Il nodo magico
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Il nodo magico

Ulisse, Circe e i legami che rendono liberi

  1. 144 pagine
  2. Italian
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Il nodo magico

Ulisse, Circe e i legami che rendono liberi

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Possono i legami renderci liberi? Sì, se sono fatti di nodi magici, direbbe Omero.

Per pochi istanti, in pochi versi dell' Odissea, Omero ci presenta un vero nodo ed è quando Arete, madre di Nausicaa e regina dei Feaci, dona a Ulisse, prima del suo ultimo viaggio verso Itaca, uno scrigno pieno di tesori e lo prega di legarlo saldamente con un nodo. Quello che Ulisse esegue è un nodo che gli ha insegnato molti anni prima la maga Circe. C'è quindi da scommettere che si tratti di un nodo magico.

Il nodo di Circe non è un nodo qualsiasi, è femminile, perché si scioglierà grazie alle donne incontrate, è desm ò s, dal verbo deo che significa legare, poikilos, complesso, come è la vita, colorato, variopinto, come sa renderlo la maga. Il nodo è l'essenza dei legami profondi. È una saldatura, invisibile. Ci tiene stretti all'altro, ma non è prigione. I legami veri non possono che essere un dono di libertà, di cura, di attenzione, di ascolto dell'altro.

Questo libro parla dunque di Ulisse e dei suoi legami. Nel suo lungo viaggio di ritorno da Troia, è uomo vittorioso, ma solo. Non più un eroe ma un naufrago. Il senso e la direzione non sa più dove siano. Saranno alcuni incontri speciali ad aiutarlo a ritrovare una forza che non è scritta in nessuna guerra. Nausicaa, Circe, Calipso, Penelope, Anticlea, Atena sono le figure che lo guidano in un percorso che non è solo un ritorno a casa, ma una sorta di mappa della sua educazione sentimentale. Il ritorno di Ulisse è costruito sui nodi dell'amore, dell'amicizia e dell'ospitalità ma anche del dolore e della nostalgia, fondamenta indispensabili per la ricostruzione della memoria di chi è stato e di chi diventerà. Al pari di Ulisse, tutti noi siamo le nostre relazioni.

Cristina Dell'Acqua torna a sondare il mondo classico a caccia di domande e risposte che illuminino anche il nostro presente. «In questo nuovo viaggio» scrive «ci guideranno la fantasia di Omero, le donne, gli amici, le anime che Ulisse incontrerà e il nodo intricato e magico, che scopriremo legato a doppio filo a noi. Per ricordare, oggi e sempre, che nei legami è riposta la nostra libertà.»

