Per aspri sentieri
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Per aspri sentieri

  1. 126 pagine
  2. Italian
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Per aspri sentieri

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Informazioni sul libro

Quando Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia, nel giugno 1940, Norberto è uno studente liceale; vive gli eventi drammatici e convulsi di quegli anni con la passione, il desiderio e la paura di crescere tipici della sua età. E ora, ormai anziano, ricorda e racconta. Il filo della memoria si dipana lungo i decenni, scorre sulla Roma occupata dai tedeschi e sulla Liberazione, sul primo amore e sugli studi, quando scopre la passione per la scienza sperimentale, diventa chimico e trova lavoro alla dogana di Genova, dove si fa amare e rispettare per la sua competenza e onestà. La sua vita di uomo è illuminata dagli affetti, per il figlio Vittorio, per il nipote Giulio, ma soprattutto per la moglie Maria Pia, la compagna con la quale condividerà le gioie, le sofferenze, le sorprese, gli sconforti e gli entusiasmi di un'intera esistenza. Fino a quando alla donna non verrà diagnosticato un male destinato a consumarla e spegnerla. E assieme a lei anche Norberto dovrà incamminarsi per un nuovo "aspro sentiero", quello della malattia, del dolore, della perdita. Per aspri sentieri è il racconto, sobrio e commovente, della vita di un uomo "normale", testimone di uno spaccato della storia d'Italia, dagli anni Quaranta al Duemila. Ma è anche uno struggente ultimo omaggio a una figura di donna amatissima, alla giovinezza, alla vita.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788835708087
Argomento
Storia

L’anelito

Combattenti di terra, di mare e dell’aria!
Le parole di Mussolini rimbombavano ancora dagli altoparlanti cittadini.
Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e Francia.
Acclamazioni e grida altissime inneggianti alla guerra.
Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.
Un’orda di giovani in fez e camicia nera si riversò nei corridoi dell’istituto San Giuseppe di Torino e nelle aule piene di alunni.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo!
Acclamazioni sempre più alte.
Popolo italiano corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore.
Un gruppo di energumeni urlò: «Uscite a gridare la nostra esultanza e il nostro entusiasmo per il Duce».
Norberto e i suoi compagni di classe si appiattirono contro le pareti dell’aula mentre fratel Henry, un valdostano segaligno, urlava «fuori», ricevendo per tutta risposta una boccetta di inchiostro che lo prese di striscio.
Intanto era accorso il bidello Agapito che – spinti fuori dalla classe gli invasori più scalmanati – era riuscito a chiudere la porta a chiave mentre la canea vociante si allontanava in un fragore di vetri rotti.
Qualcuno in aula disse a voce alta: «Potevamo unirci a loro!», ma fu subito zittito.
Al collegio San Giuseppe di Torino, retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane, ordine religioso francese, la maggior parte degli alunni valdostani e valsusani era tiepida nei confronti del regime: non sempre si partecipava alle adunate del sabato. Norberto, almeno inizialmente, non era tra i più scettici. Conservava in bell’ordine la sua divisa da balilla e, ai raduni, aveva cantato anche lui: «Nell’Italia dei fascisti anche i bimbi son guerrieri, siam balilla o moschettieri del regime il baldo fior», pur non avendo mai avuto tra le mani un moschetto.
La sua vera passione era il calcio, indossava con orgoglio la maglia bianconera della Juventus ma non trascurava per questo lo studio, risultando tra i migliori della classe.
Il padre, Comandante Vittorio, ufficiale di marina con un brillante stato di servizio, era vedovo da molti anni. Norberto e il fratello minore, Arrigo, erano entrati al San Giuseppe rispettivamente a nove e sei anni. Arrigo era un tipo tosto, ribelle per natura, svagato e assente. I due ragazzi erano stati messi in collegio come convittori perché a Mondovì, dove erano nati, la nonna e la prozia materna non ce la facevano più a tenerli.
A ogni inizio di anno scolastico prima di separarsi per entrare nelle loro camerate Norberto diceva ad Arrigo: «Ricordati di tenere alto l’onore dei Novari», ma il fratellino aveva la testa altrove. Un anno il Rettore, rimproverandolo per il pessimo voto in condotta, l’aveva richiamato: «Novari, ma dove hai la testa?». «Sul collo», risposta che fruttò ad Arrigo una sequela di castighi.
Un paio di giorni dopo la dichiarazione di guerra fatta da Mussolini, anche a Torino si incominciò a sentire il lugubre suono delle sirene d’allarme. La Direzione del collegio aveva predisposto un capiente rifugio antiaereo nel locale sottostante il piano terra del grande edificio, adibito normalmente a cinematografo o a teatrino.
