Il regno capovolto
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Il regno capovolto

  1. 348 pagine
  2. Italian
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Informazioni sul libro

Nata con uno straordinario dono musicale, la piccola Nannerl Mozart ha un solo desiderio: essere ricordata per sempre. Ma, anche se incanta le platee con le sue straordinarie interpretazioni, ha poche speranze di diventare una celebre compositrice. È una ragazza nell'Europa del Diciottesimo secolo, e ciò significa che comporre per lei è proibito. Suonerà fino a quando avrà raggiunto l'età da marito: su questo il suo tirannico padre è stato ben chiaro.

Ogni anno che passa le speranze di Nannerl si fanno più sottili, mentre il talento del suo amato fratellino Wolfgang diventa sempre più brillante, e finisce per oscurarla. Ma un giorno giunge un misterioso straniero da una terra magica, con un'offerta irresistibile: può far diventare il sogno di Nannerl realtà. Ma il prezzo da pagare potrebbe essere altissimo.

Nel suo primo romanzo storico, l'autrice bestseller del "New York Times" Marie Lu intesse una storia rigogliosa e poetica che parla di musica, magia e dell'indissolubile legame tra un fratello e una sorella.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788835707097

SALISBURGO, AUSTRIA 1759

MOZART AL MARE

A VOLTE CAPITA UNA GIORNATA IN CUI TUTTO SEMBRA soffuso di un tocco di magia. Li conosci anche tu questi momenti. L’ombra delle foglie che fremono tra i raggi del sole forma un disegno singolare sul pavimento. Il pulviscolo brilla bianco nell’aria, come fosse fatato. La tua voce è una nota sospesa nella brezza. I suoni fuori dalla finestra ti paiono lontanissimi, come le canzoni di un mondo diverso, e ti immagini che tra un istante accadrà qualcosa di speciale. Anzi, forse sta già accadendo adesso.
Quel momento toccato dalla magia, per me, fu un luminoso mattino d’autunno in cui i pioppi ondeggiavano sulla città dorata. Avevo compiuto da poco otto anni. Mio fratello, Wolfgang, ne aveva quasi quattro.
Ero ancora nel pieno dei miei esercizi al clavicembalo quando papà oltrepassò la soglia con Herr Schachtner al fianco; discutevano di non so cosa a proposito dell’arcivescovo, entrambi scarmigliati dall’andirivieni nella Getreidegasse, la strada principale della città su cui si affacciava casa nostra.
Mi arrestai nel bel mezzo degli arpeggi e appoggiai in grembo le mani conserte. Ricordo ancora le cuciture poco precise della gonna azzurra che indossavo, il candore delle mie mani sulla tastiera nera e le foglie secche impigliate sulle spalle di Herr Schachtner. La sua voce aveva una ricca coloritura da baritono, e gli odori della strada – vento, fumo e pane appena sfornato – gli si erano appiccicati alla marsina come un profumo.
Io avevo le labbra rosee, asciutte, e i capelli acconciati per bene con i ricci ordinati che mi ricadevano dietro alle spalle in onde scure tenute a freno dalle forcine. Ero ancora troppo giovane per interessarmi del mio aspetto e così mamma mi aveva vestito in modo semplice.
«Herr Schachtner!» Sentendo gli uomini entrare, la voce di mia madre si addolcì e assunse un tono sorpreso. Pronunciò il saluto come se non lo stessimo aspettando, lo stimato trombettiere di corte di Salisburgo, come se non avessimo previsto in anticipo ogni dettaglio della sua visita. «Si parla tanto dell’arcivescovo e dell’orchestra, non mi stupisce che anche voi, come mio marito, siate tanto indaffarato. Sebastian…» aggiunse mamma con un cenno al nostro domestico, «… il cappello e il cappotto del signore.»
Sebastian appese i capi del musicista di corte. Erano molto curati, di velluto ornato di passamaneria dorata; il cappello era di castoro e decorato di pizzo. Accanto a essi, la marsina di mio padre pareva logora, era lisa ai gomiti. Il mio sguardo cadde sull’orlo dell’abito di mia madre; si stava sfilacciando e il colore era spento. Avevamo l’aspetto di una famiglia perennemente in bilico sul confine della rispettabilità.
Mio padre era troppo occupato con il nostro ospite per farvi caso, ma mamma notò il mio portamento teso e il pallore delle mie guance. Mi lanciò uno sguardo d’incoraggiamento passandomi vicino.
«Calma, piccola mia» mi aveva esortato quella mattina presto. «Ti sei esercitata molto per questa prova. Non essere nervosa.»
Ripensando alle sue parole, mi sforzai di rilassare le spalle. Ma proprio quel giorno papà era rientrato con mezz’ora d’anticipo e fino al quel momento avevo completato solo gli esercizi e le scale; le dita non mi si erano ancora liberate dal freddo e quando le appoggiai sulla tastiera ebbi la sensazione che fossero lontanissime dal resto del corpo.