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2021
ISBN
9788835707455
XII

Lo specchio di Penelope

Hai due piccole virgole ai lati delle labbra.
O sono due parentesi?
Sono due rughe, Modesta.
Non è vero! Sono due parentesi
che aggiungono significato alla frase del tuo viso.
GOLIARDA SAPIENZA, L’arte della gioia
Il giorno della partenza dalla corte del re dei Feaci è giunto, un giorno desiderato e temuto nello stesso tempo. Siamo mai pronti a rivedere i sogni in cui siamo stati intrappolati per anni?
Arete e Alcinoo organizzano per Ulisse una partenza piena di attenzioni, buoni cibi, vino e regali, balsami necessari per il cuore di un uomo in difetto di dolcezza.
Sulla nave preparata per lui che corre sicura e «neanche un falco sparviero, l’uccello più celere l’avrebbe uguagliata» (XIII 86-7), Ulisse sprofonda nel sonno, questa l’unica regola che vige sull’isola perché chi raggiungerà finalmente la sua terra nulla saprà di come ci sia potuto arrivare.
Vicino a lui c’è lo scrigno pesante, legato e al sicuro, che gli ha donato la regina Arete.
Gli uomini ai remi iniziano a solcare il mare sino a quando, quasi per magia, la nave sembra volare sull’acqua veloce-mente.
All’alba i Feaci entrano in un porto segreto di Itaca, sacro al Vecchio del Mare, lasciano che la nave si areni sino a metà della chiglia, depongono a terra Ulisse addormentato, sbarcano i doni, al sicuro, ai piedi di un ulivo lontano dalla strada, e nel silenzio tornano alla loro isola.
Pagheranno la loro generosità.
Poseidone infatti, non dimentico di aver promesso a Ulisse un ritorno pieno di sciagure, non perdona ai Feaci di averlo aiutato e riaccompagnato a casa con tutti gli onori.
La loro nave, di ritorno da Itaca, diventerà di pietra e si fisserà sul fondo del mare perché non possano più accompagnare nessun mortale. Mentre i Feaci supplicano Poseidone, immolando dodici tori, perché non copra l’isola con un monte, Ulisse si sveglia a Itaca.
È tornato al suo presente.
È l’alba quando la vecchia nutrice Euriclea si precipita nella stanza di Penelope.
Ulisse è di nuovo a casa. Telemaco ha rivelato alla balia chi si nasconde dietro le spoglie del mendicante giunto nell’isola da qualche giorno. È Ulisse. Euriclea stessa, lavandolo, lo riconosce. Lo ha riconosciuto dalla ferita che gli inferse il cinghiale tanti anni prima alla coscia, mentre era a caccia con il nonno Autolico.
La regina sta ancora dormendo quando la nutrice le dice di alzarsi, nell’Odissea i sogni sono femminili.
Sogna Nausicaa prima dell’arrivo di Ulisse e sogna Penelope. Prima per la preoccupazione di sapere se Telemaco è ancora vivo (IV 787-841), e poi per il morso della nostalgia. Desiderava talmente il ritorno di Ulisse da averlo visto in sogno la notte prima.
Venti oche uscite dall’acqua sono in casa con lei, beccano il grano. Penelope le guarda felice quando all’improvviso un’aquila enorme si getta su di loro, le uccide tutte spezzando loro il collo e, dopo averle lasciate lì, ammucchiate una sull’altra, vola via nel cielo azzurro e chiaro. Penelope piange nel vedere quella strage sotto i suoi occhi. All’improvviso, l’aquila torna e con voce umana le dice che deve avere coraggio e pazienza, deve saper aspettare ancora. Quelle oche sono i suoi pretendenti, l’aquila il suo sposo.
La regina confida il sogno al mendicante ospite nella sua casa. I sogni son desideri, oggi noi possiamo dirlo, ma non Penelope, spaventata all’idea di essersi ancora una volta illusa nella speranza di rivedere suo marito.
Penelope sa che i sogni sono ambigui e inesplicabili e che non tutti si avverano: «Possono venire da due porte: una è fatta di corno, l’altra di avorio. Quelli che vengono dalla porta di avorio ci illudono, portano messaggi ingannevoli; quelli che invece vengono dalla porta di lucido corno, se riusciamo a vederli, dicono la verità» (XIX 562-5). Penelope vuole credere che il suo sogno sia giunto dalla porta d’avorio, eppure, mentre si aggrappa con tutta se stessa a questa speranza, sente ancora il morso allo stomaco, e questa volta non di nostalgia ma di conforto. Quell’uomo sconosciuto le dice che deve fidarsi delle parole che l’aquila le ha detto in sogno, la rassicura, facendole provare un senso di protezione che non provava da anni, spiegabile solo con il flusso di amorosi sensi che va ben oltre la vista.
Suo figlio Telemaco ora sa che suo padre è tornato, che è ormai a Itaca da giorni, ma la sua sophrosyne, saggezza matura e prudente, gli fa valutare e scegliere il silenzio ora, per gustarsi la felicità poi.
