Le strade del male
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Le strade del male

  1. 312 pagine
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Le strade del male

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Autunno 1945: Willard Russell, un soldato appena rimpatriato dalla carneficina nel Pacifico, sta tornando in Virginia quando a Meade, Ohio, conosce la bellissima Charlotte. Se ne innamora all'istante e poco dopo la sposa. Né il suo amore, né il sangue versato sul ceppo della preghiera basteranno però a salvarla dalla malattia e dalla morte.

Anni Sessanta. I coniugi Carl e Sandy Henderson girano per il Midwest in cerca di autostoppisti sui quali scaricare la loro furia omicida. Il predicatore Roy Laferty e suo cugino Theodore, il chitarrista storpio, si guadagnano da vivere con raccapriccianti numeri circensi.

Le strade di tutti loro incroceranno quella di Arvin, il figlio di Willard e Charlotte: un ragazzo in cerca di risposte. Sullo sfondo un'America rurale fatta di chiese e baracche, superstizioni, violenza e miseria. Un mondo nel quale Bene e Male lottano fino allo stremo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788835707103
Parte prima

SACRIFICIO

1

Era un mercoledì pomeriggio dell’autunno del 1945, non molto tempo dopo la fine della guerra. Il Greyhound si fermò come di consueto a Meade, Ohio, un’insignificante cittadina cartiera, un’ora di strada a sud di Colombo, che puzzava di uova marce. I forestieri si lamentavano del tanfo, ma alla gente del posto piaceva vantarlo come il dolce profumo dei soldi. Il conducente del bus, un uomo basso e paffuto che portava scarpe rialzate e un papillon floscio, accostò nella corsia accanto al deposito e annunciò una pausa di quaranta minuti. Avrebbe voluto prendere una tazza di caffè, ma l’ulcera aveva ricominciato a farsi sentire. Sbadigliò e bevve un sorso di un farmaco rosa da una bottiglia che teneva sul cruscotto. La ciminiera dall’altra parte della città, di gran lunga la struttura più alta in questa zona dello Stato, eruttò un’altra nube marrone sporco. Anche a chilometri di distanza potevi vederla sbuffare come uno scarno vulcano in procinto di saltare in aria.
Appoggiato allo schienale della sedia, il conducente del bus si calò il berretto di pelle sugli occhi. Abitava appena fuori Philadelphia, e pensò che se mai fosse stato costretto a vivere in un posto come Meade, Ohio, avrebbe completato l’opera e si sarebbe sparato. Non si trovava nemmeno un cespo di lattuga in quel posto. A quanto pareva, l’unica cosa che la gente mangiava era grasso e ancora grasso. Sarebbe morto in due mesi, mangiando quelle porcherie. La moglie diceva alle amiche che era delicato di stomaco, ma qualcosa nel tono della sua voce, a volte, lo portava a interrogarsi sulla sincerità di quell’atteggiamento empatico. Non fosse stato per l’ulcera, sarebbe andato a combattere come tutti gli altri. Avrebbe massacrato un intero plotone di tedeschi e le avrebbe dimostrato che non era delicato manco per un cazzo. Il suo più grande rimpianto erano tutte le medaglie cui aveva dovuto rinunciare. Suo padre aveva ricevuto un attestato dalla ferrovia per non aver mancato un solo giorno di lavoro in vent’anni, e per i successivi venti non aveva perso occasione di additarlo a quel suo figlio malaticcio. Quando il vecchio aveva tirato le cuoia, alla fine, il conducente di autobus aveva cercato di convincere la madre a riporre l’attestato nella bara, insieme al corpo: in questo modo, almeno, non lo avrebbe più visto. Ma lei aveva insistito per lasciarlo in salotto come esempio di quello che una persona poteva raggiungere in questa vita se non si faceva frenare da un po’ di indigestione. Il funerale, un evento che il conducente aveva atteso con ansia per molto tempo, era stato quasi rovinato dalle infinite discussioni su quell’inutile pezzo di carta. Sarebbe stato contento solo quando tutti i soldati in congedo avessero finalmente raggiunto le rispettive destinazioni, così che non avrebbe più dovuto vederli, quegli stupidi bastardi. Dopo un po’, le imprese degli altri cominciano a stufarti.