Al suono delle sirene, Dante de Laudis di Bardonecchia, allegro, rubicondo ed egregio sciatore, schizzava giù per le scale gridando: «Che bello! Ci faranno vedere “Le comiche di Ridolini”, “L’ultimo dei Moikani” o “Mocambo, gigante nero”» e per qualche sera, mentre le prime vittime italiane insanguinavano le strade della città colpite dalle bombe francesi, Norberto, Arrigo, Renzo Guglielmetti, il milanese Augusto Spina e i loro compagni guardavano i film, incantati.
Dopo pochi giorni sopravvenne l’armistizio con la Francia, i bombardamenti diminuirono d’intensità e, cosa più importante e attesa, finì l’anno scolastico con ottimi voti da parte di Norberto e la solita risicata promozione per Arrigo.
Indimenticabile l’estate del 1940, ricca di avvenimenti per i due fratelli!
Allo scoppio della guerra, il Comandante Vittorio era a Taranto, primo ufficiale del cacciatorpediniere Carducci, mentre Norberto e Arrigo, con nonna e zia, erano stati sfollati in uno sperduto paesello delle colline di Mondovì, Montaldo, in una casetta attorniata da boschi. Davanti a casa c’era un bello spiazzo con un robusto albero di ciliegie, dove fu subito installata un’altalena, strumento – soprattutto da parte di Arrigo – per rocambolesche esibizioni. Un sentierino conduceva alle rade abitazioni del paese, toccando prima la chiesetta, poi l’ufficio postale e, infine, l’emporio dove si faceva la spesa.
L’ascolto della radio, unico collegamento con il mondo esterno, e la recita serale del rosario erano gli ineluttabili riti giornalieri che coglievano i due fratelli sempre mezzi addormentati.
In quel minuscolo borgo cercarono altri ragazzini come compagni di giochi: sembrava che non ve ne fossero all’infuori di quelli del paese. Invece spuntarono fuori, come d’incanto, Amerigo e Alfredo, savonesi, Arianna e Willy, genovesi con una mamma appariscente come un’attrice e una zia, asciutta e silenziosa, dallo strano nome: Lande.
Il più intraprendente del gruppo era Willy, in perenne litigio con la sorella. Genialoide, aveva costruito un marchingegno con una ruota dentata trovata chissà dove che, azionata dalla corrente di un torrentello, segava piccoli tronchetti di legno che le abili mani di Willy trasformavano in modellini di navi, sagome di carri armati e cannoncini.
Intanto il Comandante Vittorio, in quell’estate del ’40, nelle acque di Punta Stilo, al largo delle coste calabresi, la guerra la faceva per davvero.
Al comando del suo caccia si gettava all’inseguimento di unità nemiche in superiorità numerica lanciando siluri ed emettendo cortine fumogene: l’azione della sua squadriglia, riportata nei bollettini del comando supremo, consentiva di far riparare le navi da guerra gravemente danneggiate. In riconoscimento del suo ardimento gli venne conferita la Medaglia di bronzo al valore militare.
Nel paesello di montagna invece, dove gli unici suoni erano i campanacci delle mucche, malgrado tutto la vita continuava, il gruppetto dei cinque ragazzi con Arianna al seguito si scatenava sempre più. Si costruivano archi e frecce rudimentali con i canapuli dei campi e si facevano dei raid spaventando le povere contadine, intente nelle aie a recitare il rosario.
Se Arrigo ancora non aveva terminato i compiti delle vacanze, Norberto era al passo e, ai primi di settembre, gli pervenne una sorprendente quanto gradita convocazione: il padre, come premio per il buon andamento scolastico, lo voleva accanto a sé per qualche giorno. Un sottoufficiale sarebbe venuto a prelevarlo a Mondovì per un viaggio che si preannunciava interminabile, e avrebbe alloggiato a casa dell’ufficiale di macchina del Carducci, marito di una signora di Taranto.
Di quel viaggio Norberto avrebbe sempre riportato un ricordo nitido: nell’infuriare di un temporale un risveglio improvviso tra gli scrosci di pioggia battente e il nome di una stazione: Marcianise.
All’arrivo nella stazione di Taranto una signora bruna, piacente, briosa, l’avrebbe abbracciato: «Sei Norberto, è vero? Benvenuto!» disse «Papà è in missione, ma domani rientra alla base».
Il giorno successivo l’incontro tra padre e figlio fu commovente e l’accoglienza a bordo molto calorosa. Il Comandante era decisamente benvoluto dall’equipaggio per le sue qualità militari e il suo ardimento non disgiunti da un atteggiamento burbero ma al tempo stesso molto sensibile alle esigenze famigliari e, perché no, economiche dei sottoposti.
A Norberto risultò particolarmente simpatico l’ufficiale di macchina, marito della signora che lo ospitava, il quale si muoveva a suo agio tra strumentazioni, tubi, cavi, manopole, dinamo che davano la carica al motore elettrico e trattava i suoi subalterni come figli. Altra figura che conquistò il ragazzo per la sua simpatia era l’ufficiale di rotta, un napoletano dal fisico atletico, sempre allegro e sorridente, irresistibile nei confronti del gentil sesso.