Ma lei non lo sa ancora. Lo sente.
Quel sogno le rimane dentro oscuro sino alla mattina in cui Euriclea si precipita a svegliarla per dirle che Ulisse si trova sotto il suo stesso tetto, è quel mendicante straniero che tutti hanno offeso e oltraggiato. Ha ucciso tutti i pretendenti, i Proci, assieme al figlio Telemaco, e ora nella sala ci sono solo i cadaveri degli uomini che l’hanno tenuta prigioniera nella sua stessa casa.
Il suo cuore non riesce a crederci, pensa che l’anziana donna sia impazzita, Ulisse non può aver ucciso da solo i Proci, tutti quegli uomini, principi di Itaca e delle isole vicine che si erano installati nella loro casa dilapidando i beni dell’eroe, cercando di averla come moglie e tenendo in ostaggio la sua libertà.
Eppure è così, i cadaveri dei Proci sono ammucchiati giù, vicino alla porta del cortile. Ulisse ha acceso un fuoco per purificare con lo zolfo la sala della sua bellissima casa e il ricordo di tante offese. Si è battuto come un leone, con la stessa fierezza con cui si era presentato a Nausicaa, nudo e naufrago.
Ma Penelope ancora non si fida. Conosce i tranelli dei mortali e gli inganni degli dèi. Risoluta, non cede facilmente a quella che potrebbe rivelarsi un’ennesima delusione; allora la nutrice la conduce nella sala dove Ulisse e Telemaco l’aspettano, dopo aver ucciso i Proci, perché possa vedere con i suoi stessi occhi.
Penelope e Ulisse, in silenzio, sono seduti l’uno di fronte all’altra. Il cuore di lei, a momenti alterni, le fa riconoscere chiaramente il marito sotto gli stracci del mendicante, anche se le pare del tutto diverso da come avrebbe dovuto essere.
Ma Penelope ritrova il suo uomo nelle rughe del viso. Lo stupore invade il suo cuore, però rimane in silenzio.
È Telemaco infatti a rompere per primo un silenzio di vent’anni:
Madre mia, tu hai un cuore di pietra, perché stai così lontana da mio padre? Perché non vai a sederti al suo fianco? Perché non gli fai domande e non lo ascolti? (XXIII 97-9)
Penelope non chiede nulla a Ulisse perché vuole metterlo alla prova lei stessa e verificare il segno dell’intimità che conoscono soltanto loro due. Perché è di conferme continue che hanno bisogno i nostri demoni dell’insicurezza e della paura.
Penelope vuole metterlo alla prova, una parola ricca di sottigliezze, somma delle tre parole greche πείρω, peiro, che vuol dire attraversare, πειράω, peirao, tentare, quindi fare esperienza, e πεῖρα, peira, la prova e l’esperienza insieme, il risultato di tutto ciò che di significativo avviene nella nostra vita.
«Se è davvero Ulisse ed è tornato a casa, noi due ci riconosceremo sicuramente, perché abbiamo dei segni, delle prove segrete che solo noi conosciamo e gli altri non sanno» (XXIII 107-10). Nell’intimità di un uomo e di una donna che si sono amati e si amano, anche un figlio può diventare un estraneo.
La prova di Itaca è una porta per passare attraverso un luogo da cui Penelope e Ulisse non sono ancora passati, il ricordo.
La prova che noi esistiamo nella misura delle relazioni in cui ci riconosciamo.
Sorride Ulisse. Un sorriso che nasconde un silenzio di sollievo davanti alla richiesta di Penelope. Passato, presente e futuro si stanno ricomponendo, lentamente, con pazienza e saggezza.
Ulisse si occupa prima del futuro e parla a Telemaco:
Lascia che tua madre mi metta alla prova, tra poco riuscirà a riconoscermi. Ora mi disprezza e dice che non sono io perché mi vede sporco e con le vesti da mendicante. Ora concentriamoci invece su come andranno le cose, perché nella nostra città, anche se qualcuno uccide un uomo che non lascia molti amici a vendicarlo, deve fuggire e abbandonare la famiglia e la patria. Noi abbiamo ucciso le colonne della città, i più nobili tra i giovani di Itaca. Ti chiedo di riflettere su questo. (XXIII 113-22)
La situazione è spinosa. Avendo ucciso i più nobili fra i giovani di Itaca occorre evitare di innescare la vendetta da parte delle loro famiglie. È in gioco il futuro di Ulisse e di tutti i suoi, è ora di rivolgersi a Telemaco come si fa con un uomo ormai adulto in grado di pensare alle strategie migliori da adottare. Ti chiedo di riflettere su questo sono parole meravigliose per un padre che le pronuncia e per un figlio che le ascolta. Profumano di fiducia, di pianificazione e normalità ritrovata. Finalmente. Così come è meravigliosa la risposta di Telemaco, che immediatamente chiede al padre di pensare lui alla strategia migliore, perché è l’uomo con la mente migliore che si possa immaginare tra i mortali. Noi ti seguiremo, suggella il figlio.