Nelle ultime file del bus, il soldato semplice Willard Russell aveva passato il tempo a sbevazzare insieme a due marinai della Georgia, solo che uno era svenuto e l’altro aveva finito per vomitare nel loro ultimo boccale. Non faceva che pensare che, se mai avesse fatto ritorno a casa, non avrebbe più lasciato Coal Creek, West Virginia. Ne aveva viste di ogni, crescendo sulle colline, ma niente di tutto quello era paragonabile a ciò cui aveva assistito nel Pacifico meridionale. Su una delle Isole Salomone, lui e un paio di altri uomini della sua squadra si erano imbattuti in un marine scuoiato vivo dai giapponesi e inchiodato a una croce improvvisata con due tronchi di palma. Il corpo, scorticato e sanguinante, brulicava di mosche nere. Si vedeva ancora battere il cuore nel petto. Le piastrine di identificazione penzolavano da quello che rimaneva di un alluce: sergente di artiglieria Miller Jones. Impossibilitato a offrirgli altro che non fosse un po’ di misericordia, Willard aveva sparato al marine dietro l’orecchio, e poi tutti insieme lo avevano tirato giù e l’avevano coperto di sassi ai piedi della croce. Da allora, la testa di Willard non era più la stessa.
Quando udì il corpulento autista urlare qualcosa a proposito di una pausa, Willard si alzò e si avviò verso la portiera, disgustato dai due marinai. A suo parere, in marina bisognava vietare di bere. Nei tre anni in cui aveva prestato servizio nell’esercito, non aveva conosciuto un solo marinaio capace di reggere l’alcol. Qualcuno gli aveva detto che era a causa del salnitro che veniva somministrato loro per evitare che impazzissero in mare aperto e si dessero alle orge. Dopo aver gironzolato presso il deposito degli autobus, vide una trattoria dall’altra parte della strada chiamata Wooden Spoon. Un pezzo di cartone bianco fissato alla finestra annunciava un polpettone di carne a trentacinque centesimi. Sua madre gli aveva preparato un polpettone, il giorno prima che si arruolasse, perciò lo prese come un buon segno. Si sedette dietro un séparé accanto alla finestra e accese una sigaretta. Lungo la sala correva una mensola su cui prendevano polvere vecchie bottiglie melmose, stoviglie d’epoca macchiate e fotografie incrinate in bianco e nero. Affisso alla parete c’era l’articolo sbiadito di un giornale su un ufficiale di polizia di Meade ucciso a pistolettate da un rapinatore di fronte al deposito degli autobus. Willard guardò più da vicino e vide che era datato 11 febbraio 1936. Quattro giorni prima del suo dodicesimo compleanno, calcolò. Un vecchio, l’unico altro cliente del locale, era piegato su un tavolo al centro della sala, intento a mangiare rumorosamente una scodella di minestra verde. I suoi denti finti riposavano sopra un panetto di burro davanti a lui.
Willard finì la sigaretta e stava già preparandosi a uscire, quando una cameriera dai capelli scuri venne fuori dalla cucina, afferrò un menu da una pila accanto al registratore di cassa e glielo porse. «Scusami» disse. «Non ti ho sentito entrare.» Guardando quegli zigomi alti, quelle labbra carnose e quelle gambe lunghe e snelle, Willard si rese conto, quando lei gli chiese cosa volesse mangiare, di avere la bocca secca. A stento gli riuscì di parlare. Cosa che non gli era mai successa prima, nemmeno nel mezzo degli scontri più cruenti sull’isola di Bougainville. Mentre lei andava a riferire l’ordinazione e a preparargli una tazza di caffè, la sua mente fu attraversata dal pensiero di come solo un paio di mesi prima fosse sicuro che la sua vita sarebbe finita su qualche umido scoglio insignificante del Pacifico; e adesso eccolo lì, a riempirsi i polmoni con l’aria di casa, servito e riverito da una donna che sembrava una versione in carne e ossa di uno di quegli angeli da copertina che si vedevano nei film. Per quanto fosse in grado di rendersene conto, fu quello il momento in cui Willard si innamorò. Poco importava che il polpettone fosse secco, i fagioli sfaldati e il pane duro come un pezzo di carbone. A suo modo di vedere, gli aveva servito il miglior pasto mangiato in vita sua. Dopo che ebbe finito, fece ritorno sul bus senza nemmeno conoscere il nome di Charlotte Willoughby.
Alla fermata successiva – a Huntington, dall’altra parte del fiume – comprò cinque pinte di whisky in uno spaccio di alcolici e le infilò nella sacca. Poi si sedette nella prima fila, proprio dietro il conducente, la mente rivolta alla ragazza del locale e gli occhi puntati verso un qualsiasi indizio che gli parlasse di casa. Era ancora un po’ sbronzo. «Ti sei guadagnato qualche medaglia?» chiese all’improvviso il conducente. Lo stava guardando dallo specchietto retrovisore.
Willard scosse il capo. «Solo questa vecchia carcassa smagrita in cui mi trascino.»
«Volevo partire, ma non mi hanno preso.»