Per fortuna mio fratello oggi non si era fatto ancora vedere, era nascosto in un angolo della camera dei nostri genitori, senza dubbio intento a qualche marachella; speravo proprio che stesse zitto e buono fino alla partenza di Herr Schachtner o per lo meno fino a quando io avessi finito di suonare.
Herr Schachtner si rivolse a mamma con un sorriso caloroso che gli increspò le guance agli angoli della bocca e donò al suo viso un’espressione gradevole. «Ah, Frau Mozart» le rispose con una strizzatina d’occhio mente le baciava la mano. «Dico sempre a Leopold che è un uomo fortunato, si è accaparrato una delle poche donne che hanno orecchio.»
Mia madre arrossì e lo ringraziò per le parole gentili. Accennò un inchino e la sua gonna sussurrò sul pavimento. «È una dote che ho ereditato da mio padre» replicò. «Fu un musicista di talento, sapete.»
Mentre mamma si muoveva, memorizzai il suo modo cortese di inclinare il capo e il vezzo con cui si aggiustava una ciocca di capelli; di certo dietro a quei gesti si celava la sua vera reazione all’affermazione di lui, eppure il viso di mamma rimase com’era sempre, sereno e imperscrutabile, dolce e mite. Ed evidentemente il suo contegno risultò gradito a Herr Schachtner, la cui espressione si allietò ancora di più.
«Sì, il Signore mi ha benedetto e mi ha elargito molti doni» affermò mio padre con un sorriso teso come i miei nervi. Mi scoccò un’occhiata in cui balenò un lampo di durezza. «Nannerl ha ereditato l’orecchio dalla mamma, come udirete tra poco.»
Questo era il nostro tacito segnale. Alle parole di mio padre, mi alzai obbediente dalla panchetta per salutare il nostro ospite. A papà non piaceva che mi inchinassi senza allontanarmi dal clavicembalo o che lasciassi vagare lo sguardo senza tenerlo a terra; sosteneva che i nostri ospiti mi avrebbero considerato una giovane distratta e noncurante.
E io dovevo assolutamente evitare di offrire a Herr Schachtner alcun motivo di ritenermi maleducata.
Serena e dolce. Indirizzai il mio pensiero a mamma e provai a imitare il suo modo di abbassare un pochino il capo e il gesto schivo con cui aveva fatto frusciare le gonne sul pavimento. Eppure la mia curiosità si destò e lo sguardo mi sfuggì velocemente sulle mani del trombettiere di corte per osservare come muoveva le dita, in cerca di una prova del suo talento musicale.
Mamma diede ordine a Sebastian di portare il tè e il caffè, ma papà la fermò con un gesto, dichiarando: «Più tardi». Forse era meglio che il signore non vedesse il nostro servizio di porcellana; rammentai i vecchi piattini scheggiati, la teiera dipinta a mano già un po’ scolorita. Mamma aveva implorato papà di acquistarne una nuova per gli ospiti, ma erano secoli che non avevamo motivo di invitare nessuno a casa. Fino a oggi.
Herr Schachtner spazzò via qualche fogliolina dal velluto del giustacuore. «Vi ringrazio, Frau Mozart, ma non mi fermerò a lungo. Sono venuto per ascoltare i progressi al clavicembalo della vostra graziosa figliola.»
«Johann mi ha accompagnato a casa dopo che gli ho parlato del talento di Nannerl.» Papà accennò una pacca amichevole alla spalla di Herr Schachtner. «Non ha saputo trattenersi.»
«Che fortuna» rispose mamma. Alzò un sopracciglio nella mia direzione. «Siete giusto in tempo, Nannerl sta facendo gli esercizi.»
Mi tremavano le mani e le premetti forte una contro l’altra per scaldarle. Oggi avrei suonato per la prima volta davanti a uno spettatore. Per settimane papà si era seduto accanto a me al clavicembalo, studiando la mia tecnica, colpendomi i polsi quando sbagliavo.
«La musica è il suono di Dio, Nannerl» mi diceva. «Se ti è stato dato questo talento, significa che il Signore stesso ti ha scelta come ambasciatrice del Suo suono. È come se il Signore ti concedesse la vita eterna grazie alla tua musica.»
Mio padre e nostro Signore… per me c’era poca differenza tra i due. Un’espressione aggrottata di papà equivaleva a un broncio celeste, per lo meno per quanto riguardava l’effetto sul mio umore. Così ogni sera mi addormentavo riascoltando il movimento delle mie dita sui tasti, le note nitide nella loro perfezione. Avevo sognato Herr Schachtner applaudirmi con entusiasmo, in piedi accanto a mio padre che sedeva con un sorriso soddisfatto, finalmente rilassato. Avevo immaginato che l’ospite mi proponesse di suonare davanti a un folto pubblico. Mio padre impegnato nell’organizzazione, le monete che riempivano le casse di famiglia e la tensione che abbandonava il suo volto.
