Churchill, un pamphlet basato su tre articoli pubblicati sul quotidiano londinese Evening Standard, indicando le ripercussioni negative della rivalutazione per la bilancia dei pagamenti (già stressata da prezzi e salari domestici troppo elevati) e la struttura produttiva del Paese. Per Keynes, il ritorno all’oro scoraggiava le esportazioni, riducendo la competitività di un’industria esportatrice già in difficoltà, e faceva apparire “necessaria” una riduzione dei salari. Al contempo, s’incoraggiavano le importazioni, a danno della bilancia commerciale: ne derivava una riduzione delle riserve auree, e l’obbligo per la Banca centrale di mantenere elevato il tasso di interesse per attirare capitali esteri. All’Inghilterra, per la prima volta debitrice, serviva una diminuzione dei prezzi del 10%. La teoria classica puntava sull’“automaticità” dell’aggiustamento: indebolendo i sindacati, la disoccupazione consente una diminuzione dei salari e di qui il miglioramento della bilancia commerciale; la riduzione dei tassi d’interesse stimola gli investimenti e dunque produzione e occupazione. Keynes riteneva invece che il movimento sindacale fosse più forte di quanto supposto, e l’industria inglese vittima in realtà di difficoltà strutturali: «gli esperti di Churchill hanno […] sottovalutato la difficoltà tecnica di ottenere una riduzione generale dei valori monetari interni», scrisse, temendo che «le elaborazioni del consiglio di Churchill escano da quell’immaginario mondo secondo il quale i necessari riassestamenti derivano automaticamente da una sana politica della Banca d’Inghilterra». L’effetto della decisione di Churchill era una riduzione del credito, che intensificava la disoccupazione e creava nuovi problemi sociali, quando una politica di facilitazioni creditizie avrebbe invece incoraggiato gli imprenditori ad assumere nuove iniziative. La politica deflattiva, sottolineava infine, è utile per frenare un boom incipiente: «sventura a chi se ne serve per aggravare una depressione!».
In un pamphlet scritto con il collega Hubert Henderson, Can Lloyd George Do It?, in sostegno del programma di stampo socialdemocratico del candidato liberale – che peraltro non ammirava – Keynes affrontò di punta la gravità della disoccupazione, mai scesa dal 1921 sotto il 10%. Gli autori ne sottolineavano il costo, con riferimento al fondo di disoccupazione. Con le risorse del fondo, calcolavano, si sarebbero potuti costruire milioni di case, o ricostruire un terzo delle strade del Paese, o avviare una profonda ristrutturazione del sistema industriale. Uno spreco al quale si aggiungevano le perdite subite dai disoccupati, economiche e non, dovute cioè allo «sfibramento fisico e morale»; la riduzione di profitti per gli imprenditori e di introiti fiscali per il Tesoro; la perdita («incalcolabile») «implicita nell’aver rallentato per un decennio il progresso economico del Paese». Un programma di sviluppo di 100 milioni di sterline avrebbe invece reinserito mezzo milione di individui (poco meno di metà dei disoccupati del 1929) nella produzione. Le obiezioni tradizionali al programma erano infondate, sostenevano Keynes e Henderson: da attuarsi per contrastare una recessione, il piano non avrebbe potuto creare inflazione, né ridurre l’offerta del capitale per l’attività economica privata, potendo contare (oltre al fondo per la disoccupazione), su risorse inutilizzate e sul risparmio dirottato sui titoli stranieri. La riflessione sull’inefficacia del riequilibrio spontaneo di mercato e, quindi, sul ruolo dello Stato in economia, portò naturalmente Keynes a riflettere sul principio liberale classico del laissez-faire e sulla natura del liberalismo.
Ormai esplicito sostenitore di un’azione pubblica in grado di «salvare il capitalismo da se stesso» («Tengo a informare i signori della City e dell’alta finanza che, se non daranno retta in tempo alla voce della ragione, i loro giorni potrebbero essere contati»), Keynes mise sotto accusa, in lezioni tenute tra il 1924 e il 1926, pubblicate (nel 1926) con il titolo La fine del Laissez-faire, quello che definì il dominante «pregiudizio» dei suoi predecessori liberali a favore del laissez-faire. Invitando a liberarsi dei principi metafisici sui quali quest’ultimo riposava, Keynes criticò il «teorema della mano invisibile»:
“IL MONDO NON È GOVERNATO DALL’ALTO IN MODO TALE DA FAR COINCIDERE SEMPRE L’INTERESSE PRIVATO CON QUELLO SOCIALE […]. NON È CORRETTO DEDURRE DAI PRINCIPI DELL’ECONOMIA CHE UN “ILLUMINATO” INTERESSE PARTICOLARE OPERI SEMPRE NELL’INTERESSE PUBBLICO. E NON È NEPPURE VERO CHE L’INTERESSE PARTICOLARE SIA IN GENERE ILLUMINATO: IL PIÙ DELLE VOLTE GLI INDIVIDUI CHE AGISCONO IN PROPRIO PER PERSEGUIRE FINI PERSONALI SONO TROPPO IGNORANTI O TROPPO DEBOLI PERFINO PER PERSEGUIRE QUESTI LORO FINI.1
Keynes sottolineò che il rimedio ai maggiori mali economici del tempo, molti dei quali «conseguenza del rischio, dell’incertezza e dell’ignoranza», è al di fuori del raggio d’azione dei singoli, la sua natura è sociale (per esempio, una politica monetaria attiva). In generale, come disse in una conferenza tenuta alla Liberal Summer School a Cambridge nel 1925 dal titolo Am I a Liberal...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. KEYNES, LA RIVOLUZIONE INTELLETTUALE DEL CAPITALISMO
  6. PANORAMA
  7. FOCUS. a cura di Roberto Marchionatti e Mario Cedrini
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell’opera