«Sei fortunato» disse Willard. Il giorno in cui si erano imbattuti nel marine, la battaglia sull’isola era quasi conclusa e il sergente li aveva mandati in cerca di un po’ d’acqua potabile. Un paio di ore dopo che avevano interrato il corpo scuoiato di Miller Jones, quattro soldati giapponesi affamati, con i machete sporchi di sangue fresco, erano sbucati da un gruppo di rocce, le mani alzate in segno di resa. Quando Willard e i suoi due compagni avevano fatto per riportarli verso il punto in cui sorgeva la croce, i soldati erano crollati in ginocchio e avevano cominciato a implorare o a chiedere scusa, non sapeva quale delle due cose. «Hanno cercato di scappare» aveva mentito Willard al sergente, di ritorno all’accampamento. «Non avevamo altra scelta.» Dopo aver giustiziato i giapponesi, uno degli uomini che erano con lui, un ragazzo della Louisiana che intorno al collo portava una zampa di ratto di palude per tenere lontani i proiettili dei musi gialli, aveva tagliato loro le orecchie con un rasoio. Ne aveva molte altre, ormai essiccate, con cui aveva già riempito una scatola di sigari. Aveva in animo di vendere quei trofei per cinque bigliettoni al pezzo, una volta tornato nel consesso civile.
«Per via dell’ulcera» aggiunse il conducente.
«Non ti sei perso niente.»
«Non lo so» disse il conducente. «Certo che mi sarebbe piaciuto guadagnarmi una medaglia. Forse anche un paio. Immagino che avrei potuto ucciderne abbastanza, di quei crucchi di merda, per meritarmene due. Sono piuttosto svelto di mano.»
Guardando la nuca del conducente, Willard ripensò alla conversazione con il giovane prete dall’aria lugubre a bordo della nave, dopo che gli aveva confessato di aver freddato il marine per porre fine alle sue sofferenze. Il prete era stanco di tutta la morte che aveva visto, di tutte le preghiere che aveva recitato sopra le file di cadaveri e di brandelli umani ammassati. Aveva detto a Willard che se anche metà della storia era vera, allora l’unico senso di questo mondo depravato e corrotto era quello di prepararti al dopo. «Lo sapevi» disse Willard al conducente «che i Romani sventravano gli asini e poi cucivano i cristiani vivi dentro le carcasse e li lasciavano a marcire sotto il sole?» Il prete conosceva un sacco di storie simili.
«Che diavolo c’entra con la medaglia?»
«Pensaci un attimo. Sei come un tacchino legato stretto in un tegame, e hai solo la testa che ti spunta dal culo di un asino morto; e poi i vermi ti rosicchiano fino a mandarti in gloria.»
Il conducente si accigliò e strinse la presa sul volante. «Amico, non vedo dove vuoi arrivare. Io parlavo di tornare a casa con una bella medaglia appuntata al petto. Forse che questi Romani distribuivano medaglie a quella gente prima di infilarla dentro gli asini? È questo che intendi dire?»
Ma nemmeno Willard sapeva cosa intendesse dire. A sentire il prete, solo Dio poteva conoscere le vie degli uomini. Si leccò le labbra secche, pensò al whisky nella sacca. «Quello che voglio dire è che, a conti fatti, alla fine soffriamo tutti» rispose.
«Be’» disse il conducente. «Prima di quel momento mi sarebbe piaciuto ricevere una medaglia. Diamine, a casa ho una moglie che impazzisce appena ne vede una. Parli di sofferenza. Ogni volta che esco mi viene l’ansia che possa scapparsene con un medagliato al valore.»
Willard si sporse in avanti e il conducente avvertì il fiato caldo del soldato sul retro del collo grasso, percepì i fumi del whisky e le tracce stantie di un pranzo a buon mercato. «Pensi che a Miller Jones fregherebbe un cazzo se sua moglie se ne andasse in giro a scopare?» disse Willard. «Amico mio, farebbe a cambio con te ogni fottutissimo giorno.»
«Chi diavolo è Miller Jones?»
Willard guardò fuori dal finestrino proprio mentre la vetta indistinta del monte Greenbrier faceva capolino in lontananza. Gli tremavano le mani, e la fronte era lucida di sudore. «Solo un povero bastardo andato a combattere la guerra di cui ti senti scippato, tutto qui.»
Willard era pronto a sfondarsi con una pinta quando suo zio Earskell accostò la Ford sferragliante di fronte alla stazione della Greyhound a Lewisburg, all’angolo tra la Washington e la Court. Sedeva da quasi tre ore su una panchina, intento a sorbire un caffè freddo in un bicchiere di carta e a osservare il viavai di gente davanti al Pioneer Drugstore. Provava vergogna per come si era rivolto al conducente del bus, e gli dispiaceva di aver messo in mezzo il nome di quel marine; e giurò che, senza per questo dimenticarlo, non avrebbe più fatto parola a nessuno del sergente di artiglieria Miller Jones. Una volta in macchina, prese la sacca e allungò a Earskell una delle pinte insieme a una Luger. Se l’era procurata barattandola con una spada cerimoniale giapponese in una base del Maryland poco prima di essere congedato. «Pare sia la pistola con cui Hitler si è fatto saltare le cervella» disse cercando di trattenere un ghigno.