Frequenti erano le visite alle unità alla fonda nel mar Piccolo, indimenticabile quella al sommergibile oceanico Cappellini. Entrato dal boccaporto e disceso con una ripida scaletta nel ventre del “mostro”, Norberto fu fatto accostare al periscopio prima di accedere alla camera di lancio dei siluri. Gli tornò in mente un bellissimo film, Uomini sul fondo, visto nella sala cinematografica del collegio. Il solo ricordo di quelle immagini, di un sommergibile miracolosamente scampato alla distruzione dalle bombe di profondità dei caccia inglesi dopo essersi posato sul fondo marino al limite di resistenza delle lamiere, gli fecero venire i brividi.
In quei giorni spensierati a cena si andava al Circolo della Marina, edificio solenne di molti piani con ampi saloni, lampadari lussuosi, lucidi pavimenti di marmi pregiati, stanze di lettura, sale con grandissimi biliardi e, alle pareti, quadri di battaglie navali e illustri ammiragli.
Lì, una sera, una signora bionda, bella come un angelo, dopo un baciamano alquanto impacciato del ragazzo, lo strinse a sé e, rivolgendosi al Comandante Vittorio: «Novari, è tuo figlio? Che bel ragazzo!». La signora bionda era la moglie dell’Ammiraglio Mascherpa, l’eroe dell’isola di Lero e Medaglia d’Oro al valor militare, che con i suoi uomini avrebbe poi conteso fino all’ultimo ai paracadutisti tedeschi quel lembo di terra prima di essere fucilato a Parma dai nazifascisti dopo un beffardo processo.
Norberto conservava anche un altro flash di quella permanenza tarantina.
Un giorno, mentre era nella cabina del padre con la nave vuota e gli ufficiali a rapporto, udì in lontananza un marinaio cantare:
Mailù, sotto il cielo di Singapor,
in un manto di stelle d’or,
fioriva il nostro amor.
Sulla scrivania del padre c’era un pacchetto di sigarette «Samos Export», mezzo aperto. La tentazione era forte, Norberto sino ad allora aveva fumacchiato soltanto steli di camomilla, sospinto da Arrigo (e chi se no?). Si chiuse nel bagno, aprì l’oblò e, voluttuosamente, dal bocchino d’oro con il filtro tirò le prime boccate della sua vita. Poi si sciacquò la bocca con il dentifricio liquido Odol e, in aggiunta, si profumò abbondantemente.
I giorni con il padre scorrevano rapidi come in un film, intervallati dagli ordini improvvisi del Comando navale: «Pronti a muovere in sei ore». Il ponte girevole si apriva e le navi lo attraversavano in linea di fila, avviate a una nuova missione bellica. Un solo pensiero “Papà tornerà?”.
Al ritorno di Norberto a Montaldo, mentre gli amici lo tempestavano di domande, Arrigo non fece mistero della sua gelosia per il viaggio del fratello. Ma qualche tempo dopo anche per lui venne il tempo di un “viaggio premio”: un soggiorno a Roma in casa di amici. E giunse pure il momento dell’addio ai compagni di avventura, «Arrivederci all’anno prossimo», e alle casette della vallata immerse nel verde dei fitti boschi.
Poco dopo la riapertura dell’anno scolastico nell’autunno del 1941, due avvenimenti scossero il trantran dei fratelli Novari: il trasferimento del padre dal cacciatorpediniere Carducci al Ministero della Marina e, in una domenica di novembre, la comparsa nel parlatorio del collegio di una misteriosa signora, mai vista prima, con una grossa scatola di cioccolatini. Portava un cappellino verde, aveva un’aria distinta, ma parlava con uno strano accento non facilmente riconoscibile. L’incontro si protrasse a lungo e la reazione dei due fratelli fu del tutto diversa, per non dire opposta: guardinga al limite del sospetto quella di Norberto, vivace e aperta quella di Arrigo che lasciò la visitatrice di buon umore.
Quella strana e inattesa visita fu presto dimenticata anche perché non tardò a venire la neve e, con essa, le gite sciistiche domenicali a Bardonecchia.
Arrigo e Norberto avevano preso dimistichezza con lo sci molto presto, già durante le vacanze natalizie di qualche anno prima a Mondovì, dove le piste erano vicini all’abitato e i ragazzi avevano avuto in regalo sci, scarponi e bastoncini.
Per insegnare i primi rudimenti tecnici – cristiania, spazzaneve, slalom – era stato scelto un avanguardista sciatore del posto il quale sapeva metterci tanta buona volontà; tutti i suoi sforzi vennero coronati da successo con Arrigo, meno con l’altro fratello, decisamente più pauroso. I due sapevano però stare sugli sci senza cadere continuamente come altri.