Perché quella era la ragione della messinscena di stamattina. Gli altri bambini della mia età, diceva papà, non erano in grado di suonare il clavicembalo bene come me. Io ero un miracolo. Prescelta da una mano divina. Destinata a essere notata. Se solo fossi riuscita a dimostrarlo a Herr Schachtner, questi mi avrebbe invitata a suonare davanti a Haydn, il compositore più famoso d’Austria. Avrei potuto fare ingresso nelle corti reali d’Europa, alla presenza di re e regine.
La voce divina – che vale tanto oro quanto pesa – sarebbe risuonata per mezzo delle mie mani.
«Vi chiamate Nannerl, vero?» Herr Schachtner si rivolse a me.
Annuii senza guardarlo. Il mio petto palpitò come se traboccasse di falene, e le dita mi si contrassero, pronte alla danza. Risposi solo: «Sissignore». L’ultima volta che era venuto in visita non si era neppure accorto di me, ma d’altronde allora non ne aveva avuto alcun motivo.
«Da quando prendete lezione di clavicembalo da vostro padre, Fräulein?»
«Da sei mesi, Herr.»
«E ritenete di suonare bene?»
Esitai. Era una domanda a trabocchetto. Non volevo rispondere con troppo orgoglio perché mi avrebbe considerato arrogante, ma nemmeno con troppa modestia, come una musicista mediocre. «Non so, Herr» dissi infine. «Ma credo che dopo avermi ascoltato lo potrete giudicare voi stesso.»
Lui rise, compiaciuto, e io mi concessi un sorrisino di sollievo. Gli uomini, mi aveva sempre consigliato la mamma, sono incapaci di resistere all’adulazione. Se hai bisogno di qualcosa, incomincia con il parlare di tutto ciò che ammiri in loro.
Quando mi azzardai ad alzare gli occhi per lanciargli un’occhiata fugace, lui sorrise ancora più apertamente aggiustandosi i due lembi del bavero del giustacuore. «Ah, ma che giovinetta deliziosa, Leopold» commentò rivolgendosi a mio padre. «Incantevolmente timida per la sua età. Prevedo che si sposerà bene.»
Abbassai di nuovo lo sguardo, sforzandomi di sorridere al suo complimento, anche se le mani mi si contrassero sulla stoffa del vestito. Una volta avevo sentito un cocchiere chiamare “incantevolmente timida” la sua cavalla mentre le stringeva il morso.
Papà si volse verso di me. «Abbiamo imparato un nuovo minuetto proprio ieri» affermò. «Incominciamo con quello, Nannerl.»
Non si trattava di un nuovo minuetto, per la verità, ma di uno che papà aveva scritto per me settimane prima e su cui mi esercitavo da una decina di giorni. Ma non c’era bisogno che Herr Schachtner lo sapesse, quindi risposi: «Sì papà», mi sedetti al clavicembalo e scelsi lo spartito.
Ero un po’ troppo nervosa e così iniziai a suonare prima di aver contato in silenzio fino a tre. “Attenta” rimproverai a me stessa. Herr Schachtner si sarebbe accorto di ogni errore. Respirai profondamente e lasciai che una quiete assoluta calasse sul mondo che mi circondava. Il taglio obliquo della luce nell’aria, il suono della voce di mio padre, il peso della presenza di uno sconosciuto in sala: tutto scomparve, rimasero solo le mie mani e la tastiera.
Qui ero sola. Questo era il mio mondo. Iniziai a suonare e le dita si fecero forza a ridosso della musica. Una scala maggiore, un passaggio, un la sostenuto, un’altra scala, un trillo. Chiusi gli occhi. Al buio, sola con me stessa, cercai il battito della musica, lasciai che le mie mani lo scoprissero.
Era come trovare una ragnatela nel bosco, una rete così fragile che sarebbe bastato un soffio d’aria per spazzarla via. Pensai alle nuvole appena prima che cambino forma, a una farfalla appoggiata sotto una foglia, agli edelweiss bianchi e vellutati su una roccia solitaria, alla pioggia di mezzanotte che batte contro i vetri della finestra. Suonare era come scoprire ogni volta l’armonia di tutto ciò che conoscevo già, ma che si rivelava in quel modo solo a me.
L’anelito del mio cuore attirava e tratteneva la musica. Mi appoggiai alla rete e lasciai che mi avvolgesse.
Poi…
Una risata argentina mi raggiunse dalla camera da letto dei miei genitori. La rete attorno a me vacillò e alcuni fili si incendiarono, rivelando di nuovo parti della sala, la luce, lo sconosciuto e mio padre.
Aggrottai la fronte nello sforzo di non distrarmi, ma con la coda dell’occhio colsi un movimento improvviso apparire da dietro la porta della camera e correre verso il punto dove sedeva papà. Intravidi una testolina di riccioli castani. Braccine corte, gambette tozze. Un sorriso luminoso che ammaliava tutto e tutti intorno a sé.
Mio fratello, Wolfgang.
«Ah, Woferl!» udii l’abituale affetto nella voce di papà mentre chiamava mio fratello con il suo nomignolo. Naturalmente senza sgridarlo per l’interruzione. «Cosa ti ha entusiasmato tanto? Dovrai aspettare. Non vedi? Tua sorella sta suonando per noi.»
Mio fratello sorrise semplicemente e si alzò in punta di piedi per...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il regno capovolto
  4. SALISBURGO, AUSTRIA. 1759
  5. NOTA DELL’AUTRICE
  6. RINGRAZIAMENTI
  7. Copyright