Due metis allo specchio, un padre e un figlio che si conoscono per la prima volta e si riconoscono nel reciproco sguardo. Avere fiducia nella saggezza di un padre e nella capacità di averne di un figlio è la loro prova. Superata.
Ulisse, astuto, per ritardare il più possibile la diffusione della notizia della morte dei Proci, chiede a tutti di vestirsi con belle tuniche, chiama un cantore con la cetra sonora per simulare una festa, così che chi ascoltasse da fuori possa pensare a un banchetto per l’agognato matrimonio di Penelope con uno dei pretendenti. Poi si allontanerà dalla reggia e chiederà consiglio ad Atena.
Ci vuole lo scorrere della vita per riuscire a vedere Penelope più da vicino.
Quando la incontriamo per la prima volta, magari nell’età in cui si è giovani studentesse che cercano di fare pace con le proprie imperfezioni, non è immediato entrare in sintonia con questa regina che a un primo sguardo pare statica e piegata sul modello della donna che attende, perfetta nella sua passività e obbedienza.
In effetti Penelope è meno prevedibile di come la immaginiamo.
Cugina di Elena e Clitemnestra, le gemelle inquiete e ribelli, Penelope è invece l’emblema della fedeltà coniugale. Di lei sappiamo ancora che, da presunta vedova, riuscì a rimandare le nozze con i suoi pretendenti con il pretesto di dover tessere il sudario del suocero Laerte. Di giorno tesseva e di notte disfaceva la trama di una tela senza fine, perché non arrivasse mai il momento di perdere la sua libertà di scelta. Quando infine fu tradita da una sua ancella infedele che rivelò il trucco, la regina, messa alle strette, escogitò un ultimo espediente, la famosa gara con l’arco al termine della quale avrebbe sposato il vincitore. Una gara impossibile da vincere per i suoi corteggiatori perché, come sappiamo, solo Ulisse avrebbe avuto la forza necessaria per tenderlo.
Cugina di Elena e Clitemnestra, infedele come loro.
A voler ascoltare alcune versioni più tarde del mito, Penelope, fedifraga, sarebbe stata scoperta da Ulisse e allontanata da Itaca. Avrebbe poi avuto un figlio dal messaggero divino Hermes, il dio Pan. Per non dire che, secondo altri miti, Pan era addirittura figlio di Penelope giaciuta con tutti i suoi pretendenti mentre Ulisse era lontano, e proprio per questo il dio fu chiamato Pan, che in greco significa tutto.
I due poli opposti della sua fedeltà sono la gabbia dentro cui amiamo chiudere la regina di Itaca, mentre dovremmo concentrarci sugli spazi che Penelope ha saputo difendere con amore, determinazione e intelligenza.
Il suo spazio, fisico e psicologico, patet, è aperto, chiaro, libero, voluto da Penelope quando ancora molto giovane aveva sposato Ulisse; e lo ha conservato nel tempo.
Loro due si conobbero a Sparta in occasione di una gara nuziale per la cugina Elena, la donna più bella del mondo, che tutti desideravano avere al proprio fianco. Ulisse volse subito le sue attenzioni su Penelope, meno conosciuta ma non per questo meno affascinante. Molto giovane ma già molto avveduto, Ulisse, sapendo in partenza che un re di una piccola isola non avrebbe potuto competere con dei pretendenti ben più ricchi di lui, riuscì a conquistarla vincendo una gara di corsa.
Il suo istinto non lo tradì.
Nonostante la vittoria, Icario, il padre di Penelope, non voleva concedere la figlia a un marito non ancora illustre e lasciarla partire con lui. Penelope fu irremovibile e s’impose salendo sul carro del marito così come s’imporrà sui Proci e sul marito stesso tanti anni dopo. La loro vita insieme a Itaca fu in realtà molto breve perché, poco dopo la nascita di Telemaco, Ulisse parte per la guerra lasciando nelle mani di Penelope il suo mondo. Si fidava della sua natura di donna coraggiosa. Nelle sue vene, per parte di padre, scorreva anche il sangu...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il nodo magico
  4. Ragioni e sentimenti di questo libro
  5. I. Ulisse, nato due volte
  6. II. Nausicaa e l’isola che non c’è
  7. III. Il mare dei ricordi
  8. IV. Il nodo magico di Circe
  9. V. L’anima di Anticlea
  10. VI. Una notte nell’Ade a scuola di donne
  11. VII. Nostos, nostalgia di noi
  12. VIII. Delle donne non bisogna fidarsi
  13. IX. Il tempo del desiderio
  14. X. Scintille di immortalità
  15. XI. Le lacrime di Telemaco
  16. XII. Lo specchio di Penelope
  17. XIII. Nel segno delle donne
  18. Breve guida all’Odissea
  19. Per concludere
  20. Ringraziamenti
  21. Copyright