Le domeniche a Bardonecchia erano entusiasmanti, un vero trionfo per De Laudis che era del posto, ma se la cavavano bene anche Lorenzo Guglielmetti e Augusto Spina. Dopo il pranzo si raggiungevano le piste con la troika, una motoslitta a dodici posti, dalla quale si scendeva in prossimità della seggiovia che portava ai punti di partenza dei vari percorsi. Norberto con alcuni compagni, Ezechiele Abate, Teo Capris e altri, sceglieva quelli più facili, dove si poteva anche sostare in un boschetto e togliersi gli sci prima di proseguire. Arrigo, spericolato come sempre, non guardava le pendenze e si lanciava a capofitto.
E proprio in quel boschetto si consumò il secondo incontro di Norberto con il fumo insieme ad Abate e Capris sempre provvisto di Mentola, “la sigaretta alla menta che non irrita la gola”, come risuonava lo slogan pubblicitario.
L’anno 1941 volgeva al termine e il Comandante Vittorio fece una scappata a Mondovì e di fronte alla nonna e a zia Tecla svelò chi fosse la sconosciuta visitatrice dei due ragazzi: si chiamava Agnese Contini ed era romana; si erano sposati nel maggio di quello stesso anno e già aspettavano un bebè.
Norberto avvertì un groppo alla gola e si chiuse nel bagno sentendosi come tradito: allora la signora con il cappellino verde, quando era venuta a Torino, era già la sua matrigna!
Ai primi di giugno Agnese Contini arrivò in Piemonte per un breve giro di presentazione al parentado, ma poi rientrò precipitosamente a Roma per l’avanzato stato di gravidanza. Da un anno Norberto e Arrigo avevano una matrigna che per l’avvenire avrebbero concordemente chiamato “Mammina” ed erano stati gli ultimi a saperlo!
Quell’ultimo scampolo di vita collegiale Norberto voleva goderselo appieno: le passeggiate in collina e in riva al Po, i favolosi gelati di Pepino da cinquanta centesimi. Ma a dare il colpo di grazia al suo stato d’animo già incline alla tristezza ci si mise il nuovo professore di camerata, fratel Herberth, tedesco di Pomerania, duro e severissimo, animato da profonda e inspiegabile antipatia verso di lui.
Costui una sera passò il segno, tanto da provocare un intervento deciso nei confronti del Rettore da parte del Comandante Vittorio, avvertito da Arrigo.
Dopo le preghiere della sera nel dormitorio della camerata venivano spente le luci: rimaneva accesa solo una lampadina bluastra posta sopra l’accesso del vasto locale. Norberto non ricordava di aver mai parlato nel sonno: invece quella sera, dopo qualche minuto dallo spegnimento delle luci, forse per un incubo emise un grido. «Chi è stato?» urlò fratel Herberth, uscendo dalla sua cameretta. Due o tre voci dissero: «Novari»; al ché il religioso, avvicinatosi con aria minacciosa al letto di Norberto, lo prese per un orecchio, gli buttò addosso una coperta e, incurante del pianto del ragazzo, lo sbatté fuori dal dormitorio in un cantuccio vicino alle scale. Norberto dormì malissimo e il giorno successivo un attacco febbrile lo costrinse in infermeria per un principio di bronchite.
Da quel giorno Norberto, spostato in un’altra camerata, cominciò a covare quel profondo sentimento di avversione verso i tedeschi che lo accompagnò negli anni successivi, influenzando non poco i suoi atteggiamenti.
Verso la fine dell’anno scolastico, però, il ragazzo si tolse una bella soddisfazione. Era stato inserito come mezz’ala sinistra nella prima squadra del collegio, categoria allievi, e poteva così indossare l’adorata maglia della Juventus. Il torneo con altri istituti cittadini si svolgeva nel campo della Venchi Unica (fabbrica di biscotti e wafer), nuovo impianto di dimensioni regolamentari, con arbitro, guardalinee e massaggiatore.
Per l’occasione, nel grande refettorio del collegio erano stati installati due altoparlanti collegati con una piccola cabina di trasmissione, dalla quale uno dei religiosi trasmetteva la cronaca delle partite del torneo. Una domenica, in un incontro con una squadra con maglia del Torino, la formazione della Juventus stava pareggiando 2 a 2 quando mancavano pochi minuti al novantesimo. Qualche attimo prima del fischio finale, Norberto in una mischia sotto porta, con una zampata riuscì a mettere il pallone in rete. L’altoparlante trasmise la sua prodezza e molti convittori, che manco lo conoscevano, a tavola per la cena, si voltaro...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Per aspri sentieri
  4. L’anelito
  5. Il calvario
  6. Lettera a Giulio. di Vincenzo Novari
  7. Copyright