«Stronzate» commentò Earskell.
Willard rise. «Cosa? Pensi che il tizio mi abbia mentito?»
«Ah!» esclamò il vecchio. Svitò il tappo della bottiglia e mandò giù una lunga sorsata. Poi fu scosso da un fremito. «Dio, questa è roba buona.»
«Finiscila. Ne ho ancora tre nella sacca.» Willard aprì un’altra pinta e si accese una sigaretta. Sporse il braccio fuori dal finestrino. «Come sta mia madre?»
«Be’, devo dire che quando hanno rispedito indietro il corpo di Junior Carver è andata fuori di testa per un po’. Ma ora sembra stia abbastanza bene.» Earskell diede un’altra bella botta alla pinta, prima di piazzarsela tra le gambe. «Era solo in ansia per te, ecco tutto.»
Risalirono lentamente le colline verso Coal Creek. Earskell voleva sentire qualche racconto di guerra, ma tutto ciò di cui parlò suo nipote nell’ora successiva aveva a che fare con una donna appena vista in Ohio. Fu più di quanto lo zio avesse mai sentito parlare Willard in tutta la sua vita. Lui aveva voglia di chiedergli se era vero che i giapponesi mangiassero i propri morti, come diceva il giornale, ma poi si disse che poteva aspettare. Inoltre, doveva prestare attenzione alla guida. Il whisky andava giù che era una meraviglia, e la vista non era più quella di una volta. Emma aspettava il ritorno di suo figlio da molto tempo, e sarebbe stato un peccato se fosse andato a sbattere uccidendo entrambi prima che lei potesse riabbracciarlo. Il pensiero lo fece ridacchiare. Sua sorella era una delle persone più timorate di Dio che avesse mai conosciuto, ma lo avrebbe seguito anche all’inferno pur di fargliela pagare.
«Be’, cos’è che ti piace esattamente di questa ragazza?» chiese Emma Russell a Willard. Era ormai quasi mezzanotte, quando Earskell aveva parcheggiato la Ford ai piedi della collina e insieme avevano percorso il sentiero fino alla piccola casa di tronchi. Non appena Willard era entrato dalla porta, lei aveva fatto la sua bella scenata aggrappandosi a lui e inzuppandogli di lacrime il davanti della divisa. Da sopra la spalla di sua madre, Willard aveva osservato lo zio scivolare in cucina. I capelli di mamma si erano ingrigiti dall’ultima volta che l’aveva vista. «Vorrei chiederti di inginocchiarti con me per ringraziare Gesù,» aveva detto lei asciugandosi le lacrime con un lembo del grembiule «ma sento che il fiato ti puzza di alcol.»
Willard aveva annuito. Gli avevano inculcato che non si parla mai con Dio quando si è alticci. Bisognava essere sempre sinceri con il Signore, soprattutto nel momento del bisogno. Anche il padre di Willard, Tom Russell, un contrabbandiere di alcolici perseguitato dalla sfortuna e dai problemi fino al giorno in cui era morto per una malattia al fegato in un carcere di Parkersburg, si atteneva a quel convincimento. Per quanto potesse essere disperata la situazione – e il suo vecchio ne aveva vissute a iosa, di situazioni disperate – finché avesse avuto in corpo anche una sola cucchiaiata d’alcol non avrebbe mai chiesto aiuto all’Altissimo.
«Be’, andiamo in cucina» aveva deciso Emma. «Puoi mangiare qualcosa, intanto che io metto su il caffè. Ti ho preparato il polpettone.»
Alle tre del mattino, lui e Earskell avevano già fatto fuori quattro pinte insieme a una tazza di whisky di contrabbando ed erano alle prese con l’ultima bottiglia acquistata allo spaccio. Willard aveva la testa confusa e stentava a mettere insieme le parole, anche se evidentemente aveva detto a sua madre della cameriera conosciuta al locale. «Cos’è che mi avevi chiesto?» le domandò.
«Quella ragazza di cui mi parlavi» spiegò sua madre. «Che cosa ti piace di lei?» Poi gli versò un’altra tazza di caffè bollente. Anche se aveva la lingua intorpidita, lui era certo di essersi già ustionato più di una volta. Appesa a una trave del soffitto, una lampada a cherosene illuminava la stanza. L’omb...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le strade del male
  4. Prologo
  5. Parte prima. SACRIFICIO
  6. Parte seconda. A CACCIA
  7. Parte terza. ORFANI E FANTASMI
  8. Parte quarta. INVERNO
  9. Parte quinta. IL PREDICATORE
  10. Parte sesta. SERPENTI
  11. Parte settima. OHIO
  12. Ringraziamenti
  13. Copyright